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«Ci ho messo un secondo», intervista a Nicolò Melli
22 mag 2025
Con Nik abbiamo parlato dell'addio a Milano, del ritorno al Fenerbache e della Final Four di Eurolega.
(articolo)
13 min
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IMAGO / ABACAPRESS
(copertina) IMAGO / ABACAPRESS
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Fabian Causeur si è guadagnato la fama di uno di quei giocatori a cui puoi affidarti, nel momento del bisogno. Milano l’ha voluto per questo, dopo sette anni a Madrid; il bretone è un equilibratore che non alza mai la voce, specialmente in spogliatoi pieni zeppi di tenori. Ma tutti sanno di poter contare sulla sua esperienza e sulla sua leadership pacata, quando la serata si fa intensa e complicata.

Ha dipinto il suo capolavoro il 20 maggio 2018, nell’ultima partita di una lunga stagione alla ricerca di un’altra - l’ennesima, la Decima - EuroLega per il Real. Ha segnato tre triple decisive per mantenere a galla i suoi nel terzo quarto, è stato glaciale ai liberi. Mandato in lunetta per chiudere i conti a diciotto secondi dal termine, sull’81-78, tutti sono certi che l’esito sarebbe stato lo stesso. Anche la regia internazionale, che per errore mostra le statistiche a tempo fermo di Jaycee Carroll, che ha tirato i liberi con un illogico 95.7% stagionale.

E invece Causeur sbaglia. Non uno, ma due liberi. Il primo, cortissimo, che non allontana il mal di pancia di un Luka Doncic al suo imminente esodo da 19enne verso l’NBA; il secondo, che si arrampica sul ferro per cercare la mano tesa del tabellone, che però restituisce una traiettoria strana, inusuale. Talmente inaspettata che coglie di sorpresa chi fino a quel momento aveva trascinato con sudore e sangue un Fenerbahce sempre in rincorsa.

Nicolò Melli mantiene il tagliafuori con la sinistra ad arpionare Trey Thompkins e si allunga con la mano destra, aspettandosi di ricevere il pallone tra le mani. Ma lo Spalding arancionero continua a danzare sul ferro di uno dei due canestri della Stark Arena di Belgrado, e un recupero mancino in extremis del reggiano non è sufficiente. Thompkins, che non si è scomposto, è reattivo come una volpe nel vigneto, e rimedia in un batter d’occhio al giro in lunetta da dimenticare del suo compagno. Real a +5, decima in cassaforte.

Zeljko Obradovic, che spesso è accovacciato a bordocampo, come a voler assistere da una postazione ancor più privilegiata, stavolta è in piedi a braccia conserte, ad assistere a un epilogo ingiusto. Perdere un’EuroLega in una situazione così fortuita è amarissimo. Si volta verso il tavolo, chiama timeout, ha un sorriso spiacevole, beffato. Sembra mimare una spinta di Thompkins a Melli - che è l’ultimo ad arrendersi, segnando in appoggio in uscita dal timeout. Ma non basta.

Melli, che in quella partita ha segnato 28 punti, allora miglior prestazione di sempre per punti in una finale di EuroLega, avrebbe avuto un’altra occasione per vincere l’EuroLega con il Fenerbahce l’anno successivo, arrendendosi però all’Efes in semifinale a causa dei tanti infortuni. Dal 2019 a oggi sono successe tante, troppe cose nella vita di Nicolò Melli. Si è sposato, con Katharina, conosciuta a Bamberg. Ha giocato a New Orleans e a Dallas, con Doncic - e chissà quante volte hanno parlato di quel tagliafuori. Ha imparato a fare il papà, con Matilde prima e Ludovica poi. È diventato un atleta olimpico, come mamma Julie.

Ha disputato un Europeo, a Milano. Ha disputato un Mondiale, a Manila. Ha fatto due podcast, uno da solo e uno in compagnia di Gigi Datome. È tornato all’Olimpia nel 2021, ha giocato in trasferta a Istanbul ricevendo uno splendido tributo tinto di gialloblù. Ha visto i ritiri di tanti campioni, Kyle Hines compreso, e arricchito la sua bacheca. Ha chiuso un cerchio decennale, alzando il terzo Scudetto di fila al Forum. Ed è tornato al Fenerbahce, giocando in trasferta a Milano ricevendo uno splendido tributo tinto di biancorosso.

Quasi tredici minuti di bellezza: le migliori giocate di Melli in EuroLega

UN RITORNO INATTESO, DIVERSO
«Quando si lascia un posto, tendenzialmente è difficile pensare di ritornarci», mi dice a pochi giorni di distanza dalla terza Final Four della sua carriera, la terza con la maglia del Fenerbahce. È plausibile che lui stesso non ci pensasse, ormai convinto ad arrivare fino alla fine della sua avventura da professionista con l’Olimpia. E se non fosse stato a Milano, magari sarebbe stato Reggio Emilia, da dove tutto è iniziato e dove tutto, inevitabilmente, ritorna.

