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Lukaku è la più grande scommessa della Roma
29 ago 2023
La stagione dei giallorossi dipenderà molto dallo stato di forma del suo nuovo centravanti.
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12 min
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IMAGO / Panoramic International
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Sono trascorsi 10 anni dal primo litigio tra Josè Mourinho e Romelu Lukaku. Ai calci di rigore della Supercoppa Europea, dopo una serie di rigori perfetta, Lukaku sbaglia il suo. Calcia come sempre: incrociando il tiro basso e veloce, ma Manuel Neuer intuisce. Lukaku con le treccine, la maglia numero 18, i suoi vent’anni e il primo assaggio di un’inclinazione al tragico che si sarebbe portato dietro per tutta la carriera. La capacità di stare nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Cosa c’è di peggio che essere il capro espiatorio di una sconfitta in finale di Mourinho contro Guardiola?

Lukaku è sempre stato un attaccante incredibilmente sicuro di sé. Quando si è trovato ad affrontare questi momenti di inadeguatezza è sembrato sempre sconvolto dal proprio fallimento.

Poche ore dopo Lukaku chiede la cessione in prestito all’Everton. Quando il belga inizia a segnare con regolarità Mourinho commenta indifferente: «Una cosa è giocare per l’Everton e un’altra cosa è giocare per il Chelsea. Non ci sono rimpianti». Più aumentano i gol e più aumentano le domande, finché Mourinho non perde la pazienza: «È qualcosa che dovrebbe spiegare, la ragione per cui non è con noi al Chelsea ed è all’Everton. (…) È una questione semplice: “Perché hai lasciato il Chelsea?” Chiedeteglielo».

Dieci anni dopo, alla coda di quest’estate rocambolesca di calciomercato, Josè Mourinho è pronto a riabbracciare Romelu Lukaku. Durante questo decennio i due hanno trovato il modo di far pace, quando nel 2017 il belga è diventato il centravanti titolare del Manchester United allenato da Mourinho. Due anni fa il tecnico commentava: «Quando l’ho conosciuto al Chelsea era un ragazzino, a Manchester era in fase di sviluppo. All’Inter è diventato un top».

Sembra passata un’era calcistica, e dieci anni in effetti lo sono. Ma sembra passata anche una vita intera da quando al principio dell’estate Lukaku avrebbe dovuto essere il nuovo centravanti dell’Inter. Prima di arrivare alla Roma ha fatto in tempo a farsi odiare da mezza Italia: ha voltato le spalle all’Inter che voleva comprarlo promettendosi ai rivali della Juventus, dove però pochi tifosi lo avrebbero voluto e il suo acquisto era vincolato alla cessione di Vlahovic. Così Lukaku si è ritrovato a Londra infelice e indesiderato da tutti. Praticamente fuori rosa, senza preparazione fatta e un ingaggio pesante che nessuno voleva accollarsi. La paura che fosse in fondo un giocatore finito.

Nel frattempo la Roma continuava a prendere porte in faccia, nell’utopico tentativo di comprare un centravanti senza soldi.

E così Lukaku e la Roma, questi due mondi di scontentezza, si sono ritrovati uniti alla fine del calciomercato, mentre tutto intorno i calciatori riempiono le valigie di soldi sauditi e il calcio europeo sembra all’inizio della sua apocalisse. Un incrocio reso possibile solo forse da un’eccezionale disperazione comune e, come sempre, dalla presenza di Josè Mourinho e dal suo lavoro sotterraneo di telefonate. Senza di lui probabilmente non arriverebbero tutti questi giocatori a parametro zero a condizioni vantaggiose.

