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March Madness 2018: istruzioni per l’uso
15 mar 2018
15 mar 2018
Storie, personaggi e incontri da seguire per godersi al meglio il Torneo NCAA.
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Marzo è un mese fantastico. Finalmente finisce l’inverno, torna l’ora legale e ci si mette in fila per l’Air Max Day. Ma soprattutto presta il nome alla March Madness, il torneo più folle, elettrizzante e crudele dell’anno. La formula è semplice quanto efficace: chi perde va a casa, chi vince sopravvive e avanza. 64 squadre per 64 college, 64 allenatori, 64 modi diversi di vedere il gioco del basket. Alla fine ne resterà solo una a tagliare la retina dei canestri del Alamo Dome di San Antonio il prossimo 2 aprile. Preparatevi a ballare, la strada comincia qui.

Contenders: le seed #1

Virginia (#1 South)

Virginia è la quarta squadra della storia a strappare una first seed dopo essere rimasta fuori dalla classifica delle migliori 25 ad inizio anno (le altre tre sono tutte arrivate in finale). La storia dei Cavs però non ha i contorni della favola ma piuttosto quelli di una solidissima realtà, che ha portato la squadra di Tony Bennet a vincere l’ACC per la terza volta negli ultimi cinque anni. Il campus fondato da Thomas Jefferson è divenuto una delle superpotenze del College Basketball incarnando principi da convento benedettino, con una fase difensiva asfissiante costruita sulla filosofia della “Pack Line”, di gran lunga la migliore della nazione (84.4 di rating su KenPom), associata ad un attacco metodico che non ha paura di asciugare il cronometro pur di trovare il giusto tiro.

Bennet ha avuto squadre più talentuose di questa, ma nessuna aveva la coesione e l’abnegazione totale di questo gruppo, senza un prospetto da NBA in quintetto (l’unico è il freshman De’Andre Hunter, sesto uomo dell’anno in ACC che però non ci sarà dal torneo per infortunio) e fatto di giocatori costruiti in casa. Una squadra a immagine e somiglianza del suo allenatore, quasi un’estensione organica della sua visione cestistica: Kyle Guy e Ty Jerome sono esecutori chirurgici e tiratori mortiferi, Jack Salt corre per tutto il campo a piazzare blocchi granitici, Devon Hall e Isaiah Wilkins garantiscono la leadership dei senio. Virginia ha già condotto una stagione incredibile: un viaggio alle Final Four sarebbe il bollino DOP.

Devon Hall è il migliore giocatore della migliore squadra, ma nessuno sembra farci tanto caso.

Villanova (#1 East)

La squadra guidata da Jay Wright è da anni la regina della costa occidentale, e se quest’anno è sfuggito quel titolo della regular season della Big East che non mancava dal 2012, non si può dire altrettanto degli altri obiettivi stagionali. Dominato il Torneo di conference al Madison Square Garden e agguantata la preziosa testa di serie casalinga, i Wildcats si presentano ai nastri di partenza con i galloni dei favoriti. Villanova è una squadra esperta, con ancora molti reduci dal titolo del 2015 nel gruppo, ed è abituata a giocare partite che valgono una stagione.

I possessi decisivi passeranno per le mani di Jalen Brunson e Mikal Bridges, i Batman & Robin in maglia biancoblu. Il primo e probabile Player of The Year è un’eccellente generale in campo oltre che uno dei giocatori più efficienti d’America; il secondo è un insetto stecco capace di cancellare dal campo l’avversario più pericoloso e allo stesso tempo bombardare da tre punti senza soluzione di continuità. Attorno a loro gira la macchina perfetta dei Wildcats, per distanza il miglior attacco della nazione (127.4 di rating su KenPom), con sei giocatori in doppia cifra di media. Sotto canestro spadroneggia il freshman Omari Spellman e Phil Booth sembra tornato finalmente ai livelli della Finale di due anni fa, ma attenzione soprattutto a Donte Di Vincenzo, “The Big Ragù”, uno di quei personaggi che rendono grande il basket collegiale.

