
In una delle scene più iconiche di Kung Fu Panda, il Maestro Oogway - un santone tartaruga - prima di passare ad altra dimensione, lascia in dote a Shifu, - il panda rosso - ma soprattutto a noi, una massima leggendaria: il caso non esiste.
Per quanto sia affascinante immaginare Paolo Zanetti in kimono come un insegnante di arti marziali e Giovane come un panda destinato a diventare il guerriero dragone, la casualità resta una delle componenti più importanti ma meno misurabili del gioco del calcio. Cosa possiamo imparare sulla sfortuna guardando questo primo terzo di campionato dell’Hellas Verona? L’unica squadra della Serie A - insieme alla Fiorentina traumatizzata di questo inizio stagione - a non aver ancora vinto una partita.
A inizio ottobre raccontavamo della difficoltà patologica della squadra di Zanetti a trovare il gol nonostante la mastodontica mole di tiri. La grande paura, in quel momento, era che il Verona cominciasse a tirare meno, e a segnare ancora meno.
Oggi in effetti la questione è evoluta. I dati sulle conclusioni tentate (12 di media a partita) e gli xG costruiti (1,11 di media) si sono assestati in piena media Serie A. Ed è in questa discrepanza statistica tra occasioni create e reti realizzate che si inserisce la sfortuna - o presunta tale, a seconda di come vedete la vita, se cioè per voi un palo è una sfortuna oppure un tiro impreciso. In ogni caso si può dire che per un certo periodo il Verona abbia raccolto meno di quanto prodotto, e che poi abbia cominciato a raccogliere esattamente quello che meritava; e alla fine il risultato è che è ultimo in classifica.
Fino a questo momento l’Hellas ha perso nettamente solo due partite - contro Lazio e Como. Non che negli altri undici casi sia stata tutta colpa della sfortuna, ma in mezzo a tutti quei pareggi l’Hellas ha sicuramente lasciato qualche occasione. Mi rendo conto che dirlo di una squadra in fondo alla classifica, col peggior attacco e seconda peggiore difesa, può suonare troppo assolutorio. Ma questo è ciò che rende interessante la storia dell’Hellas: essere la peggiore squadra della Serie A, e poter comunque nutrire qualche rimpianto.
Quando una squadra prende un palo c’è uno spazio di dodici centimetri in cui si possono infilare le mani nei capelli dei giocatori e le bestemmie dei tifosi - parliamo pur sempre dei veronesi - e dell’allenatore - parliamo pur sempre di Zanetti.
L’Hellas fino a questo momento è stato fermato quattro volte dai legni della porta. In tredici partite non è una cifra esorbitante di per sé, ma lo è per una squadra come il Verona, che in teoria dovrebbe tirare poco. Nel campionato 24/25, infatti, il Verona era stata la squadra a colpire meno legni in Serie A, arrivando a un totale di sei. Gliene mancano due per raggiungerli e siamo a inizio dicembre.
Il caso più incredibile è la traversa colpita da Gift Orban, al 27’ del primo tempo contro la Roma. Parliamo di un tiro con valore da 0,76 xG, un errore da compilation su Youtube, da telecomando scagliato contro il televisore, da mascella spalancata prima e da rabbia cieca poi.
L’istantanea del suo errore trascende i confini della comprensione. In telecronaca viene suggerito che il nigeriano sia forse stato ingannato dal movimento del compagno, ma da come scappa in direzione della porta è chiaro che la sua volontà fosse andare a prendersi il pallone, indipendentemente dalla presenza di Giovane.
Orban colpisce con l’interno del piede rivolto verso l’alto, con una dinamica pedatoria tipica dello stop, non della conclusione in porta. Sempre considerando che non serviva tirare, bastava impattare il pallone in qualsiasi modo per centrare lo specchio. Qualsiasi, tranne quello scelto da Orban, chiaramente. Un caso limite per cui vale l’assioma era più facile segnare che sbagliare.
Il gol sbagliato contro la Roma non è il solo. L’imputazione principale che gli muovono i tifosi dell’Hellas non è solo di segnare poco, ma sembrare disinteressato alla causa. Niente di nuovo, la perenne e inscalfibile distanza tra i bisogni dei tifosi verso la maglia e chi quella maglia la indossa.
