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Marco De Santis
Un bilancio finale del calciomercato estivo
07 set 2017
07 set 2017
Un punto economico sulle situazioni di Milan, Juventus, Roma, Inter e delle altre di Serie A e dei campionati esteri.
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Marco De Santis
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Il calciomercato che si è appena concluso è stato uno dei più interessanti degli ultimi anni. Non solo per alcuni trasferimenti clamorosi che - a parte quello di Neymar che fa storia a sé - non sono stati rari neanche negli anni passati, ma soprattutto per i movimenti di qualche club, primo fra tutti il Milan, capaci di generare molto interesse nell’opinione pubblica, e per alcune cifre che hanno fatto storcere la bocca a molti. Vale la pena quindi tirare qualche somma per capire se davvero questo è stato un calciomercato “esagerato” o se magari si è data troppa importanza ad alcune singole operazioni senza analizzarle nel complesso globale, nel contesto cioè delle singole situazioni dei club coinvolti.

 


Partiamo dalla squadra che ha scombinato di più il calciomercato italiano, ovvero il Milan. Nel nostro

avevamo indicato quelli che immaginavamo fossero i quattro obiettivi di mercato dei rossoneri: il rinnovo di Donnarumma; il rafforzamento della rosa con più di un acquisto tra centrocampo e difesa; l’ingaggio di una prima punta di altissimo livello; e infine il raggiungimento di un accordo con l’Uefa per il “Voluntary Agreement”.

 

I primi due obiettivi sono stati centrati, mentre per l’attacco alla fine è arrivato uno dei nomi alternativi ipotizzabili, Kalinic (dalla Fiorentina, con la formula del prestito con obbligo di riscatto), e l’attaccante portoghese

(dal Porto), per un costo complessivo sul prossimo bilancio di circa la metà del valore dei nomi

(con valutazioni anche superiori agli 80 milioni, come Morata, Belotti e Aubameyang). In compenso, è stato acquistato un giocatore di primissimo livello in difesa, Leonardo Bonucci, in maniera piuttosto inaspettata.

 

Per quanto riguarda il raggiungimento di un accordo con la UEFA per il “Voluntary Agreement”, la società non è riuscita a chiudere un accordo per giugno ma ha potuto sfruttare al meglio i mesi in più concessigli dalla UEFA per presentare un credibile piano di rientro. Ed è forse stata questa momentanea libertà, la possibilità di operare liberi da qualsiasi vincolo di spesa per la stagione 2017/18, la chiave del cambio di passo del mercato del Milan, che nel giro di poche settimane è passato da una possibile rottura con

, il cui stipendio sembrava non potesse andare oltre i 4 milioni a stagione, a una soluzione che prevede che quasi il doppio di questa cifra (investita sia nel suo stipendio che in quello del fratello maggiore).

 

Una svolta, nelle strategie di mercato del Milan, certificata pubblicamente in più occasioni anche da Fassone (ultima delle quali il “#APACF Show” di fine mercato) che ha raccontato come a un certo punto la dirigenza si è ritrovata per le mani più soldi da spendere di quelli inizialmente previsti per gli acquisti (che non erano comunque pochi). I rossoneri hanno chiuso il mercato con 162 milioni di passivo nei costi dei cartellini (senza contare i riscatti futuri di Kalinic e Kessié), 359 milioni investiti sulla squadra contando gli ingaggi pluriennali dei nuovi arrivati e un passivo sul bilancio annuale dovuto alle operazioni superiore ai 40 milioni. La perdita ipotizzabile per il bilancio 2017/18 è vicina ai 100 milioni, al netto di altre operazioni di mercato da qui al 30 giugno 2018 e di futuri aumenti dei ricavi.

