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Federico Principi
Handanovic non ha mai smesso di migliorare
20 apr 2020
20 apr 2020
Il portiere sloveno è ancora tra i migliori nel suo ruolo.
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Federico Principi
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«La mia passione per gli scacchi nasce dalla mia famiglia, dove c’è competizione in tutto. In questa disciplina capisci che devi pensare cosa fare almeno quattro o cinque mosse in anticipo. Non mi stanco mai degli scacchi: più continuo a giocare e più continuo a scoprire qualcosa di nuovo».

 

Ci sono almeno tre aspetti della personalità di Samir Handanovic che si possono dedurre da quella che, insieme al calcio, è la sua più grande passione. Il primo è l’equilibrio mentale: dopo un anno di apprendistato all’Udinese fu lanciato come titolare in Serie A nel Treviso l’anno successivo, ma perse il posto dopo sole tre partite. Avrebbe potuto perdersi come molti altri portieri, e invece ha saputo rialzarsi dopo le difficoltà iniziali. Il secondo, l’anticipazione delle mosse: una capacità di pensiero e di lettura che sta alla base della sua qualità più famosa, quella nel parare i rigori, e che lo ha anche aiutato a migliorare nella costruzione del gioco con i piedi. Il terzo aspetto, collegato a quest’ultimo, è la sua volontà di imparare incessantemente: la condizione essenziale della sua longevità, forse il suo principale punto di forza.

 

Come tutti i grandi campioni, Handanovic ha avuto bisogno di una parabola gattopardesca per continuare ad essere influente e resistere all'inevitabile declino fisico che avanza con il tempo: cambiare stile, evolversi, per sopravvivere. È soprattutto per questo motivo che sembra vicino a firmare un nuovo contratto, con la scadenza che verrà prolungata dal 2021 al 2022 e che lo farà restare all’Inter fino a 38 anni.

 

Si tratterà delle ultime possibilità per Handanovic per concludere la lunga militanza interista con un trofeo. Nonostante il forte interesse del Barcellona soprattutto nell’estate del 2013, ma anche del Manchester United e del PSG, quella di comandare la difesa di un club che lottasse per la vittoria della Champions League è una dimensione che gli è sempre mancata per affermarsi anche all’estero nel modo che avrebbe meritato.

 



Handanovic non verrà ricordato per essere stato, al pari dei portieri della scuola spagnola e soprattutto tedesca, un innovatore nel suo ruolo. Nell’ultimo decennio sono altri i portieri simbolo della modernità. Manuel Neuer, innanzitutto, che ha rinnovato il modo di intendere il ruolo. Negli ultimi due anni Alisson ha raggiunto picchi altissimi di rendimento, ma forse se si dovesse scegliere un portiere di riferimento per affidabilità e costanza, Handanovic potrebbe essere il profilo migliore.

 

Nell’ultimo decennio lo sloveno ha attraversato solamente un breve momento di flessione,

. È stato forse da quel periodo in poi che Handanovic ha perso, forse irrimediabilmente, una piccola parte della sua esplosività: un calo piuttosto normale alle soglie dei 34 anni, un’età in cui solitamente molti portieri che basano principalmente il loro stile sulla fisicità necessitano di aggiornamenti.

 

Si è trattato però di una breve parentesi in un decennio cominciato a difendere la porta dell’Udinese nella stagione 2010-11, in cui ha stabilito il record di rigori parati in un campionato di Serie A: sei. Il talento nel parare i rigori è forse il più noto. Insieme a Pagliuca, Handanovic è il portiere che ha parato più rigori in Serie A. Al di là dei suoi riflessi e della sua esplosività, è in

che si è sempre mostrata la sua lucidità nella lettura in anticipo delle situazioni.

 

Passato all’Inter nel 2012, il portiere sloveno ha raggiunto il suo apice nella prima metà del campionato 2015-16. Di quell’Inter, solida e vincente, Handanovic era la rappresentazione della resistenza difensiva. Grazie al suo portiere l’Inter subì – escludendo Inter-Fiorentina del 27 settembre 2015, finita 4-1 per i viola – solamente 3 gol nelle prime 13 partite, con addirittura 11 clean sheet nelle prime 16.

 

In un momento storico in cui Neuer aveva già espresso il suo meglio e in cui Buffon stava ancora sparando valide cartucce, Handanovic era in uno stato di forma che ne faceva probabilmente il miglior portiere del mondo. Un destino per lui tutto sommato abbastanza crudele, come quello dei portieri più in generale: la necessità di inseguire l’utopia dell’eliminazione di ogni errore per affermarsi, l’impossibilità di determinare l’influenza del gioco come i giocatori più creativi. Soprattutto grazie a lui, l’Inter rimase in alto per metà stagione e poi si perse fino a chiudere il campionato al quarto posto.

