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11 domande sulla Liga 2018/19
14 set 2018
14 set 2018
Una guida per orientarsi nel nuovo campionato spagnolo.
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Prendendo il microfono nella cerimonia di presentazione della rosa, il nuovo capitano (la passata stagione era ancora Iniesta) Leo Messi ha promesso una cosa alla tifoseria: quest’anno il Barça farà di tutto per vincere la Champions League. Tre anni di uscite anticipate e tre anni di vittorie del Madrid hanno lasciato il segno e reso agrodolce perfino la scorsa stagione, chiusa con una Liga dominata dall’inizio alla fine e una Copa del Rey.

 

Dopo una stagione in cui Valverde si è dimostrato fin troppo pragmatico, al punto da tarpare le ali alla squadra quando serviva rischiare qualcosa (come nel ritorno con la Roma), la determinazione nell’arrivare in fondo al torneo più importante sembra aver spinto anche l’allenatore verso un percorso tattico più radicale: la scelta di far giocare Coutinho nel ruolo di mezzala sinistra è la chiave del nuovo corso, perché riempie il vuoto lasciato dalla partenza di Iniesta e al tempo stesso permette di avere in campo tutti i maggiori talenti offensivi a disposizione e correggere così il problema della dipendenza da Messi della scorsa stagione.

 

Il sistema scelto è un 4-3-3 asimmetrico in cui nessuno degli acquisti estivi è ancora partito titolare e in cui il tridente offensivo è formato da Messi - libero di muoversi dove vuole - Luis Suárez centrale e Ousmane Dembélé sulla sinistra. La convivenza tra Coutinho e Dembélé nel mezzo spazio di sinistra, dove entrambi tendono a gravitare, è stato il grande tema tattico di questo inizio di stagione, così come l’importanza dei due terzini nel dare ampiezza e profondità.

 

Il potenziale di questa squadra sembra nettamente superiore a quello della scorsa stagione, perché avere contemporaneamente in campo Dembélé e Coutinho cambia tanto, ma l’equilibrio tattico a cui tanto tiene Valverde, di conseguenza, potrebbe vacillare. Ad esempio, si sa che Messi non torna e quindi non c'è nessuno copra il terzino sinistro avversario, e anche Coutinho si spinge molto in avanti lasciando Jordi Alba solo contro tutti sulla fascia sinistra. Questo genere di problemi alla lunga potrebbe costare caro rispetto a squadre più equilibrate come il Madrid di Lopetegui e l’Atlético di Simeone.

 

Come sempre, però, chi ha Messi a disposizione ha la sicurezza di poter lottare per la Liga fino alla fine, anche se con l’obiettivo dichiarato della Champions per la prima volta il Barça potrebbe decidere di iniziare a gestire meglio il proprio capitano, evitandogli di giocare ogni singola partita del calendario. Inizia a sentirsi l’esigenza di avere una panchina abbastanza profonda da sostenere la squadra in primavera e con questa idea si è mossa la dirigenza, andando a prendere Vidal e Arthur come alternative tattiche al centrocampo (il primo come come mezzala fisica e il secondo mezzala di possesso), Malcom come alternativa al tridente e il promettente difensore centrale Lenglet dal Siviglia per far rifiatare Umtiti e Piqué.

 

Anche l’aver trattenuto il talenti canterani (Munir, Aleñá, Samper, Rafinha) aumenta le alternative in ogni zona del campo e può permettere a Valverde una maggiore flessibilità nelle scelte e, magari, lasciar respirare Messi in vista delle partite che conteranno. Il Barça è la candidata maggiore al titolo, ma l’obiettivo dichiarato è un altro e non è detto che non venga sacrificato qualche punto in Liga per arrivare a giocare la Finale di Madrid.

