
Siamo nel recupero di Udinese-Cagliari, sesta giornata di campionato. Un’Udinese piena di rimpianti per le clamorose palle gol fallite sta provando a dare un senso agli ultimi secondi di partita. La formula è sempre la stessa: lancione sul centravanti grosso per far salire la squadra. Da un’azione di Davis e Camara viene fuori una rimessa laterale.
È sempre più frequente vedere rimesse laterali battute come calci d’angolo, usate come vera e propria arma tattica. Un po' più insolito, invece, il posizionamento del portiere del Cagliari al momento della battuta. Appena capisce che l’avversario cercherà il centro dell’area, Elia Caprile abbandona l’area piccola e si porta quasi all’altezza del dischetto del rigore. Zé Pedro è in marcatura su Davis, ma non ha bisogno di andare a saltare. Per quello c’è il suo portiere che ha il vantaggio non indifferente di poter usare le mani. Palla morbida e Caprile va in presa alta.
Si potrebbe pensare che quest'azione sia poco identificativa delle caratteristiche di Caprile. Parliamo pur sempre di un’uscita relativamente banale all’interno di una gara in cui ha fatto delle parate più complicate e decisive. Più che la difficoltà del gesto in sé, però, andrebbe sottolineato il pensiero che c'è dietro.
Caprile ne parla in un’intervista a Cronache di Spogliatoio, raccontando le richieste fatte da Davide Nicola, prima a Empoli e poi a Cagliari: «Mi ha detto di volere un portiere che esce, un portiere spavaldo che si prende dei rischi - dice - è stato lui a dirmi di mettermi in mezzo all’area per andare a prendere le rimesse laterali».
Il rendimento di Caprile in questo inizio di campionato non lo definisce soltanto la qualità delle sue prestazioni, ma anche il modo in cui interpreta il ruolo. Spesso la nozione di portiere moderno si riferisce soprattutto all'abilità con i piedi: quanto è abile nell’impostazione e nella lettura degli spazi, quanto è capace di gestire la pressione degli attaccanti senza andare in affanno. Tutte caratteristiche che certamente differenziano i portieri di oggi da quelli di altre epoche. L'evoluzione del ruolo, però, comprende anche altro.

Parlando di Svilar, Caprile individua l’archetipo del portiere moderno: presenza fisica e mentale per tutta la durata della partita; movimento costante insieme alla palla; posizionamento alto; capacità di prevenire dei tiri. Un manuale di approccio al ruolo e alla partita che Caprile ha interiorizzato.
Al 91’ della gara contro l’Udinese - per esempio - l’attenzione di tutti è rivolta giustamente al clamoroso errore sotto porta di Bayo - che spara alto da pochi metri - ma la porta era rimasta spalancata in seguito all’intervento sensazionale del portiere del Cagliari su Davis. Caprile esce, ma non a valanga, ha la lucidità (la presenza) di fermarsi all’ingresso dell’area piccola - per chiudere più specchio possibile al centravanti dell’Udinese, ma senza lasciare spazio alle sue spalle - e di attendere la prima mossa dell’attaccante. Restando in piedi, vince la battaglia psicologica con il tiratore che è costretto ad angolare, ma non abbastanza da impedire a Caprile di parare in tuffo.
Un altro esempio di questo tipo di reattività compare all’8' della gara contro il Parma. Ancora una volta assistiamo a questa consapevolezza dello spazio attorno a sé. Quando Pellegrino va via sulla trequarti, il suo pensiero non è di attaccare il pallone, ma di crearsi uno spazio per la parata. Esce ancora una volta poco oltre l’area piccola e aspetta il tiro, sfida l’attaccante che vedendosi lo specchio chiuso è costretto ad affrettare la conclusione. Il tiro è forte, ma non angolato, Caprile si tuffa alla sua sinistra e respinge. La velocità nel rialzarsi è la chiave della parata successiva: quando la palla arriva nella disponibilità di Cutrone, il portiere è già in piedi, con le braccia larghe. L’attaccante del Parma poteva fare meglio, ma la reattività nel ritrovare la posizione e la forza con cui Caprile va incontro al pallone, deviandolo con la figura, sono aspetti del suo modo di giocare che vanno oltre il mero istinto.