Kansas (#1 Midwest)

Kansas in questa stagione ha già scritto la storia, andando a vincere per la quattordicesima volta consecutiva il titolo della Big12 e superando il record di vittorie in una Major Conference che apparteneva alla UCLA di John Wooden. Purtroppo per Bill Self tale livello di eccellenza non si è sempre traslato nella Big Dance: delle sette volte che i Jayhawks si sono presentati con la numero #1, solamente in un’occasione sono riusciti ad arrivare fino in fondo. Per sfatare questo incantesimo serviranno le magie di Devonte’ Graham, probabilmente il miglior playmaker d’America dopo Brunson, e la produzione degli esterni, specialmente da Svita Mykhailiuk e Malik Newman, che nel torneo di conference è finalmente esploso vincendo il MOP.

Bill Self in pochi anni ha reinventato se stesso passando dai due lunghi pachidermici a un più moderno gioco perimetrale con quattro piccoli, tutti capaci di portare palla e di tirare da dietro l’arco. Uno stile molto redditizio ma altrettanto fragile, soprattutto ora che la loro unica vera presenza nel pitturato, Udoka Azubuike, è in dubbio per la prima sfida contro Penn. La loro cronica incapacità di catturare i rimbalzi potrà costare caro ai Jayhawks (sono la 297^ squadra per rimbalzi difensivi), che troveranno sul loro cammino molte squadre che fanno dell’atletismo e della taglia fisica sotto i tabelloni il loro punto di forza. Se Kansas riuscisse a sopravvivere a tutte le insidie del suo Regional e ad arrivare in qualche modo a San Antonio, potrebbe scrivere la storia per la seconda volta nella stessa stagione.

La partita a Lubbock con la quale Devonte’ Graham ha regalato a Kansas il quattordicesimo titolo.

Xavier (#1 West)

I ragazzi di Chris Mack hanno fatto un mezzo miracolo riuscendo a sottrarre a Villanova lo scettro della Big East, un’impresa quasi impossibile che è stata ricompensata con l’ultima prima testa di serie disponibile. I Musketeers sono statisticamente una delle #1 seed più deboli degli ultimi 15 anni: dal 2002, anno in cui KenPom ha iniziato a tracciare i dati, solo una prima si è classificata più in basso di Xavier (Washington, 2005) e nessuna delle top seed in doppia cifra su KenPom (Xavier è 14^) ha mai raggiunto le Final Four. Per capirci: la #2, la #3 e la #4 dello stesso Region sono tutte sopra gli X-Men, un unicum nella storia del Torneo.

Non bisogna però darli per morti prima del previsto. Negli ultimi anni abbiamo potuto apprezzare la competenza di Chris Mack nel preparare gli incroci ravvicinati che il tabellone propone come pochi altri sport al mondo e i senior Trevon Bluiett e J.P. Macura sanno alzare il livello delle loro prestazioni quando sentono il friccicore marzolino. Sono l’anima dell’ateneo di Cincinnati: giocatori multidimensionali che in campo sanno fare di tutto e si dividono le responsabilità creative. Quando girano a pieno regime Xavier può battere chiunque grazie ad un attacco pirotecnico; tutto diventa più problematico quando devono affidarsi alla difesa, anche se la loro zona 3-2 può fare vittime eccellenti (chiedere ad Arizona lo scorso anno).

Runners (#2/#4)