 



 


Come accennato sopra, quest’anno Madrid ospiterà la finale di Champions, e più precisamente si giocherà al Wanda Metropolitano, la nuova casa dell'Atletico. Quale occasione migliore per interrompere il dominio europeo dei rivali cittadini? Con i ricchissimi rinnovi di Simeone, Griezmann e Saúl, la dirigenza dell’Atlético ha piantato i segnali luminosi che indicano la via, lasciando ancora nelle mani del Cholo il compito di rinnovare le ambizioni di questo gruppo.

 

Al momento, per quanto si siano giocate poche partite, le statistiche mostrano un Atlético rinnovato anche tatticamente, una squadra molto più aggressiva rispetto all’anno scorso nella metà campo offensiva, ben sopra la media della lega. Sembra che Simeone stia preparando una squadra maggiormente propositiva rispetto al passato, che non rinunci anche a fasi di possesso più lunghe, anche grazie all'inserimento di due giocatori come Rodri e

. Una transizione che sta provocando degli scompensi, come dimostra l’ultima sconfitta per 2-0 sul campo del Celta Vigo, abilissimo a sfruttare i buchi nel centrocampo

. Sarà la prima stagione di questo decennio senza Gabi Fernández in mediana con la fascia al braccio, una fase di assestamento bisogna concedergliela.

 

Il mercato ha puntato soprattutto a rinnovare le corsie laterali. In difesa è arrivato Arias, che dovrebbe dar fiato all’intramontabile Juanfran, mentre in attacco oltre al francese Lemar si è aggiunto il portoghese Gelson Martins. Sono due giocatori molto diversi: Lemar è più creativo, ha grande visione di gioco, e tende a spostarsi da sinistra verso il centro, muovendosi incontro alla palla e liberando spazio per le avanzate di Filipe Luis; Gelson invece è un esterno d'attacco più istintivo, brucia l’erba su cui cammina ed è stato sperimentato da Simeone anche nel ruolo di punta centrale. L’altro grande innesto è stato Rodri, un metro e novantatré di classe e disciplina, appena lanciato da Luis Enrique nel centrocampo della Spagna. Kalinic sarà la prima riserva in attacco, ha le caratteristiche per giocare sia con Griezmann che con Costa, e proverà a giocarsi l’ultima grande occasione della sua carriera.

 

È difficile fissare oggi un’asticella per le ambizioni dell’Atlético. Di sicuro era una squadra già molto forte, che il mercato ha ulteriormente migliorato rendendola più profonda e più completa. D’altra parte dà sempre l’impressione di giocare sul filo dei nervi, di imbracciare la tensione agonistica come trappola in cui tritare gli avversari, e di non poter evitare in alcun modo quelle 6/7 partite in cui pagherà il suo stesso stile. Chi sa, magari rispetto all’anno scorso vedremo un Atlético un po’ più regolare in Liga, con una gestione delle forze che gli permetta di restare con più regolarità a ridosso della prima posizione. Ma tutto lascia pensare che la priorità sia arrivare alla finale del primo giugno.

 

https://twitter.com/Atleti/status/1036649508187385856

 



 


Abbiamo provato a descrivere in molti modi diversi il peculiare stile di gioco dei merengues

, da

- senza legami tattici forti, ma capace di penetrare in qualunque situazione - a

(in cui il più forte, semplicemente, vince). Le qualità e le interpretazioni di gioco dei singoli arricchivano il collettivo; come i neuroni, i giocatori erano organizzati in reti addensate, di struttura variabile, intorno al pallone; come i neuroni, si aggiornavano continuamente le connessioni, così che la squadra nel suo insieme poteva modificare e ottimizzare il suo atteggiamento, imparare dall'esperienza e adattarsi alle mutevoli circostanze di una partita. Come per i neuroni, l’errore del singolo portava ad un nuovo adattamento della squadra.

 

La nuova gestione Lopetegui sembra voglia andare nella direzione opposta: creare un sistema di gioco, affinché esalti le qualità dei singoli. I principi di riferimento sono quelli del gioco di posizione, l’idea è quella di dominare il pallone, e attraverso il pallone dominare la partita - quindi non più surfare sul contesto tattico quasi sempre deciso dall’avversario.

