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Guida all'Inter 2017/18
12 set 2017
12 set 2017
L'Inter ha puntato su Spalletti per rientrare subito tra le grandi.
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«I primi tre mesi in club sono sempre quelli in cui un allenatore è più forte. È allora che devi sbrigare tutte le faccende sgradevoli, perché non sarai mai forte quanto nei primi tre mesi».

 

Le parole che David Peace nel capolavoro

indirizza a Brian Clough, appena arrivato al Derby County nella primavera del ’67, sembrano ancora più adatte al ritmo del calcio di cinquant’anni dopo, capace di masticare e sputare allenatori dopo una manciata di risultati negativi. I primi mesi diventano a maggior ragione importanti se il “tu” a cui è indirizzato il monito deve prendere in mano l’Inter, dove sono stati cambiati undici allenatori in quella che potremmo chiamare l’era “post-Mourinho”. Undici allenatori nelle ultime sette stagioni, cioè.

 

E se qualcuno pensava che il passaggio della maggioranza societaria al Suning Holding Group del giugno del 2016, e gli ulteriori investimenti compiuti nel mercato (sono arrivati Candreva, Joao Mario, Banega, Gabriel Barbosa), avrebbero portato immediatamente alla stabilità si è dovuto ricredere di fronte ai due esoneri stagionali di Franck de Boer e Stefano Pioli. Il primo è stato liberato dalle proprie responsabilità dopo appena 14 partite (la metà delle quali perse), il secondo a tre giornate dalla fine (dopo 7 partite consecutive in cui aveva raccolto appena 2 punti), con un comunicato sul sito ufficiale pubblicato un martedì in seconda serata, alle dieci e mezza. In tutto nell’ultima stagione si sono alternati quattro allenatori, se si considerano anche Roberto Mancini, che aveva preparato la squadra fino ad agosto, e Stefano Vecchi, tecnico della Primavera chiamato dopo entrambi gli esoneri sulla panchina della prima squadra, dirigendo la squadra 5 volte in totale.

 

Insomma, l’Inter ha passato un’annata turbolenta, l’ennesima al di sotto delle ambizioni dei tifosi e del club stesso. In casi come questo, però,

e

sono due facce della stessa medaglia. Quasi in contemporanea con l’esonero di Pioli è arrivato l’ex direttore sportivo della Roma, Walter Sabatini, a fare da coordinatore dell’area tecnica (per Inter e Jiangsu Suning) e affiancare Piero Ausilio nel mercato; e come allenatore è stato scelto Luciano Spalletti, che ha rinunciato a giocare la Champions League con la Roma dopo un sofferto secondo posto.

 

Il presidente Zhang Jindong e il suo board saranno senz’altro stati informati del fatto che Spalletti non è un allenatore morbido, né il tipo che si accontenta di performance mediocri da parte dei suoi giocatori (“Chi non dà tutto, non dà niente”, ha detto

) o scende a compromessi con un ambiente ostile. Per questo l’impressione è che sia stata fatta una scelta coraggiosa - da parte del club e di Spalletti stesso - con la consapevolezza che un allenatore del genere può portare a un importante salto in avanti dell’Inter, ma anche del rischio che comporterebbe un suo eventuale fallimento. Il sottotesto sembra essere che se neanche Spalletti riuscirà a dare un equilibrio (tattico, mentale, nei risultati) a questa squadra, allora significa che non può riuscirci nessuno.

 

Tutto sommato, al netto di un mercato non entusiasmante, per qualcuno proprio deludente, Spalletti ha superato alla grande la prova dei primi tre mesi. Sia sul piano del gioco che su quello dei risultati: i 9 punti nelle prime tre giornate di campionato (8 gol fatti e solo 1 subito) hanno confermato le buone impressioni del pre-campionato e l’Inter è sembrata già

di quello che si sarebbe potuti aspettare.

