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Il futuro dei Milwaukee Bucks è appeso a un filo
09 set 2020
09 set 2020
La pesantissima eliminazione per mano dei Miami Heat ha origini lontane e ripercussioni potenzialmente enormi per la NBA intera.
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Foto di Fernando Medina/NBAE via Getty Images
(foto) Foto di Fernando Medina/NBAE via Getty Images
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Giannis Antetokounmpo cammina per i corridoi dell’arena di Disney World con un vistoso tutore sulla caviglia destra, pochi minuti dopo arriverà la conferma che non potrà scendere in campo in Gara- 5. E’ l’ultima fermata del calvario dell’MVP in carica - un titolo che verrà molto probabilmente confermato tra pochi giorni - nella bolla di Orlando, dove i Milwaukee Bucks sono entrati da grandi favoriti e che invece oggi abbandonano da sconfitti dopo la lezione subita dai Miami Heat al secondo turno dei playoff. Attorno alla squadra aleggia un senso di disfatta profonda, di delusione misto a stupore. D'altronde in pochi si sarebbero aspettati che l'annata della squadra del Wisconsin si sarebbe interrotta in un modo così brusco e violento.I Bucks sono stati la squadra migliore della lega lungo tutta la stagione regolare, che hanno attraversato come una nave rompighiaccio in tempi di global warming. Una marcia trionfale che ha mostrato un piacere perverso nell’accumulare numeri impressionanti un po’ ovunque, dal record al Net Rating (+9.4 punti su cento possessi) alla nella metà campo difensiva, dove l’impressione di venire inghiottiti spesso era più di una semplice e spiacevole sensazione.La mattina dopo la vittoria casalinga contro i New Orleans Pelicans del 12 dicembre scorso pubblicavamo un articolo per analizzare l’eccezionale inizio di stagione dei Milwaukee Bucks. La squadra di Giannis Antetokounmpo aveva vinto 22 delle prime 25 partite e l’aveva fatto con quella feroce efficienza robotica di chi vuole infliggere una punizione dimostrativa al mondo e si diverte pure, sadicamente, nel farlo. Era un pezzo celebrativo, carico di ottimismo, che voleva mostrare quanto Milwaukee fosse stata brava nel migliorare un sistema di gioco che già nella stagione precedente si era dimostrato di altissimo livello; e che si concludeva così: “Eppure, ancora non c’è certezza che la squadra saprà trovare un ulteriore livello a cui accedere […] I prossimi playoff ci diranno se siamo davanti a una squadra destinata a rimanere incollata nei libri della storia del Gioco, oppure se questi due anni saranno stati solamente una brutale eccezione”.Oggi, 272 giorni e una pandemia globale dopo la possibilità della brutale eccezione non è più solo un’ipotesi. Miami ha vinto una serie nella quale si è dimostrata superiore dalla palla a due di gara-1. La tempra mentale mostrata dai Bucks in gara-4 e gara-5, costretti a giocare senza il loro leader Giannis Antetokounmpo, non serve a ridimensionare una serie nella quale Miami ha cancellato Milwaukee rendendola inefficiente e inconsistente come nessun altro (forse neanche i Raptors anno scorso) avevano saputo fare.Iniziare un articolo sull’uscita di una delle (forse la principale) candidate al titolo parlando di partite dello scorso dicembre non sembra calzante, ma quelle partite sono illuminanti oggi come lo erano allora – anche se nel senso opposto – e non soltanto perché, in maniera molto poco casuale, una di quelle tre misere (e in quel momento inconsistenti) sconfitte iniziali fosse arrivata proprio per mano degli Heat. https://twitter.com/MiamiHEAT/status/1303509422124281857?s=20

Miami ha vinto la serie stagionale contro Milwaukee 6-1, l’unica squadra della lega ad aver battuto i Bucks per due volte nel corso della regular season.

Cosa non ha funzionatoIn realtà Milwaukee aveva iniziato il suo lento (oggi, col senno di poi, inesorabile) declino dopo la pausa per l’All-Star Game. Qualcosa aveva iniziato a rompersi, lentamente, negli ingranaggi della macchina a partire da marzo: un qualcosa che non ha impedito ai Bucks di restare una squadra forte, ma che ha anche aperto le porte alla fragilità ancora prima che la stagione fosse costretta a fermarsi per l’emergenza coronavirus. Giocatori che fino a quel momento si muovevano con la consapevolezza di chi si sente imbattibile hanno iniziato, piano piano, a non sentirsi più a proprio agio all’interno del telaio tecnico-tattico collettivo, provocando scompensi a un sistema che ha iniziato a dimostrarsi più vulnerabile di quanto era apparso fino a quel momento. https://www.youtube.com/watch?v=2xKl1VUCNnU

Jimmy Butler si è preso molte delle copertine durante la serie, ma tutto il lavoro degli Heat è stato eccezionale: ne aveva scritto David Breschi in questo pezzo.