Mai come quest’anno la lotta è incertissima e aperta a qualsiasi risultato. Se Virginia e Villanova partono da favorite, le seconde file sono piene di squadre dal sangue blu, abituate a giocarsi la stagione a Marzo. Le Sweet Sixteen nel Midwest potrebbero regalarci uno scontro tra le due squadre più quotate ad inizio stagione, ovverosia Duke (#2 Midwest) e Michigan State (#3 Midwest). I Blue Devils hanno la frontline più dominante del college basket, composta da due scelte in Lottery NBA come Marvin Bagley III e Wendell Carter, e si aspettano molto dall’ultimo ballo di Grayson Allen. Come lo scorso anno potranno soffrire la mancanza di playmaking, con Duvall in versione Dottor Jekill & Mr. Hyde nel corso della stagione. Gli Spartans invece hanno vinto la Big10 ma senza impressionare come ci si aspettava: Miles Bridges non ha compiuto in pieno il salto da “ottimo giocatore” ad “Attila Flagello di Dio” ed è stato scavalcato negli occhi degli Scout dal compagno Jaren Jackson Jr. (“JJJ” per gli amici). L’ago della bilancia sarà però il play casalingo Cassius Winston: le troppe palle perse sono state finora il tallone d’Achille per i ragazzi di Izzo.

Ancora più sanguinosa la lotta nella parte a Ovest del tabellone, dove Xavier è insidiata da tre delle squadre più in forma del momento. Non bisogna fare l’errore di sottovalutare i campioni in carica di North Carolina (#2 West), perché in tornei come questi l’esperienza conta anche più del solo talento. E di esperienza i Tar Heels ne hanno da vendere: il cuore della squadra, formato da Joel Berry, Theo Pinson e Luke Maye, ha già due Final Four a curriculum e un terzo viaggio verso San Antonio li farebbe entrare nella leggenda. Ad impedirglielo ci proveranno i Wolverines di Michigan (#3 West), freschi vincitori del Torneo della Big10 e habitué del secondo weekend di Madness. John Beilein ha costruito un altro gruppo estremamente competitivo raccattando prospetti a Berlino (Mo Wagner), nella Division III (Duncan Robinson) e fuggiaschi da università da one-and-done (Charles Matthews). Per la prima volta la loro difesa è tra le migliori della nazione (4^ su KenPom), un’anomalia per una squadra che ha sempre fatto della fase offensiva il suo punto di forza.

Altra cliente abituale dei palcoscenici che contano è Gonzaga (#4 West), ormai definitivamente entrata nel novero delle potenze cestistiche collegiali. Dopo la sfortunata finale dello scorso anno, i Bulldogs sono ancora più affamati di rivincita e le quattordici vittorie consecutive con le quali si presentano al Torneo sono qui a dimostrarlo. Il backcourt formato da Silas Melson e Josh Perkins garantisce leadership e solidità, Rui Hachimura è molto più di una stravaganza esotica e Killian Tillie ha preso fuoco nel Torneo della WCC tirando 13/14 da 3.

Più videocompilation di schiacciate con titoli vaporwave, grazie.

I pericoli più insidiosi per Virginia arriveranno da Arizona (#4 South) e Cincinnati (#2 South). I Wildcats sono una supernova pronta ad esplodere tra indagini FBI, intercettazioni telefoniche e borse piene di Presidenti Morti in contanti, ma rimangono una delle squadre dal più alto coefficiente di talento nel Torneo. Innanzitutto bisogna trovare un modo per fermare DeAndre Ayton, sempre che ne esista uno. Il centro caraibico sta prendendo a sberle i lunghi avversari, scrivendo 30+15 con la facilità irrisoria. La migliore opzione per le difese avversarie rimane sperare che Allonzo Trier decida di gettarsi in un criminale hero ball distruggendo la già precaria fluidità offensiva dei Wildcats. Il playmaking sospetto e la difesa anti-moderna con due lunghi sono i punti interrogativi che separano le camicie nude look di Sean Miller dalla sua prima Final Four: se venissero risolti in corsa, Arizona se la può davvero giocare con tutti. Cincinnati è la versione low cost di Virginia: una difesa fisica, asfissiante e un attacco ad intermittenza, affidato principalmente alle invenzioni di Gary Clark e Jacob Evans. Una squadra solida, che si è portata a casa entrambe le competizione della Atlantic 10, e che potrebbe fare molta strada nel suo bracket, magari arrivando fino ad una sfida proprio contro Virginia nelle Elite Eight, per una delle partite dal punteggio più basso di sempre.

