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Daniele V. Morrone

L’opportunismo del Barcellona

Antonio Conte ha esposto i limiti della squadra di Valverde ma nella partita di ritorno…

Da quando Roman Abramovich è atterrato a Londra Ovest, facendo del Chelsea una delle potenze del calcio contemporaneo, la Champions League ha scoperto una delle migliori rivalità della sua storia moderna: quella tra Chelsea, appunto, e Barcellona. Uno scontro ripetuto nel tempo tra stili diversi: il Barça di Rijkaard e il Chelsea di Mourinho, il Barça di Guardiola e il Chelsea di Hiddink, prima, e Di Matteo poi. Il canovaccio è sempre lo stesso, con partite in cui il Barça domina il pallone e il Chelsea gli spazi, in cui nessuna delle due strategie ha assicurata la vittoria, però. In questi anni hanno vinto a turno, lasciandoci in ricordo bellissime istantanee: il gol di Ronaldinho che calcia da fermo, quello di Iniesta allo scadere, quello di Drogba di tecnica e potenza fisica, quello di Fernando Torres al Camp Nou. Ci sono state anche infinite polemiche per le attuazioni degli arbitri in ogni eliminatoria. 



 

 

L’ottavo di finale di quest’anno, tra il Barça di Valverde e il Chelsea di Conte, potrebbe rinnovare la storia di questa rivalità e la partita di andata, a Londra, non è andata molto lontana dagli standard a cui siamo abituati. È stata una partita indirizzata dalla strategia del Chelsea, anche se sono stati due errori a sbloccare l’incontro: il gol del Chelsea è arrivato su un calcio d’angolo in cui il Barcellona ha lasciato libero di marcature Willian; il Barça invece è stato salvato ancora una volta da Iniesta e Messi, in un momento in cui non sembrava vicino il gol, ma l’azione è stata propiziata da un errore della difesa del Chelsea. Come sempre, la grandezza di un giocatore sta anche nella capacità di sfruttare il momento giusto.

 

È stata la prima parte di film lungo 180 minuti, ma abbiamo già visto due aspetti che probabilmente si riveleranno determinanti: i difetti del Barcellona di Valverde, e la bravura di Conte nel leggerli e preparare una gara su di essi.

 




Una partita che ha regalato poche chiare occasioni da gol.

 

I difetti di Valverde

Ormai è chiaro come Valverde ricerchi l’equilibrio in tutte le fasi, e come non voglia prendersi rischi. C’è una differenza tra una squadra che usa il controllo del pallone per disordinare la rivale e una squadra dal possesso difensivo, più preoccupata di controllare i ritmi e di non perderlo che di disordinare il rivale. Il Barça, con il solo Busquets in grado di superare le linee con un passaggio a centrocampo, vuole ordinarsi attraverso passaggi sicuri in grado di non portare ad errori. Assestarsi nella metà campo avversaria per portare lontano i pericoli dalla propria e soprattutto avvicinare Messi all’area. 



 

Contro squadre abili come il Chelsea a negare la profondità, però, quello che succede è che il Barcellona si trova con troppi pochi giocatori davanti alla linea del pallone ed è costretto a far abbassare Messi, nella zona di destra, mandando la mezzala o l’esterno (Paulinho) ad affiancarsi a Luis Suárez, con i terzini sulla stessa linea di attacco e larghi per avere ampiezza. Si cerca quindi di avere ampiezza e opzioni davanti a Messi, per ridurre lo spazio in cui deve giocare, creando un triangolo con Busquets e Rakitic alle spalle, con Iniesta invece che occupa il mezzo spazio di sinistra.

 

Da quella posizione, se Messi non si inventa la giocata il pallone in area pulito non ci arriva. E se il pallone non arriva in area è molto difficile segnare nel calcio. Courtois non è stato praticamente mai chiamato in causa
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Il Barça di Valverde gioca con un sistema che difende con un 4-4-2 e attacca con la posizione di ricezione di Messi che fa muovere l’esterno dal mezzo spazio di destra in avanti. In questo caso è Paulinho quello incaricato di mettersi anche in linea con Suárez quando Messi scende a giocare a centrocampo.