Le tre sconfitte consecutive incassate dai Bucks poco prima della sosta forzata – una cosa mai successa prima in due anni, fatta eccezione per la nefasta serie contro i Toronto Raptors negli scorsi playoff – sono forse il simbolo dell’inizio della caduta. Ma a ben vedere quelle tre partite non sono altro che una conseguenza di un trend iniziato già qualche giorno prima, precisamente il 3 marzo, in un’altra sconfitta contro (rullo di tamburi) i Miami Heat, la prima squadra (altro rullo di tamburi) a tenere Milwaukee sotto i 100 punti segnati in una sconfitta per (ancora uno!) la prima volta sotto la gestione di Mike Budenholzer.Da quel momento Milwaukee è sembrata perdere un passo in entrambe le metà campo, cominciando a sviluppare tendenze spiacevoli che sono continuate sia nelle 8 partite giocate nella bolla di Orlando prima dei playoff che nella serie contro gli Orlando Magic (nonostante gli evidenti limiti di talento e gli infortuni di Jonathan Isaac e Aaron Gordon). Tutto è poi definitivamente degenerato contro Miami, la prima squadra incontrata ad essere preparata per mettere sotto una lente d’ingrandimento tutti i difetti dei Bucks, ma anche dotata di giocatori forti a sufficienza per punirli a dovere.L’attacco a metà campo basato sulla Motion Offense con cinque giocatori sul perimetro che funzionava così bene fino a quel momento ha iniziato a perdere smalto, mutando da un esercizio di velocità simile a una partita lampo degli scacchi – nella quale i giocatori si muovono, tagliano e collaborano tra loro con una qualità frenetica ma funzionale – fino ad assumere la staticità della guerra di trincea. I Bucks hanno iniziato a scommettere su potenziali errori che la disciplinata difesa di Miami non ha mai concesso, facendosi trascinare sempre nel piano partita avversario. In ogni possesso della serie, fin dalla prima palla a due, Milwaukee è stata la squadra domata quanto Miami quella dominante. https://www.youtube.com/watch?v=3D2-qF3ztg4

Il crollo del quarto periodo di gara-3, con i Bucks sopra di 11 a dieci minuti dal termine, è la diretta conseguenza di quanto scritto sopra.