 

Anche per questo, Lopetegui ha provato un centrocampo con Kroos-Isco-Ceballos, un triangolo delle Bermuda del pallone. Quindi Casemiro serve meno, ma servirà sempre, perché le sue qualità difensive, soprattutto a livello posizionale, non ce l’ha nessun altro in rosa. Il suo sacrificio è possibile solo se il Real acquisisce dei meccanismi perfetti in fase di riaggressione immediata: servirà tempo, ma intanto l’inserimento di Bale al posto di CR7 lo rende più fattibile (il portoghese era completamente escluso dalla fase di pressione). Bale dovrà sostituire Cristiano anche nella produzione offensiva, e questo sarà molto più difficile: il gallese non è uno sparapalloni, e ci sarà bisogno di un incremento significativo dei numeri di Benzema (per ora, 7 gol in due: mica male).

 

L’incredibile fluidità posizionale del nuovo tridente con Asensio-Benzema-Bale creerà molti problemi alle difese avversarie, ma corre anche il rischio di non finalizzare molto, portando pochi uomini in area di rigore: ci sono stati problemi sia con il Getafe, sia contro il Girona (partita stravinta ma sbloccata con due rigori). Non esistono anni di transizione al Real Madrid, ma sicuramente l’evoluzione della Casa Blanca sarà la sfida tattica più interessante tra le squadre più forti d’Europa: Lopetegui sembra sulla strada giusta, ma non sarà un processo facilissimo - perché l’unica cosa che funziona davvero, a Madrid, sono i risultati.

 



 


Il Valencia si è mosso benissimo, considerando il suo vincolo di bilancio: ha dovuto rinunciare a Cancelo, ma in entrata ha acquistato profili perfetti per il gioco di Marcelino - sembrano davvero disegnati da lui. In difesa sono arrivati Diakhaby dal Lione, il classico centrale forte fisicamente che piace molto all’allenatore asturiano (ma occhio alla coppia con Gabriel Paulista, troppo macchinosa), e Piccini dallo Sporting, che anche se si è già fatto notare negativamente in fase difensiva dovrebbe garantire un minimo di solidità in entrambe le fasi - la fascia destra del Valencia era un problema, e addirittura sono riusciti a vendere bene lo svagato Montoya al Brighton.

 

Anche perché quest'anno ci sarà bisogno di cross, visto che al posto di Zaza è arrivato Batshuayi in prestito dal Chelsea: un upgrade su tutti i livelli, perché il belga sa attaccare gli spazi (come piace a Marcelino), ma sa anche giocare nello stretto; può spaziare molto e combinare con Rodrigo, ma è abile nel gioco d’area, con un dominio fisico notevole per gli standard della Liga. Deve ancora esordire dal primo minuto ma Marcelino ha altre alternative: c’è l’incognita Gameiro, un attaccante mobile ma molto irregolare nella finalizzazione, che dovrà sostanzialmente garantire rotazioni di qualità, e Santi Mina che ha ancora margini di crescita.

 

A centrocampo è arrivato il danese Wass dal Celta, uno che può giocare ovunque ed è infatti stato già schierato in ben 3 ruoli su 4: esterno destro, centrocampista destro, esterno sinistro. Non proprio un fine passatore, ma esattamente il giocatore elettrico, aggressivo, polivalente e con capacità di inserimento e di tiro di cui aveva bisogno la squadra. A tutto questo, bisogna aggiungere il riscatto di Kondogbia, che da pivote difensivo ha ritrovato la sua via, e soprattutto l’acquisto a titolo definitivo di Guedes, che sembrava ormai tramontato.

 

Il Valencia non solo si è rinforzato, ma ha anche aumentato la profondità della rosa per far fronte agli impegni della Champions: è sulla strada buona per tornare ad essere costantemente una delle grandi della Liga. Adesso tocca a Marcelino ritrovare la compattezza di squadra, dopo una falsa partenza - per ora solo due punti in 3 partite.

