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Tommaso Giagni

L’arbitro è solo

Ritratto di Nicola Rizzoli, l’arbitro e l’uomo.

Una volta ha detto: «Sono diventato prima arbitro e poi uomo».

 

Nicola Rizzoli non sa come si scelga di fare l’arbitro, lui voleva fare il calciatore e con gli arbitri aveva un pessimo rapporto. Si è prestato a un cameo, in un docufilm sullo scudetto del Bologna, dove fa l’uomo del bar che dice: «Non ho mai capito che gusto ci sia nel far l’arbitro». E ha scritto anche un libro con Francesco Ceniti, dal titolo: Che gusto c’è a fare l’arbitro.

 

Invece poi si è arrampicato per tutte le categorie, dagli Esordienti alla serie A, in quasi quindici anni. Ha diretto una finale Mondiale, una finale di Champions League, è stato eletto miglior arbitro del mondo nel 2014 e nel 2015. Poche ore fa, a quarantacinque anni, ha rinunciato ai Mondiali 2018, dopo aver chiesto in passato la deroga per arbitrare oltre il limite d’età. Nella lettera all’Associazione Italiana Arbitri ha scritto: «Tutto ha un inizio e certamente tutto ha una fine».

 

Si definisce un carattere “ottimista di natura”, di sicuro è un ambizioso («Sono uno che alza sempre l’asticella») con punte di megalomania: riguardo il ruolo di arbitro in una finale di Coppa del Mondo ha detto: «Gestisci il destino di due nazioni».

 

 

Rio de Janeiro, 10 luglio 2014

 

È seduto accanto ai suoi assistenti di gara. Ci sono Proença e Irmatov, gli altri due candidati. Lui li guarda, “per carpirne la gioia”. Aspettano l’annuncio di chi arbitrerà la finale dei Mondiali in Brasile.

 

L’uomo della Fifa dice il nome di Nicola Rizzoli. Lui non si rende conto. Poi il guardalinee Stefani gli dà «un pugno sulla gamba, che quasi mi infortuna» racconta: «Dal dolore ho capito che toccava a noi».

 

È un trionfo per lui, che una volta ha teorizzato: «Un arbitro vince la partita nel momento in cui riceve la designazione». E quando ripercorrerà la scena dell’annuncio, sottolineerà che l’uomo della Fifa disse: «Rissoli, come se fosse bolognese».

 

 

A Bologna lui ci è cresciuto, ma è nato nel 1971 a Mirandola, provincia di Modena. A Bologna ci vive, in una casa che ha curato “nei minimi dettagli”: la definisce “il mio orgoglio” e dice che dopo le settimane in Brasile l’ha “riabbracciata”. A Bologna ha fatto il liceo artistico, prima dell’università a Firenze. Architettura. Finché la carriera da arbitro non l’ha costretto ad allentare, ha esercitato da architetto, che d’altronde era il mestiere che aveva scelto da ragazzino. Il suo vanto è il completamento dell’oncologico pediatrico del Sant’Orsola di Bologna, che ha realizzato nel 2001, l’anno in cui è stato promosso nella categoria che arbitra in serie A e B.

 

Ha due riti, entrambi legati all’infanzia.

 

Il primo è annusare l’unguento balsamico del Vicks. Glielo spalmavano i suoi genitori sul petto quando da bambino era malato. I suoi genitori oggi non lo guardano arbitrare, si agitano troppo, e lui ne è sollevato perché non ha mai avuto piacere ad avere lì persone care, «un po’ per vergogna».

 

Il secondo rito l’ha compiuto prima della finale di Champions League e prima della finale del Mondiale. In albergo, la sera precedente alla gara, si è cucito lo stemma ufficiale della FIFA sulla divisa di gioco, con l’ago e il filo «come mi ha insegnato mia nonna».

