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Foto di Jordan Johnson / NBAE
NBA Niccolò Scarpelli 12 dicembre 2019 12'

I Milwaukee Bucks non si vogliono fermare

Giannis Antetokounmpo e compagni sembrano aver trovato la formula del successo.

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I Bucks hanno vinto le ultime sedici partite, ventuno delle ultime ventiquattro. Sono un rullo compressore che, almeno in questo primo quarto di stagione, ha travolto ogni avversario che si è trovato di fronte, dimostrando di aver raggiunto un livello di efficienza tale da rasentare quello delle macchine: secondo miglior attacco, miglior difesa della lega, e avversari sovrastati di quasi 13 punti su 100 possessi – un differenziale che nessuno ha mai tenuto per una stagione intera. Fresco vincitore del premio di MVP, Giannis Antetokounmpo ha persino migliorato i suoi numeri su 36 minuti, che adesso recitano 35.3 punti, 15 rimbalzi, 6 assist, 1.5 stoppate e 1.5 recuperi. E quando lui si siede la squadra registra comunque il terzo miglior Net Rating della lega con +8.8.

 

Tutto sembra girare con precisione matematica. Eppure c’è qualcosa, una malcelata incertezza, che lascia l’impressione che manchi ancora qualcosa. Lo scorso anno la squadra non è riuscita ad andare oltre i limiti del proprio sistema, e nella sua inscalfibile perfezione sembra essere paradossalmente vulnerabile. Forse dipende dalla cocente eliminazione nelle finali di Conference dello scorso anno, o forse dal fatto che – tolto Giannis – il talento sia inferiore rispetto a quello di altre squadre. A differenza degli L.A. Clippers, ad esempio, i Milwaukee Bucks non danno l’impressione di essere davvero la squadra al comando della lega. E anche nella loro stessa Conference potrebbero venire battuti prima del previsto. 

 

Volendo scomodare il gatto di Schrödinger, i Bucks possono diventare la squadra più forte di sempre (almeno statisticamente parlando) qualora dovessero vincere il titolo, e allo stesso tempo potrebbero non essere la squadra più forte di questa stagione.

 

 

 

La schiacciata contro gli L.A. Clippers come punto più alto delle 16 vittorie in fila. In questo avvio di stagione, Giannis ha già chiuso sei partite con almeno 25 punti e 10 rimbalzi in meno di 30 minuti: nessuno ne aveva mai fatte tante, in una stagione intera, da quando vengono si contano i minuti (stagione 1951-52).

 

Non c’è modo di sapere quale sarà la risposta finale, almeno fino a quando non verrà aperta la scatola contenente l’esito dei prossimi playoff, il momento cruciale attorno al quale girerà, nel bene e nel male, tutto il futuro della franchigia. Quello che può essere costruttivo fare, invece, è tracciare delle linee guida che permettono di orientarsi all’interno della loro stagione, provando così a capire, e apprezzare, l’evoluzione di una franchigia tanto unica quanto attesa alla resa dei conti.

 

Gettare le basi

Il filo conduttore sta proprio nella loro filosofia, almeno da quando Jon Horst è diventato General Manager della squadra. Horst dev’essere cresciuto nel mito dei San Antonio Spurs perché, anche in un’epoca in cui di copycat (riusciti e meno) della franchigia texana ce ne sono diversi, nessuno si è mai spinto così in profondità come lui. L’aver scelto Mike Budenholzer come capo-allenatore ha aiutato parecchio, dal momento che lo storico assistente di Gregg Popovich non si posiziona tra i tanti che si sono lasciati ispirare dal Modello Spurs, ma tra i pochi che hanno contribuito a crearlo. Horst e Coach Bud hanno ricalcato l’Educazione Spursiana in ogni sua sfumatura, dalla gestione dei giocatori (e le stelle in particolare) all’estremo conservatorismo in materia di infortuni, fino all’utilizzo scientifico della panchina. Persino il modo di protestare con gli arbitri di Budenholzer ricorda quello del maestro Gregg Popovich.