 

Come

, la strategia rossonera è stata quella di investire gran parte del budget messo a disposizione per il triennio nel primo anno, così da rinforzare una squadra carente a livello di uomini chiave e nella migliore delle ipotesi dover intervenire con acquisti molto più mirati e meno numerosi nei prossimi anni. Per questo i dirigenti hanno sottolineato che è impossibile aspettarsi un mercato di questo peso anche nella prossima stagione (al di là dei vincoli del Fair Play Finanziario) e che in caso di mancata qualificazione alla Champions League sarà necessario vendere per fare un’elevata plusvalenza che sostenga il bilancio. Se però la squadra si qualificherà alla massima competizione continentale, non sarebbe più necessaria la cessione di un giocatore importante (se non finalizzata a sostenere qualche altro acquisto molto costoso che necessiti di fondi elevati).

 

Va senz’altro riconosciuto a Fassone e a Mirabelli il coraggio di un mercato che ha indubbiamente migliorato la rosa e reso più competitiva la squadra, restituendo credibilità e ambizione al Milan.

 



 


Come previsto, la Juventus ha puntato molto su nuovi giocatori nel reparto avanzato, numericamente deficitario la passata stagione. Sono arrivati

e

, mentre è mancato il terzo acquisto che avrebbe potuto essere uno fra Schick e Keita. La gestione di questi due casi mostra la strategia bianconera: rafforzare la squadra senza lasciarsi andare a spese ritenute troppo elevate rispetto al valore che viene dato ai giocatori da acquistare.

 

Filosofia che rappresenta una delle chiavi della florida situazione economica della Juventus: per il bilancio 2016/17 ci si può aspettare un utile di 45-50 milioni, e per quello successivo non è più un miraggio il pareggio di bilancio - o comunque un passivo limitato - in caso di buon cammino in Champions League. Nonostante l’aumento del monte ingaggi di 16 milioni, e di quello del monte ammortamenti di 26, le operazioni di mercato si sono chiuse con un attivo sul bilancio annuale di 68 milioni, a fronte di spese per 20 milioni sui cartellini e per 96 nei costi totali.

 

Il campo ci dirà, però, se la dirigenza bianconera ha compiuto le scelte migliori per il ruolo di terzino destro, dove si è preferito non investire sui nomi che sono circolati in estate (come quello di Joao Cancelo) provando prima a riportare a casa Spinazzola e, poi, puntando sul difensore tedesco Howedes, capace di interpretare sia il ruolo di centrale che di terzino. In questo senso, l’ex capitano dello Shalke 04, copre a livello numerico anche il buco lasciato scoperto da Leonardo Bonucci, forse l’affare più sorprendente del mercato italiano.

 

Se un suo addio era

a inizio sessione, non era affatto scontato che finisse ai rivali del Milan per una cifra abbastanza elevata ma più bassa rispetto a quanto ci si potesse aspettare in caso di suo trasferimento all’estero. La dinamica dell’affare, oltre che le parole dei protagonisti della vicenda, hanno fatto capire che i calcoli economici hanno lasciato spazio all’esigenza di chiudere rapidamente, e nel modo più pulito possibile, una separazione inevitabile e voluta da entrambe le parti in causa.

 

In conclusione possiamo dire che la Juventus avrà in cassa i soldi necessari per un eventuale acquisto nel mercato di riparazione, ma l’impressione è che la squadra torinese, arrivata a un livello medio piuttosto alto per quanto riguarda il valore dei giocatori in rosa, fatichi ad arrivare a calciatori che le possano assicurare un salto di qualità e, al contempo, siano in vendita e, se possibile, non a cifre astronomiche.

 



 


Nonostante gli ottimi ricavi del 2016/17, e la qualificazione alla fase a gironi della Champions League 2017/18, De Laurentiis ha tenuto fede al budget

(

), non andando oltre ai 20 milioni di spesa per l’acquisto di nuovi giocatori. Contati a parte i riscatti di Maksimovic e Rog, sono stati investiti 24 milioni in totale per gli acquisti di Ounas, Mario Rui e Inglese (quest’ultimo lasciato in prestito al Chievo), parzialmente compensati dalle cessioni di Pavoletti e Zapata, anche se gran parte degli introiti generati da queste uscite verranno incassati solo dopo i riscatti a titolo definitivo previsti per la prossima stagione.

