Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
La difesa dei Toronto Raptors non ha punti deboli
20 ago 2020
20 ago 2020
E potrebbe portarli lontano.
(di)
(foto)
Foto di Kim Klement-Pool/Getty Images
(foto) Foto di Kim Klement-Pool/Getty Images
Dark mode
(ON)

I Toronto Raptors sono una seria candidata al titolo. Le loro vittorie nelle partite giocate finora nella bolla di Orlando non hanno cambiato niente, non hanno avvalorato alcuna tesi, perché sebbene fossero in molti (sottoscritto compreso) quelli che credevano che la partenza di Kawhi Leonard potesse ridimensionare le ambizioni della franchigia nel breve periodo, i canadesi non hanno lasciato spazio ai dubbi neanche per un momento. In una regular season in cui i Milwaukee Bucks hanno fatto il solco, i Raptors sono stati capaci di tenere il passo, mettendo in campo sia la dignità e l’ostinazione dei campioni che non vogliono rinunciare facilmente alla corona sia la bellezza e la coralità, la tremenda organizzazione di una squadra capace di produrre sequenze di pallacanestro di altissimo livello. Veder giocare i Raptors rende un senso di armonia: la palla si muove senza sosta, toccata da tutti quasi fosse un rito propiziatorio, e anche se l’efficienza offensiva non è delle migliori – 12° attacco su cento possessi, 16° a metà campo – la collaborazione tra ogni giocatore aiuta a creare quello spirito di gruppo indispensabile per sopperire alla mancanza di una vera stella. L’evoluzione di Paskal Siakam è sicuramente servita a colmare il vuoto lasciato da Kawhi ma come confermano anche queste prime partite nella bolla il palcoscenico può toccare ogni sera a un giocatore diverso – con Kyle Lowry e Fred VanVleet in prima linea.

MANIFESTO!

Da quando la NBA è ripresa soltanto gli immacolati Suns possono godere di un record più netto di quello dei Raptors, che nelle prime due partite di playoff hanno dimostrato sia la forza bruta della corazzata (gara-1) che la compassata e consapevole lucidità dei campioni, che anche quando giocano male (come in gara-2) riescono ad attaccarsi ai propri punti forti per portare a casa il risultato. Una consapevolezza, un desiderio di condividere e giocare come se non esistessero tabellini personali che è il riflesso diretto di quanto i Raptors fanno nella metà campo difensiva, dove Nick Nurse e Masai Ujiri sono stati bravi a fondere la propria visione per costruire un’ossatura di invidiabile efficacia e prestigio.Una difesa modernaPer i giocatori dei Raptors non è più una questione di muoversi all’unisono, di essere cinque giocatori che coreografano una danza neanche fossero uniti da un pezzo di corda, quanto il piacere di leggere quello che succede in campo e provare a fare qualcosa per impedire che accada. La difesa dei Raptors è una difesa proattiva: nel pezzo in cui celebravamo la vittoria del titolo avevo scritto che «L’aver messo le mani su entrambi gli esterni degli Spurs [Danny Green e Kawhi Leonard] ha permesso non solo di prendere due dei migliori interpreti difensivi della lega, ma di acquisire anche la loro esperienza condivisa da compagni di squadra nel corso degli anni, garantendosi una coppia quasi robotica nel leggere le situazioni di gioco e reagire di conseguenza» ma rileggendolo oggi appare un'evidente semplificazione. Nurse non ha soltanto plasmato la memoria muscolare dei suoi fino a livelli di perfezionismo patologico, ma ha instaurato una flessibilità (mentale ancor prima che tecnica) che permette ai propri giocatori di essere sempre protagonisti e parte attiva di quanto succede. Una delle tante qualità di Nurse è quella di aver capito fin da subito chi aveva di fronte e chi stava allenando. Il roster dei Raptors è composto da giocatori intelligenti che amano essere stimolati, che possiedono le capacità fisiche e mentali per suonare diversi spartiti ogni sera.Toronto è al tempo stesso una squadra rigida e liquida. Il coaching staff ha impiantato alcuni concetti base, come la difesa dell’area e il chiudersi per poi riaprirsi sugli scarichi simulando i tentacoli di una medusa. Nessuno concede più triple dagli angoli dei Raptors, e soltanto Bucks e Celtics concedono più triple in generale; allo stesso tempo nessuno (tranne i Bucks) contesta più conclusioni da tre dei canadesi, che (questo forse anche grazie a un pizzico di fortuna) sono anche la squadra che concede la peggior percentuale sulle cosiddette triple wide-open agli avversari.