 

Il sistema costruito da Coach Bud si sviluppa su dettami molto semplici: togliere completamente l’area agli avversari in difesa e spaziare correttamente il campo in attacco, circondando Giannis di buoni tiratori che non abbiano paura di sparare quasi 40 triple a partita, lasciandolo così libero di fare quello che sa fare meglio: attaccare il ferro come un tifone attacca una costa del Sud Pacifico.

 

New Haberstat video: Giannis is basically Shaq now. pic.twitter.com/HnqZxTD08b

— Tom Haberstroh (@tomhaberstroh) December 5, 2019

Gli unici che si avvicinano alla sua efficacia nei pressi del ferro sono Anthony Davis (76%) e Jarrett Allen (75.2%), ma entrambi prendono molti meno tiri del greco. Un dominio degno del miglior Shaq – anzi, pure meglio. 

 

Per quanto il suo lavoro verrà valutato solamente in base a l’eventuale rinnovo di Giannis, Horst ha già svolto un lavoro eccezionale nel modellare il roster attuale, scaricando contratti pesanti di giocatori superflui (come Matthew Dellavedova, John Henson e Tony Snell) per rimpiazzarli con veterani a buon mercato tipo George Hill, Wesley Matthews e Brook Lopez. Giannis è al centro di tutto, e attorno a lui gravitano giocatori complementari: poco importa lo status o lo star power, quanto il fit tecnico e umano – anche qui i riferimenti agli Spurs si sprecano.

 

Per giocare nel sistema di Budenholzer servono quattro qualità fondamentali: atletismo, impegno difensivo, capacità balistiche e soprattutto intelligenza (intesa come capacità di leggere quello che succede in campo), fondamentale per non rendere l‘irrinunciabile Motion Offense un esercizio di stile controproducente. Horst è stato chirurgico nel costruire un roster pieno di giocatori che possedessero, se non quattro, almeno tre di queste caratteristiche, ma con una proprietà restia a pagare i soldi della tassa di lusso, tenere insieme tutti i pezzi del puzzle non è stato possibile. Horst è stato costretto a delle scelte delicate: il rinnovo di Khris Middleton non è mai stato in discussione, mentre Eric Bledsoe, nonostante le difficoltà degli scorsi playoff, è amatissimo dall’attuale coaching staff ed era già stato confermato a marzo durante la miglior stagione della sua carriera.

 

Il grande sacrificato è stato Malcolm Brogdon, quello che, per larghi tratti della passata stagione, era sembrato il secondo miglior giocatore a roster. La decisione di privarsene ha già fatto discutere parecchio nel corso dell’estate, e potrebbe tornare di estrema attualità da aprile in poi, ma può aiutare a comprendere meglio la filosofia della franchigia. 

 

Ribaltare la geometria

È corretto dire che, in un sistema eliocentrico come quello dei Bucks, l’unico giocatore insostituibile sia Giannis; ma è altrettanto evidente che alcuni elementi siano più indispensabili di altri. Lo skill set di Brogdon era perfetto per la pallacanestro dei Bucks ma anche quello più “rimpiazzabile” dal sistema, che infatti ha saputo ricrearne l’essenza tecnica attraverso la rinascita di George Hill (confermato a cifre più modeste) e l’evoluzione di giovani come Donte DiVincenzo e Sterling Brown. Discorso diverso invece per Brook Lopez, chiave di volta delle fortune della scorsa stagione sui due lati del campo e, pertanto, ritenuto irrinunciabile. 

 

L’ex stella dei Brooklyn Nets è il simbolo dell’ideologia della squadra, seppur non nel modo in cui viene descritto solitamente. Per quanto appariscente possa apparire in attacco un sette piedi puro usato come decoy, costantemente con i piedi (ben) dietro la linea da tre punti, la reale importanza di Lopez risiede nell’altra metà campo. Questo perché, esattamente come per il Grande Maestro Popovich, tutto parte dalla difesa.