Sulla costa Est, Purdue (#2 East) si affida alla presenza torreggiante di Isaac Haas nel pitturato per innescare i suoi tiratori micidiali dietro l’arco. I Boilermakers non sono nel loro miglior momento di forma ma attenti ai due Edwards, Carsen e Vincent, scorer implacabili. In basso nel tabellone troviamo Wichita State (#4 East), che grazie al salto dalla Missouri Valley alla Atlantic 10 ha conquistato una testa di serie di spessore nonostante un record non fantascientifico. La squadra di Gregg Marshall è atletica, profonda e ben allenata. Può contare su Landry Shamet, in grado di rivaleggiare in talento con tutte le point guard d’America, e sulla stazza sotto canestro di Shaquille Morris. L’importante è non affidare i possessi decisivi a Frankamp.

Party crashers (#5/#8)

Il bello della March Madness è appunto la variabile di sorpresa che possiamo trovare nel risultato di una partita win-or-go-home, la novità di una Cinderella - di cui parleremo successivamente - ma anche una marcia inaspettata da parte da quelle che partono in terza o quarta fila. E ne troviamo una (o più) in ogni Region.

Nella South Region la Kentucky (#5) di coach John Calipari si trova in una parte di tabellone assai difficile, con Davidson pessima gatta da pelare al primo turno e due incroci proibiti con Arizona e Virginia in quelli successivi. I Wildcats però sono una squadra che è cresciuta nel momento in cui Shai Gilgeous-Alexander ha preso il timone della squadra, e da giovani e incoscienti se riescono a prendere continuità possono essere un bel problema per chiunque. Non ci allontaniamo molto, perchè le fauci di Virginia potrebbero incontrare Creighton (#8) nel secondo turno, e la squadra guidata da McDermott Sr. non è una di quelle da sottovalutare. Giocano un sistema offensivo fluido, con spaziature e varietà di soluzioni nei giochi che ricordano uno stile più NBA che collegiale, e la coppia di guardie formata da Marcus Foster e Khyri Thomas è rimasta troppo sotto traccia durante la stagione in relazione a quanto hanno spostato. Difesa contro attacco, una storia che si protrae negli anni.

Parlando invece in contemporanea delle due fasi di gioco, Florida (#6 East Region) fa dell’equilibrio il proprio credo, con un attacco frizzante guidato dalla sapienza della senior PG Chris Chiozza e dalla pericolosità perimetrale dello swingman Jalen Hudson abbinato a un’ottima difesa di squadra organizzata da Michael White, uno dei giovani coach più interessanti del panorama NCAA. La stagione altalenante ha dimostrato che possono vincere con chiunque… ma anche perdere con chiunque, senza dimenticarsi che questo è il gruppo che lo scorso anno è riuscito ad arrivare alle Elite 8.

Nella West Region Missouri (#8) potrebbe essere un problema per la #1 Xavier, non fosse altro per il ritorno del talento di Michael Porter Jr. dopo un’annata passata ai box. Rientrato l’8 marzo scorso, visibilmente arrugginito da mesi di inattività, Porter rimane un giocatore capace di poter decidere una partita secca a questi livelli. E non dimentichiamoci di suo fratello Jontay, grande sorpresa della stagione dei Tigers.

Il ritorno di Porter è andato come ci si aspettava: voglioso di mostrare qualcosa, ma evidentemente rallentato dai mesi di stop. Jontay invece meglio, molto meglio.

Nella stessa parte di tabellone troviamo anche Ohio State (#5) nella nuova versione sotto Chris Holtmann, che ha preso il timone la scorsa estate dallo storico coach Thad Matta. Le lunghezze di Keita Bates-Diop sono fondamentali in difesa, dove i Buckeyes rimangono una delle migliori squadre della nazione.

Infine nella Midwest Region c’è Seton Hall (#8) hanno quel mix di skills ed esperienza che potrebbe nuocere a molti, principalmente a una seed #1 non così irresistibile (Kansas), che potrebbe vedersi arrivare una macchina da rimbalzi come Angel Delgado a rovinar loro i piani.

