Chi sono i general manager della NBA?
Sono coloro che dirigono ogni aspetto di una franchigia, quelli che spesso restano dietro le quinte, nonché quelli con il passare delle stagioni hanno dovuto fare i conti con una massiccia evoluzione professionale. Devono intuire prima di tutti le innovazioni in arrivo sul parquet e allontanarsi da derive improduttive del gioco prima che sia troppo tardi. Hanno la responsabilità di scandagliare le caratteristiche dei giocatori per definirne il potenziale sia tecnico che umano, e adattare il progetto sportivo e salariale al gruppo prescelto. Al tempo stesso sono chiamati a “scaricare” interpreti storici in caso di necessità, ma senza perdere di vista la giusta continuità e compromettere la chimica dello spogliatoio. Bisogna essere nello stesso tempo commercialisti, psicologi e allenatori.
Oltre a questi requisiti è necessaria una sublime capacità di mediazione con la proprietà: il desiderio sempre più diffuso dei governatori di conquistare visibilità ha in parte stravolto le dinamiche in gioco e ridotto al minimo ogni margine di errore. Come se non bastasse tutto questo, ci pensano poi gli agenti a procurare fastidiosi e preoccupanti rumori di fondo che possono rovinare un intero gruppo. È un ruolo complesso e ricco di sfumature, pieno di insidie e di percorsi a bivi da scegliere per una strada che raramente contempla la possibilità di invertire la marcia.
Per il grande pubblico restano figure misteriose anche perchè la maggior parte delle attenzioni finiscono per concentrarsi sugli allenatori, che per certi versi godono di una considerazione che finisce per sopravvalutare il loro impatto sulla catena di comando – per quanto sia un aspetto che spesso i dirigenti stessi usano con grande saggezza e che consente loro di operare senza pressioni, favorendo il prezioso anonimato.
Quella di GM è una posizione talmente singolare che non prevede un percorso definito o un iter prestabilito per arrivare dalla base al vertice. In questo caso non abbiamo una “coaching tree ” o una scuola universalmente riconosciuta. Si naviga a vista senza un protocollo vero e proprio, anche se con il tempo sta emergendo un profilo-tipo vagamente riconoscibile con un passato da giocatore NCAA di secondo o terzo piano, un percorso nello scouting e una capacità di valorizzare del talento fuori dal comune. Il General Manager perfetto garantisce al tempo stesso una buona conoscenza tecnica, la visione dirigenziale e preziosi contatti allacciati tra il mondo collegiale e quello dei pro che agevolano le soffiate giuste quando si tratta di operare scelte rischiose di mercato.
Un ruolo estremamente complesso, insomma, che viene interpretato in tanti modi diversi. Andiamo a scoprire o a riscoprire i primi dieci interpreti che hanno già scritto o stanno scrivendo la storia di questo sport che è in continua evoluzione.