 

La proprietà ha preferito puntare sulla continuità e non privarsi dei titolari della scorsa stagione, con l’inevitabile conseguenza di dover aumentare il monte ingaggi per convincere tutti a restare. Poiché sull’entità economica dei rinnovi - conclusi e promessi - è difficile ottenere informazioni certe, non è possibile fare una stima precisa di quanto questi possano incidere sui conti del Napoli; ma fin da ora si può dire che è probabile che la società di De Laurentiis chiuderà anche questa stagione con un attivo di bilancio.

 

La società è finanziariamente sanissima e se un giorno dovesse decidere di compiere un investimento importante per rafforzare la squadra potrà farlo senza troppe preoccupazioni per la tenuta dei conti futuri. Come per la Juventus, però, potrebbe rivelarsi difficile trovare sul mercato calciatori che facciano fare un salto di qualità al gruppo dei titolari, che al tempo stesso siano considerati cedibili dalla rispettive squadre e accettino il trasferimento in Italia.

 



 


Il mercato della Roma è stato quello che più fedelmente ha ricalcato

. È stato un mercato condizionato dalla necessità, causa Fair Play Finanziario, di incassare in tempi brevi circa 85 milioni: obiettivo raggiunto con le cessioni di Salah, Rudiger e Paredes, alle quali va aggiunto il prestito di Mario Rui e le uscite dei giovani Ricci, Marchizza e Frattesi.

 

L’insieme delle operazioni hanno portato 119 milioni in incassi da costi dei cartellini (e circa 90 in plusvalenze), e la Roma ha potuto reinvestirne gran parte sul mercato, pur mantenendo un profilo basso per quanto riguarda il costo dei nuovi arrivi. Sono stati spesi 94 milioni complessivi, è vero, ma l’acquisto più costoso è stato alla fine quello di Karsdorp (14 milioni), dato che sia Schick che Defrel sono stati presi in prestito con diritto/obbligo di riscatto. La modalità d’acquisto del ceco è stata particolarmente innovativa e merita un piccolo trattamento a parte (non solo perché, se il giocatore confermasse il proprio potenziale, potrebbe rivelarsi uno degli acquisti più importanti di questo mercato): quasi la metà della cifra totale (pari a 20 milioni) verrà pagata dai giallorossi solo nel 2020 o in caso di cessione prima di quella data, permettendo alla società di posticipare di molto un esborso economico non irrilevante.

 

I sacrifici di questa sessione di mercato, comunque compensati dai successivi acquisti, potrebbero aver messo la Roma nelle condizioni di ottenere l’uscita dal “Voluntary Agreement” sottoscritto dalla UEFA nel corso di questa stagione. Il che significherebbe avere mano più libera nei prossimi mercati.

 



 


Il mercato dell’Inter è forse quello che più di tutti ha mostrato una distanza tra aspettative e realtà, lasciando l’amaro in bocca a molti tifosi che si aspettavano arrivasse uno dei nomi che anche la dirigenza aveva fatto trapelare

. In parte ha in inciso il fatto che non erano vere le voci secondo cui l’Inter sarebbe stata totalmente libera da qualsiasi vincolo del Fair Play Finanziario dopo il 30 giugno 2017. Come si

già tre mesi fa, anche direttamente

dalla società, la società nerazzurra sarà chiamata anche in questa stagione 2017/18 a incamerare circa 60 milioni fra plusvalenze, eventuali aumenti dei ricavi e risparmi in stipendi e ammortamenti, per rispettare le richieste della UEFA. Ma non può bastare questo a giustificare la “timidezza” del mercato in entrata, visto che la situazione era pressoché identica l’anno scorso quando, al contrario, la proprietà non si era fatta scrupoli per gli acquisti di Joao Mario e Gabigol, rimandando l’obbligo di rientrare degli esborsi al mese di giugno.

