
È stato lo Smoothie King Center di New Orleans in Louisiana a dare un amaro bentornato nell’ottagono a Marvin Vettori, e un agrodolce addio a Dustin Poirier. Due momenti diversi, entrambi tristi a proprio modo. Vettori rientrava dopo appena quattro mesi dalla sconfitta nel rematch contro Roman Dolidze, si era detto profondamente deluso della sua prestazione precedente e si era preparato per affrontare a UFC 318 Brendan Allen, l’avversario più odiato nell’ultimo periodo.
Vettori ha passato un periodo che definire duro sarebbe un eufemismo: ad aprile ha dovuto affrontare il lutto per la perdita del fratello Patrick, al quale era molto legato; e qualche mese prima aveva affrontato un intervento chirurgico alla spalla che, come da lui stesso confermato nel corso di una nostra intervista, avrebbe potuto chiudere una carriera. Dopo l’intervento ha affrontato Dolidze, che aveva battuto di misura poco tempo prima, ma Dolidze la seconda volta ha avuto la meglio. Vettori ha riposato il minimo indispensabile e pochi mesi dopo ha accettato il confronto con Allen. E quando è venuto a mancare il fratello non ha fatto marcia indietro, si è tuffato negli allenamenti e nella preparazione del match.
Sempre durante l’intervista, Vettori aveva detto di voler tornare ad essere l’aggressore che ci aveva abituato ad assalti frontali, incurante spesso dei rientri avversari, forte di un mento più unico che raro: come se avesse avuto bisogno di dimostrare a se stesso di essere ancora il fighter che abbiamo conosciuto. Quando Bruce Buffer ha annunciato il suo nome, lui ha baciato un tatuaggio nuovo sul braccio destro e ha guardato il cielo, una dedica al fratello. L’impressione era che, attraverso questo match, e puntando ovviamente alla vittoria, volesse scrollarsi di dosso uno dei momenti peggiori della sua vita. «Il peggio è già avvenuto», aveva detto in precedenza, e come dargli torto?
Purtroppo, non è detto che l’emotività aiuti a mettere in pratica quello che si è progettato, a dare vita alla prestazione desiderata. Vettori ha provato sin da subito ad aggredire l'avversario ma praticamente al primo assalto, su un suo tentativo di high kick, Brendan Allen lo ha incrociato con un mezzo gancio che gli ha «distrutto» il naso, come ha detto lo stesso Vettori il giorno dopo. Non aveva mai subito infortuni al naso e stavolta se l’è rotto con un colpo secco, iniziando in salita un match già di per sé complicato.

Il mezzo gancio in uscita da parte di Allen, che ha rotto il naso di Vettori.
Vettori è stato spesso costretto a combattere sul piede posteriore e, nonostante ci fossero dei momenti in cui era proprio lui a gestire le danze in termini di timing e combinazioni, i suoi colpi sembravano fare molto meno male rispetto a quelli di Allen.
Vettori aveva detto di aver allenato il colpo singolo, cosa che aveva raccontato anche Alessio Sakara in un’altra intervista, ma sia per il danno subito a inizio match che per l’ottima strategia di Allen (che aveva impostato una guardia più chiusa, guardinga, a cui seguivano colpi dritti e precisi) non è mai riuscito ad arrivare a bersaglio con tutto il corpo. Quando arrivava al volto di Allen sembrava quasi sempre ingessato, quando invece cercava di allungarsi per colpire spesso veniva anticipato dal diretto destro o mandato a vuoto.
Il problema di Vettori è stato sicuramente di misure, e forse, come ha detto lui stesso, dopo, avrebbe dovuto fare maggiormente affidamento sulla sua qualità nel grappling. Quando Allen lo ha portato a terra, nel primo round, Vettori ha reagito immediatamente mostrando un comparto lottatorio veramente di spessore, pur senza riuscire a capitalizzare in ground and pound.
La sensazione è sempre quella a Vettori manchi quel “quid” in più per imporsi in maniera netta coi colpi, ma anche che la fiducia nelle proprie qualità nella fase di lotta venga sempre superata dalla voglia di imporsi nello striking. Una scelta coriacea, ma che ha sempre mal pagato.
