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Daniele V. Morrone
L’atlante emotivo di New York
30 giu 2017
30 giu 2017
Cosa resta dei 39 mesi della presidenza Phil Jackson ai Knicks?
(di)
Daniele V. Morrone
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L’atlante emotivo di un tifoso dei New York Knicks in questi 39 mesi con Phil Jackson a capo della dirigenza è stato coperto praticamente per completo, passando dalla disperazione alla rabbia passando brevemente per un po’ di speranza e qualche sprazzo di gioia. Un ottovolante emotivo del tutto normale a New York, per quella che non solo è la squadra della città più famosa degli Stati Uniti, ma è anche la franchigia più disfunzionale della lega negli ultimi 15 anni — con solo una stagione di livello in questo lasso di tempo che ormai dista quattro lunghe annate, nonostante si sia speso come pochissimi altri.

 

Provare a raccogliere in un solo pezzo le pagine di questo atlante è un’impresa titanica che non penso di poter fare con i tempi ristretti che il licenziamento improvviso di Phil Jackson (pardon, “

”, come è stato scritto nel comunicato) impone all’analisi. L’ultima volta che ho scritto dei Knicks era stato un anno e mezzo fa per parlare della

, e in così breve tempo già sono successe talmente tante cose da non poterle elencare tutte. Per dire: su

l’ottimo Rodger Sherman ha provato a stilare una

completa dei pochi alti e dei tanti bassi di tutti questi mesi sotto Jackson.

.

 

Non voglio quindi fare un elenco completo di tutto ciò che è successo, visto che già lo potete trovare al link precedente. L’unica cosa certa è che Jackson ha sbagliato. Ha sbagliato a scegliere di fare un lavoro per cui fondamentalmente non era preparato a rimettersi in gioco, in un’area che è cambiata enormemente nel tempo in cui è rimasto fuori dalla NBA. Ha sbagliato a sopravvalutare la sua esperienza. Ha sbagliato a sopravvalutare il valore mistico del suo sistema offensivo. Ha sbagliato nella gestione dei rapporti con il suo roster. Fondamentalmente ha sbagliato l’intero

al lavoro. In questi tre anni abbondanti il proprietario Dolan gli ha dato carta bianca per fare la squadra a sua immagine e somiglianza e il risultato è stato un ambiente tossico in cui le due stelle della squadra, quella del passato in Carmelo Anthony e quella del futuro in Kristaps Porzingis, hanno voglia di scappare il più lontano possibile appena finita la stagione per tornare a respirare aria pulita.

 

Phil Jackson si è comportato più come l’allenatore leggendario che era (

) piuttosto che come il presidente della ricostruzione di cui i Knicks avevano bisogno, attentando alla sua

(di cui ai tifosi giustamente interessa poco) e distruggendo quel briciolo di prestigio che la squadra di New York porta con sé. Quando dico che si è comportato come l’allenatore che era intendo dire che il suo rapporto con i giocatori è stato basato sugli stessi principi di un

vecchio stile che cerca di integrare i giocatori nel suo cerchio della fiducia, educandoli giorno dopo giorno fino ad escludere chi ne è fuori. Una cosa che un Presidente di una franchigia non si può permettere dovendo sempre ragionare a medio-lungo termine e non di stagione in stagione.

 

Prendiamo tutta la querelle con Porzingis, esempio più calzante rispetto alla No Trade Clause concessa a ‘Melo (per la quale ha tutti i torti del mondo, visto che alla fine dei conti l’ha concessa lui). Vista dagli occhi di Phil, tutte le voci messe in giro su un possibile scambio del lettone servivano più che altro per “dare una lezione” al ragazzino ribelle. E queste non sono nemmeno parole mie ma dello stesso

di Jackson, Charley Rosen, scritte nell’ennesimo

di questi mesi in cui Rosen è stato utilizzato come

di Jackson, una specie di pappagallo ammaestrato a dire ciò che vuole il Maestro Zen. Porzingis, secondo la loro opinione, deve imparare come si sta al mondo nella NBA, seguendo i consigli di chi gli dice come migliorare alcuni aspetti del suo gioco invece di altri (nonostante vadano contro le proprie inclinazioni) e imparare a capire le conseguenze delle sua azioni. Una visione tremendamente paternalistica di “insegnamento alla vita nella lega” da chi ci sta da prima che lui nascesse. Un modo come un altro con cui i santoni della panchina rintuzzano il proprio ego.