 

Dopo aver raggiunto l’obiettivo di incassare 30 milioni entro il 30 giugno, cedendo giovani o giocatori non più al centro del progetto, senza vendere Perisic (che a posteriori andrà forse considerato il miglior acquisto del duo Sabatini-Ausilio), l’Inter ha investito 93 milioni in costi dei cartellini, contro i 64 incassati, ma non è riuscita ad avvicinare nemmeno uno dei grandi giocatori che la dirigenza sembrava aver puntato nelle prime fasi del mercato (primo fra tutti Nainggolan). Non c’è stato un impatto significativo sui costi totali comprensivi di ingaggi: fra uscite ed entrate l’Inter è arrivata a un passivo di circa 45 milioni - contro i 212 investiti da Suning nello scorso mercato estivo e i 264 totali del 2016/17 compresa la sessione invernale.

 

Sono due i fattori imprevisti che potrebbero aver inciso sul ridimensionamento del budget per questo mercato, a quanto pare comunicato ai dirigenti italiani solo nell’ultima visita a Pechino nell’ultima decade di luglio (non ci sono fonti ufficiali ma è un’ipotesi che tiene anche conto delle tempistiche del mercato stesso). Anzitutto Suning può aver deciso di investire meno sull’Inter e più su altri settori (l’acquisizione dei diritti televisivi per trasmettere in Cina i principali campionati di calcio europei, ad esempio); secondo poi potrebbe aver influito la stretta decisa del governo di Pechino per gli imprenditori impegnati all’estero in “imprese” che non abbiano una immediata ricaduta favorevole sull’economia o sulla situazione politica e sociale cinese, come possono essere, appunto, le squadre di calcio europee (la dirigenza cinese dell’Espanyol

il taglio del budget per i nuovi acquisti proprio in questo modo, mentre per il Milan il problema non si è posto dato che gli investimenti di questo mercato hanno avuto provenienza americana, arrivando dal fondo Elliott).

 

Nel prossimo futuro sono quindi due i punti interrogativi legati alla situazione economica dell’Inter in relazione al calciomercato: si dovrà capire se la società potrà tornare in breve (ammesso che non lo sia sempre stata) al centro degli interessi del gruppo Suning, ma si dovrà anche tenere conto, come accennato, della necessità di rientrare comunque di altri 60 milioni in questa stagione - dieci dei quali dovrebbero essere arrivati con i movimenti del mercato estivo al netto dei guadagni contabilizzati a giugno. Al momento possiamo ipotizzare un mercato estivo 2018 dell’Inter non molto diverso da quello della Roma di questa stagione, segnato da una probabile partenza importante che metta a posto i conti. Ricordiamo che il “Settlement Agreement” sottoscritto con la UEFA prevede restrizioni sul mercato fino alla stagione 2018/19, ma se la società riuscisse per il terzo anno consecutivo a centrare gli obiettivi richiesti potrebbe legittimamente sperare in un “condono” dell’ultimo anno da parte della UEFA, come già accaduto a Manchester City e Paris Saint-Germain nelle scorse stagioni.

 

Al momento l’Inter si ritrova comunque con una rosa competitiva, grazie agli investimenti passati e alla gestione oculata di questa sessione: Vecino, Borja Valero e Skriniar sembrano garantire un miglioramento della rosa e va tenuto conto anche di un cambio di allenatore mirato a raggiungere risultati migliori. Un eventuale piazzamento valido per la Champions League, oltre a riportare un po’ di fiducia nell’ambiente, farebbe comodo per poter programmare con più libertà.

 



 


La Fiorentina ha portato a termine l’annunciata rivoluzione, incassando circa 80 milioni di plusvalenze e acquistando diverse scommesse da cui dipende fondamentalmente la stagione dei Viola (sono stati spesi 69 milioni degli 84 incassati). L’inizio non è stato incoraggiante, ma con così tanti cambiamenti è fisiologico un inizio stentato dovuto alla difficoltà di amalgamare la squadra. Per il futuro molto dipenderà dalla situazione societaria, particolarmente tribolata vista l’incerta volontà dei Della Valle di proseguire alla presidenza del club.

