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Tredici anni dopo
01 mar 2019
L’Italbasket torna al Mondiale: cosa ci lascia il rivoluzionario biennio di qualificazioni e cosa ci si può aspettare per la prossima estate cinese.
(articolo)
19 min
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26 agosto 2006, Super Arena di Saitama in Giappone. È l’ottavo di finale del Mondiale 2006, e la sfida tra Italia e Lituania si decide sul filo di lana. Le due nazionali che soltanto due anni prima si erano contese una semifinale olimpica in Grecia arrivano alla partita in condizioni diverse: ad Hamamatsu i baltici hanno raddrizzato le brucianti sconfitte con Turchia e Grecia nel girone con i successi su Australia, Brasile e Qatar, mentre gli azzurri - nel loro raggruppamento di Sapporo - hanno ceduto il passo solo ai primi Stati Uniti di Coach K, lottando per 40 minuti e arrivando agli ottavi con quattro vittorie su cinque partite.

Sul +3 per la Lituania, in lunetta si presenta, per tre tiri liberi, Gianluca Basile, colui che fu l’eroe della notte di OAKA due anni prima con i suoi 31 punti. Il nativo di Ruvo di Puglia ha all’attivo, in carriera, oltre il 75% ai tiri liberi, ma mentre in Italia è l’alba clamorosamente sbaglia tre volte, condannando l’Italia all’eliminazione. Da quella mattina di agosto ci sono voluti 13 anni per rivedere l’Italbasket a un Mondiale - sempre in Asia, stavolta in Cina.

L’Italia che da fine agosto tornerà ad affollare le mattine degli appassionati di sport arriva al Mondiale in una situazione molto diversa rispetto a quella della mattina di Saitama. Allora una wild card rimediò a un brutto Europeo, assicurando la presenza dei vice-campioni olimpici. Stavolta, invece, il biglietto è arrivato sul campo (il primo dal 1998), al termine di un anno e mezzo di qualificazioni sotto l’egida delle nuove e contestate finestre FIBA, che pure hanno mietuto alcune vittime illustri sulla strada verso la Cina come la Slovenia, campione d’Europa in carica.

Questi 18 mesi, che portano in calce il nome e cognome di Romeo Sacchetti, ci restituiscono una Nazionale che in Cina andrà a giocarsi la prima (di due) chance di accedere alle Olimpiadi di Tokyo 2020, oltre che a disputare il primo Mondiale a 32 squadre della storia del basket. Come si può raccontare ciò che ha rappresentato, per la pallacanestro italiana, questo processo di qualificazione? Proviamo a rispondere con alcune domande riassuntive.

Cosa resterà di questo biennio di qualificazione?

Dario Ronzulli: La notizia principale è che questo è un gruppo unito. Giocatori votati alla causa, che vestono la maglia azzurra come una seconda pelle. Atleti che vivono la concorrenza interna come un fortissimo stimolo e non come un impedimento ai loro sogni. Se vi pare poco, vi sbagliate di grosso. Il merito principale di Meo Sacchetti - riconosciuto da tutti all’interno dello staff azzurro, dai dirigenti agli altri tecnici - è quello di aver saputo toccare le corde giuste nella testa dei ragazzi chiamati in causa, soprattutto in quelli che si sono ritrovati ad avere ruoli e responsabilità ben più gravosi rispetto a quelle dei club. Ovvero la maggioranza. Questa qualificazione non è naturalmente la panacea di tutti i mali del basket nostrano ma è servita a respirare aria fresca. È solo un primo passo e come tale il gruppo lo ha vissuto e lo vivrà.

Il video pubblicato dalla FIP per celebrare la qualificazione degli azzurri.

Ennio Terrasi Borghesan: In primo luogo la conferma dell’Italbasket a livello delle migliori squadre europee. Un risultato non scontato, considerando non solo le tante vittime delle finestre FIBA di qualificazione, ma soprattutto come l’Italia si sia dimostrata sicura in uno scenario dove mancavano i giocatori di primo piano.

Contrariamente a quanto si poteva immaginare, big europee come Francia, Grecia, Lituania e Spagna non hanno faticato più di tanto, mentre a soffrire - rischiando la qualificazione sino all’ultimo turno o addirittura subendo l’eliminazione - sono state quelle nazionali con poca profondità dietro giocatori NBA o di Eurolega.