 



 


Dopo una stagione un po’ pazza, fatta di vittorie all’Old Trafford e di sconfitte pesanti anche nel Gran Derbi, di sostituzioni continue di allenatori (tra cui anche Montella), il Siviglia doveva necessariamente rifondare. Lo ha fatto a partire dall’allenatore, Pablo Machín, che aveva creato il ciclo del Girona, basando la sua squadra su un mix di gioco diretto, aggressività e principi posizionali, con la scelta pressoché costante della difesa a tre.

 

Questo modello per ora sembra aver attecchito: il nuovo Siviglia sembra molto più solido e in controllo delle partite, con i due centrocampisti centrali dominatori assoluti del pallone. Roque Mesa è lo specialista della salida dalla propria metà campo; Banega è il classico connettore con la trequarti, dove El Mudo Vazquez e Sarabia si posizionano spesso nei mezzi spazi, permettendo così l’attacco in fascia di Jesus Navas ed Escudero (soprattutto il primo sembra essere rifiorito); peccato per il grave infortunio al perone (almeno due mesi fuori) di Gonalons, che appena arrivato si stava già conquistando il suo spazio, grazie sia alla fisicità che alla sua ricerca della verticalità.

 

In attacco, André Silva non sembra più quell’ectoplasma rossonero, ma un centravanti che aiuta la squadra con le sue sponde, fa da punto di riferimento e riesce anche a concludere - a dimostrazione che non esistono acquisti sbagliati in senso assoluto, bensì rendimenti sballati. Incredibilmente, e dopo tanti anni di incertezze, i rojiblancos sembrano aver risolto anche il problema portiere, con il ceco Vaclik, proveniente dal Basilea.

 

A tutto questo, nell’ultimo giorno di mercato la dirigenza ha aggiunto un bel colpo: l’olandese Quincy Promes, ambidestro, perfetto per giocare da ala nel tridente. Rimane un po’ di leggerezza in fase realizzativa, perché comunque André Silva e Ben Yedder non sono esattamente due bomber, e si è visto anche nella sconfitta contro il Betis (occhio alle ricadute psicologiche): ma se entrambi riescono a ingranare, il Siviglia può diventare la variabile pazza per la qualificazione alla Champions, oltre a vincere l’Europa League per la milionesima volta.

 


La scorsa stagione il Betis ci ha messo molto a trovare il sistema adatto per far funzionare al meglio le idee di Setién, ma una volta arrivato Bartra e con lui la difesa a 3 tutto è girato per il meglio, con una grande rincorsa fino all’Europa e una chiusura davanti ai rivali cittadini. Penso che un un anno in più sotto Quique Setién e con una campagna acquisti che a fronte della sola cessione illustre di Fabián Ruiz ha portato tra gli altri a rinforzare tutto il centrocampo con Inui, Lo Celso, Canales e William Carvalho, il Betis può essere considerata in vantaggio nei confronti dei rivali cittadini per la lotta alla Champions League.

 

Come visto anche nel

, il Betis è una squadra che non ha paura di essere ambiziosa, che sa cosa vuole fare in campo e come farlo. Una squadra che non vuole raggiungere compromessi, prova ad imporre il proprio gioco, fatto di un’uscita del pallone elaborata e un utilizzo di tutti e 11 i giocatori per arrivare nella zona di rifinitura. Non c’è un giocatore accentratore, ma tanti modi per arrivare in porta. La fiducia che i giocatori stanno mostrando nei confronti del calcio di Setién è totale e visto l’alto tasso tecnico della rosa è giusto sognare in grande.

 

https://twitter.com/OptaJose/status/1036358462035427328

 



 


La crisi economica che ha colpito la Spagna ormai una decina di anni fa ha avuto la sua ricaduta anche nel calcio: con gli investimenti che sono crollati e la mancanza di una redistribuzione dei proventi dai diritti tv più equa, le squadre di città di medie dimensioni si sono viste private delle risorse economiche in grado di reggere la loro enorme struttura. Sono quindi crollate realtà storiche come il Saragozza, il Deportivo, l’Hercules (di Alicante), il Murcia. Alcune come l’Oviedo, il Mallorca e il Recreativo Huelva sono arrivate ad un passo dal fallimento.