Una volta assimilati i concetti base – che non cambiano mai – ai giocatori dei Raptors viene chiesto di muoversi sullo scacchiere tattico come un’onda su una struttura molecolare. Nurse e i suoi sono capaci non tanto di cambiare schema da partita a partita, quanto da possesso a possesso. I centri possono “blitzare” sul pick and roll, farsi vedere (show) in aiuto lontano dall’area e scappare a protezione del ferro (drop) in tre possessi consecutivi senza mai perdere di efficacia; si può decidere di cambiare su tutti i blocchi o provare a passarci sopra senza alcuna differenza, così come raddoppiare gli avversari più pericolosi o decidere se (e quando) lasciare un proprio giocatore libero da marcature per concentrarsi sulle linee di passaggio. Nella partita contro i Lakers, per esempio, i Raptors sono stati categorici nel togliere la palla dalle mani di Anthony Davis – costringendolo a uno degli Usage% più bassi di tutta la carriera – comprendendo perfettamente la sua centralità nel motore offensivo dei californiani. Un trattamento simile era toccato anche a Damian Lillard e James Harden nel corso della stagione: questa capacità di scivolare tra diverse soluzioni permette a coach Nurse di possedere uno dei bagagli di trucchi più grossi della lega. Dove nasce la flessibilità difensivaFatta eccezione di Miami, nessuno utilizza la zona più dei canadesi, che possono variare a piacere tra formazioni 2-3, 3-2, triangolo e due, box-and-one, pressing.

La forza della zona canadese nasce dalla formazione frontale. Proprio come Miami anche i Raptors schierano le loro due ali in punta, sfruttando le braccia interminabili di Siakam e OG Anunoby per costruire un muro perimetrale talmente impressionante che siamo sicuri sia il sogno bagnato di Stan Van Gundy. Quando i due esterni di Toronto spiegano le ali sembra di essere dentro una puntata di Game of Thrones: il campo si rimpicciolisce, la visuale scompare, la loro intesa è talmente istantanea che sembrano controllati dallo stesso joystick, non hanno neanche più bisogno di comunicare a parole per decidere come orientarsi. Guardate la naturalezza con cui gestiscono questo pick and roll tra Luka Doncic e Kristaps Porzingis.

Anunoby è lo stopper principale e Nurse si fida talmente tanto della sua versatilità da affidargli la marcatura più difficile ogni sera. Quando i Raptors giocano contro i Lakers è lui che deve prendersi James, contro i Bucks gli tocca Giannis Antetokounmpo, contro Houston è il turno di Harden. Anunoby è uno dei pochi giocatori della NBA per il quale l’espressione “può difendere cinque ruoli” può essere usata alla lettera: da Malcolm Brogdon a Danilo Gallinari, da Bojan Bogdanovic a Kevin Love, da Donovan Mitchell a Nikola Jokic, non c’è una singola tipologia di attaccante sul quale abbia speso del tempo in stagione. Il prodotto di Indiana non è primatista in nessuna categoria individuale ma, esattamente come i suoi compagni, possiede un controllo del corpo e un QI elevato che lo porta a leggere correttamente le situazioni di gioco. Spesso ci si dimentica che lo sport è una questione di testa ancora prima che di fisico: i giocatori dei Raptors sono tutti dotati di centraline eccezionali, guardando, ascoltando e capendo quello che succede intorno a loro. Pensare è fondamentale – e non soltanto nello sport.Un altro aspetto fondamentale è che i Raptors non commettono errori. Se vuoi batterli, devi batterli usando le tue energie, il tuo game plan, la tua forza. Toronto non regala niente. Soltanto la storica difesa dei Bucks concede meno dei 104.5 punti su cento possessi della difesa dei Raptors, che però nella bolla si sono presi lo scettro di miglior difesa con grande distacco sul resto del gruppo. Budenholzer e i Bucks hanno fatto dell’area una dittatura col pugno di ferro dove nessuno può neanche entrare; anche i Raptors vedono di cattivo occhio chi prova ad avvicinarsi al loro canestro (secondi per percentuale concessa al ferro), ma a differenza di Milwaukee mantengono una proposta più variegata e atta a coprire una maggiore quantità di soluzioni. I Raptors sono la miglior difesa della lega in transizione, in situazioni di roll verso canestro e di post-up, la seconda sulle uscite dai blocchi e per deflections, la terza in situazioni di spot-up, la quinta per palle perse recuperate e la sesta per sfondamenti presi. Anche sui passaggi consegnati e in isolamento restano ben oltre l’80° percentile: in poche parole, la difesa di Toronto non ha punti deboli.