Bracket Busters (#9/#12)

Parlavamo appunto di Cenerentole - quelle squadre che, messe in condizioni di svantaggio con un seed relativamente basso, possono dare fastidio alle maggiori favorite, al primo turno e non solo.

Di questo gruppo fanno parte due squadre #10 che probabilmente non meritano un seed così basso, come Texas (#10 South Region) e Butler (#10 East Region). Texas è allenata da Shaka Smart, uno che nel 2011 riuscì a portare una VCU dal #11 alle Final Four, e ha in Mo Bamba un muro difensivo capace di fermare qualsiasi attacco. Peccato che le idee offensive dei Longhorns siano molto scarne, cosa che invece non si può dire di Butler, uno dei migliori attacchi in NCAA che hanno nel tiro formato da Kelan Martin, Kamar Baldwin e Tyler Wideman dei bruttissimi clienti - e Arkansas, il primo avversario, lo sa bene. Ah, in quella Final Four del 2011 c’erano anche loro…

Dicevamo… a difendere il canestro di Texas ci trovate lui.

Anche Loyola-Chicago (#11 South Region) è nelle condizioni per fare molti più danni di quello che inizialmente si possa credere. La loro filosofia 3&D, con difesa asfissiante e percentuali dalla lunga distanza incredibili (hanno il 40% da tre in stagione!) ha tutte le caratteristiche per essere una bella notizia. Per tutti tranne che per Miami, che la incrocerà al primo turno.

Non dorme sonni tranquilli neanche Bob Huggins di West Virginia, visto che davanti si troverà New Mexico State (#12 Midwest Region), un’altra compagine che fa della difesa il proprio credo (14^ nel rank di KenPom), affidandosi in attacco all’estro di Zach Lofton e a Jemerrio Jones, il miglior rimbalzista NCAA… che arriva a malapena all’1.95 di altezza.

Seguire il Torneo con un occhio al Draft

Quest’anno siamo molto fortunati: al contrario degli ultimi anni, praticamente tutte le prossime scelte sono presenti alla Big Dance, garantendoci ulteriori linee narrative alle quali aggrapparci nel caso in cui le cose andassero benissimo/malissimo, in base a dove tira il vento.

Innanzitutto potremmo rivedere Michael Porter Jr. dopo la performance arrugginita contro Georgia. Il solo fatto che sia sceso in campo contro ogni previsione è una gioia per gli occhi e uno schiaffo a chi crede che questi ragazzi pensino solo a non bruciarsi le posizioni al Draft e non alla loro squadra. Non perdetevi la prima partita di Missouri perché Michael e suo fratello Jontay sono due talenti cristallini.

Anche Trae Young non sarebbe dovuto essere presente: Oklahoma ha vinto due delle ultime dieci partite giocate e lui è scomparso rapidamente dai riflettori che lo disegnavano come la seconda venuta di Steph Curry. Trae però sta ancora guidando la Nazione in punti (27.4) e assist (8.8) e può nuovamente trasformarsi un quella catapulta infernale capace di segnare da ogni posizione, traghettando i Boomer Sooner al prossimo weekend.

Un altro giocatore che può infiammarsi come la Torcia Umana e condurre la sua squadra sempre più avanti nel torneo è Collin Sexton. Il freshman di Alabama ha la mentalità da vincente e lo sguardo del pazzo di chi crede che con lui in campo non esista la parola sconfitta. Per capirci: era sicuro di poter vincere una partita giocando 3 contro 5.

Noi vi avevamo avvertiti.

L’alto livello di competizione e la pressione della Madness saranno utili per valutare Jaren Jackson Jr. Il lungo di Michigan State ha risalito costantemente i gradimenti degli scout fino ad essere una certezza in top-5 grazie alla sua gioventù, le sue braccia lunghissime e un affidabile tiro da fuori. Se gli Spartans vogliono arrivare fino a San Antonio avranno bisogno delle grandi prestazioni del loro freshman.