 

In questo contesto un polo attrattivo che ha risentito di meno della crisi come la capitale, Madrid, ha permesso anche a realtà di periferia di prosperare all’ombra dei due giganti. Perché si tratta di squadre senza pressioni, con strutture più flessibili, che possono avere progetti sportivi coerenti per più anni e in grado di adattarsi a vivere con meno. Lo stesso processo che ha portato a scalare la piramide a realtà piccolissime come Eibar e Huesca, ha dato spazio a squadre “di quartiere” come il Rayo Vallecano e il Leganés.

 

Il calcio madrileno è destinato a rimanere molto presente tra le due divisioni più importanti (al momento sono 7 in totale), ma 5 squadre in Primera dovrebbe essere un exploit destinato a rimanere poco: probabilmente una tra Leganés e Rayo, entrambe con un budget minuscolo e una rosa risicata, è destinata a retrocedere.

 



 


Il Celta negli ultimi anni è una squadra che non ha paura di pensare fuori dagli schemi ed osare anche nomi esotici, con l’unica discriminante di voler fare sempre un calcio offensivo. L’ultima scommessa si chiama Antonio Mohamed, un allenatore argentino istrionico e dalla storia personale particolare (per dire è sopravvissuto ad un incidente in macchina dov’è morto il figlio), che ha sviluppato la sua carriera in Messico negli ultimi 15 anni.

 

Arrivato come oggetto misterioso si è rivelato da subito un allenatore con le idee chiare, il suo Celta deve essere basato su tre pilastri: prima di tutto una difesa flessibile, poi un centrocampo tecnico ed infine un tridente completo. La difesa è capace di passare a 4 o a 3 a seconda dell’avversario (muovendosi attorno ad un 3-4-3) o del momento della gara, grazie allo scivolamento del capitano Hugo Mallo sull’esterno destro. Poi la palla deve essere gestita dalla coppia di centrocampo formata da Lobotka e il nuovo acquisto Fran Beltran, entrambi abili nella gestione, in grado di dettare i tempi e allo stesso tempo abituati a difendere in avanti.

 

Sembra infine aver capito come meglio sfruttare il tridente offensivo formato dal capitano Iago Aspas, la punta Maxi Gomez e l’esterno dribblomane Pione Sisto: la novità già vista in tutta la sua efficacia nella vittoria contro l’Atlético di Madrid è quella di far venire Pione Sisto dentro il campo, ricevendo in zone della trequarti in cui la sua capacità di conduzione è mortifera e liberando quindi Iago Aspas delle attenzioni della difesa. Mohamed ha colto subito il favore del pubblico, che gli riconosce un carisma innato e la capacità di dare una solidità tattica con e senza palla che era mancata la scorsa stagione. Il suo Celta ha il talento e un sistema che sembra poterlo far tornare ad ambire all’Europa.

 

https://twitter.com/RCCelta/status/1035937176440197121

 


Va seguito anche Pablo Machín del Siviglia, in qualità di esponente di una nuova scuola spagnola che definirei più pragmatica, una scuola da cui non uscirebbe mai un pazzo esteta come Paco Jemez, per dire. Ci sono una serie di allenatori che alternano più sistemi, e che non disdegnano affatto il gioco diretto: Machín è tra quelli in rampa di lancio. In una estrema sintesi, e considerando le enormi differenze di campionati e provenienza, il suo sistema di gioco somiglia molto a quello di Antonio Conte.

 

La difesa a tre come cardine della solidità difensiva ma anche del possesso; con principi posizionali si cerca l’uscita pulitissima del pallone dalla propria trequarti, per poi verticalizzare; ricerca della punta anche direttamente dalla difesa, se possibile; ruolo della punta come abilitatore del gioco; grande aggressività sulla trequarti avversaria e in mezzo al campo. Insomma, la varietà tattica della Liga continua ad aumentare, in barba alla celebre e sconsiderata frase di Prandelli sulle squadre spagnole che giocano tutte con il 4-2-3-1.