 


 

 

Antipasto: il secondo gol di Icardi contro la Roma è un esempio di alcuni principi cari a Spalletti. L’avanzamento verticale linea per linea, partendo dalla difesa con la palla a terra, la ricezione negli spazi di mezzo, la profondità e l’attacco dell’area non solo con Icardi. To be continued…


 



Quando Peace parlava della necessità per un tecnico di utilizzare la propria forza nei primi mesi, però, aveva in mente una figura più manageriale e con molta più libertà di quella che può ricoprire un allenatore nel calcio di oggi. In un contesto complesso come quello dell’Inter -

- a Spalletti non sarebbe bastato neanche convincere personalmente i giocatori in grado di garantire un salto di qualità tecnico per farli venire ad Appiano Gentile ad allenarsi con lui.

 

Sulla percezione di tifosi e osservatori neutrali hanno influito sia le forzature

, sia le ambiguità e le contraddizioni comunicative interne alla stessa società: dall’hashtag #interiscoming lanciato sull’account Twitter ufficiale, all’ammissione di Ausilio di aver puntato inizialmente

, alle parole

: «L’Inter non si aggiusta in due mesi».

 

La dirigenza dell’Inter ha lavorato molto in uscita (“le faccende sgradevoli”) sfoltendo la rosa di quei giocatori che comunque avevano un ruolo marginale: Biabiany, Palacio, Carrizo, Andreolli, e volendo in questa stessa categoria si può far rientrare Jovetic; ma anche di alcuni che nella passata Serie A hanno giocato parecchi minuti: Medel, che aveva avuto un ruolo importante nelle passate stagioni anche grazie alla sua polivalenza, Murillo, Kondogbia, Banega e Ansaldi, ceduto nelle ultime ore di mercato nonostante fosse ormai troppo tardi per prendere un sostituto in difesa. A questi vanno aggiunte le cessioni di Caprari, Di Marco e Miangue, che avrebbero potuto dare un contributo e il prestito al Benfica di Gabriel Barbosa, che potrà fare esperienza senza che il suo sviluppo diventi una responsabilità in più per Spalletti.

 

Se è vero che è stato sottovalutato il mercato in entrata, e che tenere un giocatore impossibile da sostituire con uno di pari livello come Perisic è da considerare come un acquisto, è vero anche che l’Inter ha una rosa corta, numericamente e qualitativamente (per questo forse Sabatini ha accennato anche alla possibilità di completarla nel mercato di gennaio).

 

Anche senza coppe, Spalletti potrebbe avere dei problemi in alcuni ruoli in particolare. In molti hanno sottolineato il

, che Spalletti ha già dovuto

pubblicamente, come primo sostituto al centro della difesa, e dei rischi legati all’inesperienza del diciottenne belga promosso dalla Primavera,

, che sarà il quarto centrale a disposizione (con i pari età spiccava per tempismo e aggressività nei duelli, e per le coperture non troppo lunghe, ma va fatta la tara sul gap fisico che lo separa dai professionisti). E non è difficile immaginare la pressione su Pinamonti nel caso in cui venisse chiamato a sostituire Icardi invece di Eder (fermo restando che nessuno sarebbe in grado di sostituire veramente Icardi).

 

Discorso a parte per Yann Karamoh, che a diciannove anni ha già giocato una stagione da titolare con il Caen, mettendo in mostra un talento davvero spiccato (un’impressionante velocità in campo aperto e un dribbling bruciante che prepara con un ottimo controllo orientato). Nel suo passato recente Spalletti non ha mostrato grande passione per i talenti in formazione, ma Karamoh in teoria potrebbe dargli un’opzione in più.