L’allargamento della base degli azzurrabili, però, ha prodotto due conseguenze positive, più volte sottolineate da Sacchetti e Petrucci nell’immediato post della festa di Varese: il rilancio in azzurro di alcuni giocatori ha contribuito al rafforzamento della Nazionale come traguardo meritocratico, e raggiungibile senza l’obbligo di militare in un grande club.

Le sei partite ufficiali giocate in Italia, poi, hanno contribuito a ricucire e rafforzare l’amore dei tifosi per la maglia azzurra (5000 presenze di media), sentimento arricchito anche dalla scelta - sicuramente azzeccata - per le sedi delle partite: si è andati a giocare in campi storici dove l’Italia non aveva mai disputato partite ufficiali, come Varese o il nuovo palasport di Brescia, o dove c’era fame di basket ad alto livello come Treviso e Trieste, nella settimana successiva al ritorno in A1 dei giuliani.

Il prossimo 31 agosto l’Italia ripartirà da qui.

Chi emerge con forza nel gruppo azzurro?

DR: Punterei i fari su due giocatori non più ragazzini e che hanno sfruttato l’opportunità creatasi con l’assenza dei Big. All’indomani dell’oro europeo Under 20 conquistato nel 2013, Amedeo Della Valle pareva destinato a prendersi in breve un posto fisso nella Nazionale. Le cose poi non sono andate così, in primis perché ADV non ha mai davvero legato con Pianigiani e con Messina. Con Sacchetti invece le cose sono umanamente andate molto diversamente e, complice l’assenza del pari ruolo Belinelli, il minutaggio è esploso e il rendimento di conseguenza.

Della Valle ha segnato 17.8 punti in 25.4 minuti di media, tirando con il 38.7% da due e soprattutto col 46.7% da tre. Più di lui nelle qualificazioni del Vecchio Continente hanno segnato solo Hermannson, Benzing e Dubljevic. 8 presenze, 6 volte in doppia cifra. Adesso la curiosità sarà capire non se ma quanto il ruolo di ADV verrà modificato dalla presenza di altre prime punte e come lui si adatterà. Di certo sarà dura farne a meno.

Uno dei momenti chiave del biennio Sacchetti: le otto triple di Della Valle contro la Polonia.

Nella squadra guidata da Sacripanti che batté la Lettonia in finale a Tallinn, c’era anche un altro under 20 su cui in molti erano pronti a puntare: Awudu Abass. Lui in azzurro se possibile ha avuto ancora meno spazio e fortuna di Della Valle, anche perché la concorrenza nel suo ruolo è ancora più folta e di qualità con giocatori da NBA e da Eurolega. Di conseguenza in queste finestre lo spazio per lui era enorme: Abi se l’è preso e non l’ha mollato. Uno dei sempre presenti, sempre con l’atteggiamento giusto, sempre dando sul parquet tante piccole e grandi cose utilissime per raggiungere l’obiettivo.

Sempre le idee chiare, sempre l’atteggiamento giusto.

ETB: In un gruppo costretto a ritrovarsi ogni 3-4 mesi, in mezzo alle fatiche della stagione con i club, l’aspetto fondamentale da curare era quello mentale. Ogni partita contava, e le qualificazioni europee sono state tante le squadre che hanno deluso le aspettative o si sono complicate la vita con inopinate sconfitte. Il primo elogio, quindi, va fatto a coloro che sono stati i primi leader del sempre diverso gruppo azzurro.

E in questo senso spiccano, su tutti, due nomi: Luca Vitali, uno dei tre (con Awudu Abass e Paul Biligha) sempre presenti, e Pietro Aradori, nominato capitano ad-interim per le qualificazioni vista l’assenza di Datome. La loro leadership, le loro 282 presenze in azzurro in due, hanno rappresentato un punto fermo del biennio Sacchetti, e hanno contribuito a creare un ambiente dove la sensazione era sempre quella di un gruppo unito e affiatato.

Le parole di Luca Vitali prima della presenza numero 133 in Nazionale, con cui ha superato proprio Sacchetti nella lista degli azzurri di tutti i tempi.

Oltre al valore di Amedeo Della Valle e Awudu Abass, a cui ha già fatto riferimento Dario, il mio terzo nome è quello di un giocatore che nell’arco di questo biennio ha prima perso e poi ritrovato la maglia azzurra.