 


Dal suo arrivo al Levante lo scorso marzo Paco Lopez ha compiuto un vero e proprio miracolo. Dopo quindici partite senza vittorie, i granotes hanno iniziato a macinare punti al ritmo del Barcellona campione di Spagna, con otto vittorie e un pareggio in undici incontri.

 

Oggi il Levante è una squadra che propone un 4-4-2 in cui le distanze corte permettono di modulare a diverse altezze il baricentro in fase di non possesso; la costante, sia nella propria metà campo, sia in fase di pressing alto, è l'aggressività nelle uscite sul portatore di palla, condizione necessaria per creare transizioni offensive e sfruttare l'elettricità di giocatori come Toño, Morales o Boateng. Principio valido anche col pallone: l'idea di Paco Lopez è di costruire palla a terra ma sempre in maniera diretta. In questo senso il 4-4-2 è il modulo migliore: uno schieramento in cui ogni giocatore, teoricamente, ha sempre una linea di passaggio in verticale a cui appoggiarsi, avanti o indietro.

 

Anche in questo inizio di campionato Paco Lopez non ha perso il tocco: il Levante ha sconfitto a domicilio il Betis di Setien e ha messo in seria difficoltà il Valencia nel derby terminato 2-2. Dopo la salvezza dello scorso anno, Paco Lopez dovrà dimostrare che un appiglio tattico ben definito può fare la differenza, specie per squadre di media-bassa classifica.

 



 


Oltre alle certezze Betis e Celta, e possiamo dare per scontato anche l'Athletic Club di Berizzo, un altro progetto ambizioso in questo momento è quello dell’Espanyol di Rubi, collaboratore designato di Tito Vilanova prima della malattia e reduce dalla promozione con l'Huesca. In un ambiente depresso da una stagione mediocre e dalla partenza di Gerard Moreno, Rubi sembra aver restituito dignità alla seconda squadra di Barcellona, grazie soprattutto al clamoroso upset sul Valencia.

 

Una vittoria ottenuta secondo i principi di gioco che avevano attirato l'attenzione di Vilanova. Col suo 4-3-3 Rubi non rinuncia mai a costruire l'azione dal basso e, se necessario, invita anche le ali ad abbassarsi per favorire la prima circolazione e provare a sorprendere gli avversari alle spalle delle linee di pressione; contro difese chiuse invece prova a penetrare attraverso il possesso ragionato e l’occupazione in ampiezza del campo. Nelle intenzioni di Rubi l'Espanyol controlla il pallone con calma, anche contro squadre dal pressing indiavolato come il Valencia di Marcelino. Con queste idee e con un centrocampo così tecnico come quello formato da Roca, Granero e Darder, chissà che, oltre a riportare entusiasmo dalle parti di Cornellà-El Prat, Rubi e i suoi non riescano a insinuarsi nella bagarre per l'Europa League.

 


Può suonare una provocazione consigliare una squadra che ha segnato un gol nelle prime tre partite, e quel gol l’ha dovuto segnare il 37enne Joaquín contro una squadra in inferiorità numerica. Però sarebbe altrettanto una provocazione parlare di squadre «pazze e offensiva» e lasciare nel cassetto il Betis Siviglia di Quique Setién. Il Betis lo conosciamo tutti, oppure non vi piacciono davvero le squadre pazze e offensive, altrimenti non è possibile, cosa avete fatto negli ultimi dodici mesi.

