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I Chicago Bulls non vogliono più aspettare
13 ago 2021
13 ago 2021
Le mosse di mercato del GM Karnisovas hanno evidenziato una fretta non del tutto giustificata.
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Ashley Landis - Pool/Getty Images
(foto) Ashley Landis - Pool/Getty Images
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Che i Chicago Bulls si fossero stancati di giocare il long game, come lo chiamano dall’altra parte dell’oceano, costruendo pezzo per pezzo un roster giovane capace di risalire la gerarchia della propria conference fino a diventare contender, lo si era capito benissimo già dall’anno scorso. Prima con l’arrivo di un nuovo General Manager, Artūras Karnišovas, poi quello di un nuovo capo allenatore con già un’esperienza importante in termini di successo ai playoff, Billy Donovan, e infine lo scambio alla trade deadline per Nikola Vucevic, fresco di convocazione all’All-Star Game e arrivato nella Città del Vento per due prime scelte e un giovane (appunto) come Wendell Carter Jr.Dopo l’ennesima stagione anonima e deludente chiusa all’undicesimo posto a Est, fuori anche dal torneo play-in, i Bulls hanno deciso di sfruttare questa finestra di mercato estiva per raddoppiare, forse addirittura triplicare la propria posta e andare definitivamente all-in. E se le firme di Alex Caruso (37 milioni in 4 anni) e di Lonzo Ball (85x/4) avevano incendiato l’inizio della prima notte di free agency, quella di DeMar DeRozan (85/3) ha fatto saltare il banco – quantomeno quello mediatico – confermando fino a che livello di aggressività fossero disposti a spingersi i dirigenti di Chicago pur di rimettere insieme una squadra competitiva in vista della prossima stagione.

Prima dei contratti, è il caso di dare un’occhiata ad altri numeri: se da una parte, secondo la valutazione annuale stilata da Forbes sul valore delle singole franchigie, Chicago è la quarta “piazza” più facoltosa d’America con oltre 3 miliardi di dollari di valore potenziale, dall’altra i Bulls non partecipano ai playoff da cinque stagioni, non passano il primo turno da sette e non raggiungono le finali di conference da una decade intera. E questo soltanto per approcciare la questione da un punto di vista costruttivo. Qualora volessimo osservare quello deprimente (anche distruggendo dalle nostre povere memorie ogni ricordo della gestione Jim Boylen) basterebbe far notare che Chicago non vince quattro partite in fila (4) dal dicembre 2017 (!) e quello che è attualmente il giocatore franchigia, Zach LaVine, non ha mai vinto quattro partite consecutive da quando è in NBA, complici anche i Minnesota Timberwolves.Attraverso questa prospettiva non è quindi difficile comprendere la volontà di Chicago di affrettare i tempi per tornare quantomeno competitivi. Quello che è più complesso, e di conseguenza più interessante da analizzare, è provare a capire se quanto fatto vada effettivamente nella direzione sperata dalla franchigia. In altre parole: quante speranze di vincere hanno accumulato i Bulls in più rispetto al passato? Ristrutturare le fondamentaDopo una stagione, la prima con coach Donovan in panchina, che si può ottimisticamente definire “di transizione” e nella quale coaching staff e front office hanno tirato le somme sul materiale a disposizione (ottenendo in cambio risposte deludenti grossomodo in ogni reparto), Chicago ha deciso di rivoluzionare non soltanto il proprio roster ma anche la propria identità tecnico-tattica. Sebbene non ci siano stati accordi su una possibile estensione tra la franchigia e LaVine, forse anche a causa della campagna olimpica di Team USA, gli innesti di tutti e tre i nuovi arrivi sembrano pensati per ampliare i pregi dell’ex UCLA soprattutto nella metà campo offensiva. Non è riduttivo affermare che nella passata stagione LaVine rappresentasse l'intero attacco dei Bulls, ma a fare da contraltare ai career high per punti (27.4), rimbalzi (5), assist (4.9) e in ogni percentuale al tiro (compreso un eccellente 42% da tre su oltre 8 tentativi a sera), c'era l’incapacità cronica da parte dei compagni di alimentarsi in sua assenza. Chicago ha chiuso al 21° posto per efficienza offensiva con 110.4 punti segnati su cento possessi, un dato che sale fino a 112.5 con LaVine in campo (ai piedi della top-10) e che crolla a un tremendo 104 nei minuti trascorsi in panchina dal neo medagliato olimpico.Trovare fonti di gioco alternative era fondamentale per una squadra che, complice la presenza di Vucevic, deve fare dell’attacco a metà campo il proprio punto di forza. Sotto questo punto di vista gli arrivi di DeRozan e Ball sembrano sia funzionali che complementari: mentre il primo aiuterà LaVine in termini di costruzione e pressione sul ferro (con i suoi 7.2 liberi tentati a partita che si sommeranno ai 5.2 dell'ex T'Wolves), Lonzo fungerà da spartitraffico qualora la palla dovesse rimbalzare sul perimetro, ampliando le soluzioni di playmaking o colpendo in catch-and-shoot.