Non credo che la permanenza in UFC di Vettori sia in gioco: era numero 10, ha perso con il numero 11, non è mai stato finalizzato - mai, in 28 match in carriera! - e offre sempre match combattuti e spettacolari: quello con Allen ha ottenuto il bonus Fight of the Night - che ha differenza di quello per il KO, ad esempio, o quello per la Performance of the Night, viene assegnato a entrambi i fighter. Certo non è stato un segno di grande rispetto, da parte della UFC, collocare il match tra i preliminari e non nella main card...
Ciò che è certo è che questo è il momento più delicato della carriera di Vettori. Adesso è necessario un cambio di rotta: se l’obiettivo rimane quello della scalata verso la cintura, che oggi appartiene a Dricus Du Plessis e che vede pretendenti del calibro di Khamzat Chimaev, Sean Strickland e Nassourdine Imavov, la distanza da colmare sembra siderale.
Vettori ci ha sempre insegnato a non darlo per finito, adesso più che mai, però, se vuole rimanere nell’élite dei fighter ha bisogno di reinventarsi quasi del tutto. Non sarà semplice superare questa sconfitta così triste, anche in termini emotivi. Vettori adesso deve raccogliere i cocci e visualizzare momenti migliori.
È stato un momento triste in modo diverso, quello dell’addio difficile e bellissimo di Dustin Poirier, nella sua Louisiana. Gli anglofoni dicono “it takes two to tango” e non solo ci vogliono due ballerini per ballare un tango, ma ci vogliono due fighter del calibro di Dustin Poirier e Max Holloway per mettere in scena un combattimento che sembra un’esibizione artistica.
Holloway, suo rivale ma ormai amico, Poirier lo aveva battuto già due volte in carriera (nel 2012 e nel 2019) e il loro terzo match è diventato un classico immediato, con capovolgimenti di fronte continui e il confronto finale colpo su colpo, richiamato come al solito da Holloway a dieci secondi dalla fine, che Poirier ha accorciato per evitare una conclusione ancora più spiacevole alla propria serata di congedo. Poirier ha combattuto alla pari con Holloway, è uscito sconfitto di misura ai punti anche se ha avuto i suoi momenti. Dopo una lunga meditazione, il ritiro arriva nel momento perfetto per lui, con il rispetto di tutta la community delle MMA ancora intatto.
C’era tanta emotività in gioco che, come sempre nelle MMA, si è tradotta in molta azione. Il match è stato eccezionale: dopo un primo knockdown ai danni di Poirier, arrivato dopo pochi minuti, ne è arrivato un altro nel secondo round, ma, poco prima che suonasse la seconda sirena, Poirier stesso, dando fondo alle sue energie, ha piegato per un attimo le gambe di Holloway.
Un match molto combattuto nelle prime due riprese, che poi Holloway ha preferito controllare, ascoltando il suo angolo, evitando di indietreggiare verticalmente e girando, invece, prima di entrare con delle combinazioni tra volto e colpo davvero rapide. Holloway ha rispolverato i suoi calci, non solo in girata, che hanno fiaccato spesso Poirier, desideroso comunque di rimanere nel match fino all’ultimo.
Alla fine è stato un addio bellissimo e per niente traumatico, impreziosito dalle parole di Holloway che, nell’intervista successiva alla vittoria, ha chiesto l’ovazione per il suo rivale. Poirier è stato campione ad interim dei pesi leggeri, una cintura che aveva vinto proprio contro Holloway, e si può considerare a tutti gli effetti un ex campione. Ma anche senza tenere conto della cintura ad interim, basta guardare alla qualità dei suoi avversari: da Khabib allo stesso Holloway, da Justin Gaethje a Islam Makhachev, passando per Charles Oliveira: tutti i suoi avversari hanno avuto belle parole per lui, pregne di stima e rispetto, attestati che valgono più di qualsiasi cintura.
Carriere come quella di Poirier sono rare, ma anche di fighter come lui ce ne sono pochi. Vanno scovati nel fondo di grotte profonde, ripuliti dalla terra che li ricopre e ammirati in controluce, proprio come i diamanti…