A livello statistico, Orban ha dimostrato di essere per distacco il giocatore più pericoloso dell’Hellas Verona. In Serie A è terzo per xG e quarto per tiri; i due gol realizzati, quindi, sono un bottino misero se parametrato con la quantità di occasioni che gli capitano.
È come se Orban incarnasse una maledizione che riguarda l’Hellas Verona in generale. La squadra è nona per tiri in Serie A ma ultima per gol segnati; nona per npXG ma ultima per gol segnati. Il Verona è ottavo per saldo sugli xG ma ultimo per saldo dei gol. Secondo FbRef è la squadra che ha segnato meno in Serie A rispetto agli xG avuti a disposizione - è più in underperformance pure della Fiorentina, che sta disputando una stagione dai contorni storici in questo senso.
La stagione dell’Hellas ha vissuto però di uno spartiacque decisivo: tra fine ottobre e inizio novembre, la squadra di Zanetti raccoglie un solo punto in un trittico di partite che dà il via al tracollo.
A un quarto d’ora dalla fine della partita contro il Cagliari, sul tabellone del Bentegodi si legge 2-0. L’Hellas sta giocando la migliore partita del suo campionato e nulla potrebbe far presupporre ciò che sta per accadere. E invece tutto crolla nello spazio di un attimo, come un soffio su un castello di carte l’Hellas subisce due gol in cui sembra irriconoscibile.
Tre giorni dopo perde meritatamente contro il Como, ma poi, contro l’Inter, offre un’altra grande prestazione. Va subito in svantaggio ma Giovane segna un gol pazzesco, di quelli che ti fanno pensare che qualcosa sta cambiando.
Nel secondo tempo, complice la pioggia battente, la partita diventa più ruvida, favorendo l’Hellas che a inizio secondo tempo dà la netta sensazione di poter vincere. Prende un palo con Orban, un tiro di prima dopo un bel taglio in area che Sommer vede scorrere pregando non entri. Poi negli ultimi minuti l’Inter, con Esposito in campo, comincia a buttare palle in area e, su una di queste, Esposito manca un colpo di testa, ma con il movimento finisce per ingannare Frese. Il difensore non fa in tempo né a spostarsi né ad andare incontro e la palla gli sbatte sulla faccia, spiazzando Montipò.
Dopo una sconfitta maturata così è difficile non appellarsi alla sfortuna, ma l’autogol di Frese arriva come pietra tombale di un processo di discesa più ampio.
«Alcune volte non siamo stati bravi, altre volte siamo stati sfortunati. Ora guardiamo avanti e d'ora in avanti facciamo iniziare il nostro campionato» dice Zanetti nel post-partita contro l’Inter. Con torvo cinismo verrebbe da sottolineare che effettivamente un nuovo campionato sia iniziato, ma con caratteristiche ben diverse da quelle che immaginava l’allenatore.
Anche i dati confermano la brutta china che ha preso l’Hellas. Goleada con la Lazio a parte, nella partita contro il Lecce - quella appena successiva alla settimana infame - il Verona tocca tanti palloni come mai prima in campionato nel primo terzo di campo: la manovra è rallentata, la squadra sembra aver perso energia, forse convinzione. Il Verona comincia anche a tirare di meno.
Le conclusioni in porta smettono di essere la cifra stilistica - quasi macchiettistica - dei gialloblù. Contro il Lecce, infatti, sono appena due i tiri in porta che fruttano uno 0,6 xG: ad esclusione della partita contro l’Inter, comprensibilmente meno effervescente in fase offensiva, bisogna tornare indietro fino alla prima giornata contro l’Udinese per trovare un valore più basso. Contro il Parma i numeri sono identici, mentre nella sfida al Genoa tornano ad alzarsi. Verrebbe lecito pensare che il Verona abbia provato a ritrovare la sua identità, ma il pregio di tornare a calciare tanto in porta, di converso, ripropone l’ormai proverbiale inattitudine alla concretezza.
A volte la sfortuna non si manifesta con un episodio clamoroso, ma assume forme più sottili, legate a scelte poco lucide o a differenze minime di tempo e spazio. È una dimensione che può esulare dal calcio: se il semaforo sotto casa fosse diventato verde dieci secondi prima non avrei perso l’autobus; se la pubblicità al cinema fosse durata tre minuti in più non avrei mancato l’inizio del film.