Negli ultimi due anni Lonzo ha sempre tirato meglio del 38% da tre e si avvicina al 40% quando non deve “sparare” dal palleggio. Certo se poi dovesse iniziare a segnare anche questo genere di tiri con continuità...

Già nella passata stagione Chicago aveva tentato di costruire un sistema d’attacco incentrato su palleggiatori multipli, ma né Tomas Satoransky né Coby White hanno saputo garantire soluzioni alternative. Bisogna però sottolineare che negli 87 minuti in cui i due hanno condiviso il campo insieme a LaVine, i Bulls hanno surclassato gli avversari di oltre 24 punti su cento possessi. Certo, il campione è molto limitato, ma forse con un po’ di pazienza si sarebbe potuto continuare a costruire. Invece Karnišovas ha utilizzato la mano pesante puntando su un usato sicuro come DeRozan, che non avrà bisogno di adattamento e che, soprattutto, chiude oltre i 20 punti di media da otto stagioni consecutive.Il DeRozan che arriverà a Chicago è un giocatore tecnicamente più maturo rispetto a quello che aveva oltrepassato il Mississippi tre estati fa. Durante la sua permanenza a San Antonio, il californiano ha rifinito il proprio playmaking, scollinando sempre oltre quota 20 assist (per 100 possessi) e diventando uno dei migliori giocatori di isolamento della NBA. Stando ai dati di Second Spectrum, soltanto Steph Curry e James Harden sono più efficaci di lui in questa situazione, un dato confermato dai 1.20 punti per possesso con cui ha centrato il 96° percentile nella categoria anche nell’ultima stagione. Oltre a DeRozan anche LaVine è uno dei migliori ad agire in isolamento, mentre Vucevic è più a suo agio quando può colpire direttamente dopo un blocco, allontanandosi in “pop” oppure rollando verso canestro. https://www.youtube.com/watch?v=l8TEDEzIdzk

Il meglio della scorsa stagione di DeRozan, la cui capacità di battere le difese potrebbe aiutare i giovani Coby White e Patrick Williams a giocare contro difese già mosse.

Un paragone tecnico per i nuovi Bulls potrebbero essere i T’Wolves 2017-18, quelli del primo Butler, una squadra di grandi talenti capaci di aggiungere ognuno il proprio piatto forte al menù di squadra. Quell’anno Minnesota chiuse al quarto posto per efficienza offensiva e raggiunse i playoff giocando una pallacanestro fisicamente quasi brutale ma anche interessante - previsioni che si possono fare anche per Chicago, le cui future partite (oltre che a punteggi altissimi) promettono di essere anche tirate.L’arrivo di DeRozan sottolinea bene la necessità da parte del front office di aggiungere giocatori in grado di autoalimentarsi nella metà campo offensiva, indipendentemente dalle strategie degli avversari. Immaginatevi una petroliera dove per limitare al minimo i danni in caso di incidente ogni compartimento di greggio è stato isolato, reso parte unica a se stante. Se tutto fila liscio l’intero carico arriverà a destinazione – il piano partita funzionerà alla perfezione, gli schemi saranno corali e fluidi – ma qualora dovesse esserci una perdita in uno dei componenti, una serata storta al tiro o una difesa brava nel togliere la fonte primaria di gioco dal campo, l’integrità degli altri cassoni di petrolio non verrà comunque compromessa, scongiurando un danno ambientale e magari anche una sconfitta cruciale. Uscendo dal campo delle metafore per tornare in quello da gioco, quello del front office dei Bulls è un ragionamento molto simile a quello fatto dagli Utah Jazz due estati fa: imbottire il roster di palleggiatori in grado di colpire sugli scarichi e rimettere palla per terra (quando necessario) per rifornire energia al motore offensivo. L’attacco è la miglior difesaSe esiste un aspetto davvero seminale nella rivoluzione d'antoniana e di tutte le sue varianti viste nel corso degli ultimi 15 anni è che il pick and roll è (e resta) un’arma tremendamente efficace. Con Vucevic ad agire da centroboa capace sia di allontanarsi come di avvicinarsi verso il ferro, raddoppiare le soluzioni interpretative con lo skillset creativo di DeRozan è una mossa astuta per assicurarsi la maggior flessibilità offensiva possibile.