L’aumento degli isolamenti, il crollo dei movimenti senza palla, l’incapacità di Giannis di sfondare il muro erettogli davanti in ogni possesso (con conseguente calo mentale ancora prima che tecnico, con i problemi di falli delle prime due partite e i terzi tempi finiti nelle braccia della difesa avversaria come simboli del nervosismo del greco), l’assenza di giocatori capaci di battere il proprio uomo dal palleggio, la testardaggine decisionale del voler restare col proprio piano partita ad ogni costo, l’incapacità di Budenholzer di leggere le situazioni a partita in corso sono soltanto alcuni dei limiti e difetti mostrati dai Bucks – o meglio: evidenziati da Miami.Molti hanno scritto che il vero limite di Budenholzer risiede nella sua scarsa volontà di fare aggiustamenti in corso d’opera, preferendo non abiurare al proprio credo invece di adattarsi al contesto. Cresciuto a pane e Spurs Culture, coach Bud è da sempre restio nel cambiare in corsa, ma il vero problema della sua gestione della serie contro Miami non è stato quello di non voler cambiare, quanto di farlo senza crederci. Fatta eccezione per Marvin Williams (che ha appena annunciato il ritiro), il coaching staff di Milwaukee ha abbandonato quasi subito la volontà di giocare costantemente con un lungo (Brook o Robin Lopez) o una Power Forward autentica (Ersan Ilyasova) di fianco a Giannis nel front court – una composizione che aveva distrutto gli attacchi in regular season ma che (e di questo sono sembrati consapevoli in primis proprio gli stessi Bucks) diventa difficile da sostenere una volta raggiunti i playoff. I Bucks lo hanno fatto però continuando ad utilizzare lo stesso schema ultra-conservativo (un argomento che meriterebbe una riflessione a parte, e non soltanto per quanto riguarda Milwaukee), finendo col neutralizzare quelli che potevano essere i benefici di giocare con Antetokounmpo da centro. La coperta cortaPer quanto i Bucks siano spesso utilizzati come modello di “modernità”, il loro atteggiamento rigido al limite del dogmatico nel volersi attenere alla propria ideologia li rende semmai un modello sui generis. Personalmente credo sia sbagliato sostenere che i Bucks non potessero vincere giocando così o affidandosi a questi giocatori: cinque minuti diversi nel secondo supplementare di gara-3 delle scorse finali di conference (dove Milwaukee conduceva per 2-0) e probabilmente adesso staremo parlando di altro.Milwaukee era, è e resta una squadra dai valori molto alti, una squadra che avrebbe potuto vincere la serie contro i Raptors (gara-5 e gara-6 sono finite al fotofinish, al netto del doppio supplementare di gara-3) tanto quanto questa contro gli Heat (il fallo di Giannis su Butler sulla sirena di gara-2, il tracollo emotivo nel quarto periodo di gara-3 sul +11). Il vero problema, semmai, è che in nessuna delle quattro partite citate i Bucks hanno dato la sensazione di meritare di vincere. Al contrario, sono sempre sembrati in balia del contesto imposto dai propri avversari, non riuscendo a risolvere problemi sinistramente simili. A questo proposito, l’incapacità di Giannis di riuscire ad essere il miglior giocatore della serie, quello che sposta l’ago della bilancia nei momenti delicati, non aiuta. Anche prima dell’infortunio alla caviglia destra che ha chiuso anticipatamente la sua serie, il greco non era riuscito a incidere in nessuna delle due metà campo, perdendo il duello diretto contro Jimmy Butler così come un anno fa con Kawhi Leonard. Puntare il dito contro l’assenza di un jumper affidabile è la cosa più facile da fare, ma non necessariamente la più corretta: il vero limite di Antetokounmpo, più che tecnico, appare spesso mentale; i tre falli a 5 minuti dalla fine del primo tempo sia in gara-1 che in gara-2, il non riuscire a impattare la partita nelle piccole cose, l’eccessiva frenesia atletica che lo porta troppo spesso a commettere falli in attacco ingenui sono tre cose più semplici da aggiustare. Così come migliorare nella lettura di quanto succede attorno a lui: troppo spesso il greco inizia un terzo tempo senza sapere esattamente dove andare a parare, fidandosi dei suoi mezzi atletici alieni per sopperire alla mancanza di lucidità e finendo dritto nelle trappole preparategli dai coaching staff avversari. Milwaukee è una macchina che si basa su connessioni forti tra i propri interpreti – interni (giocatori) ed esterni (allenatore/sistema di gioco) –, che trae giovamento nel condizionarsi a vicenda (se è vero che il sistema di Budenholzer tende a limare i limiti dei giocatori tecnicamente meno capaci, è altrettanto vero che è l’intelligenza e l’adattabilità degli interpreti a rendere grande un sistema) e che soprattutto, infine, dipende largamente dal proprio giocatore migliore. Tre condizioni che, semplicemente, sembrano non riuscire a stare insieme non appena l’intensità e la preparazione delle squadre salgono di livello.

Un’altra chiave sono state le percentuali al tiro: 38% degli Heat contro il 35% dei Bucks, che hanno tentato anche quasi nove triple in meno rispetto a Miami. In questo, Jae Crowder è stato un fattore gigantesco.