 

In ogni caso, per farla il più breve possibile, possiamo dire che al momento Spalletti ha possibilità di scelta solo a centrocampo e nei terzini. Dovrà contare sulla continuità dei suoi giocatori più insostituibili (Candreva, Perisic, Icardi e la coppia titolare di centrali difensivi Miranda-Skriniar), ma starà a lui compensare con l’organizzazione e la mentalità eventuali lacune. Probabilmente Spalletti non esiterà a cambiare modulo per adattarsi al materiale umano a disposizione, sfruttando la flessibilità dei giocatori più polivalenti in rosa. In questo senso possiamo considerare Joao Cancelo sia come un terzino che come un esterno offensivo (dove ha giocato spesso a Valencia, un ruolo consono anche alla maglia numero 7 che indosserà una volta rientrato dall’infortunio) e anche Dalbert potrebbe sfruttare le sue doti offensive in una posizione più avanzata, o occupando da solo tutta la fascia (più di una volta nel Nizza ha giocato in una linea a 5). Anche Éder e Brozovic potrebbero tornare utili in più di una posizione offensiva.

 

Il pericolo è quello di responsabilizzare eccessivamente troppi giocatori: più giocatori devono rendere al massimo sempre, più probabilità ci sono che qualcosa nel corso della stagione vada storto. Basti pensare a una pedina fondamentale come Skriniar, chiamato a un salto prima mentale che tecnico:

e per la difficoltà dei compiti che gli vengono assegnati da Spalletti - in impostazione ma anche in copertura, considerando che Miranda è quello dei due meno a proprio agio con molto campo alle spalle - è continuamente esposto

decisivi. Ha cominciato la stagione in modo decisamente incoraggiante e la speranza è che faccia percorso netto, ma potrebbe passare momenti difficili in cui resistere alla pressione esterna e nel frattempo continuare a lavorare sui propri margini di miglioramento.

 

Per questo Spalletti ha insistito molto fin dall’inizio sull’aspetto mentale: «L’Inter deve essere la squadra, il sudore comune per lo stesso obiettivo, non ci sono obiettivi individuali se non c’è obiettivo comune».

 


L’ultima partita di Pioli, contro il Genoa. Dopo poco più di un minuto dal fischio di inizio l’Inter sembra già senza filo logico.


 



A differenza dei suoi immediati predecessori, Spalletti ha già dimostrato con la Roma di avere gli strumenti per risolvere i problemi di una rosa lacunosa, e il carattere per dare alla squadra la solidità mentale per superare i momenti di crisi.

 

Se De Boer, venendo da sei anni in un club con programmazione profonda come l’Ajax e nessun’altra esperienza internazionale, era una scommessa che si sapeva sarebbe potuta finire male; Pioli forse è stato vittima di un

per cui è stato descritto come un “normalizzatore” (forse per il carattere schivo) e non come un allenatore con idee tattiche radicali. L’Inter di Pioli ha giocato anche un

nella parte centrale dello scorso campionato (7 vittorie consecutive, prima della partita di ritorno con la Juventus persa 1-0), ma ha rovinato tutto con

, marzo e aprile, che gli sono costati la panchina.

 

L’ultima Inter di Pioli era lontana anni luce dalla squadra elastica, aggressiva con un pressing ultra-offensivo, verticale e diretta dei suoi momenti migliori. Se si guardano le partite di ritorno con Fiorentina, Napoli e Genoa si percepisce un senso di emergenza troppo profondo per pensare che potesse essere solo una fase passeggera. Una squadra lunghissima, un tessuto strappato dalla mancanza di coordinazione nei movimenti della pressione offensiva e da scelte individuali sbagliate, con una cattiva gestione del pallone che la esponeva a transizioni difensive da incubo e un’incapacità cronica nel tracciare e assorbire gli inserimenti avversari.

 

Il campo da coprire era troppo, anche per quei giocatori (

) che ne coprono generalmente molto e le distanze tra i giocatori lasciavano spazi in ogni zona del campo:

, negli spazi di mezzo, tra i centrali di centrocampo, ai lati dei terzini e alle spalle della linea difensiva sempre piuttosto alta, ma lenta ad accorciare e in difficoltà quando si trattava di difendere correndo verso la propria porta. Persino in fase di difesa posizionale, quando il 4-4-2 nerazzurro si abbassava a ridosso o dentro la propria metà campo, l’orientamento sull’uomo e le pressioni individuali scollegate aprivano

e alle spalle della difesa.

