Venerdì prossimo, in un Morumbì blindato, sorvolato da droni e con una squadra di cecchini appostata, sotto gli occhi di Jair Bolsonaro, prenderà il via la quarantaseiesima edizione della Copa América. Incastrata in un calendario estivo decisamente congestionato, a cavallo tra il Mondiale U20, il Mondiale femminile, la Coppa d’Africa e gli Europei U21, la Copa América mantiene tuttavia un fascino inossidabile, tutto suo, solo leggermente attenuato in tempi recenti dalle performance deludenti delle Nazionali sudamericane.
Dopotutto stiamo sempre parlando del continente d’elezione di una certa idea di talento, di una visione del calcio in bilico tra realismo magico, aggressività e creatività umana.Quest’anno ci sarà il cortocircuito tra squadre di un lustro calcistico più Ancien Régime che nostalgico, Brasile e Argentina, e quelle turbocapitalistiche moderne, tipo il Qatar.
La Copa América è quel torneo che l’Argentina, ridendo e scherzando, non vince da 26 anni; che vedrà la finale giocarsi nello stadio in cui a ogni Seleçao brasiliana viene il braccino; la cui Nazionale campione in carica, il Cile, che è pure bicampeón a esser sinceri, non si è neppure qualificata per i Mondiali dell’anno scorso.
Ci sono le contraddizioni di un continente con le vene più che mai aperte e il fascino di dodici nuove regole che la IFAB sperimenterà durante il torneo, tra cui la possibilità di ammonire membri del corpo tecnico: cosa potrà andare mai storto? C’è tutto quello che serve per rendere questa Copa América esattamente la nostra idea di Copa América.