 

La Lazio, invece, non aveva bisogno di vendere i propri giocatori: ha ceduto Biglia e Keita Baldé - con il contratto in scadenza - ai prezzi ritenuti consoni, rifiutando le offerte iniziali ed evitando il rischio di vederli partire a zero l’estate prossima. Per sostituire i due partenti, pilastri dello scorso anno, ha puntato su due giocatori d’esperienza come Lucas Leiva e Nani, che non hanno impattato più di tanto sul bilancio, chiuso in positivo sia per quanto riguarda i costi dei cartellini (39 milioni) che per i costi totali (10 milioni) e per l’impatto sul bilancio 2017/18 (55 milioni dovuti alle ottime plusvalenze incamerate con le uscite di Keita a 30 milioni, Biglia a 17 e Hoedt a 16,4).

 

Le altre squadre di Serie A si sono mosse senza particolari differenze rispetto ai loro budget delle scorse stagioni. Va segnalato il ricco mercato in uscita del Torino (70 milioni di plusvalenze fra le quali spiccano Zappacosta, Benassi e i riscatti di Maksimovic e Bruno Peres) e i movimenti delle tre neopromosse, quest’anno con una capacità di spesa teoricamente superiore all’anno precedente grazie ai ricavi maggiori previsti in Serie A rispetto alla Serie B. Fra le tre, gli investimenti maggiori sono stati quelli del Benevento, con operazioni che hanno portato a un incremento di 35 milioni nei costi totali e di 11 nel bilancio annuale. Segue la Spal (22 milioni di costi totali e 7 d’impatto nel bilancio annuale); e infine il Verona, che ha speso meno di quello che ci si poteva aspettare (15 milioni di costi totali e 3 di peggioramento del bilancio annuale).

 


In Liga, sia Real Madrid che Barcellona hanno chiuso il mercato con attivi da record che lasciano presagire bilanci 2017/18 ampiamente positivi. Se per i campioni d’Europa in carica (attivo di 100 milioni sul bilancio 2017/18 contando per entrate e uscite ammortamenti, ingaggi e plusvalenze) si è trattato di una scelta, quella di fare dei buoni incassi con le cessioni di giocatori che avevano un ruolo secondario come Morata, Danilo e James Rodriguez (con la formula del prestito), il Barcellona ha invece dovuto subire lo “scippo” di Neymar, consolandosi con una plusvalenza di 194 milioni che ha contribuito all’attivo di 167 milioni sul bilancio 2017/18, ottenuto nonostante l’acquisto per 105 milioni di Dembelé, con un impatto annuale a bilancio di 35,5 milioni.

 

In Bundesliga c’è stata la solita annata ricca di plusvalenze del Borussia Dortmund (140 milioni in totale) e il solito mercato bilanciato per il Bayern Monaco. I bavaresi hanno chiuso con un passivo di 50 milioni nei costi totali e nei costi cartellini, ma con un attivo di bilancio ottenuto grazie alla cessione di Benatia, a titolo definitivo, e di Douglas Costa e Renato Sanches (in prestito oneroso), oltre che ai risparmi dagli stipendi di Lahm e Xabi Alonso.

 

In Premier League, come sempre, si è speso di più grazie alla ricchezza maggiore del calcio inglese rispetto al resto d’Europa. Chelsea, Tottenham e Liverpool non hanno lesinato denaro, pur mantenendosi in equilibrio a livello di bilancio; l’Arsenal si è mossa meno, penalizzata dalla mancata qualificazione in Champions League, mentre qualche riga in più di analisi meritano le due squadre di Manchester. Il Manchester United ha speso più di tutte le sue connazionali (passivi di 155 milioni nel costo dei cartellini, 247 nei costi totali e 34 di peso sul bilancio annuale) potendoselo ampiamente permettere, non solo in virtù degli elevati ricavi da sponsor ma soprattutto per i soldi incamerati dal ritorno in Champions League. Il Manchester City ha speso poco meno dei cugini dello United (passivo di 138 milioni nel costo dei cartellini e 221 nei costi totali) ma ha portato avanti un mercato a regola d’arte per rimanere senza alcun problema all’interno dei limiti del Fair Play Finanziario: a fronte di acquisti per 246 milioni, infatti, ha concluso cessioni per 108 milioni che hanno permesso un risparmio tale - fra plusvalenze (circa 70 milioni) e risparmi di ingaggio - da chiudere il bilancio annuale di mercato con un attivo di 49 milioni.