 

A Bologna c’è la squadra di calcio che tifa: l’unica che non può arbitrare, perché a Bologna c’è anche la sezione AIA alla quale è iscritto. E c’è la Virtus, la squadra di basket che tifa e che l’ha portato a giocare derby con arbitri “fortitudini” come Collina, Mazzoleni e Romeo. Pierluigi Collina che è il suo maestro e il suo modello. Nell’autunno 2014, dopo il suggello della finale mondiale, Rizzoli diceva ancora: «Paragonarmi a lui è una cosa che non riesco a fare, non mi permetto».

 

A Bologna, Rizzoli ci giocava a pallone. È un appassionato del gioco, naturalmente, e ancora oggi deve ricordarsi di non guardare la partita, mentre la dirige, di apprezzare il gesto tecnico «per meno di mezzo secondo». Da ala destra negli Allievi del Lame, a sedici anni si fa male e seguendo un amico decide di approfittarne per studiare il regolamento arbitrale: vuole poter contestare con cognizione di causa i direttori di gara.

 

Il suo maestro e il suo modello. Dicembre 2014, consegna del premio come miglior arbitro ai Globe Soccer Awards di Dubai.

 

Non si aspettava che gli venisse assegnata la finale. Sarebbe stato il terzo italiano nella Storia, dopo Gonella e Collina. E poi un europeo aveva fatto la finale del 2010, l’alternanza tra le confederazioni reggeva dal 1990. Rizzoli sperava al massimo in una semifinale.

 

Una volta designato, dopo aver avvertito le persone più vicine, si sente con Matteo Renzi, da cui aveva ricevuto i complimenti pochi giorni prima e che peraltro nel 1994 aveva fatto l’arbitro fra i Dilettanti. Qualche mese dopo quella telefonata, Rizzoli si lancerà in un paragone tra Renzi e un allenatore giovane e capace che merita tempo.

 

In albergo, prima della partita, si ripete due frasi. Una è di Agassi, l’ha letta nella sua autobiografia, Open: “Controlla ciò che puoi”. Se la ripete come un mantra. Nell’Arte della guerra di Sun Tzu, il libro che gli ha cambiato la vita, c’è l’altra frase, che dice: «Non contare sul mancato arrivo del nemico, ma fai affidamento sulla tua preparazione». Il nemico, spiegherà Rizzoli, è l’imprevisto.

Dopo l’ultima riunione tecnica, lui e i suoi collaboratori vengono invitati a raccogliersi in una preghiera collettiva da un arbitro sudamericano, che è un pastore protestante.

 

Si può fischiare per tanti motivi, uno di questi è prendere coraggio.

 

La cosa che ricorda con più intensità della finale al Maracanà è il silenzio. Nel momento dell’ingresso in campo, con le squadre alle spalle e il pallone e la Coppa del Mondo davanti, più di tutto c’era il silenzio. Voleva toccarla, la Coppa, ma ha avuto paura di farla cadere. Poi ha fischiato ed è iniziata Germania-Argentina.

 

A un certo punto della gara, Kramer prende un colpo alla testa. Si rialza, va da Rizzoli e gli chiede: “Ref, is this the final?”. Lui pensa che scherzi, se lo fa ripetere, risponde di sì. Poi va ad avvisare il capitano della Germania e Kramer viene sostituito.

 

 

Con gli assistenti Faverani e Stefani, appena finita Germania-Argentina.

 

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Tommaso Giagni (1985) ha pubblicato la biografia Afferrare un’ombra. Vita di Jim Thorpe (minimum fax, 2023) e i romanzi I tuoni (Ponte alle Grazie, 2021), Prima di perderti (Einaudi, 2016) e L’estraneo (Einaudi, 2012). Tra le antologie a cui ha partecipato: Rivali e La caduta dei campioni (Einaudi), Ogni maledetta domenica e Voi siete qui (minimum fax). Collabora con le pagine culturali di «Avvenire», scrive per «Ultimo Uomo» dal 2014.