Chi sta salendo con l’ascensore nei Mock Draft è il play canadese di Kentucky Shai Gilgeous-Alexander. Arrivato alla corte di Calipari con pochissimo hype si è invece preso la squadra in mano. Lungo, atletico e con un’eccellente visione di gioco, ha dimostrato grandi qualità di leadership nel condurre una delle squadre più giovani di sempre dentro il Torneo in striscia positiva.

Sul taccuino segnatevi anche il nome di Zhaire Smith di Texas Tech, atleta senza senso che sembra giocare su un trampolino elastico. Ci giochiamo quello che volete che ci sarà una sua schiacciata fuori di testa nell’One Shining Moment di quest’anno.

State già sentendo la voce di Luther Vandross sotto?

I personaggi del Torneo: gli immancabili

Non c’è Torneo NCAA senza personaggi di culto, che magari arrivano al Torneo senza grandi pretese di vittorie e cammino, ma capaci di regalarci qualche sfumatura in più dentro e fuori dal campo in un contesto dove già ce ne sono molteplici.

In pochi, ad esempio, avranno sentito parlare di Mike Daum di South Dakota State (#12 West), un giocatore talmente dominante in attacco da meritare il soprannome di “The Dauminator” - che a mio modo di vedere rimane uno dei migliori nickname mai dati. Questo ragazzone di 206 centimetri per 115 chili ha chiuso la stagione a quasi 24 punti di media, conditi da 10 rimbalzi, il 42% da 3 e l’86% ai liberi, con un repertorio offensivo dotato di spin move sul perno, finte e conclusioni da ogni parte della metà campo avversaria.

Sempre parlando di college minori, una delle novità di quest’anno è Marshall (#13 East). La squadra è allenata dal fratello di Mike D’Antoni, Dan, e in una squadra in cui a roster sono presenti due realizzatori di razza come Jon Elmore e C.J. Burks (entrambi sopra i 20 di media), il ruolo di game-changer è affidato ad Ajdin Penava, lungo bosniaco che guida la NCAA in stoppate a cui aggiunge quella versatilità balcanica che gli permette di essere una delle stats-line più interessanti del panorama. Penava sa colpire dalla lunga distanza, attaccare i difensori dal palleggio e passare il pallone con grande naturalezza. Il tutto con il tipico piglio/swag slavo, che non fa mai male in personaggi del genere.

Contro Eastern Kentucky il bosniaco ha fatto vedere tutto il repertorio, flirtando con la quadrupla doppia.

Il Torneo in passato ci ha già regalato storie legate a famiglie, parenti e fratelli che si trovano costretti ad affrontarsi per la gloria della vittoria finale - i fratellastri Kris Jenkins e Nate Britt nella finale del 2016, per dirne due. E anche quest’anno non fa eccezione, visto che nella stessa parte di tabellone troviamo la lanciatissima Rhode Island (#7 Midwest) di Dan Hurley e la Arizona State (#11) del fratello Bobby, promessa di Duke a metà anni ‘90 prima che un incidente stradale ne compremettesse la carriera. Bobby si è re-inventato alla grande come allenatore ma quest’anno dopo una partenza fulminea (12-0) non è più riuscito a far trovare la continuità ai suoi, finendo quasi per essere escluso dal torneo. Il Selection Committee è stato molto generoso - non solo con loro - e li ha comunque inseriti tra le 68 squadre ammesse, scatenando la commozione del fratello Dan. Una sfida alle Sweet 16 tra i due fratelli sarebbe stata una bella storia, ma tanto Jim Boeheim e la sua Syracuse - altri miracolati dal Committee - hanno già fatto la parte del Grinch eliminando i Sun Devils alle First Four di mercoledì notte. Giusto per coronare una stagione che li ha visti accedere al Torneo in maniera decisamente immeritata.

Parlando di allenatori, impossibile non menzionare il ritorno di Davidson e di coach Bob McKillop al Torneo dopo due anni di assenza. Più che un allenatore, un vero maestro e la cui arte è ben interpretata dagli Wildcats, che contro ogni pronostico sono comunque riusciti a strappare un biglietto per la post-season. Immortale.

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