Alessandro Gentile c’era a Torino contro la Romania nella partita d’esordio e c’era a Varese per la festa qualificazione. In mezzo, però ha vissuto tre carriere in una: i playoff mancati con la Virtus Bologna, l’infortunio che ha fatto sfumare la chance NBA con i Houston Rockets e la rinascita in Spagna con l’Estudiantes Madrid, che ha fatto ritrovare al giocatore campano l’azzurro da protagonista. E la volontà di mettere in difficoltà Sacchetti per far sì che, tra i 12 in partenza per il Mondiale, ci possa essere anche il suo nome.

Già la presenza con la Romania, a novembre 2017, arrivava dopo un momento non semplicissimo. Ma Alessandro Gentile è uno di quei giocatori che in Nazionale sa fare il reset giusto.

Dei nuovi innesti, chi è maggiormente una rivelazione o una piacevole scoperta?

DR: La rivelazione più fragorosa è stata sicuramente Nico Mannion: pochi minuti in campo contro l’Olanda, al debutto assoluto in una partita senior, hanno fatto vedere quanta personalità e quanto talento trasudino dal corpo del 17enne figlio di Pace. Il prossimo leader di Arizona ha conquistato tutti, dallo staff tecnico ai compagni, anche per l’umiltà con cui si è presentato in azzurro ed è sicuramente il leader designato della Nazionale in un futuro non troppo lontano.

Il debutto di Nico Mannion in Olanda.

Spendo volentieri due parole per Michele Vitali, che arrivato a 27 anni è un giocatore maturo, sicuro di sé e probabilmente il miglior difensore sugli esterni che ci ritroviamo. È l’emblema di quanto scrivevo in apertura: totale disponibilità al Gruppo e alla maglia azzurra, dedizione e sacrificio anche se impegnato in pochi minuti. Nella trasferta lituana è stato il migliore, senza dubbio e non solo per i punti segnati, suo career high in Nazionale. Nelle gerarchie sacchettiane appare più indietro ma la sua capacità di dare tanto in poco tempo potrebbe tornare molto utile.

ETB: Lo scorso settembre, con alle spalle le sconfitte con Croazia e soprattutto Olanda a Groningen, c’era bisogno di un passo in avanti importante da parte del gruppo, che poteva contare su tre rinforzi importanti come Gigi Datome, Nicolò Melli e Andrea Cinciarini. Ma anche su un volto completamente nuovo, un debuttante in azzurro il cui ricordo tricolore più fresco risaliva a tre anni prima.

Jeff Brooks è diventato italiano per amore: come ci tiene a ricordare lui per primo, tutto della sua esperienza in azzurro - dal numero di maglia al primo pensiero post qualificazione - è per la moglie Benedetta, conosciuta in quella Milano dove oggi il prodotto di Penn State fa le fortune della squadra di Pianigiani, e sposata dopo il triplete vinto in Sardegna.

È soprattutto grazie a Benedetta che Brooks si è unito ai colori azzurri, entrando nel gruppo di quel Sacchetti che fu suo mentore a Sassari in punta di piedi, regalando all’Italia quel gioco duro e tenace che l’ha reso, nelle ultime stagioni, uno dei glue guy più determinanti d’Europa, e un probabile punto fermo del gruppo che sarà di scena in Cina quest’estate.

Le prime parole di Jeff Brooks in azzurro, alla vigilia del debutto con la Polonia.

Spesso, poi, non si considera che l’attività di un Commissario Tecnico esula dal semplice impegno con la Nazionale A. Uno dei punti focali del biennio Sacchetti, che proseguirà fino almeno al 2021, è stata la riabilitazione della Nazionale Sperimentale, con l’obiettivo di rendere la maglia azzurra un obiettivo e una vetrina per tanti giocatori che magari faticano ad imporsi pubblicamente.

Proprio in Nazionale Sperimentale, l’estate scorsa, ha fatto il suo debutto Giampaolo Ricci da Roma, scuola Stella Azzurra. Una lunga gavetta nelle divisioni inferiori con Casalpusterlengo, Verona e Tortona, prima della grande occasione in Serie A con Cremona nella scorsa stagione.

Quest’anno Ricci sta andando anche oltre: finisse oggi la stagione, sarebbe uno dei front runner per il premio di MVP italiano della Serie A, protagonista assoluto di una squadra - la Vanoli - che si presenta alla ripresa del campionato questo weekend da terza in classifica e detentrice di uno storico titolo in Coppa Italia conquistato due settimane fa. Se c’è qualcuno che simboleggia più di tutti i due anni da CT di Meo Sacchetti, oltre i risultati, questo è proprio Giampaolo Ricci.