 

Solo che nella visione della realtà NBA attuale — per fortuna molto più in mano ai giocatori rispetto a prima — questo comportamento è un suicidio per il medio periodo, perché alla fine è Porzingis ad avere il coltello dalla parte del manico, essendo l’unica speranza a roster per un futuro migliore. Senza Kristaps, nulla di tutto questo avrebbe veramente senso.

 

 



 

Prima di arrivare al nocciolo del pezzo ed evitando tutti i discorsi sulla Triangolo, questa è la mia top 5 delle peggiori e migliori mosse di Phil Jackson come presidente:

 

5) Ha firmato Sasha Vujacic non come assistente, ma come giocatore — spingendo anche per farlo giocare.

4) Ha dato un lavoro a Kurt Rambis in un’organizzazione NBA nel 2017.

3) Ha dato 73 milioni di dollari al cadavere di Joakim Noah.

2) Ha concesso la No Trade Clause a Carmelo Anthony.

1) Ha messo, o fatto finta di mettere, Kristaps Porzingis sul mercato.

 

Questa la top 5 delle migliori:

5) Ha firmato Courtney Lee ad un prezzo onesto.

4) Ha pescato Langston Galloway tra gli

.

3) Ha licenziato Derek Fisher ammettendo finalmente un suo errore.

2) Ha scelto Willy Hernangomez al secondo giro del Draft.

1) Ha scelto Kristaps Porzingis al Draft con la numero 4.

 

 



 

In maniera perfettamente coerente con la città che non dorme mai, la notizia del licenziamento è arrivata nella notte americana del 28 giugno, a tre giorni dall’inizio della free agency e due giorni dopo il Draft. Non è neanche chiaro esattamente cosa sia stato a far scattare la decisione, se un evento specifico (diciamo la debacle pre-Draft con Porzingis o

) o una somma di tutte le cose successe nelle ultime settimane, culminata con l’ammissione di non saper come uscire con qualcosa in mano dalla cessione di Anthony (con Coach Zen che spingeva per un sanguinosissimo

). Non è nemmeno chiaro se sia stata una decisione autonoma di James Dolan o se lo stesso Phil Jackson abbia lanciato l’esca durante una discussione con il proprietario, ammettendo di non voler continuare oltre i due anni rimanenti di contratto (peraltro confermato appena due mesi fa per ulteriori 24 milioni di dollari: un modo come un altro per farsi cacciare da un lavoro troppo dispendioso dopo aver incassato tutti i soldi). Come sempre c’è stata una mancanza totale di chiarezza nella presa di decisione di una società, e come ogni volta è calata dall’alto senza spiegazioni e senza che nessuno ci mettesse la faccia, essendo alla fine tutto questo è il giochino personale di James Dolan — il quale peraltro nella notte del Draft aveva cose più importanti a cui pensare, come la sua

.

 

https://www.youtube.com/watch?v=PszozSTwmb4

JD and The Straight Shot!