 


E se la pressione alta ha dato i suoi frutti (uno su tutti ha forzato l’errore del Chelsea che ha portato al gol del pareggio) la squadra di Valverde non ha trovato alcun vantaggio quando la palla era a disposizione. In un contesto così immobile va rimarcata comunque una situazione specifica.

 

Molti dei problemi di Valverde sono legati a quello che potremmo chiamare “effetto Paulinho”, ormai sgamato dagli avversari. L’utilizzo del brasiliano in profondità per vie centrali, come seconda punta mascherata, per capirci, non funziona se il brasiliano è costretto a giocare il pallone anche fuori dall’area. Questo perché, molto francamente, Paulinho non sa passare o controllare il pallone allo stesso livello dei compagni in campo o in panchina, per essere sicuro di non perderlo deve fare il minimo indispensabile. La passa al compagno più vicino e poi spostarsi lontano dalla palla, per paura di riceverla di nuovo: una situazione di questo tipo lo rende più che altro un impiccio per i compagni, e porta Messi ad addentrarsi ancora di più per sostituirsi al brasiliano in una zona tanto importante per la circolazione del pallone.


 

Il Chelsea, consapevole dei limiti di Paulinho lo lascia solo quando va in pressione sul portiere. Ter Stegen si trova tutte le opzioni di passaggio controllate dagli avversari e non può fare altro che lanciare su di lui sperando che non perda palla. L’unico modo sicuro con cui il Barça ha fatto uscire il pallone dalla difesa sotto pressione sono state le conduzioni palla al piede di Sergi Roberto, ancora una volta uno dei pochi a comprendere cosa chiedesse il contesto e a forzare, tentando qualcosa di diverso rispetto al passaggio corto a basso ritmo per avere l’illusione del controllo. È evidente come il catalano debba stare sempre in campo e in alcune occasioni sarebbe meglio per il Barcellona averlo più in alto, magari al posto proprio di Paulinho. Il problema è che l’ambientamento mancato di Semedo al calcio di Valverde ha lasciato un buco nella posizione di terzino destro, che solo Sergi Roberto può ricoprire con cognizione.


 


In un Barça senza profondità i terzini finiscono a fare le ali pur non avendo modo di crossare poi in area e limitandosi quindi a poter fare appoggi corti sperando di ricevere dopo il movimento in profondità. Il famoso asse tra Messi e Jordi Alba però questa volta è stato controllato benissimo dal Chelsea, rendendo il catalano innocuo.

 

Ma se Paulinho non riesce a dare profondità ed è praticamente deleterio quando deve giocare a pallone fuori dall’area, Valverde non sembra vedere una soluzione se non quella di creare la profondità con Aleix Vidal (entrato in campo, infatti, all’ora di gioco). È evidente che la soluzione che Valverde aspetta è quella di Ousmane Dembélé, un giocatore che sembra costruito proprio per partire esterno e ricevere nel mezzo spazio destro di questo Barcellona, dando velocità, cambiando ritmo, aumentando la profondità e l’imprevedibilità alla manovra quando la palla non è di Messi. Tutto quello che Paulinho non può dare.

 

Gli infortuni però hanno reso impossibile per Valverde fidarsi, al momento, del francese in una partita così importante (a fine gara l’allenatore ha detto di aver scelto Paulinho perché non è questo il tempo di esperimenti). Nonostante Dembélé sia sembrato fuori forma, quando si è visto in campo, il suo ingresso nell’11 titolare sembra una necessità per la partita di ritorno, altrimenti questo Barça è troppo prevedibile per un avversario del livello di Conte.

 

Il piano di Conte

Conte ha letto bene i difetti dell’attuale Barcellona e ha preparato una gara “quasi perfetta” (come ha detto lui stesso a fine partita) nel bloccare l’attacco avversario e dare gli strumenti giusti alla sua squadra per poter fare danni in attacco. Il Chelsea è stato ad un paio di errori individuali dalla perfezione assoluta quando senza il pallone: l’idea di Conte era quella di affrontare il Barcellona in modo diverso a seconda di dove si trovava il pallone. Quando il pallone era nella metà campo difensiva catalana, il Chelsea pressava in alto costringendo ter Stegen a scegliere se lanciare lungo o appoggiarsi a uno dei centrali per una macchinosa uscita del pallone palla a terra. Così l’idea del Barça di accamparsi rapidamente nella metà campo avversaria è stata subito neutralizzata, perché la palla ci arrivava troppo lentamente e il Chelsea faceva in tempo a ordinarsi. Conte ha ucciso la transizione offensiva del Barça costringendolo solo a giocare in attacco posizionale.