 


Il centrocampo di Pioli ha sofferto moltissimo anche i due trequartisti di Paulo Sousa, che hanno trovato sempre molto spazio dove ricevere.


 

L’Inter di Spalletti vista in questi primi mesi è più ordinata ed equilibrata, pur non avendo rinunciato ad un atteggiamento aggressivo senza palla difende in un campo più stretto e con più uomini. Il suo 4-2-3-1 (in continuità con quello di Pioli) si alza spesso dentro la metà campo avversaria, sempre sui retropassaggi e sulle rimesse del portiere. I mediani pareggiano la pressione al centro del campo e spingono il possesso avversario sugli esterni, ma si segue meno rigidamente l’uomo rispetto a prima: si tiene come riferimento la palla ma si tagliano le linee di passaggio e si marcano preventivamente i giocatori in ricezione. Senza palla le distanze sono nettamente più corte: ad esempio quando il possesso avversario trova sfogo su una fascia, l’esterno opposto interista (Candreva o Perisic, cioè) entra molto dentro al campo, per non lasciare un buco ai lati dei mediani che scivolano da una parte all’altra per aumentare la densità centrale.

 

Sia contro la Roma che contro Fiorentina e Spal, l’Inter ha lasciato consapevolmente degli avversari liberi dietro la propria linea di pressione,

la prima impostazione spingendo la difesa avversaria al lancio lungo e fidandosi delle marcature preventive alle spalle della pressione.

 


La pressione dell’Inter al limite dell’area della Roma, in parità numerica, non lascia a Juan Jesus altra scelta che il lancio. Da notare come Gagliardini segua De Rossi e come Candreva si muova verso il centro del campo per dare equilibrio.


 

L’Inter si protegge con una coperta che a volte è troppo stretta, soffrendo

che la spingono in basso di parecchi metri e nei peggiori dei casi espongono i terzini a un duello difensivo con l’ala opposta.

 

Invece,

o viene eluso, e non vengono fatte le scalate necessarie, l’Inter soffre ancora brutte transizioni, con la linea difensiva che scappa all’indietro e allunga il campo a disposizione degli avversari.

 

Lo stesso vale quando l’Inter fa possesso palla nella metà campo avversaria e non riesce a effettuare il recupero immediato dopo averla persa. Spalletti ha parlato di palloni

e dopo la partita con la Roma

l’importanza che la squadra si muova come “un blocco”, costruendo il gioco palla a terra per portare «i giocatori dentro l’aerea di rigore avversaria, con i piedi della linea difensiva sulla metà campo, perché la squadra deve stare in 30-40 metri assolutamente».

 


 

 

Borja Valero scala su De Rossi senza che Candreva lo copra su Strootman, Icardi scherma il passaggio verso Fazio e Manolas è libero di avanzare e pulire la linea per l’olandese. A quel punto l’Inter deve scivolare sul lato opposto e si apre il corridoio in cui corre Perotti.


 

Le difficoltà sull’efficacia di un gioco del genere riguardano soprattutto la capacità dei giocatori di coordinarsi in maniera efficace, complicate nel caso dell’Inter dal livello atletico di giocatori come Borja Valero e Miranda rispetto a giocatori come Perisic e Candreva. Nella partita con la Roma, in cui è stata messa maggiormente in difficoltà dal punto di vista fisico, l’Inter ha vinto la partita quando ha rinunciato al controllo che aveva esercitato nel primo tempo (il possesso palla è sceso dal 56% del primo tempo al 47% nel secondo), per scelta tattica o per stanchezza, e ha abbassato leggermente il proprio baricentro.

 

Il gol subito da Dzeko ha evidenziato i problemi della linea difensiva, ma l’azione parte

in cui l’Inter si è allungata, pagando la pigrizia di Candreva nello schermare la traccia esterna (con Fazio chiuso sull’esterno sinistro la palla passa tra Candreva e la linea laterale) e quella di Gagliardini in zona palla che non vede il taglio di Strootman alle sue spalle (attirato dal movimento a rientrare di Kolarov). La Roma ha risalito metà campo solo con quel movimento, e l’altra metà cambiando gioco da sinistra a destra.