 

Tutto questo senza considerare quello che è successo in campo, perché in tutta questa storia la cosa peggiore sono state proprio le partite giocate dalla squadra negli ultimi tre anni. Veder giocare i Knicks — posso assicurarlo avendone viste fin troppe in questo lasso di tempo — è stata la cosa più vicina all’autolesionismo che un tifoso può arrivare a sperimentare. Perché i Knicks non erano perdenti provando almeno ad essere divertenti: erano perdenti giocando proprio un brutto basket. Erano la squadra meno sexy della NBA pur avendo a disposizione

. Un insieme di veterani e giocatori raccattati in giro per la lega che non riuscivano nemmeno ad avere un’identità in campo, se non quella di

riuscire a fare il proprio gioco. Inguardabili come solo una recita delle medie mal interpretata può esserlo. Non solo non erano credibili: neanche ci provavano.

 

Quando un veterano come Courtney Lee

di non capire perché in allenamento si provi solo la Triangolo, non è altro che il campanello di allarme di un giocatore che capisce che una squadra che ha imparato a difendere

non è in grado di interpretare gli altri. Il risultato è stato quindi l’assenza totale di comunicazione in campo, perché in ogni situazione ognuno la vedeva a modo suo. I Knicks hanno mostrato un sistema difensivo atroce sopratutto per letture, proprio perché la squadra non era in grado di fare aggiustamenti durante la stagione, ingabbiata dall’attenzione riservata al monolite in attacco.

 

https://www.youtube.com/watch?v=bcv8JyDZZUo

La difesa dei Knicks è stata a tratti comica durante la stagione.





 



 

La totale attenzione all’attacco, ma con il freno a mano tirato nei confronti delle libertà concesse a Jeff Hornacek, ha fallito clamorosamente. Senza neanche parlare di numeri e tolto che come sistema sia in contrasto con i dettami di base nelle spaziature contemporanee, l’esecuzione stessa degli schemi offensivi ha lasciato parecchio a desiderare. New York voleva

, ma lo faceva sempre male. Sia chiaro che non c’è niente di sbagliato ad andare controcorrente se questo porta comunque dei risultati: l’ultima cosa che vogliamo è una NBA di piccoli cloni della squadra dal sistema dominante. Però con l’esperimento-Triangolo i Knicks hanno fatto il passo più lungo della gamba. Anche perché, nonostante Jackson in estate abbia avuto tutto lo spazio del mondo per costruire la squadra a sua immagine e somiglianza, l’idea stessa di calare dall’alto un sistema come quello non poteva certo portare a nulla di buono se poi in campo ad eseguirlo ci va una point guard come Derrick Rose.

 

Soprattutto, vista la natura complessa di un sistema fatto di letture e quindi basato sul talento intrinseco degli interpreti, non si può pretendere di avere dei risultati positivi partendo da una squadra al primo stadio della ricostruzione. Si può imparare la Triangolo come si può imparare qualsiasi cosa, ma senza il talento naturale per delle specifiche letture del gioco è impossibile essere efficaci in campo. E questo discorso è solo la punta dell’iceberg che è la valutazione della scorsa stagione di New York, di cui non voglio parlare di più perché l’unica cosa che conta è che almeno è finita.

 

 



 

Quando a Jeff Hornacek è stato chiesto se ora i Knicks stanno ancora cercando giocatori per un determinato sistema (riferito alla Triangolo), lui ha risposto

. Ora i Knicks possono cercare giocatori di livello per coprire i buchi nel roster, poi starà a lui costruirci sopra un sistema che funzioni — ma se non altro sarà una sua scelta. Sulla free agency si parla già di un cambio di strategia verso un giocatore in grado di portare palla e soprattutto in grado di eseguire un pick and roll come si deve con Porzingis, dopo l’embargo voluto da Jackson che voleva il suo futuro giocatore franchigia soprattutto spalle a canestro. La situazione salariale è peggio di quanto si possa pensare per una franchigia in ricostruzione, con i Knicks che dopo le spese dello scorso anno non hanno uno spazio sufficiente a firmare qualcosa di più di un buon titolare per il ruolo (a meno di movimenti impensabili, lo spazio salariale è attorno ai 20 milioni): si parla di George Hill come improbabile prima scelta e Jeff Teague come più probabile ripiego nel ruolo scoperto.