 

 

 

Lopez è un maestro di tecnica e di tempismo, riuscendo a muovere i piedi in ogni direzione del campo senza mai perdere l’equilibrio. In queste prime 25 partite ha rifilato 3.4 stoppate su 36 minuti (il migliore della lega) e la sua presenza permette ai Bucks di dominare il pitturato. Quando nei pressi del ferro ci sono lui e Giannis (come nella terza clip), tirare in maniera pulita diventa un atto di pura immaginazione. 

 

La difesa dei Bucks ruota attorno a tre dogmi fondamentali: non commettere falli gratuiti, concedere pochi liberi, e soprattutto impedire agli avversari di avvicinarsi al proprio canestro. La squadra di Budenholzer non è solo quella che difende meglio il ferro, ma anche quella che concede meno tiri in quella fondamentale porzione di campo. Meno del 30% dei tiri avversari, infatti, arriva da quella posizione (il miglior dato dalla stagione 2008-09), e controllare l’area permette ai Bucks di controllare anche il proprio tabellone, catturando quasi il 77% dei rimbalzi difensivi disponibili, secondi soltanto agli enormi Philadelphia 76ers. 

 

Milwaukee adotta un atteggiamento molto conservativo, sfruttando l’atletismo e le braccia lunghe dei propri interpreti per manipolare le traiettorie di corsa e passaggio avversarie, cambiando pochissimo sui blocchi. In questa stagione i movimenti in campo sembrano ancora più sincronizzati, con i giocatori che scivolano per il campo con un’intensità senza pari.

 

Se il rating difensivo è migliorato di quattro punti rispetto al già eccellente 104.9 della scorsa stagione, un altro segreto sta nella loro volontà a lasciare spazio da fuori a tiratori mediocri. In un’epoca in cui il tiro pesante è sempre più studiato e utilizzato, i Bucks sono la squadra che concede più triple (29.7) e la seconda che concede più triple aperte, sfidando tiratori premeditatamente prescelti. Concedere spazio a tiratori che non sempre sono preparati mentalmente per incidere in maniera così continuativa (o che non hanno il talento necessario per punire le scelte difensive) significa portare gli attacchi fuori dalle rispettive comfort zone. Inoltre, l’atletismo dei vari Pat Connaughton, DiVincenzo e Brown permette recuperi lunghissimi, rendendo questi tiri più contestati di come appaiono. 

 

 

 

Un assaggio dell’intensità che mettono in campo Di Vincenzo e Brown ogni sera. Con loro in campo i Bucks concedono meno di 93 punti su 100 possessi (migliori di squadra) e nei 58 minuti in cui i due hanno condiviso il campo con Giannis il differenziale segna un assurdo +62 (!) in favore di Milwaukee.

 

Macchina da canestri 

In particolar modo Di Vincenzo rappresenta, più degli altri, una grossa opportunità di crescita per la squadra. In questo avvio di stagione, grazie anche all’assenza di Middleton per qualche partita, si è ritagliato una posizione di tutto rispetto nelle gerarchie, e con lui in campo i Bucks sovrastano gli avversari di quasi 20 punti su 100 possessi, per distacco il migliore tra i giocatori con almeno 18 minuti a partita in NBA. Come molti altri nel roster, anche l’italo-americano è affidabile sugli scarichi (37% da tre piedi per terra), ma lui sa anche costruire dal palleggio e in situazioni di pick and roll, doti che potrebbero tornare molto utili nel proseguimento della stagione.

 

I Bucks sono una macchina praticamente inarrestabile anche in attacco. Posizionandosi nell’80° percentile per isolamenti, pick and roll, passaggi consegnati, situazioni in uscita dai blocchi e spot-up, Giannis e compagni segnano almeno 100 punti da 49 partite consecutive – la seconda striscia più lunga di sempre – e la qualità dei tiri è talmente elevata da metterli al primo posto sia per percentuale effettiva dal campo sia per quella reale. 