 

Però vale la pena ragionare su come e quanto il Betis sia cambiato con il mercato estivo. Quest’anno Setién ha implementato la difesa a 3 con più insistenza e con meno fluidità rispetto alla stagione passata. Il modulo di partenza è il 3-4-2-1, con i nuovi acquisti Carvalho, Canales e Inui che riempiono le posizioni centrali assieme a Guardado, irremovibile dalla cabina di regia. Il ruolo del centravanti è un nodo da sciogliere, perché Loren Morón non è riuscito a tenere il passo della sua esplosione primaverile, ma Sanabria, che è entrato sempre nei minuti finali, ha collezionato statistiche ben più scialbe dello spagnolo in tutte le voci offensive.

 

Il centrocampo ha perso Fabian Ruíz, e per ora sembra aver accusato il colpo. William Carvalho si presentava sul mercato a un prezzo forse irripetibile, e questo giustifica ampiamente l’investimento, ma alla prova del campo rappresenta sempre un’incognita. È di sicuro un giocatore elegante, che passa bene il pallone, che è sempre nel vivo del gioco, ma la lentezza negli smarcamenti e lo scarso istinto per la giocata risolutiva lo rendono spesso poco più di un bell’ornamento nel vertice alto del rombo di costruzione. Setién può contare anche sul rodato Javi García per ricoprire quella posizione, ma è legittimo voglia lavorare su un prospetto di indubbio talento.

 

Il Betis di Setién è una squadra che deve ancora ritrovarsi ma che è rimasta fedele ai suoi principi, che accompagna il pallone con tutti i reparti da un’area di rigore all’altra, che innesca scambi veloci e giocate elettrizzanti a qualunque altezza del campo, e che prima o poi ritroverà la sua proverbiale prolificità. Chissà se infine l’inserimento di Lo Celso si rivelerà la chiave che torna a sbloccare il meccanismo.

 



 


Non sono così sicuro che il pessimo andamento del Real in Liga, che comunque ha vinto solo una volta con Zidane, fosse dovuto a una scelta (magari legata anche alla gestione fisica del gruppo). Il Real Madrid, per com’era strutturato, era poco adatto a un torneo così costante e logorante come un campionato, in cui devi martellare ogni domenica, e devi avere delle routine di gioco iper collaudate per rispondere ai vari problemi creati dalla squadra di turno. Una piccola conferma viene anche dai due secondi posti consecutivi nei gironi di Champions con Zidane (nella prima stagione c’era ancora Benitez): il Real poteva davvero esercitare il suo dominio mentale solo in partite da dentro o fuori, ma non in un percorso che richiedesse regolarità. La Casa Blanca era un grandissimo gruppo di campioni (nettamente il migliore al mondo per qualità tecnica), che riusciva a dare il meglio in eventi singoli, in periodi limitati: in particolare da febbraio a maggio, quelle 7 partite che portano ad alzare la Champions League.

 

Probabilmente il nuovo Real sarà più regolare, perché basato su un sistema di gioco definito, su cui poter contare in ogni momento: e quindi si spera che avremo una Liga più combattuta. La rosa d’altronde mi sembra pienamente in grado di far fronte a tutte le competizioni, dopo il ritorno di Mariano dal Lione non ci sono più posizioni scoperte, e persino Navas e Carvajal hanno di nuovo concorrenza (nonché successori, forse sin da subito) in Courtois e Odriozola. Può sempre trasformarsi in un disastro, ma più che di transizione dovrebbe essere una stagione di formazione: chissà quanto profondamente cambierà, il nuovo Real.

 

https://twitter.com/OptaJose/status/1036696152056446980

 



 


Giovanni Lo Celso al Betis è l’acquisto più affascinante. Da una parte per il valore del giocatore, elevatissimo ma ancora non troppo testato (dopo la discontinua esperienza parigina), e di cui quindi non conosciamo i limiti. Ci sono le condizioni affinché l’argentino possa disputare un grande campionato: il sistema di Quique Setién è perfetto per giocatori cerebrali, tecnici e grandi passatori; la sua visione di gioco può essere fondamentale sia nei due di centrocampo che sulla trequarti, potendo così occupare sia il ruolo di Guardado che di Canales. Le ambizioni del Betis di questa stagione coincidono con le sue: questa volta Lo Celso non ha più scuse.