 



D’altra parte anche la Roma di Spalletti lo scorso anno era spesso troppo lunga in campo e l’equilibrio finiva con il dipendere soprattutto dalle capacità atletiche e tecniche di alcuni giocatori sopra la norma come Nainggolan, Strootman. Se non altro, è per questo che le voci di mercato che li vedevano entrambi, o anche solo uno dei due, raggiungere Spalletti, potevano avere un fondo di senso, perché di giocatori che da soli risolvono problemi tattici strutturali non ce ne sono molti.

 

Lo stesso vale per le voci riguardanti Rüdiger, a suo agio con la palla tra i piedi in fase di impostazione e veloce nei recuperi e aggressivo nell’anticipo. Un difensore, come molti delle ultime generazioni, che difende meglio lontano dalla propria porta.

 

Spalletti, però, ha trovato soluzioni diverse nel mercato, cercando di risolvere il problema dell’equilibrio con giocatori magari individualmente meno eccezionali ma funzionali all’identità di gioco che ha in mente.

 


La struttura posizionale dell’Inter, con il quadrilatero di impostazione (Skriniar è fuori inquadratura a sinistra) e la grande densità data dall’accentramento dei due esterni. L’ampiezza è data dai terzini.


 

«Chi comanda il gioco è più facile che vinca la partita», ha detto Spalletti nella conferenza di presentazione. L’idea è quella di puntare su una costruzione bassa e un palleggio finalizzato prima di tutto a conservare il pallone, sia per attirare il pressing avversario e approfittare di eventuali spazi, sia per mantenere la squadra corta con una concentrazione in zona palla che possa portare al recupero immediato.

 


 

 

Vecino fa da moltiplicatore di linee di passaggio, ma anche il contributo degli esterni è fondamentale.


 

In assenza di un attaccante come Dzeko su cui indirizzare i palloni lunghi, per l’Inter è fondamentale far uscire la palla dalla difesa con il gioco di posizione, anche in zone di campo pericolose. Skriniar di fatto garantisce un controllo sul pallone da centrocampista, ma l’equilibrio di squadra dipende molto dalle capacità con e senza palla del centrocampo, dove Spalletti non ha ancora trovato il suo triangolo preferito, la combinazione che gli garantisca fluidità nel possesso e la giusta aggressività in pressione.

 

Borja Valero è senza dubbio il migliore nel primo aspetto e salvo esperimenti (o secondi tempi in cui lo spagnolo sentirà il peso degli anni) difficilmente Spalletti rinuncerà alla sua qualità. Per quello che si è visto fin qui il suo compagno ideale è Matías Vecino, per l’intelligenza tattica con cui sceglie quando restare a coprire e quando aggredire la palla in avanti, quando moltiplicare le linee di passaggio e giocare corto, quando partire in progressione in verticale.

 

Vecino ha giocato interamente le prime due tranne quella con la Spal (complice forse i viaggi e le partite di Vecino con l’Uruguay durante la pausa) ha iniziato Gagliardini, che però si fa ancora attrarre troppo dal pallone e dagli avversari, scoprendo lo spazio alle proprie spalle, e non ha una protezione della palla che gli permetta di giocare tranquillo vicino alla difesa.

 

Sulla trequarti probabilmente Spalletti farebbero giocare un secondo Borja Valero, se ne avesse due a disposizione, per come si muove

e per come sa cambiare ritmo alla palla velocizzando la giocata dalla trequarti in su. Joao Mario non solo preferisce portare il pallone in conduzione da una zona all’altra del campo anziché passarla (più utile per questo in transizione), rallentando il gioco, ma finisce spesso a prendersi palla all’altezza davanti agli avversari. Joao Mario ha fatto praticamente tutto il precampionato da titolare, ma nelle prime due partiti ufficiale Spalletti gli ha preferito Brozovic e Borja Valero, per poi riproporlo

(ed è stato Joao Mario a conquistare il rigore del vantaggio). Al suo posto Brozovic è più aggressivo difensivamente e diretto con la palla - forse anche troppo, facendo perdere controllo alla squadra.