 

Quella di andare sul mercato bruciandosi tutto lo spazio libero per una point guard è una situazione un po’ paradossale, visto che al Draft era disponibile un giocatore con un potenziale sulla carta superiore ai nomi citati in Dennis Smith Jr. Ora si vedrà invece solo con l’andare avanti della stagione come sviluppare Frank Ntilikina,

per le potenzialità difensive e perché teoricamente perfetto per la Triangolo, ma che non sembra avere grandi potenzialità come primo portatore in un sistema NBA contemporaneo, complice la mancanza di velocità di base per poter chiudere a canestro: potrebbe quindi risultare più utile a breve termine come esterno con funzioni da secondo portatore.

 




L’ideale, nel frattempo, sarebbe iniziare con l’imparare come scrivere il nome della propria prima scelta.



 

Non è ancora neanche chiaro se i Knicks inizieranno il mercato con il GM Steve Mills come traghettatore o se sceglieranno l’erede di Jackson in tempo per la free agency (parlando di New York è difficile anche solo prevedere chi si sederà su quella poltrona). Dolan da sempre è per i nomi forti e i nomi che sembrano piacergli di più sono Masai Ujiri di Toronto e Sam Presti di Oklahoma City, ma sono ovviamente già sotto contratto e le squadre per cui lavorano dovrebbero essere compensate per liberarli (ad esempio con delle scelte al Draft): i Knicks non sembrano così disposti a farlo, considerando il fatto che con ogni probabilità si prospetta ancora un anno di ricostruzione. Per questo, oltre all’ex GM dei Cavs David Griffin (il più probabile) e la classica voce fatta uscire su John Calipari che vorrebbe tornare in NBA (poi smentita da lui stesso), si è addirittura ripresentato lo spettro di Isiah Thomas, che nonostante tutti i danni creati in passato ai Knicks proprio in quel ruolo ancora si aggira per il MSG con un ruolo nella squadra di WNBA. Con grande sollievo di tutti

di essere interessante ad ascoltare un’eventuale offerta rimanendo fedele al lavoro con le Liberty e NBA TV. Grazie Isiah.

 

Il classico dollaro educato va speso sul fatto che Dolan riuscirà a rovinare ancora tutto tra qualche tempo in qualche modo, ma i tifosi devono godersi questo momento di transizione perché almeno la partenza di Jackson ha ridato un minimo di speranza per il futuro. La speranza di poter abbandonare finalmente la presenza moralizzatrice di un sistema come base per ogni decisione tecnica, in grado di castrare ogni minimo tentativo di adeguamento a discorsi più contemporanei e al contempo non in grado di reggere la corsa agli armamenti degli sviluppi tattici della pallacanestro NBA. La speranza è che i Knicks ritornino tra il novero delle franchigie funzionali, per quanto i limiti del mercato della Grande Mela possono permetterlo: la prossima stagione si presenta come l’ennesimo punto di ripartenza, ma ora almeno forse New York non sarà più vista come località non interessante per i giocatori.

 

E se è vero che tutta questa situazione è probabilmente

che le cose possano migliorare, la nota positiva è che di tutte le scorie tossiche lasciate da Phil Jackson (due su tutte: il contratto di Noah e la presenza di Kurt Rambis tra lo staff) comunque è presente una base da cui ripartire: con la base tecnica formata da un lettone sopra i due metri e venti accompagnato da buoni

come Hernangomez, Lee e probabilmente Ntilikina. Il mantra per i tifosi deve essere che l’unica cosa che davvero conta è anche l’unica cosa veramente buona fatta da Jackson: Kristaps Porzingis è rimasto dov’è giusto che stia e ora si potrà ripartire assecondando il suo sviluppo.

 

In attesa che il ciclo dell’atlante emotivo ricominci daccapo, almeno questa è una bellissima sensazione.

 

 

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