Quando Lukaku è stato per la prima volta accostato alla Roma il suo nome sembrava una battuta, una di quelle sparate impossibili da calciomercato lontane dalla realtà. «Una favola» l’aveva definita Il Corriere dello Sport. I Friedkin però, lo sappiamo, fanno spesso sul serio, col senso cinematografico di chi deve sfornare almeno un colossal l’anno. L’entusiasmo dei tifosi della Roma in questa fase storica ha qualcosa di religioso, e i proprietari americani sembrano volerlo nutrire in ogni sessione di calciomercato con un acquisto mediaticamente clamoroso, dagli effetti sportivi incerti ma dall’impatto emotivo sicuro. Ryan Friedkin è partito in aereo, i tifosi romanisti hanno seguito il volo su Flightradar24 a metà tra la gag e il vero invasamento mistico. Dopo due giorni di trattative Lukaku partirà su un volo Londra-Roma pilotato direttamente da Dan Friedkin. La sua presidenza vive di questa contraddizione: il mutismo assoluto, e al contempo il gusto per il colpo a effetto, presentato in maniera roboante (Mourinho presentato alla Terrazza Caffarelli, Dybala al Colosseo quadrato e ora questo arrivo dai contorni di una missione militare).

Dopo Mourinho e Dybala, ecco allora un altro colpo inatteso, con quella grandeur da fine impero così perfetta per Roma, esaltante per un ambiente che veniva da quasi dieci anni di player trading. Dei tre colpi quello di Lukaku sembra al contempo il più azzardato e il più necessario.

Azzardato perché l’operazione da mettere in piedi è un elefante economico difficile da decifrare, specie per una società teoricamente indebitata come la Roma. Si tratta di 5,8 milioni per il prestito di un anno e 7,5 milioni di stipendio per il giocatore, che ha accettato una riduzione del proprio ingaggio. Necessario non solo tecnicamente, ma anche perché l’entusiasmo dell’ambiente stava cominciando a declinare, dopo due anni vissuti sull’orlo della follia. Si dice che il terzo anno di Mourinho sia quello fatale per le sue squadre, logorate dalla immane richiesta psicologica del tecnico. La finale d’Europa League persa e un mercato moscio sembravano il veleno definitivo per fiaccare l’ambiente giallorosso. L’arrivo di Lukaku allora arriva come una salvifica siringa d’adrenalina.

Prima del suo arrivo era stato un calciomercato particolarmente depressivo per i giallorossi, sotto la morsa del FFP e del settlement agreement. La Roma non aveva nemmeno un euro da spendere, ma un centravanti da sostituire dal 4 giugno, quando all’ultima di campionato Tammy Abraham ha riportato la lesione del legamento crociato anteriore. Tiago Pinto ha dovuto lavorare dentro margini economici davvero esigui, e senza un progetto tecnico d’ampio respiro: con Mourinho si è scelto di comprare solo giocatori con un certo curriculum, usando la primavera come serbatoio di giovani. Si è provato a prendere Scamacca in prestito, niente da fare. Marcos Leonardo dal Santos, niente da fare. Duvan Zapata diventato uno scarto all’Atalanta, niente da fare. È arrivato Sardar Azmoun, profilo interessante che però non ha rassicurato nessuno («Tiago Pinto mi ha assicurato che arriverà un altro attaccante» ha commentato Mourinho dopo il suo arrivo).

Oggi le previsioni su Lukaku alla Roma hanno soprattutto a che fare con la quantità di persone che ci saranno ad aspettarlo all’aeroporto di Ciampino. Tremila come nel caso di Dzeko? Di più? Di meno? Nel dubbio stanno rimuovendo le macchine dai parcheggi col carro attrezzi, per far spazio al lago di gente che ci sarà. Il murales d’ordinanza è già comparso sulle pareti del Rione Monti. È invece più difficile pronosticare quanto Lukaku riuscirà a spostare la capacità competitiva della Roma. Le previsioni che si leggono in giro sono schizofreniche, tra il primo e il decimo posto.

Del resto quale Lukaku dobbiamo aspettarci? Quello perennemente infortunato al Chelsea o il capocannoniere della Serie A con Conte? Quello pesante e impacciato dell’inizio della scorsa stagione o quello risolutivo del finale con l’Inter? Quello capace di rendere oro tutto ciò che tocca oppure quello maledetto che si traveste da portiere avversario o sbaglia i rigori decisivi?