 

Antetokounmpo, Bledsoe, Di Vincenzo, Middleton e Hill sono tutti sopra il 70° percentile nella gestione del pick and roll; Giannis e Bledsoe sono martelli pneumatici in grado di arrivare al ferro a ogni possesso, e anche Hill è un giocatore in grado di attaccare il canestro, specie dopo che la difesa è già stata mossa. L’ex Cavs sta vivendo la miglior stagione dai tempi di Indiana, viaggiando a 16 punti, 5 rimbalzi e 5.5 assist per 36 minuti, e tirando indistintamente con oltre il 50% da tre sia dal palleggio che sugli scarichi. I Bucks segnano 1.26 punti per possesso quando la palla passa dalle sue mani, uno dei dati migliori in tutta la NBA.

 

 

 

Brogdon era fenomenale nel ricevere sul ribaltamento e attaccare una difesa già mossa, qualità che è anche nel repertorio di Hill, così come il non aver bisogno della palla per incidere in attacco e la competenza difensiva. Sarà in grado di reggere il confronto con Brogdon anche nella post-season?

 

Il tiro dalla lunga distanza è il vero barometro del sistema di Budenholzer. Una delle cause di una difesa non sempre impeccabile, nelle primissime partite della stagione, era proprio la frettolosità con cui venivano prese certe triple; al tempo stesso, è la stessa Motion Offense a spingere, quasi per inerzia, la squadra a tentare continuamente questa soluzione, con il rischio di rendere il processo stucchevole e improduttivo. Per supportare l’enorme volume perimetrale, però, c’è bisogno di mettere pressione sugli avversari. Il motivo per cui Bledsoe è così amato da Coach Bud e i suoi assistenti sta proprio qui: il suo 69% al ferro, e il suo stile di gioco elettrico, sono armi preziose per cambiare marcia e tenere in scacco gli avversari.

 

Per Giannis, invece, vale il discorso inverso: riuscire a trovare una dimensione perimetrale gli permetterebbe di rendere il suo gioco interno ancor più inarrestabile. L’MVP in carica è già migliorato dall’arco rispetto alla passata stagione, passando dal 25% su 3.6 tentativi al 31% su quasi 6 a sera (per 36 minuti), ma quello che conforta ancora più è come sia riuscito a trovare degli appigli mentali che lo aiutano a prendere fiducia, come per esempio palleggiare con la mano sinistra prima del tiro.

 

 

 

Dopo aver palleggiato due volte, come nella prima clip, Giannis tira col 38.5% da tre punti. Nella seconda, invece, il tipico ribaltamento del lato della Motion gli permette di tirare incontrastato. Anche nelle triple cosiddette “wide open” è migliorato molto, passando dal 26% su due tentativi di un anno fa al 33.4% su 4 tentativi di questo inizio di stagione. 

 

A onore del vero, Giannis avrebbe più bisogno di lavorare sulla precisione dalla lunetta (secondo per liberi tentati, ma penultimo col 58% tra quelli che tirano almeno 5 liberi a partita) visto che negli scorsi playoff la sua incapacità di punire a cronometro fermo è stata ancora più limitante dell’assenza di un jumper affidabile. Fortuna per lui la regular season sembra già messa in cassaforte, e c’è tutta una stagione per prepararsi al meglio.

 

Aspettando i playoff

La stagione di Milwaukee potrebbe passare da diversi punti critici. Un punto focale sarà capire quanto saranno in grado di crescere Middleton e Bledsoe. Dopo aver faticato all’inizio della passata stagione, Middleton ha saputo calarsi gradualmente nel sistema fino a sentirlo più “suo”. In situazioni di catch and shoot è passato dal 35% al 44.9%, e sembra aver capito come usare il suo fisico dinoccolato per arrivare con più facilità al ferro – anche se prende meno tiri rispetto al passato. Il vero salto di qualità, però, verrà determinato dalla capacità (o meno) di creare dal palleggio, cosa che finora è riuscita con risultati piuttosto modesti.