Il campionato dell’Hellas sembra essere la trasposizione calcistica della Legge di Murphy, il cui quarto corollario dice che se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto.
Ciò che accade al 68’ della partita contro il Lecce non è clamoroso di per sé, ma è l’ennesimo esempio di uno spostamento minimo, di una questione di centimetri - come direbbe Al Pacino in Ogni maledetta domenica - che fa la differenza tra la vittoria e la sconfitta.
L’Hellas sviluppa benissimo l’azione in ampiezza per portare Bradaric al cross dalla trequarti. Giovane ha la lucidità di allungare la traiettoria. L’attaccante nigeriano ripropone in mezzo per Belghali che ha seguito l’azione. Il cross è preciso, la difesa è tagliata fuori, sembra tutto apparecchiato per il tap-in, ma. C’è sempre un ma in questo campionato del Verona.
L’algerino è troppo avanzato - parliamo veramente di centimetri, non è un’iperbole - e non ha lo spazio fisico per caricare il tiro al volo. Tocca con il ginocchio, appoggiando comodamente per Falcone.
Com’è possibile che neanche costruendo bene l’azione, con gli attaccanti che dialogano, con il canonico inserimento del quinto di centrocampo, con la difesa elusa; com’è possibile che neanche così il Verona riesca a segnare?
Zanetti ha le mani giunte ed è percorso da pensieri irripetibili. In quel preciso momento della partita, della stagione, della carriera.

Dal 3 ottobre in avanti, e quindi nelle ultime 7 partite, l’Hellas ha sempre accumulato più xG della squadra avversaria. Certo: i punteggi sono sempre ravvicinati, e non è casuale che la squadra sulla carta più debole abbia bisogno di più occasioni per fare gol, ma è anche strano che al Verona, in un o modo o nell’altro, vada sempre male. Cioè che se una partita abbastanza equilibrata può prendere una direzione o l’altra, alla fine prende sempre quella contraria al Verona. Non siamo particolarmente amanti della classifica degli Expected Points, calcolata per esempio qui da Understat. Però ci tocca segnalare che il Verona dovrebbe essere - secondo questi dati - a metà classifica, mentre è ultima. Non è tredicesima o quattordicesima: è ULTIMA.
Ma ancora: è un problema di sfortuna o di leggera imprecisione?
E ora è il momento di parlare dei portieri avversari.
Le parate non sono un indice di casualità, bensì di merito altrui, però forse è anche un pochino casuale se i portieri offrono il meglio sempre contro di te. Ci sono state casistiche dai contorni clamorosi. Nelle prime giornate, quando il Verona era una macchina spara palle, gli estremi difensori erano portati ad esaltarsi. In questo senso, la partita più rappresentativa è nello scontro casalingo contro la Cremonese.
La prestazione di Audero è straordinaria: compie nove parate, fronteggiando 1,4 PSxG. Anche contro Milan e Sassuolo quest’ultimo dato non è troppo diverso, ma la partita del Bentegodi è un'altra cosa. L’Hellas tira tanto, da ogni posizione, e Audero risponde sempre.
Per dire, il confronto con Montipò è impietoso: il portiere dell’Hellas è quello che a livello statistico ha parato peggio in Serie A con un pallido 64% di parate sui tiri fronteggiati.
Il portiere della Cremonese non è il solo ad aver impersonificato la sfortuna. Niente di pazzesco, il calcio è anche questo, ma ci sono stati istanti in cui lo sbigottimento ha assunto gradazioni inesplorate.