 



 

In ultima analisi la Ligue 1 è stata scossa dagli acquisti di Neymar e Mbappé da parte del PSG. Come già detto (abbiamo già approfondito il dibattito relativo al FFP in relazione all'acquisto di Neymar, e anche in relazione a quello di Mbappé), il Paris Saint-Germain dovrebbe comunque riuscire per questa stagione a rispettare tutti i vincoli del Fair Play Finanziario grazie agli attivi di bilancio degli anni precedenti, ai quasi 60 milioni di plusvalenze incamerati con le cessioni e all’acquisto in prestito di Mbappé, il cui riscatto è rimandato al prossimo anno. Dal canto suo il Monaco, con gli stessi problemi di Inter e Roma con la UEFA, si è garantito con questa campagna acquisti quasi 150 milioni di plusvalenze (principalmente con le cessioni di Mendy, Bakayoko e Bernardo Silva), che contribuiscono a un attivo sul bilancio annuale di 121 milioni, a cui va aggiunta la stessa cifra anche per la prossima annata, quando scatterà il riscatto di Mbappé da parte del Paris Saint-Germain. Un passo fondamentale per il Monaco verso l’uscita dal “Settlement Agreement”, compiuto comunque spendendo 102 milioni per i nuovi acquisti (contro i 179 incassati dalle cessioni) che aiutano a mantenere alto il livello competitivo della squadra.


 


A livello globale non è stato un mercato particolarmente più ricco del solito, ma a fare la differenza sono state le eccezioni. In Italia sono stati spesi 828 milioni contro i 711 del 2016/17, ma l’aumento è interamente imputabile al nuovo corso del Milan (194 milioni spesi contro i 27 della scorsa stagione). Nessuna delle altre big ha aumentato gli investimenti sulla campagna acquisti in maniera significativa.

 

In Bundesliga la crescita delle spese in un anno è stata di meno del 5% (585 contro 559), nella Liga di 54 milioni, grazie ai soldi reinvestiti dal Barcellona dopo la cessione di Neymar (554 contro 490). Notevole, invece, l’aumento di spesa in Francia (674 milioni contro 198), dove ovviamente è l’acquisto di Neymar ad aver fatto saltare il banco insieme ai più di 100 milioni spesi dal Monaco (ma a fronte, come detto, di cessioni per 179).

 

Infine, la Premier League ha mantenuto il suo ruolo di leader mondiale spendendo 1,55 miliardi di euro contro l’1,42 dell’anno scorso, sfruttando gli introiti sempre crescenti della lega e la presenza di ben cinque squadre nella prossima Champions League (con annessi ricavi attesi più elevati).

 

Per quanto riguarda il discorso Financial Fair Play, il solo Milan si è mosso fuori dai parametri dei propri conti economici, ma come scritto lo ha fatto volutamente in attesa del “Voluntary Agreement” che definisca quello che potranno e non potranno fare i rossoneri nella prossima stagione. Al momento, invece, al di là di quanto sostiene qualcuno (fra i quali il presidente della Liga, 

), non ci sono certezze su eventuali violazioni da parte del Paris Saint-Germain, i cui conti economici sembrerebbero avvalorare la difesa di Al-Khelaifi, il quale sostiene che il club parigino si è mosso in questa sessione di mercato nel pieno rispetto del FFP.

 

 

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