Gli Heat hanno punito le scelte conservative di coach Bud quanto quelle ideologiche dell’intera franchigia. Per essere una squadra che vuole prendere un numero considerevole di triple a partita (oltre 40 di media), i Bucks non hanno tiratori affidabili – non a caso in regular season hanno chiuso al 28° posto per percentuale da tre punti di squadra. Le cifre altalenanti di Wesley Matthews, Donte DiVincenzo e Pat Connaughton, sommate a quelle inconsistenti di Giannis ed Eric Bledsoe non sono un problema quando si giocano oltre 105 possessi a gara e si attacca spesso in transizione; ma dal momento che è stata Miami, quart’ultima per pace durante la stagione, a scegliere il terreno di scontro, i 98 possessi a partita della serie hanno posto ulteriori granelli di sabbia nella fiducia dei giocatori di rotazione.Lo stesso si può dire per quanto riguarda l’aspetto fisico. I Bucks sono una squadra atletica ma spesso sopravvalutata quando si parla di statura – probabilmente perché il frame di Giannis è talmente impressionante da condizionare l’idea che abbiamo di loro. Escludendo il greco, Khris Middleton (ancora una volta l’unico davvero in grado di salire di livello durante la post-season, un trend iniziato prima ancora dell’arrivo di Budenholzer) e i lunghi, Milwaukee non ha un giocatore che misura oltre 195 centimetri se non il 36enne Kyle Korver. Per fare un paragone, Andre Iguodala, Jae Crowder, Duncan Robinson, Jimmy Butler e Derrick Jones toccano quasi tutti i due metri. Questo ha generato una lacuna soprattutto nei quintetti piccoli, dove spesso i Bucks sono stati davvero piccoli rispetto agli Heat, finendo col soffrirne la maggiore dimensione fisica degli avversari.Il futuro dei Bucks dipende da GiannisPer quanto pirotecnica e colossale sia stata la caduta fragorosa contro Miami, le cause del tracollo dei Bucks hanno radici più profonde e potenzialmente più dolorose. Per quanto possa suonare strano – e un po’ ingiusto, in uno sport di squadra – l’unico a non uscire ridimensionato da questa serie è proprio Antetokounmpo, e questo nonostante abbia giocato senza dubbio la peggior serie di playoff della carriera. Consapevole di doverci mettere la faccia, da capitano e leader, dopo gara-5 Giannis ha annunciato che non ha intenzione di lasciare Milwaukee. «Abbiamo perso» ha detto a Chris Haynes di Yahoo. «Sono deluso ma l’unica cosa che possiamo fare è metterci sotto e lavorare più duramente. Mi fido molto dei miei compagni. Quando incontro un muro non cerco di andare da un’altra parte, ma di passarci attraverso».Le parole di Giannis hanno un peso specifico sufficiente per calmare la tempesta, quantomeno nel breve periodo. Il greco ha sempre detto di trovarsi bene a Milwaukee, la città che lo ha accolto e dove sta mettendo su famiglia, e il suo profilo sempre molto riservato rende ogni speculazione un esercizio di stile. Antetokounmpo ha sempre detto di voler costruire una cultura vincente – lo ha ripetuto anche ieri notte – e non c’è dubbio che si trovi a suo agio nell’essere il sole di un’intera organizzazione, centro perfetto di un sistema di uomini e idee costruito apposta per cercare di esaltarlo. Ma la sconfitta rimane. https://twitter.com/ChrisBHaynes/status/1303536725667569666?s=20

Le dichiarazioni di Giannis sono confortanti, ma c’è un contratto da 254 milioni di dollari da firmare con il quale far parlare i fatti.