Da due anni Lukaku non trova più continuità, viene da una stagione con 22 partite saltate e da un mondiale tragico. Eppure quest’estate è stato l’oggetto del desiderio di tre diverse squadre italiane. L’Inter era disposta a spendere tutto il suo budget estivo per comprarlo; la Juve era pronta a scambiarlo con Vlahovic. La Roma farà un’operazione difficile per i propri conti, pur di averlo in rosa.

C’è qualcosa di Romelu Lukaku che attrae fatalmente le squadre italiane. Forse il ricordo di quelle due stagioni folgoranti in nerazzurro (47 gol); forse il fatto che incarni il tipo di numero 9 un po’ vintage, capace di entrare in porta trascinandosi dietro intere difese avversarie. La sua potenza fisica, che rende così appariscente il suo gioco. Capello ha commentato un possibile paragone con Batistuta, tanto per tenere basso l’entusiasmo: «Bati fu l’elemento finale, determinante. Lukaku, come lui, è uno di quei calciatori che fanno la differenza. Soprattutto fisicamente. Nel calcio di adesso, certi giocatori spostano gli equilibri: basti vedere il City, arrivato al top con uno come Haaland». (Il paragone con Haaland può suonare assurdo, ma uno dei primi allenatori del norvegese lo paragonò proprio a Lukaku). Siamo ancora il campionato del 3-5-2, e che ha bisogno di punte centrali anche nel momento storico in cui ce ne sono meno.

Il talento di Lukaku non può essere messo in discussione. Stiamo parlando di un giocatore fenomenale, dalla carriera agitata da qualche scelta infelice e da una strana tendenza allo psicodramma che i romanisti sentono già propria. Un giocatore da quasi 250 gol in carriera, il miglior marcatore della storia del Belgio. Nella sua PEGGIORE stagione in carriera (2021/22 col Chelsea) ha segnato 15 gol: 2 in più di quelli fatti da Abraham e Belotti sommati lo scorso anno. La Roma in questo calciomercato aveva bisogno di gol, e sta acquistando uno dei migliori numeri 9 della storia recente.

Lukaku ha preso le misure alle difese del nostro campionato, e alla fine della scorsa stagione sembrava aver bisogno davvero di poco per essere decisivo. Il suo repertorio di finalizzazione è vario e completo: sa segnare di testa, di destro, di sinistro. Attaccando i cross, andando in profondità, portando palla da solo dal lato, come ha fatto per esempio nel gol all’Empoli dello scorso anno. Usa quasi solamente il sinistro, ma in carriera ha segnato tanti gol anche col piede debole.

In velocità è impossibile da spostare, e spalle alla porta è impossibile da spostare. «La maggior parte delle volte quando corro alla massima velocità e il difensore prova a spostarmi non devo fare niente, perché sono troppo forte» diceva ai tempi dell’Everton, e anche se oggi Lukaku non ha più quell’esplosività, quando è lanciato è comunque una palla demolitrice. Sa dribblare sull’esterno e giocare di raccordo sulla trequarti. La Roma di Mourinho negli ultimi due anni ha giocato spesso con un baricentro molto basso, appoggiandosi tanto alle punte per risalire il campo. Lo ha fatto senza avere profili a loro agio in questo tipo di lavoro, a parte Nicolò Zaniolo, ceduto e comunque sempre molto confusionario. Lukaku dà il meglio di sé quando può attaccare in un campo grande che riduca la richiesta di precisione tecnica per le sue giocate. Le sue squadre in passato hanno deciso di abbassare il baricentro per metterlo più a suo agio, il Belgio e anche l’Inter di Conte, che palleggiava in basso per poi verticalizzare verso di lui all’improvviso.