 



Tornando indietro, Handanovic non sembrava un predestinato e aveva trovato la sua occasione grazie alla fitta rete di scouting dell’Udinese. Come molti altri portieri, non ha potuto fare a meno di trascorrere un anno in Serie B per prendere la giusta consapevolezza verso il salto da titolare in Serie A. La sua stagione al Rimini nel 2006-07 è ricordata soprattutto per la sua grande prestazione all’Olimpico di Torino, contro la Juventus, e fa parte di quella che è ormai una dinamica consolidata per i nostri estremi difensori. In essa è perfettamente racchiusa la natura stessa del ruolo del portiere: se per un giocatore di movimento – specialmente offensivo – scendere di categoria comporta il rischio di abbassare i propri ritmi di gioco, i portieri più talentuosi in Serie B hanno l’occasione di aumentare la propria continuità, un elemento imprescindibile per sfoggiare le proprie qualità ai vertici del calcio.

 

Fin dalle sue prime stagioni da titolare Handanovic ha mostrato le sue capacità decisamente fuori dal comune nell’uso del corpo: non solo nell’esplosività, di cui è sempre stato ben dotato ma non fuori scala, ma soprattutto nell’attacco alla palla. A volte le due cose si combinano tra di loro producendo efficaci uscite spericolate in volo, il più delle volte invece Handanovic ha potuto sfruttare questa sua qualità nell’uscita bassa, rendendola incisiva

ultimamente è stato capace di fare, almeno nel nostro calcio.

 

https://youtu.be/cac1vX29Csc?t=77

Due uscite difficili e coraggiose, in una delle partite più rappresentative del miglior periodo della sua carriera.


 

Ma soprattutto è sbalorditivo il modo in cui Handanovic, in pochissimo tempo e soprattutto in tarda età, ha saputo evolvere il suo gioco con i piedi. Da uno stile sostanzialmente ininfluente, favorito dal contesto di un’epoca in cui il retropassaggio al portiere era ancora un passaggio di emergenza, Handanovic è tra i migliori portieri della Serie A nella costruzione dal basso.

 

Se ci fosse bisogno di un’ulteriore testimonianza di quanto stia cambiando il gioco, di quanto stia costringendo i giocatori ad avvicinarsi il più possibile all’universalità e gli allenatori a costruire sistemi collettivi con principi di gioco ben definiti, l’inserimento di Handanovic nell’Inter di Conte e la sua accresciuta importanza nell’impostazione del gioco ne sono una prova. Ormai anche i portieri sono sempre più spesso influenzati dal

, dai principi di gioco e dalle scelte da effettuare per assecondarli. Così, se nell’Inter di Spalletti Handanovic stava affinando le sue qualità con i piedi ma non aveva necessità di prendersi troppi rischi, Conte ha delle esigenze molto più profonde nella costruzione dal basso che hanno ulteriormente fatto maturare Handanovic sotto questo aspetto.

 


È il 2008 e sembra un’era fa. Ferronetti fa il retropassaggio al portiere solo perché spaventato dal pressing di Tiribocchi; Coda non ci pensa minimamente a orientare il corpo per non ricevere completamente di spalle; Handanovic non ha il compito di passargli la palla sul corto (anche se potrebbe) e va ciecamente al rilancio.


 

Le capacità di Handanovic sono una delle chiavi dell’efficacia della costruzione bassa dell’Inter, volta ad aprirsi il campo

. Non solo Handanovic è il terzo miglior portiere per percentuale di successo dei passaggi (93.4%) e il migliore tra quelli che hanno disputato più di 7 partite, ma è anche il secondo portiere che effettua più passaggi corti per ogni 90 minuti, di poco dietro a Pau López (14.94 lo spagnolo, 14.23 lo sloveno). Con Handanovic, l’Inter rende molto più sicura la sua prima impostazione: nonostante i nerazzurri siano soltanto ottavi in Serie A per possesso palla (52.3%) risultano però la seconda miglior squadra dietro alla Juventus per PPDA avversario (15.1 contro 15.6 dei bianconeri). In pratica, l’Inter è di poco la seconda miglior squadra per passaggi effettuati prima di subire un intercetto o un altro intervento difensivo.

 

Ragionando per sottrazione, l’importanza di Handanovic si è vista ancora di più nella sua assenza. Nelle due partite di cartello giocate da Padelli, quelle contro Milan e Lazio, l’Inter ha lasciato la sensazione diffusa di una maggiore difficoltà nella costruzione dal basso: anche a livello statistico è abbastanza lampante notare come Padelli, rispetto ad Handanovic, abbia effettuato meno passaggi corti (13.13 contro 14.23 per 90 minuti) e più lanci lunghi (4.06 contro 3.15 per 90 minuti). Ma soprattutto era evidente la sensazione di una maggiore precarietà nella circolazione del pallone e di una maggiore sfiducia della squadra nell’effettuare retropassaggi al portiere.