Milwaukee rischia di pagare un prezzo salatissimo per aver voluto tenere fede alla proprie idee fino alla fine e, al tempo stesso, non può più ignorare la fragilità, le idiosincrasie e l’inefficacia ad alto livello delle idee di Budenholzer. Tutte quelle pet actions che tanto funzionano e sono belle da vedere in regular season diventano inutilizzabili contro le migliori squadre da post-season – il che si può dire anche dei suoi discepoli Quin Snyder e Kenny Atkinson, almeno per ora.Questo ovviamente non significa che Budenholzer sia un cattivo coach: in sette anni da capo allenatore lo storico ex assistente degli Spurs ha collezionato sei partecipazioni ai playoff, ben tre primi posti e addirittura due premi di Miglior Allenatore dell’Anno. Ma la sua refrattarietà nell’uscire dallo spartito inizia a diventare un problema. In tre post-season su sei le sue squadre sono state eliminate perdendo quattro partite consecutive, collassando clamorosamente ogni volta che l’avversario-collega riusciva a trovare le giuste contromisure.Se avere metodologie di allenamento all’avanguardia, idee moderne e un’innata capacità alla periodizzazione tattica ti permette di far assimilare i tuoi concetti ai giocatori in pochissimo tempo (e con grandi risultati), i playoff NBA oggi più che mai continuano a richiedere una flessibilità mentale e tattica quasi assoluta. Nick Nurse è l’ultimo esempio ma si possono trovare esempi comparabili in quasi ogni altro titolo – almeno fino a quello del 2014 vinto dagli Spurs del right way, probabilmente la miglior espressione di sempre di quello che Budenholzer vorrebbe vedere sul parquet da aprile (o agosto in tempi di COVID-19) in poi. Esattamente come gli Spurs prima loro, i Bucks hanno continuato sulla loro strada, preferendo perdere piuttosto che snaturarsi, credendo nella forza del loro lavoro piuttosto che sulla praticità del compiere compromessi. Ancora una volta non esiste giusto o sbagliato: indicare la luna della leggendaria dinastia texana per parlare dei benefici sul lungo periodo sarebbe tanto facile quanto puntare il dito contro la convinzione che oggi i tempi siano cambiati. O forse no. Penseremmo la stessa cosa dei Toronto Raptors, oggi, se quel tiro di Leonard fosse uscito? Spero di sì.L’abbuffata di premi individuali e i record da regular season non possono coprire quella che è stata una stagione fallimentare, non fosse altro perché si è interrotta un passo prima (e non dopo) rispetto a quella passata. Certo, qualora Giannis Antetokounmpo decidesse di firmare l’estensione al massimo salariale – che i Bucks gli offriranno un istante dopo il momento in cui sarà possibile farlo – tutto cambierebbe drasticamente. Ma al netto dell’intervista dopo gara-5, Giannis è consapevole di avere in mano ogni tipo di potere e può decidere a piacimento come spenderlo: può chiedere la cessione – e Dallas, Toronto, Miami, Golden State: altre venticinque squadre terrestri e qualcuna del campionato di Marte sono pronte alla finestra – così come chiedere di essere affiancato da una stella superiore a Middleton (si è già cominciato a rumoreggiare di Chris Paul), mettendo di fronte la franchigia a scelte se possibile ancora più difficili visti gli asset che andrebbero spesi per accontentarlo. A oggi sembrerebbe che la sua volontà sia quella di abbassare la testa e mettersi a lavoro per un ultimo giro di giostra in maglia Bucks prima della free agency del 2021. Una situazione simile a quella di Kevin Durant nell’estate 2016, se voleste speculare su Giannis agli Warriors o su chi potrebbe essere il prossimo villain della NBA, ma che forse – ripeto: FORSE – è anche la più sensata e probabile. I Bucks non hanno altra opzione che stare al suo volere, di certo non si sognerebbero mai di scambiarlo (ancora: a meno che non sia lui a chiederlo) e la squadra resta sufficientemente forte per riprovarci anche l’anno prossimo. Giannis deve ancora compiere 26 anni e ha tutto il tempo per migliorare e tutto il potenziale – non si vincono il premio di MVP e di Miglior Difensore dell’Anno per caso – per riuscirci. A volte basta un infortunio per cambiare tutto, una trade dell’ultimo minuto, un rimbalzo fortunato sul ferro, una giocata apparentemente priva di significato.Un’altra eventualità potrebbe riguardare un cambiamento in panchina, ma forse sarebbe troppo anche per questo 2020 privo di certezze. Il GM Jon Horst e Budenholzer hanno un ottimo rapporto, sono legati professionalmente quasi più di ogni altro GM/allenatore della lega, e i proprietari dei Bucks sono gli stessi che erano stati riluttanti a pagare la tassa di lusso la scorsa estate per trattenere Malcolm Brogdon. Ovviamente perdere non fa mai piacere, soprattutto quando spendi parecchi soldi, ma non bisogna neanche dimenticare che Milwaukee resta uno Small Market Team, e per quanto le idee dell’allenatore dell’Arizona possono magari non essere sufficientemente buone per arrivare fino al titolo, senza dubbio lo sono per tenere la franchigia competitiva qualora il talento greco decidesse di andarsene. Il vero problema dei Bucks, come di ogni altra franchigia che non ha il vantaggio logistico dalla sua prima di loro, è che il tempo per convincere Giannis che la franchigia può aiutarlo a raggiungere il vertice ultimo della lega sta scadendo. Forse è già scaduto. When you come at the king, you best notmiss. Sono lontani i tempi di quando Antetokounmpo sconfiggeva i Lakers e si incoronava nuovo monarca della lega. Le prestazioni temerarie del gruppo nelle ultime due partite e le parole di Giannis possono essere un palliativo accettabile per le prossime settimane, ma non cambiano il quadro generale ne sminuiscono la portata dell’evento. Il futuro della franchigia è appeso a un filo.

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