 

Tutti i trequartisti a disposizione offrono caratteristiche diverse e starà a Spalletti quale preferire, quella che compromette meno il resto della struttura. Per il momento il compromesso migliore sembra comunque Joao Mario, ma non è da escludere che Spalletti prima o poi non provi anche uno tra Vecino e Gagliardini più avanzati, per cercare di aumentare le chance dell’Inter di recuperare palla in alto e anche per scambiarsi di posizione con Borja Valero nelle fasi di possesso più prolungate, durante le quali già ora i centrocampisti interisti sono molto mobili.

 



Se lo scorso anno quasi tutte le responsabilità creative dell’Inter poggiavano su Candreva e Perisic, quest’anno, pur con un ruolo diverso, la loro influenza sul gioco dell’Inter è persino maggiore.

 

Sia in pressione, dove gli errori nelle scalate o nella gestione delle distanze possono causare faticose transizioni difensive (

), sia quando l’Inter gestisce il possesso nella metà campo avversaria. Il loro accentramento in fase di possesso è stato notato un po’ da tutti e serve a creare superiorità numerica al centro. Spalletti ha detto: «È chiaro che crea difficoltà di marcatura, e quando il terzino da quella parte riesce a dare profondità automaticamente spinge quello davanti dentro».

 

In particolare le difese a 4 (che comandano in Italia quest’anno) sono costrette a scegliere se far seguire

e Perisic dai terzini corrispondenti, scoprendo però la fascia all’attacco del terzino interista, oppure da uno dei difensori centrali, lasciando in quel caso l’altro centrale solo contro Icardi, abilissimo ad approfittare della profondità. La passività della Roma nel leggere questo tipo di situazioni ha portato 3 punti preziosissimi per l’Inter, con l’indecisione di De Rossi che lascia Joao Mario libero di ricevere sul lato di Perisic, contribuendo in maniera decisiva al secondo gol di Icardi.

 

A volte Candreva e Perisic finiscono per

, come avvenuto nei momenti precedenti al gol di testa di Icardi contro la Fiorentina, in cui Perisic era finito a destra su un fallo laterale. Considerando che è molto difficile difendere un’asimmetria di questo tipo, l’Inter riesce a tenere palla in fascia e a liberare un uomo per il cross, con la difesa avversaria piazzata e in grande superiorità, però. È una situazione che l’Inter si può permettere solo perché in area

che può tranquillamente restare da solo contro tutta la difesa e trovare comunque il gol sul successivo cross, alto o basso che sia.

 

Più spesso, quando la palla è gestita nella fascia centrale di campo, gli esterni vengono entrambi dentro per ricevere ai lati del trequartista. Ancora una volta è una mossa per avere superiorità (solo la Spal con 3 difensori più 3 centrocampisti non correva nessun pericolo) ma l’Inter perde in maniera evidente in profondità, isolando Icardi e come sfogo unico per il possesso solo i terzini.

 

La situazione ideale è quella che ha portato al secondo gol contro la Roma, con l’esterno sul lato debole (Candreva) che si accentra, eventualmente per ricevere e cambiare gioco sul terzino che nel frattempo dovrebbe essere salito, mentre quello sul lato forte punta la linea di fondo, per cercare Icardi o un inserimento da dietro (quello di Candreva che fa il velo in quel caso, quello di Vecino nel gol che ha chiuso quella stessa partita).

 


Cliccate se qui invece volete vedere un esempio di cosa succedeva quando l’esterno lontano non si accentrava e De Rossi non aveva dubbi su chi deve marcare. Spoiler: l’Inter perdeva palla.