È facile lasciarsi impressionare dal rendimento di un portiere in lotta per la salvezza, anche solo per l’enorme mole di tiri che fronteggia. Ma il caso di Caprile è differente: non solo per il suo livello, ma per la profonda comprensione del ruolo che dimostra. Dal punto di vista emotivo, lo abbiamo visto esultare con arroganza quasi selvaggia, ma sempre dopo interventi veramente salva-risultato. Il suo rendimento non è passato inosservato, tanto che si è parlato di una possibile convocazione in Nazionale. Caprile è quasi sempre rimasto fuori dai radar di tutte le selezioni giovanili - vanta appena una presenza con l’Under 18 e due con l’Under 21 - ma vista la qualità mostrata, la sua candidatura è diventata credibile. In una serie di interviste rilasciate tra quest’estate e l’inizio di questa stagione, Caprile ha sempre dichiarato come l’azzurro sia un sogno e un obiettivo. Gattuso non lo ha incluso nella lista per il doppio impegno di ottobre, ma le occasioni nel prossimo futuro non dovrebbero mancare, nonostante la concorrenza.
Se già nella seconda parte dello scorso campionato aveva mostrato doti da portiere moderno, quella di quest'anno per lui sembra la stagione della rivelazione. Un’attitudine del genere non può essere frutto solo del talento - comunque cristallino ed evidente - ma anche di un imponente lavoro di miglioramento, figlio degli allenamenti, ma anche delle scelte di carriera.
Quante volte sentiamo dire che per i giovani italiani sia complicato fare esperienza nel nostro campionato? Ecco, per i portieri diventa ancora più difficile per ovvi motivi di concorrenza. Nonostante Caprile sia ancora giovane - ventiquattro anni per un portiere è un’età più verde che per altri ruoli - gioca con un’autorevolezza che di solito si palesa dopo qualche campionato di ambientamento. Per lui, invece, questa è la prima stagione in cui il posto da titolare non sembra minimamente in discussione.
Caprile si sta imponendo dopo una gavetta piuttosto inusuale. Forse questa sua deviazione dall’ordinario ne ha plasmato il talento, rendendolo diverso dalla maggior parte dei suoi colleghi.
Caprile nasce a Verona nel 2001. Inizia a giocare nel Cadore, la squadra del suo quartiere. L’erba spelacchiata, gli spogliatoi freddi con le panche di legno, il fango che dagli scarpini si attacca alle grate, il tubo dell’acqua gelida.
In un'intervista rilasciata a SportWeek nel giugno 2024, seduto su quello stesso prato, Caprile racconta di una passione precoce. Non prende mai in considerazione niente che non sia infilarsi i guanti e difendere i pali della porta. La folgorazione arriva durante i Mondiali del 2006, grazie a Gigi Buffon. Nonostante il primo allenamento sia di avviamento al calcio e non da portiere, Elia, su consiglio della mamma, torna il giorno dopo al campo e a muso duro chiede di fare il portiere. Ed è qui che entra in gioco una figura cardine della sua storia, il primo ad assecondarne la volontà. Si chiama Steno Righetti ed è un personaggio mitologico di questo microcosmo di quartiere.
Dentro il Cadore fin dagli anni Settanta, è rimasto in società fino a poco prima della sua scomparsa, avvenuta durante la pandemia. In un luogo in cui il calcio viene utilizzato come strumento pedagogico, Steno incarna la missione della scuola calcio veronese: includere tutti. Dalla voce di chi mi ha raccontato di lui traspariva un profondo senso di gratitudine e rispetto per colui che era considerato - cito testualmente - un po’ «il nonno di tutti». Per i suoi modi gentili, per la sua bontà d’animo e per la voglia costante di insegnare ai piccoli calciatori l’importanza della squadra, del gruppo, senza mai lasciare indietro nessuno.
Steno indirizza Elia verso la porta, e già a quell’età mostra subito delle doti fuori dal comune. Michele Caserta - presidente del Cadore - ha raccontato al Corriere del Veneto il primo grande salto: «Era talmente bravo che a sei anni prendemmo contatto con il Chievo, che aveva una scuola calcio di prim’ordine». Il balzo dalla squadra del quartiere al settore giovanile di un club professionistico è un passaggio obbligato per la stragrande maggioranza dei giovanissimi aspiranti calciatori. Si lasciano i compagni di scuola e gli amici del catechismo.