 

Con Handanovic questo problema non si pone: il portiere sloveno ha ormai imparato a gestire praticamente qualsiasi tipo di pallone in arrivo, anticipando il pensiero della giocata successiva per orientare il controllo e dosando perfettamente la forza del passaggio, dopo aver calcolato il movimento dei compagni. La sua capacità di muoversi a proprio agio danzando sul filo sottilissimo del rischio, attraverso passaggi impossibili – come lo scavetto a Messi al Camp Nou – o controlli ritardati, quasi per invitare il più possibile al pressing l’avversario per poi aggirarlo, è cresciuta notevolmente in pochi mesi. Handanovic è riuscito a diventare un grande

pur essendo cresciuto in un’epoca calcistica decisamente diversa da quella attuale, soprattutto per quello che riguarda i portieri.

 


Il Barcellona lo ha inseguito a lungo, anche quando ancora non era capace di un passaggio così sfacciato a scavetto sopra la testa del miglior giocatore del mondo, determinante per far uscire l’Inter in modo pulito dal pressing al Camp Nou.


 



Il ritorno in campo di Handanovic contro la Juventus, nell’ultima partita prima della lunga sosta, e le sue numerose giocate che hanno permesso all’Inter di uscire spavaldamente dal pressing dei bianconeri, hanno forse rappresentato l’apice di questa ultima trasformazione del campione sloveno. Anche nel suo gioco con i piedi, nonostante non sia dotato di grande naturalezza e morbidezza neanche nell’uso del suo piede preferito, Handanovic riesce a essere perfettamente fedele a sé stesso: costante, preciso, estremamente intelligente.

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Sul retropassaggio Handanovic intuisce un potenziale pressing su de Vrij (prima immagine) ma vede l’apertura su Candreva solo (seconda immagine). Per realizzarla orienta il controllo di suola verso sinistra per aprirsi il corridoio sul pressing di Ronaldo ed effettua il passaggio lungo, morbido e preciso con il piede debole, il mancino.


 

Se la partita all’Allianz Stadium può efficacemente rappresentare l’apogeo della versione più aggiornata di Handanovic, altre sono le sfide simbolo delle sue capacità fuori dal comune tra i pali. Per sua sfortuna, sia per la sua scarsa esperienza in Champions League che per la militanza in una nazionale con poco blasone, le partite chiave per scolpire le sue qualità più naturali sono per lo più legate alla Serie A. Un contesto che forse non ha facilitato la sua affermazione a livello europeo e mondiale.

 

La scorsa stagione Handanovic ha superato qualche scoria delle difficoltà di metà 2018 e, complice anche la partenza di Alisson, è stato premiato dalla Lega Serie A come miglior portiere dell’annata. Si è trattato dell’ennesima prova dell’incessante fase ascendente del suo rendimento negli anni: «Ogni stagione mi sento di migliorare. Io non mi pongo limiti: finché un giocatore pensa di poter migliorare deve giocare. Smetterò quando penserò che non sarà più possibile migliorarsi».

 

Nel corso della sua carriera Handanovic avrebbe avuto molti alibi per allentare la sua motivazione: la perdita del posto da titolare dopo sole tre partite alla sua prima vera stagione in Serie A, la discesa in B, il mancato trasferimento al Barcellona prima dell’arrivo di Luis Enrique, i troppi anni di transizione dell’Inter prima di poter aprire un ciclo potenzialmente vincente, una nazionale non competitiva. Eppure Handanovic negli ultimi dieci anni si è rivelato tra i portieri più affidabili e costanti al mondo, senza aver portato a casa alcun trofeo. Forse il suo segreto sta nell’essersi posto nell’ottica cartesiana della conquista di sé stesso, anno dopo anno, senza sentire in modo così impellente la necessità di affermare sé stesso all’esterno, attraverso dei titoli in bacheca.

 

La possibile rinascita dell’Inter può così intrecciarsi, almeno nei prossimi due anni, in una sfumatura diversa e definitiva alla carriera del suo capitano. Quello sull’incompiutezza è uno dei topos che spesso rendono le storie più affascinanti, ma la realtà è che presto la storia del calcio potrebbe avere uno dei suoi migliori portieri degli ultimi tempi completamente a secco di trofei. Sarebbe una grande ingiustizia, ma forse ad Handanovic interessa meno che a noi.

 

 

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