 


Gerard Moreno viene da una stagione da 16 gol e sembra essere l'uomo giusto per il Villarreal di Calleja. Il sistema del Submarino Amarillo ruota attorno al talento del suo rombo di centrocampo, per cui gli attaccanti hanno il compito, con i loro movimenti, di assecondare l'istinto creativo e associativo di Fornals e compagni. Gerard in questo senso è la punta perfetta, grazie a un'ottima intelligenza nei posizionamenti, soprattutto quando si tratta di allargarsi per aprire il corridoio centrale alla mezzala o al trequartista. Da quella posizione, grazie alla sensibilità del sinistro e alla visione di gioco riesce sempre a far tornare il pallone al centro in maniera pulita, che si tratti di una palla in profondità o a rimorchio per il centrocampista. In più, da lì può condurre in diagonale per poi calciare in porta, come ha già fatto contro la Real Sociedad. Senza dimenticare che, in caso di emergenza, sa farsi valere anche sulle palle aeree, grazie allo stacco e all'ottimo uso del petto. Non si muoverà alle spalle della difesa come Bakambu o Bacca, ma Gerard aggiunge una quantità di risorse al gioco del Villarreal davvero irrinunciabili.

 


Quincy Promes viene da una stagione da 17 gol e 10 assist tra Russian Premier League e Champions League, è entrato ora nel picco della sua carriera. Per tecnica in velocità è un giocatore perfetto dietro la punta nel 3-4-2-1 che Machín sta provando ad installare al Siviglia. Dovesse mettere da parte i dubbi sul suo temperamento potrebbe essere la stella che il Siviglia sta cercando da affiancare al Mudo Vazquéz. Un giocatore cinetico e travolgente e uno tecnico e riflessivo. Nel contensto del Siviglia prendere un giocatore del genere, con le sue caratteristiche e la sua esperienza internazionale a 21 milioni può essere considerato un vero affare in questo mercato che pone cifre molto più alte per giocatori paragonabili.

 



 


Volevo scrivere di Bardhi, che nelle piccole cose - tenere compatta la squadra, ricucire il gioco, gestire i tempi dell’attacco - è utilissimo, e ogni tanto tira fuori lampi

Beckham (come l’assist contro il Valencia). E tutti i ragazzi che non progettano di superare il metro e settanta dovrebbero studiarselo, perché il controllo del corpo, la reattività e l’intensità difensiva sono le chiavi per sopravvivere a quei livelli.

 

Poi mi sono imbattuto nelle statistiche di José Luis Morales, l’attaccante con il record di gol in Primera División nella storia del Levante, una classica storia di provincia: ha lasciato il mondo dei dilettanti soltanto a 23 anni, ha raggiunto la doppia cifra di gol soltanto una volta in carriera (nella passata stagione, 10), e compirà 31 anni fra pochi giorni. Adesso ha iniziato a giocare un calcio sopraffino. È il terzo giocatore della Liga per dribbling tentati p90, e tra i primi 10 in questa classifica è quinto per precisione dei dribbling. Per dare una misura delle altezze a cui siamo saliti, sopra di lui ci sono solo Messi e Isco. Non solo, è sesto per gol segnati p90 (altra classifica guidata da Messi) ed è ottavo per passaggi chiave p90 (anche qui Messi, uff). Mi piace come corre, con la testa sempre molto in avanti rispetto al corpo, metafora sciatta per tutti gli attaccanti di talento che rincorrono una carriera sbocciata in ritardo. Non lo vedremo mai con la maglia del Madrid o del Barça ma è un idolo buono per tutte le stagioni.

 

https://twitter.com/LaLiga/status/1036197019885465601

 


Juan Camilo 'El Cucho' Hernández, centravanti della matricola Huesca alla prima stagione nella Liga: 16 gol e 6 assist nella passata stagione, quella della promozione; primo gol nella Liga segnato al Camp Nou contro il Barça. Il co

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