Prendiamo per esempio ciò che accade al 34’ del primo tempo contro il Cagliari. Giovane raccoglie il pallone quasi al limite dell’area. Si accentra, accorcia il passo e calcia con il mancino. Il tiro è forte, ma il traffico dentro i sedici metri è tale da rendere impossibile una traiettoria pulita. La palla incoccia prima sul piede d’appoggio di Zé Pedro e poi sbatte sulla spalla di Bradaric. Il tocco involontario si trasforma in un assist preciso per Serdar che ha seguito l’azione. Il centrocampista calcia di prima intenzione, incrociando il sinistro. Caprile va giù rapidissimo e con la mano devia il pallone sulla traversa. La parata è notevole, ma i confini del paranormale vengono solcati una frazione di secondo dopo. Il portiere del Cagliari - di cui avevamo già elogiato le caratteristiche uniche - legge il rimbalzo sul legno e si rialza con il corpo già rivolto verso l’azione. Quando Orban va per ribadire facile, Caprile è già in piedi con le braccia larghe. L’attaccante fa quello che può, colpisce di testa nella maniera più decisa possibile, ma il portiere veronese salva ancora.
Fare tutto il possibile non basta. Succede al 15’ contro la Roma quando Svilar ci mette letteralmente la faccia per respingere il tiro di Orban; succede al 69’ contro il Genoa quando Orban - sempre un po’ superficiale - si vede transennare il comodo tap-in dal corpaccione di Leali; succede un’altra volta contro il Cagliari, al 55’, quando a Caprile basta, si fa per dire, alzare il braccio come uno studente partecipativo per deviare la spaccata volante di Giovane da dentro l’area piccola.
La coppia di attaccanti dell’Hellas Verona è la cartolina di tutto ciò che non sta funzionando nella squadra di Zanetti. Tra errori clamorosi, portieri superlativi e presunzione snervante, Gift Orban si erge come totem di questo inizio stagione. La giocata forse più rappresentativa, però, è di Giovane. L’attaccante brasiliano è riuscito nell’impresa di disfare quanto di buono aveva costruito con il suo secondo gol in campionato. Giovane segna in caduta, con una giocata dalla forte componente fortunosa, e la vita riscuote platealmente il proprio credito.
Siamo all’80’ in un momento decisivo della stagione, prima ancora che della partita. Montipò rinvia lungo, ma non abbastanza da superare la metà campo. La palla scende veloce in direzione di Giovane che è girato verso la sua porta. È completamente solo, alle sue spalle Benedyczak è distante, potrebbe infastidirlo qualora decidesse di controllare il pallone, ma niente di insormontabile, soprattutto per un giocatore con le sue doti tecniche. Non ho idea di quale tipologia di pensiero intrusivo lo porti a decidere di colpire di testa, provando a imprimere più forza possibile. La postura e il movimento indicano chiaramente che il destinatario del retropassaggio doveva essere Montipò, ma Giovane colpisce dal cerchio di centrocampo, forse neanche Milan Djuric avrebbe avuto la potenza per restituire così al proprio portiere. Non appena la palombella sorvola Bella-Kotchap, Giovane si mette a correre. Non serve a niente, è troppo lontano, ma c’è una disperazione intrinseca in quella rincorsa impossibile. Quando la palla arriva a Pellegrino, non è neanche sulla trequarti. È un riflesso automatico, un tentativo sterile di mettere una pezza ad un errore grossolano e inspiegabile. Nel post-partita è inconsolabile, perso in un pianto inestinguibile.
Se proprio Giovane - la speranza dei tifosi, il Dottor Jekyll di Orban, l’uomo dei balletti e del disinteresse ostentato - proprio Giovane - impreciso, ma più perdonabile - proprio Giovane - che piange perché ci tiene - proprio Giovane - che tocca la palla con un amore che non si vedeva da tempo nella città di Romeo e Giulietta - se proprio Giovane compie una scelta scellerata del genere, come ci si può frapporre all’imponderabile?
La stagione dell’Hellas Verona, fino a questo momento, si è giocata su variazioni minime che hanno modificato irrimediabilmente l’andamento del campionato.
La stagione è ancora lunga, ma i precedenti dicono che nessuna squadra incapace di vincere nelle prime tredici partite è arrivata alla salvezza.
L’alibi della sfortuna - invocato spesso come un sinistro rituale dall’allenatore - non è sufficiente per giustificare i risultati. Gli episodi si sono mossi su un filo sottile tra caso e responsabilità. La poca cattiveria, l’atteggiamento, gli errori individuali: sono tutte caratteristiche proprie di una squadra che non ha fatto nulla per combattere le avversità incontrollabili, condannando se stessa e i propri tifosi all’ennesima rincorsa apneica, senza garanzia di successo.