Il fatto che Caprile si sia avvicinato così presto in un grande club non è di per sé un attestato di valore, ma è interessante notare come abbia avuto molto più tempo di alcuni suoi colleghi per affinare e migliorare la propria tecnica. Vicario - per esempio - passa all’Udinese solo nella categoria Allievi; Provedel ha indossato per la prima volta i guanti già da adolescente; Carnesecchi è arrivato tra i pali per caso perché mancava il titolare.
Ovviamente ci sono anche degli esempi dall’altra parte, simili alla storia del giovanissimo Caprile: Perin ha cominciato a fare il portiere a quattro anni; Meret ha raccontato che già dal primo allenamento aveva capito qual era il suo posto sul campo.
Nella stagione 2018/19 arriva in Primavera e viene subito aggregato alla prima squadra. La data della prima convocazione è una ricorrenza storica. A fine agosto 2001, mentre sulla porta di casa Caprile veniva appeso il primo fiocco azzurro, al Franchi di Firenze la neopromossa Chievo Verona giocava e vinceva la sua prima partita in Serie A. Diciassette anni dopo, ancora contro la Fiorentina, Elia Caprile è tra i portieri convocati da Lorenzo D’Anna.
La partita finisce diversamente rispetto a quel magico pomeriggio del 2001 - risultato finale 6-1 - e la stagione segue lo stesso mesto copione. In quello che sarà l’ultimo campionato della squadra veronese in massima serie - chiuso all’ultimo posto - Caprile non scende mai in campo.
Con la Primavera, invece, va decisamente meglio: «È stata una bella annata. Nonostante giocassimo con tanti 2001 al primo anno di Primavera, riuscimmo a qualificarci per le final six, uscendo contro la Roma», mi dice Paolo Mandelli, allenatore di Caprile e di quella formazione Primavera del Chievo. «Caprile trasmetteva tanto la voglia di vincere. Già allora era un competitivo, anche in allenamento manteneva questo spirito che porta sempre al miglioramento». «Quelli erano i primi anni in cui si cominciava a chiedere al portiere di giocare di più con i piedi, - prosegue Mandelli - ed era un aspetto in cui faceva fatica. Mi ricordo che con il preparatore dei portieri Roberto Pavesi lo mettevamo dentro i lavori tecnici della squadra». Caprile compie i passi della formazione proprio quando il termine costruzione dal basso entra nei vocabolari. Il ruolo del portiere comincia a evolversi: «Lo abbiamo martellato perché imparasse a partecipare di più al gioco. All’epoca era una forzatura per il tipo di portiere che era, ma si è messo a disposizione ed è cresciuto tanto».
Al di là dell’aspetto tecnico, Mandelli sottolinea come la serenità e la dedizione fossero i pregi principali di Caprile, già in quel periodo: «Affrontava le partite con sicurezza, senza sentire la tensione. In allenamento, poi, era un grande lavoratore, un perfezionista. Voleva sempre rivedere i video degli allenamenti per capire cosa faceva bene e cosa meno».
Da quest'ultima esperienza a livello giovanile, Caprile impara molto, sia dal punto di vista tecnico che mentale. Comincia a respirare la Serie A, ma capisce presto che il suo percorso deve svilupparsi altrove. Il Chievo retrocede in Serie B e da lì a poco - due stagioni in cadetteria - la società fallisce ed è costretta a ripartire dalla Terza Categoria. Caprile schiva il proiettile e sul finire del 2019 fa la prima grande scelta della sua carriera.
Mandelli mi ha raccontato che - nella posizione ibrida dell’allenatore, in mezzo al fuoco incrociato tra gli interessi della società e del ragazzo - aveva deciso di non imporsi. Aveva considerato lucida la scelta di Caprile, anche se in controtendenza con un percorso più classico. Tra gli italiani in quella stessa squadra - composta da alcuni giocatori che stanno facendo una discreta carriera - nessuno sceglie l’estero.