L’emozione di Giampaolo Ricci, che soltanto due anni fa giocava in Serie A2 con Tortona.

Esiste un momento chiave che ha fatto pensare “ci siamo”?

DR: Ne individuerei due, entrambi ricollegabili alle nostre bestie nere. Il primo è la netta vittoria a Zagabria nel primo girone. Certo, la Croazia non aveva neanche lontanamente la fisionomia di una squadra di livello, ma anche noi avevamo tanti giocatori per la prima volta alle prese con responsabilità pesanti in maglia azzurra.

Partita perfetta, vittoria netta, autostima a livelli massimi. Per di più è stato uno dei risultati che ha messo fuori dai giochi i croati, che almeno in Cina non potranno eliminarci come successo a Euro 2005, da vicecampioni olimpici in carica, e soprattutto qui.

La partita del sogno sfumato, la finale del Preolimpico perso a Torino.

Il secondo momento chiave è la vittoria di Brescia contro la Lituania nella seconda fase. Oltre a toglierci la scimmia dalla spalla, perché non battevamo i baltici in gare ufficiali dal 2004, ci ha dato quei due punti che hanno sparigliato le carte rispetto alle rivali - tutte sconfitte dagli uomini di Adomaitis - e reso la qualificazione un obiettivo realmente concreto.

Una vittoria che mancava da 14 anni.

ETB: Anche io ne sceglierei due, diversi da quelli di Dario. Il primo, ripensandoci oggi, può sembrare poco sensato, ma si tratta di una partita che all’epoca rappresentava una vera trappola. Col vento in poppa per le due vittorie inaugurali, l’Italia ospitava una rivale poco blasonata, ma il cui ultimo precedente non evocava grandi ricordi e in grado di battere, come noi, la Croazia nella finestra precedente.

Alla vigilia della partita del PalaVerde l’Olanda rappresentava una prima prova di maturità, ampiamente superata nonostante una partita non esaltante in attacco (il 10/35 da 3 è stato una delle prestazioni peggiori dall’arco in queste qualificazioni) ma tenace e combattiva in difesa, col bell’impatto dell’esordiente Flaccadori e nessun azzurro che pativa le scorie della Final Eight di Coppa Italia giocata appena la settimana prima.

Poteva essere una trappola, è stata una vittoria sul velluto.

Un altro momento chiave è stata l’ultima partita di Varese. L’Italia aveva già avuto un match-point mondiale tre mesi fa, in Polonia dopo la splendida partita con la Lituania a cui faceva riferimento Dario. A Danzica, però, gli azzurri fanno un passo indietro e non sono mai realmente in partita, riuscendo solo a conservare la differenza canestri della partita d’andata.

Contro l’Ungheria diventa quindi una finale, e anche se il margine d’errore era ampio (sarebbe bastata una sconfitta con non più di cinque punti di scarto) l’avversario da temere, visti i problemi che ci aveva causato nella partita d’andata e visto che nello storico impianto di Masnago i magiari si giocavano le ultime, residue, chances di qualificazione.

Più che l’impegno in sé, poteva creare qualche apprensione il fatto che, dalla magica notte di OAKA, l’Italbasket avesse quasi sempre perso le partite “decisive”. Dopo Saitama sono arrivate la storica eliminazione dall’Europeo 2009 -un fatto quasi senza precedenti nella storia del nostro basket- o la sconfitta contro l’Ucraina a Euro 2013 che ci ha chiuso la possibilità del Mondiale 2014.

Le esaltanti vittorie nel 2015 contro Spagna e Germania hanno poi lasciato il passo alla delusione del quarto di finale contro la Lituania, e del pre-olimpico contro la Croazia abbiamo già parlato. Potevano esserci demoni nascosti in un traguardo così vicino ma comunque non ancora certo. L’Italia, a Varese, li ha spazzati via prima con una partenza da 10-0 e poi con una delle migliori prestazioni difensive dell’era moderna. Un’altra prova di maturità, il modo migliore per chiudere questo primo capitolo del libro.

Un +34, per scacciare qualsiasi demone.

È pur vero che mancano sei mesi, ma se iniziasse domani il Mondiale come ci arriverebbe l’Italbasket?