 

Anche i miglioramenti di Bledsoe sono incoraggianti. Passare in una stagione dal 33 al 39% da tre punti su triple aperte è un buon segno, così come essere la miglior guardia della NBA a parte Devin Booker per percentuale al ferro. Ma cosa succederà quando la sua tenuta mentale verrà messa alla prova? L’importanza di Brogdon stava anche qui, nell’essere riuscito a preservare la propria presenza psicologica nonostante l’innalzamento del livello di gioco. I Bucks hanno scommesso sulla forza del sistema per sopperire alla sua mancanza, ma ai playoff storicamente è meglio avere un solo giocatore in grado di fare la differenza piuttosto di tre buoni gregari.

 

 

 

Entrambi hanno migliorato la produzione su 36 minuti. Nella prima clip tutta la bellezza dell’attacco dei Bucks in transizione, culminato nella tripla di Middleton. Nell’ultima, invece, Bledsoe taglia verso canestro dopo che la difesa è collassata sulla posizione interna di Giannis, trovando un comodo canestro da vicino. Una situazione che Milwaukee aveva già iniziato a esplorare nella serie contro Toronto, ma ormai era già troppo tardi.  

 

Budenholzer ha iniziato a sperimentare con le proprie lineup, ma è difficile capire quanto avrà intenzione di essere creativo quando le partite conteranno. Se è vero che i quintetti con Giannis da 5 sono stati folgoranti, Coach Bud difficilmente rinuncia agli schieramenti con un altro lungo di fianco al greco. L’aggiunta di Robin Lopez in estate, oltre a confermare questa direzione tecnico-tattica, certifica quanto Milwaukee abbia a cuore il possibile match-up contro Philadelphia (cioè contro Joel Embiid). Paradossalmente, è proprio contro la grande fisicità dei quintetti dei 76ers che occorrerebbe affidarsi a quintetti più mobili, atletici e veloci. 

 

Horst potrebbe decidere di utilizzare il contratto di Ersan Ilyasova (7 milioni non garantiti sulla prossima stagione) per arrivare a un giocatore diverso – un jolly in grado di scompigliare il sistema quando esso si impantana, ad esempio –, ma il turco è un pretoriano di Budenholzer e giocatori a quelle cifre in grado di aggiungere realmente qualcosa al tessuto di una squadra sono molto difficili da trovare. L’anno scorso Masai Ujiri intuì splendidamente che c’era qualcosa che mancava e andò a prendere Marc Gasol, concludendo un cerchio che lo avrebbe portato al titolo. Le visioni sono complete solo quando si ha la flessibilità mentale per correggere in corso d’opera: avrà lo stesso coraggio Horst? 

 

I Bucks sono convinti che l’eliminazione contro Toronto sia stata un glitch, un errore di calcolo, ed è anche difficile dargli torto. Fino a quel momento erano arrivate 60 vittorie su 82 in regular season, e poi 10 vittorie su 11 ai playoff; la squadra non aveva mai perso più di due partite in fila, e non l’ha più fatto dopo, neanche in questa stagione, dove sta volando ancora più in alto dell’anno scorso. Eppure, ancora non c’è certezza che la squadra saprà trovare un ulteriore livello a cui accedere.

 

Quello che è certo è che Milwaukee dovrà farsi trovare pronta. La free agency di Giannis Antetokounmpo incombe e pesa sulla franchigia come una spada di Damocle. L’impressione è che serva almeno arrivare alle Finals per poter essere (cautamente) ottimisti. I Bucks hanno saputo costruire un’infrastruttura semi-indistruttibile, attraverso la quale dominare gli avversari con la stessa combinazione di brutale esecuzione e precisione stilistica che ha contraddistinto gli Spurs per oltre due decenni. Manca l’ultimo passo, quello più difficile. A volte per essere davvero eccezionali ci vuole anche una sana dose di fortuna. I prossimi playoff ci diranno se siamo davanti a una squadra destinata a rimanere incollata nei libri della storia del Gioco, oppure se questi due anni saranno stati solamente una brutale eccezione.

 

 

Tags : Giannis AntetokounmpoMilwaukee Bucksnba

Nasce a Firenze nel 1990, si è fatto adottare dagli sport americani ancora in fasce. Scrive e parla di NBA con la speranza di ritrovare se stesso.

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