 




Questo grafico delle posizioni medie mostra come nel 3-4-3 del Chelsea la partita di sacrificio di Pedro che lo ha isolato dal giocare il pallone con i compagni d’attacco, mentre la connessione centrale tra Cesc e Hazard ha funzionato bene.



 

La seconda fase del piano di Conte scattava quando la palla superava il centro del campo: in quel momento il Chelsea si posizionava con un modulo il più compatto possibile, lasciando solo Hazard fuori dalle due linee difensive del 5-4-1. Così era quasi impossibile giocare tra le linee per il Barça, grazie alle posizioni strategiche di Pedro e Willian abili nello scivolare dall’esterno ai mezzi spazi a seconda di come la squadra catalana muoveva il pallone orizzontalmente. I due esterni erano ancora più importanti una volta recuperato il pallone, ripartendo veloci dalle stesse posizioni nei mezzi spazi, pronti a mangiarsi più campo possibile. Non avendo una punta centrale su cui lanciare (Morata), dovevano essere per forza di cose loro a far avanzare la palla, con Hazard più utile una volta che la squadra è salita e si è assestata nella metà campo offensiva.

 



Willian probabilmente è stato il migliore in campo, ricevendo sempre in una zona dove Busquets non poteva arrivare in tempo (non avendo ancora inventato il modo di teletrasportarsi e potendo quindi ancora solo prevedere dove si svilupperà l’azione) è stato una vera e propria spina sul fianco del Barcellona ogni volta che il Chelsea ha recuperato il pallone. Si è mosso benissimo per ricevere fronte alla porta e non ha mai problemi ad accelerare appena tocca palla, con un cambio di passo che nel Barça attuale ha solo Jordi Alba. E se non riesce a coprire il catalano, ecco che Willian ha davanti un’autostrada per correre indisturbato aspettando l’arrivo di un compagno da servire in area.

 

I due protagonisti indiscussi della serata sono stati Azpilicueta quando il Chelsea doveva difendere e Willian quando doveva attaccare. Il basco ha letto perfettamente la partita, unico elemento della linea a tre che non è sembrato nervoso pur dovendo lui marcare Luis Suárez: ha recuperato 10 palloni, fatto 6 anticipi e ha chiuso la partita con neanche un fallo commesso nella propria trequarti.

 


In una partita giocata così bene dal Chelsea in tutte le fasi, forse il rammarico può arrivare dalla poca pericolosità offensiva realmente creata: parliamo di due pali e un gol, sì, ma nati da tiri da fuori e da un errore difensivo del Barcellona, non dovuti alla strategia offensiva di squadra. Il Chelsea ha avuto la dinamica della partita dalla sua e se può lasciarsi alle spalle una prima parte dell’incontro in cui la strategia ha funzionato, ha perso comunque l’occasione perfetta per presentarsi al ritorno con un vantaggio. Nulla è perso per Conte, che ha tutti gli strumenti per replicare l’ottima prestazione di ieri, ma al ritorno troverà un contesto diverso (anzitutto partirà con un gol di svantaggio) per limitarsi a giocare la stessa partita e sperare, anche senza errori individuali, che possa bastare.

 

Al Barcellona, e a Valverde, sorride quasi solo il risultato, adesso la squadra può ragionare senza troppa pressione su come sistemare i problemi visti in campo. La sensazione è che il Barcellona abbia margine di miglioramento e che questo difficilmente non si vedrà in casa, tra tre settimane, soprattutto se Dembélé dovesse raggiungere una migliore condizione fisica nel frattempo. La palla, metaforicamente e non, sarà nei piedi del Barça.

 

 

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Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987, per l'Ultimo Uomo scrive di calcio e basket. Cruyffista e socio del Barcellona, guarda forse troppe partite dell'Arsenal.