 

A questo stadio dello sviluppo del gioco di Spalletti l’Inter riesce ad avere un buon controllo sulla gara, ma offensivamente è ancora prevedibile, dipendendo dalle capacità individuali (quelle di Icardi prima di tutto) di svoltare la giocata che cambi la partita. La prevedibilità dipende anche dalla tendenza dei giocatori sulla trequarti ad aspettare la palla sui piedi con le spalle alla porta avversaria e dalla mancanza di coordinazione tra esterni e terzini (ancora troppo timidi), ma quello che mancano sono soprattutto gli inserimenti alle spalle della difesa avversaria.

 

Contro la Spal (che con la difesa a 3 copriva gli spazi di mezzo in cui si accentrano gli esterni interisti), Candreva e Perisic sono rimasti più larghi, con Dalbert e D’Ambrosio che hanno trovato con più facilità il tempo della sovrapposizione. Ma è venuta fuori, senza nessuna pressione sulla palla da parte della squadra di Semplici, la mancanza di profondità e di meccanismi offensivi. Icardi, come è noto, spinge la linea difensiva avversaria verso il basso, ma se manca la capacità di sfruttare gli spazi (tra le linee avversarie, o tra i singoli difensori che compongono quella difensiva) la palla ristagna sulla trequarti di campo.

 

In compenso Dalbert (leggermente in affanno contro Lazzari, ma alla fine non ha concesso quasi niente) ha dato un piccolo assaggio delle sue doti di corsa, con cui può coprire tutta la fascia, e un suo utilizzo in pianta stabile potrebbe portare a una maggiore fluidità della struttura, con un passaggio in fase offensiva dal 4-2-3-1 a una specie di 3-4-2-1.

 

Come detto, Candreva si accentra già quando la palla è sul lato opposto e Perisic, anche per una sua tendenza naturale, gioca sempre un po’ più in alto. In questo modo l’Inter potrebbe sfruttare la capacità del croato di

alle spalle dei difensori avversari, un po’ come la Roma usava Salah sulla fascia opposta.

 

Con un sistema ibrido di questo tipo anche il trequartista centrale potrebbe inizialmente muoversi dalla posizione di mezzala, in un 4-3-3 di partenza che darebbe maggiore equilibrio a palla persa, magari con Borja Valero (che potrebbe abbassarsi tra i centrali per impostare) e due tra Vecino, Joao Mario e Gagliardini contemporaneamente in campo.

 

Spalletti dovrà in ogni caso cercare di velocizzare il gioco dell’Inter con la palla tra i piedi, per sorprendere le difese che si chiuderanno ad aspettarla ed esaltare le caratteristiche dei suoi giocatori migliori, che in teoria avrebbero le caratteristiche per giocare in transizione. Sicuramente ci saranno partite o anche solo delle fasi di una partita in cui l’Inter lascerà il controllo della palla agli avversari, ma difficilmente i problemi della linea difensiva spariranno del tutto e vedremo l’Inter difendere all’interno della propria area senza rischiare nulla o quasi. Per il momento è di sicuro meglio tenere la palla il più lontano possibile da Handanovic, provare a giocare a viso aperto contro ogni avversario anche correndo il rischio di perdere l’equilibrio.

 

Il calendario delle prossime settimane aiuterà l’Inter ad entrare lentamente nel vivo della competizione. A metà ottobre arriveranno le prime partite pesanti, per la classifica e il morale, contro Milan e Napoli: fino a lì non saranno ammessi errori, e anche dopo la concentrazione dovrà restare sempre alta se si vuole centrare l’accesso alla Champions League 2018/19, arrivando tra le prime quattro.

 

Ma più che la classifica finale, che comunque conterà per dare un giudizio conclusivo sul primo anno di Spalletti in nerazzurro, sarà importante restare in corsa con le migliori del campionato e non avere flessioni di forma troppo lunghe. Dare al pubblico dell’Inter, alle 50.000 persone venute allo stadio (più o meno, in media) con tutti i dubbi e le incertezze di questo inizio stagione, quanto meno la sicurezza di essere sulla buona strada.

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