A gennaio compie il secondo salto della carriera. Stavolta il precipizio è enorme: la destinazione è il nord dell’Inghilterra, il Leeds United. Sempre nell’intervista a Sportweek, Caprile racconta quel momento: «Il Chievo non mi ha mai dato un riconoscimento contrattuale. Avevo avuto degli interessamenti da squadre importanti e il Chievo aveva chiesto una cifra esorbitante per il mio cartellino, pur non avendomi fatto firmare da professionista. Ho cominciato a guardarmi intorno, si è aperta la possibilità di andare al Leeds e l’ho presa al balzo».
A livello giuridico, Caprile si qualificava come “giovane di serie”, espressione che definisce quei giovani calciatori che - cito testualmente dal regolamento federale - al compimento anagrafico del sedicesimo anno d’età e purché non tesserati a titolo temporaneo, possono stipulare contratto professionistico (per ulteriori specifiche sul tema, vi rimando a questo articolo).
Il Chievo tergiversa, non vuole considerarlo un giocatore della prima squadra a tutti gli effetti, ma non lo lascia nemmeno partire in Italia. La situazione si sblocca quando il Leeds United mette sul piatto 100mila euro e acquista il cartellino.
Siamo a febbraio 2020 e sul mondo sta per abbattersi la pandemia. Caprile ricorda così quei momenti: «Vivevo in un piccolo appartamento da solo. Sono rimasto chiuso lì per cinque mesi. Andavo al campo di allenamento, o a fare la spesa, e poi tornavo subito a casa». Parliamo di una situazione minuscola rispetto alla magnitudo della tragedia della pandemia, ma il pensiero un diciottenne solo in un Paese straniero, lontano da casa e dagli affetti, ha comunque toccato i tifosi del Leeds che pur non avendolo mai visto giocare, si sono stretti attorno a questo ragazzo, cercando di fargli sentire un po’ di quel calore che in quei giorni - tragici davvero, per il mondo intero - non potevano dargli di persona.
A Leeds Caprile trova Marcelo Bielsa, i cui metodi di allenamento si riveleranno decisivi per la sua crescita. Il metodo del tecnico argentino insegna a Caprile quanto sia fondamentale la cura dei dettagli, anche debordando nella maniacalità: «Qualsiasi cosa doveva essere perfetta altrimenti restavamo sul campo anche quattro o cinque ore» racconta a Sportweek.
L’attitudine di Caprile non passa inosservata agli occhi di Bielsa che lo premia con diverse panchine. Prima di una gara contro il Chelsea, incalzato da un giornalista dello Yorkshire Evening Post che chiedeva il perché dell’esclusione di Kiko Casilla in favore del portiere italiano, Bielsa risponde perentorio che le decisioni sono solo sue e che non deve spiegare a nessuno le motivazioni. Smentisce le voci che sostenevano che il club avesse avuto un ruolo in questa scelta, ma soprattutto dice una frase che potrebbe sembrare di circostanza, ma visto il personaggio va sottolineata: «La mia decisione è relativa al fatto che Caprile si sia allenato molto bene».
Caprile, comunque, non scende mai in campo con la prima squadra. Comincia a giocare con continuità nella formazione under 23. Il preparatore dei portieri del Leeds United che si dedica in particolare alla seconda squadra in quegli anni è Alessandro Barcherini - da questa stagione vice allenatore del Sunderland - che in un’intervista rilasciata a Samuele Mura racconta la gestione dei giovani portieri, tra cui Caprile, sotto Marcelo Bielsa: «Erano tutti molto forti, ma nessuno gli dava un’occasione di fare esperienza. Noi abbiamo cercato di farlo e loro hanno dimostrato coraggio, non avevano paura». Da queste parole traspare la bontà della decisione presa da Caprile. Cambiare strada, uscire dalla comfort zone, provare a vivere il calcio da una prospettiva diversa. «Tutti gli allenatori vogliono esperienza dai propri portieri e noi abbiamo provato a dargliela nonostante l’età giovanissima - prosegue Barcherini - è stato importante per loro allenarsi e giocare in una squadra con calciatori più esperti».
Difficile provare a capire quali miglioramenti puntuali abbia inserito Caprile nel suo gioco, ma l’esperienza in Inghilterra gli consente di crescere sicuramente dal punto di vista umano. Ne parla lui stesso in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, uscita pochi giorni fa: «Leeds è stata un’esperienza anche di vita: ho imparato l’inglese e a vedere il calcio da una prospettiva differente».