La conclusione della storia d’amore tra Nicolò Melli e l’Olimpia è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Certo, con uno di quei temporali che borbottano per un po’ di settimane, ma pur sempre attendendo che si schiariscono le nuvole. E invece, mentre iniziavano i preparativi per un altro Pre-Olimpico, quello giocato l’estate scorsa a Porto Rico, l’eco di un possibile addio è risuonato tra le valli del Trentino-Alto Adige, dal ritiro della Nazionale a Folgaria.

Come da lui stesso ammesso in un’intervista al portale lituano Basket News del novembre scorso, l’ipotesi di una reunion allo Zalgiris Kaunas con Andrea Trinchieri, che l’aveva trasformato in un lungo dominatore d’Europa in Germania, non era una boutade, in attesa di eventuali riscontri da parte di Milano. Ma una volta che il telefono ha iniziato a squillare con il prefisso +90 sullo schermo, il classe 1991 non ha dovuto pensarci più di tanto.

«È stato tutto molto veloce. Nel momento in cui ho capito che non c'era più la volontà di tenermi da parte della mia vecchia squadra, ho ricevuto la chiamata del Fener e ci ho messo un secondo», mi dice Melli, convinto in tutto e per tutto. «È una squadra che ambisce a vincere in tutte le competizioni cui partecipa», continua.

«Mi volevano, hanno fatto un'offerta pluriennale. Quando siamo stati qua siamo stati bene. Non c'è stato bisogno di una grande opera di convincimento e io non ho dovuto aspettare altre cose, altre offerte. Ho accettato al volo; m'hanno convinto, mi hanno spiegato quello che poteva essere il mio ruolo. È stato abbastanza semplice», racconta con sicurezza.

Quello che rende peculiare il secondo e nuovo - inatteso? - ritorno di Melli sul Bosforo è un ritorno al passato con delle vesti totalmente differenti. Per chi se lo ricorda, il Melli che aveva accettato la prima chiamata del Fenerbahce era uno dei giocatori più desiderati da parte delle varie contender al titolo, che a 26 anni faceva il salto definitivo unendosi ai campioni in carica, con un amico come Gigi Datome e una leggenda come Zeljko Obradovic.

Il (secondo) saluto di Nik Melli all’Olimpia Milano

Era un giocatore diverso. Più dinamico e rapido, sicuramente, ma anche meno esperto. Ancora non abituato a giocare partite in giornate che tutti - non alcuni, non molti, il che fa la differenza - segnano sul calendario. Soprattutto, era un uomo diverso, senza un’esperienza di vita dall’altra parte dell’Oceano e pronto a iniziare una vita al fianco di una ragazza conosciuta in Germania.

«È stato più semplice venire qua la prima volta, perché eravamo solo io e mia moglie [Katharina], che all'epoca era la mia fidanzata: porti due, tre valigie a testa, arrivederci e grazie. Adesso evidentemente era un po’ più complicato. Avevo una figlia [Matilde] che va già a scuola e una moglie incinta [di Ludovica]. Ci sono cose pratiche da gestire: l'asilo, l'appartamento che deve essere un po' più grande, qualche mobile da portare. Tutte cose, comunque, assolutamente fattibili», sottolinea.

Ha trovato «tanti aspetti simili», ma anche «alcune cose diverse». «A partire dallo spogliatoio», visto che dell’ultimo Fenerbahce prima del suo approdo in NBA del 2019 sono rimasti solo capitan Melih Mahmutoglu - che da lì non si è mai spostato - e Marko Guduric - che prima di tornare in Turchia ha provato le sue chance con i Memphis Grizzlies, e che lo chiama umarell.

«Sono cambiate un po’ di cose, anche parte della dirigenza. Sono sicuramente cambiato io. Ma le aspettative e la volontà di far bene sono le stesse; sia da parte mia che da parte del club», dice senza essere assolutamente destabilizzato, ad alcuni mesi dalla separazione con Milano. «Non mi ha disturbato particolarmente uscire da una comfort zone. Quello non è un problema, anzi; come dice un mio amico è un'opportunità stimolante. Sono molto contento di essere tornato».