La Roma che abbiamo visto nelle prime due partite ha giocato di più nella metà campo avversaria, ma non è ancora chiaro se è stata una scelta di Mourinho o un assetto creato dal contesto delle partite - contro avversari più deboli e in situazioni di svantaggio. Di sicuro Lukaku aggiunge tutta una serie di possibilità che la Roma non aveva, e un’efficacia diretta finora inesistente. Ricordiamo che i giallorossi sono stati una delle squadre meno precise sotto porta nella scorsa stagione. Sul lato destro, là dove Lukaku tende di più ad allargarsi, c'è anche Dybala, con cui Lukaku promette un'associazione interessante. La Roma potrebbe costruire un lato forte difficile da gestire per le difese avversarie.

Tutto questo se Lukaku sta bene: tutto ruota attorno alle sue condizioni fisiche. Viene da una stagione difficile, ha un fisico pesante e in questa estate turbolenta non deve aver fatto la migliore preparazione fisica possibile. L’escursione tra le sue possibilità massime e minime è gigantesca. Quando è in forma Lukaku sembra poter far implodere il mondo schiacciandolo nelle proprie mani, quando non lo è sembra faticare nei più basilari movimenti del corpo umano. Il suo gioco dipende in larga parte dalla sua condizione fisica. Ne avevo scritto in un articolo di marzo riservato agli abbonati, quando sembrava ormai abbandonato al suo crepuscolo. Quando era persino doloroso vederlo giocare: un fenomeno atletico paranormale ridotto a giocare sulla mattonella come gli attempati attaccanti di categoria. Riusciva ancora a proteggere palla, ma non a girarsi. Le sue fughe sulla fascia finivano spesso in malinconia, quando c’era da calciare perdeva sempre il tempo. Riusciva a segnare solo su calcio di rigore. Poi col tempo, lontano dai problemi fisici, ha ritrovato la condizione fisica, e a cascata tutto il suo gioco.

Lukaku sembra ossessionato dalla sua forma fisica, spesso nelle interviste ha parlato del suo lavoro in palestra, della sua dieta, dal peso forma. Parla soprattutto dell’importanza di mantenere una forma fisica “ideale”, anche perché nel suo gioco i difensori si battono soprattutto fisicamente. Non è un attaccante che brilla per l’intelligenza delle scelte o dei movimenti senza palla; né certo è un attaccante tecnicamente preciso. E allora "come sta Lukaku?" è una domanda particolarmente rilevante.

Tutto il mercato della Roma danza sul filo sottile tra il glorioso e il tragico. Aouar, Paredes, Azmoun, Renato Sanches sono tutti profili simili: giocatori dal talento comprovato ma irrealizzato. Giocatori dal grande potenziale, spesso disturbato da problemi fisici. La Roma non è la sola squadra italiana ad adottare questo tipo di strategia, ma è quella che la sto portando avanti in modo più radicale. Giocatori che prova a recuperare per rimanere agganciata a un livello competitivo che sul piano finanziario non potrebbe permettersi - visti i vincoli che conosciamo.

Lukaku è la sua scommessa più grande. Se dovesse fallire rimarrebbe un’operazione economicamente pesante, e amara anche solo sul semplice piano emotivo. Se dovesse riuscire, invece, la Roma potrebbe davvero vivere una stagione diversa.

Le domande sono tante: in quali condizioni fisiche si presenterà? La Roma riuscirà a gestire tutti questi giocatori in ritardo con la preparazione? Riuscirà a mantenere Lukaku lontano dagli infortuni? Con che motivazioni arriverà a Roma, dopo un’estate in cui ha infilato una scelta sbagliata dietro l’altra, alla coda di una carriera forse più travagliata del previsto?

Nella sua storia Lukaku ha sempre avuto bisogno di sentirsi al centro dell’attenzione. Lasciò il Chelsea di Mourinho perché non amava la concorrenza; lasciò il Manchester United perché il suo status venne messo in discussione; lasciò l’Inter perché sentiva di non aver lasciato un segno abbastanza profondo sulla Premier League. Per le sue squadre è stato spesso difficile assecondare questo egocentrismo, ma se c’è un posto capace d’amore incondizionato, capace di farti sentire speciale, è Roma.

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