DR: Al termine della gara con la Lituania Meo Sacchetti ha risposto così quando gli ho chiesto se avesse in mente un’idea di squadra per il Mondiale: «Sì, una base ce l’ho. Ci sarà poi da abbinare le pedine mancanti a questo. Non abbiamo giocatori di stazza di alto livello, quindi faremo con i migliori che abbiamo. Ci adatteremo come abbiamo fatto in queste finestre».

Messa così possiamo ipotizzare la presenza al massimo di un solo centro (con Paul Biligha oggi davanti ai pari ruolo) e l’assemblaggio di una squadra duttile, votata alla corsa, all’alto numero di possessi, al cambio sistematico in difesa. Una squadra pienamente sacchettiana, insomma.

In questo contesto tattico diventa ancora più scontata ed indispensabile la presenza di Danilo Gallinari. Oggi non c’è un motivo valido per non convocare il Gallo, al di là di quello che è successo lo scorso giugno. Con lui dentro anche Marco Belinelli, Gigi Datome, Nicolò Melli e Daniel Hackett e già così abbiamo un più che possibile starting five. Poi ci mettiamo Brooks - nettamente favorito per il posto da passaportato -, Aradori e Della Valle.

In corsa Biligha, come detto, ma anche Gentile ed Abass che possono giocare in tre ruoli. Manca un secondo play e Cinciarini, Luca Vitali e Filloy sono lì in lotta. Occhio però all’ipotesi Nico Mannion che a Sacchetti piace molto, che ha ricevuto un endorsement niente male dal Team Director Brunamonti e che potrebbe entrare nei 12 come primo passo verso la leadership tecnica azzurra. Tutti gli altri, chi più chi meno, appaiono di rincorsa ma non completamente tagliati fuori.

Tenete però conto che davvero da qui a metà luglio, quando inizierà il raduno, può ancora accadere di tutto e che la condizione fisica dei singoli potrebbe essere uno dei fattori chiave per la selezione prima dei 16/18 e poi dei 12.

«Sarebbe molto stimolante contro gli USA al Mondiale. Io contro Popovich? Magari sul vino»

ETB: Facendo un primo turno di toto-convocati (e concordando con il Sacchetti-ball ipotizzato da Dario), vedo plausibile un assetto che preveda la convocazione di tre creatori di gioco, che aumenterebbe le chances di Mannion: dato per certo Hackett, il prossimo giocatore di Arizona si giocherebbe due posti con Luca Vitali, Cinciarini e Filloy, per me in quest’ordine di probabilità.

https://twitter.com/LucaVitali10/status/751921971701620736

Un tweet scritto da Vitali dopo la sconfitta di Torino contro la Croazia. Che quest’estate ci sia l’occasione per pareggiare i conti?

Si potrebbe andare poi su cinque esterni: Belinelli, Della Valle e Datome mi sembrano abbastanza sicuri, con favoriti per i restanti due posti colui che è stato il capitano durante le qualificazioni - Pietro Aradori - e Awudu Abass, uno dei tre sempre presenti e giocatore maturato davvero tanto in queste ultime due stagioni. Occhio però a un Alessandro Gentile in crescita in Spagna - potrebbe finire molto bene la stagione - così come a uno Stefano Tonut che però ha stentato a trovare spazio con continuità nel gruppo azzurro (come Michele Vitali).

Quando c’è potuto essere, Datome ha risposto presente.

Qualsiasi discorso legato a un tiratore di talento come Diego Flaccadori o alla naturalizzazione del rookie dei Milwaukee Bucks Donte DiVincenzo lo vedrei più in ottica 2020 - ben 16 squadre dal Mondiale andranno al Pre-Olimpico per uno degli ultimi 4 posti ai Giochi di Tokyo - e 2021, per quell’Europeo che potrebbe anche essere co-organizzato dall’Italia.

Tre più cinque fa otto, pertanto rimarrebbero quattro posti nel reparto lunghi. E qui le scelte sono “facili”: Danilo Gallinari, Nicolò Melli, Jeff Brooks e Paul Biligha possono formare un reparto ben assortito per quella che è la pallacanestro del nostro commissario tecnico, in quanto possiedono caratteristiche diverse tra loro tanto da rendere possibili tutte le combinazioni di coppie. Anche se è da scommettere che due giocatori come Dada Pascolo e Pippo Ricci daranno tutto per rendere difficilissime le scelte di Sacchetti.