Dopo la tappa estera, Caprile va alla Pro Patria in Serie C - con i tifosi del Leeds che lo rimpiangono - e Bari in Serie B. Esordisce in Serie A a Empoli e dopo una breve apparizione da secondo di Meret al Napoli - che nel 2023 ne aveva acquistato il cartellino - si trasferisce a Cagliari tramite uno scambio di prestiti con Scuffet.
L’impatto con la Sardegna è positivo. Prima del suo arrivo il Cagliari aveva subito 32 gol, con la media di 1,68 a partita. Dalla prima apparizione contro il Milan - non considerando l’ultima di campionato al Maradona in cui non scende in campo - il Cagliari subisce 22 gol, abbassando di quasi 0,5 il valore medio di reti subite. Il dato è notevole, per una squadra in lotta per non retrocedere quei 9 gol subiti in meno diventano acqua nel deserto. Naturalmente, però, questa statistica ci fornisce una prospettiva parziale del cambio di rotta che il Cagliari assume nel girone di ritorno. Il contributo di Caprile - per quanto fondamentale - non è l’unica variabile. Le prestazioni del portiere possono essere evidenziate da altri dati: il GSAA - il valore di xG fronteggiati meno i gol subiti - è leggermente sotto lo zero - poco sopra la media del campionato - dimostrando quanto in realtà la sua importanza sia relativa. Impressiona, invece, lo stesso dato in questo inizio di stagione: il valore schizza a 2.45, nei cinque maggiori campionati europei solo Murić del Sassuolo ha fatto meglio di lui.
Si conferma, perciò, l’impressione empirica: Caprile sta incidendo tantissimo nella solidità difensiva del Cagliari in questo campionato, molto di più che nella seconda metà di quello passato.
Quando ho chiesto a Mandelli se il giocatore già al tempo avesse qualcosa in più dei coetanei a livello tecnico, l’allenatore mi ha risposto che Caprile era un portiere che parava.
Apparentemente la frase suona banale, quale portiere non para? Esiste però una verità matematica per dare un senso a questa definizione. Secondo i dati di HudlStatsBomb, il Cagliari è una delle squadre che ha subito più tiri in Serie A: con il totale di 97 solo Cremonese e Pisa ne hanno concessi di più. Eppure solo sei squadre hanno preso meno gol dei sardi. Vien da sé collegare l’affermazione dell’allenatore a quello che sta accadendo al Caprile professionista: l’anno scorso la percentuale di tiri in porta sventati era del 68%; quest’anno il valore è salito al 77%, confermando il ruolo decisivo per la sua squadra e la caratteristica - evidentemente non scontata - di essere un portiere che para.
La dichiarazione tautologica dell’allenatore si fonda anche sul grado di sicurezza che un portiere riesce a dare al proprio reparto difensivo. Al 54’ della partita contro l’Inter - una delle prestazioni meno appariscenti di Caprile in questo inizio di stagione - Thuram salta Mina e si presenta quasi a tu per tu con il portiere. Caprile non esce, resta all’interno dell’area piccola, invitando di fatto l’attaccante francese a calciare. La parata non è la più complicata di queste prime partite, ma è un ottimo esempio di prontezza dei riflessi. Caprile aspetta di capire dove andrà il tiro prima di muoversi. La presenza di cui lui stesso parlava si nota anche da questo aspetto: mettere il tiratore nella condizione di calciare per forza e poi intervenire senza apprensione, con una sicurezza che porta serenità a tutto il reparto.
Giunto alla terza stagione di Serie A, Caprile è arrivato a un momento decisivo della sua maturazione. Interpretare un ruolo da protagonista nella lotta salvezza è un banco di prova interessante per definire quanto ampi possano essere i suoi margini di miglioramento. Anche a livello carismatico, l’investimento economico del Cagliari - 8 milioni - gli impone un ulteriore passo in avanti per diventare un leader nello spogliatoio, com’era ai tempi del vivaio del Chievo.
Il tempo non può che giocare a suo favore per determinare a quale categoria appartenga. E in ottica futura, non può non essere considerato il bagaglio di esperienze che l’ha portato a diventare uno dei profili più sorprendenti del nostro campionato.