Ha sicuramente ritrovato un volto amico come Maurizio Gherardini, dal 2014 General Manager dei turchi. «Sono contento di averlo ritrovato, è una persona con cui mi confronto quasi quotidianamente. Quando ci vediamo in palestra. Anche solo una battuta, due parole: è positivo avere una figura come quella di Maurizio all’interno dell’organigramma. Ha avvalorato la mia decisione. Mi dava ulteriore conferma che tornare al Fenerbahce potesse essere una buona soluzione. Mi fa piacere poter rivivere certe cose con lui».

DA SARAS A SARAS, VISTA BOSFORO
Prima di arrivare per la prima volta in Turchia, Melli aveva già dimostrato una versatilità innata, multiposizionale e soprattutto decisiva. In quelle Final Four del 2018, in una gara sporca e decisa dai dettagli, aveva chiuso con soli 4 punti e 3 rimbalzi in semifinale, ma anche con 6 assist e 5 palle recuperate, per poi segnare 28 punti in finale. 

Dall’altra parte, la favola in frantumi dello Zalgiris Kaunas, allenato da Sarunas Jasikevicius - per tutti Saras. Uno che l’EuroLega l’aveva vinta quattro volte (una con Barcellona e Panathinaikos, due con il Maccabi Tel Aviv) da giocatore e che avrebbe particolarmente sentito una sfida ravvicinata con Zeljko Obradovic in panchina, visto che il leggendario allenatore serbo l’aveva allenato per tre anni ad Atene.

Da quella semifinale, anche per l’allenatore lituano sono successe tante, troppe cose. Si è spostato al Barcellona dal 2020 al 2023, centrando tre Final Four consecutive - la prima sconfiggendo proprio Milano in semifinale; poi, lasciata la Catalogna, al primo tentativo ha ottenuto la qualificazione per il weekend più atteso dell’anno anche con il Fenerbahce, perdendo in semifinale contro il Panathinaikos, campione d’Europa due giorni dopo.

La quinta Final Four di fila raggiunta da Jasikevicius equivale alla prima dal ritorno in Turchia per Nicolò Melli, che questa volta non l’avrà di fronte come avversario. Bensì in panchina, non accovacciato come Zeljko ma trasportando un’essenza che lo ricorda. «Come tutti gli allenatori, ha cose diverse rispetto a Zeljko, pur essendo stato un suo allievo come giocatore, mai suo vice. Ci sono sicuramente delle analogie, ma come tutte le persone di carattere forte, ha delle caratteristiche proprio sue, specifiche», dice.

Nonostante possano prediligere sistemi differenti, gestire l’andamento della partita con aggiustamenti che non si assomigliano, l’ossessione è quella, e trascende dall’esito della partita. «L'approccio è sempre quello: non c'è partita che si può lasciare per strada, c’è grande preparazione, coerenza e precisione nell’approcciare le partite, da quello che vuole dalla squadra e dai giocatori. Su questo sono simili», continua Melli su Jasikevicius.

Grazie anche a un mercato estivo oculato che oltre al reggiano ha portato in Turchia Wade Baldwin IV, Bonzie Colson, Devon Hall, Khem Birch, oltre alle aggiunte a stagione in corso di Errick McCollum e Jilson Bango - sopraggiunto dopo l’uscita anticipata di Boban Marjanovic -, il Fenerbahce è una squadra dai mille volti, che ben si sposa con tanti stili differenti.

Arrivati ai Playoff forti di un fattore campo da seconda classificata, avrebbero atteso come avversaria la prima vincitrice uscente dai Play-Ins. Al primo anno in EuroLega, giocando una pallacanestro avveniristica, il Paris Basketball di TJ Shorts si è guadagnato una gita da sogno a Istanbul. 1-0, 2-0, 3-0: Fenerbahce in finale. «Siamo stati bravi. Vincere 3-0 una serie così, che poteva essere complicata per vari motivi, non è scontato», dice Nicolò.

«Parigi è una squadra con un’identità molto forte; abbiamo cercato di imporre quelle che sono le nostre caratteristiche principali, ma è ovvio che a prescindere da quello che succede, ti trascinino un po’ sulla loro strada. Giocano sempre così. Ma anche noi abbiamo i giocatori per giocare veloce, e ordinariamente non siamo una squadra riconoscibile in una pallacanestro così lenta».

«Siamo stati bravi ad imporci, a tenere botta e chiudere subito una serie pericolosa. Non sai mai se vincono una partita, prendono fiducia, segnano dei canestri oggettivamente difficili… lì si può complicare. Invece abbiamo tenuto il fattore campo, siamo andati lì e l’abbiamo chiusa subito. Anzi, l’hanno chiusa subito, perché purtroppo a gara-3 ero fuori. È stata una bella serie, combattuta. L’abbiamo vinta noi facendo valere le nostre idee».

Per alcuni addetti ai lavori e appassionati anche il resto del percorso per decretare un campione in EuroLega dovrebbe passare attraverso a delle serie al meglio delle cinque gare, mettendo nel cassetto dei ricordi il format delle Final Four (cioè semifinale e finale in gara secca). «Si tratta di capire cosa si vuole, perché c’è il bello e il brutto in tutte e due. In una partita secca, davvero, se hai una giornata storta non ti viene data la possibilità di recuperare. I playoff sono meno brutali», mi dice Melli.

«Ma è evidente che un format come quello delle Final Four è sicuramente più avvincente, è il weekend che aspetti da tutta la stagione. Se si vuole vedere più basket possibile ad alto livello, avere due serie playoff in più per decretare un vincitore sarebbe la soluzione più logica. Detto che, se vuoi aggiungere altre serie, bisognerebbe capire il discorso calendario, e nel caso rivedere qualcosa. Mi sembra ci sia già abbastanza confusione».

Qualche settimana prima del 3-0 autoritario, ma non scontato alla vigilia, Fenerbahce e Parigi si erano incontrate in regular season, in una delle partite più entusiasmanti e tirate di tutta l’annata europea; che di partite entusiasmanti e tirate ne ha vissute molte, tratto tipico di una sceneggiatura che continua a ripetersi. Con una tripla da preghiera sulla sirena, l’aveva decisa Nigel Hayes-Davis. Un altro che con questa maglia ha raggiunto una dimensione da fuoriclasse, in passato potenzialmente inespressa.

Ciò che rende speciale l’ala americana, però, è la sua attitudine, la sua personalità e degli interessi che trascendono dal parquet. Parla diverse lingue, sfrutta ogni momento libero della stagione per pescare a caso da una lista di voli e scegliere una nuova destinazione. Guardare per credere il suo profilo Instagram e il suo canale YouTube.

«Ha interessi e una curiosità che non lo possono rendere un compagno banale. Sta imparando il turco, insomma. Non è il classico giocatore di pallacanestro. È interessante viverlo, sia per quello che fa fuori che dentro al campo», mi dice di lui Melli, che potrebbe avergli insegnato qualche parola di italiano da quando condividono lo stesso spogliatoio.

Un legame speciale, quello tra Melli e il Fenerbahce.

Giocheranno la prima Final Four insieme, con la possibilità per entrambi di dichiararsi campioni al termine del prossimo fine settimana ad Abu Dhabi. Sulla loro strada una rivincita in semifinale con il Panathinaikos, ed eventualmente una tra Olympiacos e Monaco - allenato da Vassilis Spanoulis, ma guarda che scherzi ti fa il destino - nella partita più attesa dell’anno, che si disputerà domenica 25 maggio.

«[Giocare nuovamente una Final Four] era uno degli obiettivi per cui sono tornato qua. Sono felicissimo di esserci riuscito, ovviamente insieme a tutta la squadra. Sulla mia pelle c’è l’esperienza di due Final Four sfortunate. Ma è così che devi affrontare, in maniera determinata, un evento simile: sapendo che tutto può succedere, in due partite secche. Bisognerebbe godersi in primis il solo essere alla Final Four, perché non è scontato».

Nicolò Melli torna alla Final Four sei anni dopo, con la stessa maglia, la stessa moglie, e due nuovi meravigliosi motivi per godersi ancora di più una nuova esperienza di vita. Che poi è dipinta degli stessi colori, contraddistinta da odori, suoni, sensazioni familiari. Dalla stessa acqua del Bosforo, che ama osservare quando ci si sposta su uno dei tanti ponti che dividono Istanbul. Rimane sempre affascinato da quel tipo di scorcio, con le barche che si spostano.

Ci ritorna con un Fenerbahce nuovo, stravolto se vogliamo, allenato da un allievo di Obradovic e con un ruolo totalmente diverso nello spogliatoio a Kadıköy. Da chioccia a veterano, con la stessa voglia di competere per un titolo che attende da tanto, troppo tempo. Un trionfo che chiuderebbe un cerchio ad unire due continenti. «Se ti fermi un attimo a pensare a quanto abbia questa città, ti perdi. Le culture, il mix di popoli e lingue che ci sono; gli intrecci, anche del recente passato. È una città veramente impressionante».

L’unico giocatore italiano che disputerà l’evento dell’anno in EuroLega ha visto la sua carriera prendere una svolta inaspettata la scorsa estate. Ci ha messo un secondo a scegliere il Fenerbahce; lo stesso secondo che avrebbe significato raccogliere quel rimbalzo nel maggio 2018 col tempismo giusto, e magari essere già campione d’Europa. La nuova vita di Nicolò Melli ha ricordi lontani, già vissuti, ma così vicini. Come giocarsi una Final Four.

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