Il miglior Gallinari visto in azzurro.

Immaginare le previsioni di risultato finale è difficile, specie prima della fase a gironi: l’Italbasket ha certamente nelle sue corde la possibilità di qualificarsi al torneo Pre-Olimpico (qualificazione per cui potrebbe essere necessaria anche la fase di classificazione dal 17° al 32° posto, motivo per cui l’Italia sarà sicura di giocare almeno 6 partite il prossimo Mondiale) e può probabilmente aspirare a un ruolo da outsider per entrare nelle prime otto. Traguardo che potrebbe aprire scenari oggi impensabili, soprattutto in chiave Tokyo 2020.

Viste alcune eliminazioni eccellenti, assume più valore la qualificazione italiana? E si possono rivalutare le finestre FIBA?

DR: Delle big storiche mancherà la Croazia, delle big recenti non ci saranno Slovenia e Lettonia (quindi niente Doncic e niente Porzingis, ammesso che Dallas fosse stata favorevole a mandarli). La Russia ha strappato il pass solo nell’ultimo quarto con la Finlandia, piazzando un break di 33-11 che ha spazzato via le paure. La Serbia si è complicata la vita perdendo in Estonia. Tutto questo per dire che qualificarsi al Mondiale non era poi così scontato, nonostante l’allargamento del numero delle partecipanti, ed essere nel gruppo delle 12 europee è un risultato di rilievo.

Il pazzesco spareggio tra Russia e Finlandia, una delle partite più emozionanti di queste qualificazioni Mondiali.

Al momento della presentazione del nuovo calendario FIBA erano chiari i lati positivi - più incertezza nei risultati, maggiore attenzione mediatica alle nazionali durante l’anno - che quelli negativi - alto rischio di partite ininfluenti, assenza dei giocatori migliori. Alla prova dei fatti è stato tutto confermato.

ETB: La qualificazione italiana ha valore in primo luogo perché arriva a una kermesse iridata in cui non abbiamo, storicamente, grande tradizione. Mai oltre il 4° posto (1970 e 1978), gli azzurri hanno disputato soltanto due edizioni dei Mondiali dal 1990 a oggi, pertanto tornare a disputare una competizione di questo livello, con un confronto anche con realtà extra-europee, è fondamentale per il nostro movimento.

Il momento più bello del nostro ultimo Mondiale: il ‘break-out’ game di Marco Belinelli contro Team USA.

Movimento che esce rafforzato dal sistema delle finestre FIBA che, come già accennato in precedenza, hanno mostrato uno scenario italiano fatto di una trentina (sono stati in 27 a andare a referto nelle 12 partite di qualificazione) di giocatori che comunque, chi più chi meno, ha dimostrato di poter vivere da protagonista la realtà della Nazionale.

Un risultato voluto in primis da Sacchetti, che non ha esitato ad allargare il gruppo anche a giocatori di A2 (come Amedeo Tessitori) o a giocatori riemersi nell’ultimo periodo: il CT ha spesso fatto l’esempio di Riccardo Moraschini, ottimo in questa stagione con Brindisi dopo tanta A2 e poca A1 da protagonista nelle ultime stagioni.

La sensazione, però, è che la parte più fastidiosa delle finestre FIBA debba ancora arrivare: se nell’ultimo biennio in tante sono state in grado di fare di necessità virtù, nel prossimo assisteremo alle qualificazioni a Euro 2021 che aumenteranno le partite delle Nazionali durante l’affollata stagione europea (con la prossima Eurolega che sarà a 18 squadre come anche la Serie A1 dal 2019-20) essendo le estati occupate da Olimpiadi e dagli stessi Europei.

Qualificazioni che, tra l’altro, promuoveranno 24 squadre da un gruppo di 32 nazionali in corsa, abbassando di molto quindi quelle caratteristiche di incertezza e interesse a cui faceva riferimento Dario, rendendo molte di queste partite ancora più un fastidio per i club. Si potrebbe scegliere di limitare le qualificazioni al solo Mondiale (l’estate 2022 sarà libera da impegni per le Nazionali), prendendo ciò che di buono si è visto da Novembre 2017 a oggi.

Di certo, però, FIBA ed Eurolega dovranno essere in grado di lavorare insieme di più e meglio di quanto (non) fatto negli ultimi anni, per evitare il riacutizzarsi di una crisi di relazioni che ha fatto più male che bene al basket europeo.

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