Gli stessi Ball e Caruso sono giocatori in grado di rimuovere la palla e premiare un compagno con un extra pass sul ribaltamento del campo. Nella passata stagione Chicago ha chiuso al 15° posto per punti da pick and roll e al 13° per percentuale da tre, due dati che dovrebbe crescere nella prossima stagione.

Nella NBA contemporanea scommettere sull’attacco è sempre la mossa migliore. L’esempio dei T’Wolves lo conferma, così come quello dei Cavs della seconda venuta di LeBron (un’autentica macchina da canestri) oppure dei Bucks freschi campioni NBA e degli stessi Utah Jazz, per anni roccaforte di una difesa da manuale e che già da un paio di stagioni ha optato per un approccio più offensivo. Ovviamente investire soltanto su una metà campo non è mai una cosa saggia, e considerando che sia LaVine che DeRozan che Vucevic (che lo stesso Lonzo) presentano limiti difensivi facilmente esplorabili dagli avversari, non c’è dubbio su quale dovrebbe essere il tallone d’Achille di questo roster.Tuttavia, i Bulls confidano di poter trovare una quadratura difensiva quantomeno mediocre, che sarebbe già molto. Transitare da guardia a esterno ha già permesso agli Spurs di usare DeRozan come difensore interno, sfruttando la sua fisicità come stopper in situazioni statiche o di post-basso – un ruolo simile a quello che Harden ha saputo ritagliarsi negli ultimi anni – mentre LaVine, alleggerito di responsabilità offensive, potrebbe almeno tentare di usare il proprio atletismo per tenere testa agli avversari. Williams e Caruso – la cui presenza sarà preziosa soprattutto per bilanciare la second unit, permettendo a White di togliersi dalle spalle gli accoppiamenti difensivi più scomodi – dovrebbero garantire affidabilità e lo stesso Vucevic, qualora protetto, potrebbe far valere intelligenza e anticipazione nei pressi del canestro. Inoltre da quando allena in NBA, Donovan è sempre riuscito a costruire difese solide e preparate che raramente escono dalla top-10 per efficienza: persino nella passata stagione i Bulls erano riusciti a chiudere al 12° posto con 111.5 punti concessi su cento possessi.

Il nuovo ministro della difesa di Chicago.

Chi rischia di avere un compito fondamentale è Ball, forte candidato a uomo barometro in entrambe le metà campo. Dopo quattro stagioni equamente suddivise tra Los Angeles e la Louisiana, Lonzo non è ancora un prodotto finito. E se da una parte l’aver costruito un tiro affidabile gli ha permesso di sviluppare al meglio il proprio gioco lontano dalla palla, fondamentale nel quale eccelle, dall’altra le sue incongruenze/ambivalenze non sono ancora state appianate. Lonzo è sia un eccellente rimbalzista in relazione alla taglia (con lui, Vucevic e un altro neo arrivo come Tony Bradley, Chicago dovrebbe poter confermare quanto di buono fatto vedere a rimbalzo difensivo nella scorsa stagione) che un difensore abile a lavorare sulle linee di passaggio, ma anche uno piuttosto mediocre sulla palla al punto di attacco (e chi marcherà le point guard titolari avversarie?) e un architetto offensivo incapace di esercitare alcuna pressione sul canestro avversario – non solo non ha mai chiuso una stagione oltre 1.5 liberi tentati, ma non è neanche mai andato oltre il 42% dal campo, troppo poco per un giocatore col suo talento.Ball si troverà in una situazione simile a quella lasciata a New Orleans, dove sarà il terzo terminale offensivo, situazione che sembra gradire per caratteristiche tecniche ma che continua a limitarne il ceiling di crescita. Inizialmente il suo compito sarà quello di remixare i concetti generali, aggiungendo un tocco di follia ai pattern offerti da LaVine e DeRozan e fungendo da hub di transizione nel ricircolo di ogni pallone. Ma per giustificare le cifre del suo contratto i Bulls hanno bisogno di qualcosa di più. I Pelicans credevano di non poter migliorare con Lonzo, i Bulls confidano che la duttilità tattica degli schemi di coach Donovan – che a OKC ha già dimostrato di saper costruire squadre molto affidabili partendo da un paradigma di tre guardie – possa permettergli di fare il definitivo salto di qualità.