Spurs, Bucks e Utah avevano già mostrato modi alternativi di difendere contro Harden, ma soltanto i Raptors hanno gettato la maschera mettendogli un uomo faccia-a-faccia a tutto campo, accettando di giocare di fatto 4 contro 4 con gli altri giocatori.

La capacità di Lowry e VanVleet di giocare da “interni”, sfruttando la forza fisica e l’intelligenza per tenere botta anche contro attaccanti più grossi, permette a Nurse di lasciare loro una libera interpretazione. Non è un caso che VanVleet sia quinto per deviazioni totali (210) mentre Lowry sia sempre il primo per sfondamenti presi. Il potersi presentare come campione NBA ha reso Lowry ancora più sagace e subdolo di quanto già non fosse: l’esperienza con cui riesce a intrufolarsi nelle pieghe della partita, la malizia con cui ruba uno sfondamento su una rimessa da fondo campo o con cui crea spazio per i compagni usando il corpo – guardate questa piccola ma geniale manata negli scorsi playoff – è al tempo stesso deleteria per gli avversari, che spesso si innervosiscono e perdono ritmo, quanto necessaria per i suoi compagni, che lo vedono come un punto di riferimento. Si parla spesso (e giustamente) di come il successo di una franchigia sia determinato dalla cultura che il giocatore più rappresentativo riesce a impiantare e Kyle Lowry non ha più niente da invidiare a Steph Curry o Damian Lillard. Se i Raptors sono una delle migliori organizzazioni di tutta le lega tanto del merito è anche suo.E se vincessero loro?La bravura di Lowry nel costruire un ambiente positivo è andata di pari passo con la sensibilità dei compagni di dimostrarsi dei professionisti esemplari. L’esempio di Gasol che a 35 anni compiuti sfrutta la quarantena per cambiare regime di allenamento e snellire ancora di più il fisico, nel tentativo di conservarsi mobile e longevo, è soltanto l’ultimo di una lunga catena.

La capacità di Ibaka di rendere giustizia a un contratto molto oneroso, forse pure eccessivo visto il lento ma inesorabile declino del proprio fisico, non è molto diversa dall’esplosione di Norman Powell, passato dall’essere overpaid a uno dei migliori giocatori in uscita dalla panchina della lega. I Raptors sembrano riuscire a mettere ogni giocatore nelle condizioni migliori di esprimersi: ognuno riesce a trovare il proprio spazio e a rendersi utile. Toronto non avrebbe mai vinto il titolo senza gli short roll e i piazzati dalla media distanza di Ibaka, o senza i suoi 17 punti nella decisiva gara-7 contro Philadelphia. Non l’avrebbero vinto senza la gara-6 di Lowry contro gli Warriors, senza la mano caldissima di VanVleet o la calma lucida di Gasol. La bravura di Nurse di giocare con quintetti e interpreti come fosse un defensive coordinator del football aiuta ogni giocatore ad esprimersi al meglio, da quelli in cerca di riscatto come Rondae Hollis-Jefferson ai giovani come Terrence Davis e Chris Boucher. Mettere insieme un gruppo di giocatori dotati di intelligenza e doti atletiche che si adattano alla perfezione alla direzione moderna del gioco e, al tempo stesso, comporre un coaching staff pieno di persone e personalità diverse e brillanti è una delle cose più difficili da fare nello sport professionistico. Masai Ujiri ci è riuscito e oggi i Raptors sono una franchigia che respira all’unisono e che possiede le carte in regola per costruire qualcosa di importante nel breve e nel lungo periodo. Una franchigia da sfoggiare come modello di riferimento, vero simbolo di apertura e condivisione, visione e prospettiva, di sogno americano laddove l’America “vera” (dopotutto, i Raptors giocano in Canada) sembra aver smarrito la propria natura.I Toronto Raptors sono una delle più serie contender al titolo NBA 2020 e saranno anche una delle franchigie più intriganti da seguire durante la free agency del 2021. Ripetere il titolo sarebbe una cosa eccezionale e non tanto per l’ambiente da camera sterile dove la lega è stata costretta a trasferirsi per concludere la stagione quanto per la bontà di un lavoro corale che, arrivati a questo punto, non può più essere considerato sorprendente. Se è vero che l’attacco vende i biglietti ma è la difesa a vincere i titoli, allora, in un periodo storico dove (purtroppo) i botteghini devono restare chiusi, i Raptors potrebbero avere quello che serve per centrare l’impresa.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura