Non è stato necessariamente un Draft spettacolare o particolarmente sorprendente, almeno nelle prime dieci posizioni, ma la notte di Brooklyn non è stata di certo noiosa grazie alle numerose trade che ci sono state. Quella più clamorosa ha portato Jimmy Butler a Minnesota insieme alla scelta numero 16 (diventata Justin Patton) in cambio di Zach LaVine, Kris Dunn e la scelta numero 7 (diventata Lauri Markkanen). Un vero colpo di genio dei T’Wolves, che ci avevano già provato lo scorso anno con un pacchetto simile prima di vedersi rispondere ripetutamente picche: Tom Thibodeau ritrova il suo giocatore feticcio e lo inserisce in un terzetto di assoluto rispetto con Andrew Wiggins e Karl-Anthony Towns, ma soprattutto lo fa cedendo tre asset sì giovani, ma che non avevano convinto del tutto come LaVine (inconsistente a livello difensivo e reduce dalla rottura del legamento crociato, che per un giocatore così dipendente dall’esplosività è sempre un punto di domanda), Dunn (incapace di insidiare il posto in quintetto di Rubio al suo primo anno) e Markkanen (sul quale potete leggere i dubbi poco sotto). Un pacchetto tutto sommato contenuto, considerando anche l’inclusione della scelta numero 16 che rende illeggibile lo scambio dalla parte di Chicago: davvero non c’era niente di meglio di questo, neanche aspettando il 1 luglio? E perché farlo ora dopo aver resistito lo scorso anno? L’inclusione di Markkanen vale davvero la cessione del proprio giocatore franchigia sotto controllo fino al 2019?
L’altra trade più importante, quella che ha portato Philadelphia a scegliere con la 1, era già stata consumata settimana scorsa e ha portato ovviamente a Markelle Fultz. I Sixers sono i grandi vincitori del Draft, prendendosi un giocatore di assoluto talento e un fit perfetto per quelli che hanno già a roster, ma anche i Sacramento Kings – a sorpresa, visto quanto fatto negli ultimi anni – ne escono benissimo con tre prospetti in posizioni di necessità per ricostruire il roster. Sono stati pochi i giocatori “caduti” rispetto alle previsioni iniziali – solo Malik Monk alla 11 e O.G. Anunoby alla 23 hanno davvero dovuto aspettare per vedere il loro nome chiamato da Adam Silver -, mentre una delle note più liete è che la profondità di questa classe ha portato a diversi nomi interessanti anche nel secondo giro, con un colpo potenzialmente intrigantissimo per i Golden State Warriors. Andiamo ad analizzare cosa è successo scelta per scelta.
- Philadelphia 76ers – Markelle Fultz (PG – Washington)
Con l’arrivo di Fultz si aggiunge il pezzo finale che segna il termine del Process e comincia la ricostruzione del roster, che parte da uno dei migliori prospetti della NBA recente assieme a Ben Simmons e Joel Embiid. I Sixers si assicurano il giocatore più talentuoso del Draft, una guardia capace di segnare su tutti i tre livelli offensivi (al ferro, dalla media distanza e da 3), che sa come gestire tempi e spazi con la palla in mano ma è anche utile lontano dalla stessa, grazie a letture e un primo passo fulmineo. Il miglior realizzatore possibile dal palleggio.
- Los Angeles Lakers – Lonzo Ball (PG – UCLA)
Dopo la cessione di D’Angelo Russell ai Brooklyn Nets, tutti i dubbi su questa scelta sono stati spazzati via, permettendo a Ball di continuare il percorso losangelino dopo esser cresciuto a 40 minuti di auto dalla downtown di L.A. e aver passato a UCLA il suo unico anno all’università. C’è molta curiosità per capire come Ball riuscirà a traslare il suo gioco in NBA: talento unico nel suo genere, sarà interessante scoprire se riuscirà ancora a cambiare le partite anche prendendosi pochi tiri, facendo leva sulla sua incredibile velocità di lettura e istinti cestistici strepitosi. Il carisma per affrontare questa sfida non gli manca di certo ed è per questo che la dirigenza lacustre non sembra aver problemi a concedergli il grande palcoscenico fin da subito, facendogli spazio in quintetto base.
- Boston Celtics – Jayson Tatum (F – Duke)
In molti si aspettavano una scelta “alla Danny Ainge” con la presa di un two-way player come Josh Jackson, e invece i Celtics hanno deciso di puntare forte su un realizzatore come Tatum. Il prodotto di Duke è uno scorer naturale nelle situazioni di isolamento, capace di lavorare di piedi in maniera avanzata per poter creare la giusta separazione col difensore e concludere al ferro o con il palleggio-arresto-tiro. I limiti difensivi impauriscono, ma il potenziale atletico e tecnico – e l’etica lavorativa ferrea del ragazzo – sono una buonissima base di partenza per un miglioramento in tal senso. Difficilmente sarà pronto all’uso in tempi brevissimi, ma il suo è un profilo che manca nel roster dei C’s.
- Phoenix Suns – Josh Jackson (F – Kansas)
A proposito di profili mancanti a roster: Jackson sembra fatto dal sarto per entrare fin da subito nelle rotazioni di una squadra a cui mancava un giocatore con queste caratteristiche da all-around. Versatilità sui due lati del campo, uno dei migliori ad abbinare doti atletiche di primo livello a trattamento di palla e visione di gioco ottime per il ruolo, ma anche capace di poter essere impiegato in più modi in fase difensiva. È il tassello del puzzle mancante da mettere accanto non solo a Devin Booker, ma anche ai giocatori draftati lo scorso anno (Marquese Chriss e Dragan Bender) per completare una frontline potenzialmente completa su tutti gli aspetti del gioco e capace di cambiare su tutti in difesa.
- Sacramento Kings – De’Aaron Fox (PG – Kentucky)
Giocatore fortemente voluto fin dalla prima stesura dell’ordine di scelta, tanto che già prima dello scambio tra Sixers e Celtics per la #1 i Kings sembravano i maggiori indiziati per fare trade-up ed accaparrarselo senza dover dipendere dalle scelte degli altri. Point guard razzente capace di creare transizione dal nulla, spettacolare difensore sulla palla e carisma da primo della classe. I dubbi sul tiro sono legittimi, ma la meccanica di tiro non è così rotta come si vuol credere, e ci vorrà (molto) poco a Dave Joerger a dargli in mano le chiavi di una squadra giovanissima.
- Orlando Magic – Jonathan Isaac (F – Florida State)
Messi spalle al muro nel momento in cui Tatum è uscito dal tabellone, i Magic hanno deciso di virare su un profilo differente, passando dall’ala con le migliori qualità realizzative a quella con le migliori qualità difensive in prospettiva. L’accoppiata con Aaron Gordon non sembra essere delle migliori dal punto di vista offensivo, ma in difesa i due hanno i mezzi per essere potenzialmente devastanti per mobilità, taglia fisica e atletismo, soprattutto se gestiti da un allenatore dalla mentalità difensiva come Frank Vogel. Offensivamente Isaac è una pagina che aspetta di essere scritta: difficile che possa venir fuori già nei primi anni, ma il tocco dalla distanza e la coordinazione fanno ben sperare in un possibile sviluppo come 3&D nelle posizioni di 4 e anche di 5.
- Chicago Bulls – Lauri Markkanen (FC – Arizona)
Con la cessione di Jimmy Butler ai T’Wolves i Bulls hanno accelerato il progetto di ricostruzione che prevedibilmente porterà pure Rondo e Wade – anche qualora decidesse di non esercitare la player option – a dover trovarsi una nuova casa. La scelta di Markkanen è rischiosa sotto più punti di vista: non c’è mai stato un contatto tra le due parti nel pre-Draft, la presenza di Nikola Mirotic (anche lui restricted) potrebbe complicarne la crescita e il ragazzo non sembra essere il giocatore più solido mentalmente su cui poter rifondare una squadra che naviga un po’ a vista. A questo punto del Draft però, con un roster pieno di point guard alla ricerca del vero valore (a partire da Kris Dunn appena ricevuto) e con un Zach LaVine in rampa di lancio come giocatore-perno della ricostruzione, non sembravano esserci molte alternative per fit e valore, quindi una mossa più che comprensibile per Chicago, che così si aggiudica perlomeno il miglior lungo tiratore del lotto.
- New York Knicks – Frank Ntilikina (G – Strasburgo)
Negli ultimi anni i Knicks hanno mostrato di saper pescare benissimo dal panorama europeo e Ntilikina è il prospetto giusto per mettere d’accordo i tifosi Knicks ancora fiduciosi nell’operato di Phil Jackson e quelli che lo vorrebbero alla porta il prima possibile. La guardia francese garantisce taglia, letture e caratteristiche tecniche perfette per il Triangolo, ma anche una predisposizione alla difesa e una poliedricità offensiva adattabile a molti contesti futuri. Uno dei giocatori più giovani del Draft, ha ampi margini di miglioramento in ogni aspetto del gioco.
- Dallas Mavericks – Dennis Smith Jr (PG – North Carolina State)
Se non fosse per lo scarso feeling che solitamente coach Rick Carlisle ha con i giovani – o almeno quelli che non ritiene pronti ai suoi dettami tattici o il suo dirigismo dal pino – forse potremmo già parlare di uno dei candidati per il premio di Rookie dell’Anno 2018. Quello tra Smith e il coach dei Mavs potrebbe essere la miglior accoppiata di questo Draft per come viene interpretato il ruolo di point guard, con spaziature ampie e ben studiate al servizio di un atleta totale nonostante le misure contenute. Era dai tempi di Josh Howard che a Dallas non arrivava un prospetto del genere via Draft, e sono passati 14 anni.
- Portland Trail Blazers – Zach Collins (C – Gonzaga)
Con tre pick al primo giro, Portland ha deciso di sfruttare l’occasione e sacrificarne 2 (la 15 e la 20) per salire nell’ordine di scelta e andare a prendersi un prospetto molto intrigante. Il prodotto di Gonzaga è un lungo di 7 piedi che ha i suoi migliori pregi nella mobilità e nel potenziale tecnico, sia offensivo che difensivo. Collins potrebbe pagare nei primi anni di carriera una struttura fisica non ottimale per il ruolo che andrà a occupare in NBA, ma iniziando la carriera da professionista alle spalle di Jusuf Nurkic può garantire grande energia sotto i tabelloni e la possibilità di sviluppare un gioco dentro-fuori grazie a un tiro pulito, fluido, difficile da contestare grazie al rilascio molto alto. I Blazers avevano necessità di ri-disegnare il frontcourt e lo hanno fatto partendo dal potenziale.
- Charlotte Hornets – Malik Monk (SG – Kentucky)
Poteva essere uno degli sconfitti vista le previsioni che lo davano in top-10, ma alla fine Monk si accasa in una delle franchigie in cui potrebbe già avere minuti di spessore. Il suo gioco lontano dalla palla, probabilmente il migliore di tutto il Draft per la combinazione di atletismo e precisione al tiro, può avere già cittadinanza agli ordini di un coach come Steve Clifford, rinomato per la capacità nell’esaltare il movimento di palla offensiva. La difficile convivenza con Kemba Walker – soprattutto difensiva – potrebbe trasformarlo in un cecchino in uscita dalla panchina, sperando che questo ruolo riesca anche a permettergli di lavorare sulle doti da portatore di palla inesplorate a Kentucky.
- Detroit Pistons – Luke Kennard (SG – Duke)
Accoppiamento particolare in una situazione ambientale che per Kennard non sarà affatto facile, considerando il materiale umano a disposizione dei Pistons e il contesto tecnico in cui arriva. Van Gundy però aveva disperato bisogno di un giocatore capace di dare dimensione perimetrale non solo al tiro (44% dall’arco in questa stagione), ma anche un ball-handler secondario a cui affidare il pallone nei momenti di stallo. I veri dubbi su Kennard sono principalmente due: l’upside limitato e un’efficienza difensiva rivedibile, più per doti fisico-atletiche che per mancanza di tecnica o impegno.
- Utah Jazz – Donovan Mitchell (G – Louisville)
Per arrivare a lui i Jazz hanno rinunciato a Trey Lyles e alla #24, aggiudicandosi un giocatore che può dare consistenza difensiva fin da subito come cambio nei due ruoli di guardia. Cagnaccio con lunghe leve che gli permettono di marcare più ruoli, aggressivo sulla palla e predatore delle linee di passaggio, Quin Snyder si aggiudica anche un attaccante non all’altezza di quanto fa dall’altra parte del campo, ma che mostra buone potenzialità da tiratore piazzato e da trattatore di palla secondario. Qualora Utah rifirmasse George Hill prenderebbe lezioni alla miglior scuola di formazione possibile.
- Miami Heat – Bam Adebayo (FC – Kentucky)
Miami aveva bisogno di inserire qualcuno che potesse dare minuti da centro sin dalla prossima stagione, considerando i costi elevati che solitamente vanno a raggiungere i lunghi in free agency. Adebayo è un’ottima presa perchè in pochi nel ruolo hanno a disposizione un fisico scultoreo e una verticalità già traslabile alla NBA, capace di dare tanta energia sotto i tabelloni e in difesa, dove ha dimostrato di avere mobilità per accettare i cambi. Discutibile il suo potenziale, con mani tutt’altro che morbide che in attacco lo limitano a situazioni di catch&finish: nonostante in alcuni workout abbia mostrato di poter ampliare il raggio, il percorso per diventare qualcosa di più di quello che già è sembra molto tortuoso.