Se c’è un aspetto dove può migliorare è nel pick and roll, dove già nella scorsa stagione è sembrato più sveglio nel leggere lo scacchiere difensivo avversario. Pochi giocatori possiedono un feeling maggiore o un tocco più raffinato: si tratta più che altro di mettere insieme i pezzi.

Trust the processOgni franchigia deve costruirsi un piano d’azione e scommetterci sopra. Fa parte di quel Trust the Process tanto caro a Sam Hinkie. Appena due estati fa i Phoenix Suns venivano duramente criticati per aver di fatto regalato TJ Warren agli Indiana Pacers pochi minuti prima di scegliere inaspettatamente Cameron Johnson al Draft. A luglio sono andati a due partite dal vincere il titolo. Questo per dire che non esistono formule vincenti sicure. Al massimo ne esistono alcune più o meno rischiose di altre; certamente ce ne sono di più o meno costose, e i Bulls non hanno badato a spese pur di assemblare il loro nuovo roster.È vero che viviamo in un’epoca storica in cui avere spazio salariale a disposizione non è più un’arma particolarmente potente, ma sia i soldi dati a Lonzo che soprattutto a DeRozan potrebbero risultare deleteri qualora l’equazione non dovesse funzionare. Stesso discorso per il capitale investito: che bisogno c’era di cedere tre asset, tra cui un’altra prima leggermente protetta, in cambio di un giocatore di quasi 33 anni senza chissà quali pretendenti? Soprattutto viste le due pick già scambiate a Orlando in cambio di Vucevic – una delle quali già convertita in un interessante prospetto come Franz Wagner. Eppure, come dimostra la sempre più probabile partenza di Lauri Markkanen, i Bulls non sembrano più intenzionati ad aspettare nessuno, giovani compresi.Spingersi verso il limite estremo, verso il Tutto Per Tutto non è mai piacevole. Eccitante, magari. Appagante nel caso tutto si risolva per il meglio. Ma anche tremendamente rischioso. Nel caso di un’estensione di LaVine lo spazio di manovra sarebbe ridotto all’osso per due se non tre stagioni, mentre una sua partenza a zero (o via sign-and-trade) potrebbe perfino essere peggiore. Inoltre, Chicago potrebbe non poter mettere sul piatto proprie prime scelte all’interno di trade costruite fuori dalle notti del Draft fino alla stagione 2027, e come dimostra la storia recente le superstar non fanno la fila per andare a giocare allo United Center. In tutto questo la Eastern Conference sta vivendo una fase di crescita. L’Est ha vinto due degli ultimi tre titoli e ha dalla sua sia la squadra campione in carica (i Bucks) che quella favorita in vista della prossima stagione (i Nets), che una lunga schiera di contender e pretender ambiziose e solide. I Bulls dovevano rispondere presente e l’hanno fatto. Questo non invalida la domanda iniziale: quante speranze di vincere hanno accumulato i Bulls in più, rispetto al passato? Quante possibilità ci sono che Chicago abbia investito una sostanziale fetta del proprio futuro per finire nuovamente all’undicesimo posto?I Bulls avevano fretta di aggiustare la propria traiettoria verso l’alto, verso quei successi che mancano dall’ultimo ballo di Michael Jordan e compagni. Secondo Karnišovas e la franchigia questa era la strada migliore per riuscirci. Il tempo ci dirà se il loro era il piano migliore o una scommessa avventata.

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