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Nicola Sbetti
Come il cricket spiega l'Afghanistan
10 set 2021
10 set 2021
Nessuno sport riflette i recenti conflitti del Paese più del cricket.
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Nicola Sbetti
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Quando nel 2004 il giornalista americano Franklin Foer pubblicò il suo bestseller Come il calcio spiega il mondo, probabilmente non aveva considerato l’Afghanistan. In effetti sebbene sia indubbio che osservare quello che accade intorno al mondo del pallone possa essere un modo originale e spesso sorprendentemente efficace per comprendere in senso più ampio la società in cui viene praticato, non è detto che ciò valga allo stesso modo a tutte le latitudini. E per l’Afghanistan concentrarsi sul calcio rischia di essere fuorviante. Oggi, lo sappiamo, il Paese asiatico si trova nel pieno di una complessa transizione politica dopo che, a seguito dell’accordo di Doha e dell’offensiva talebana, fra l’agosto e il settembre 2021 il regime filo-occidentale di Ashraf Ghani è collassato aprendo la strada al nuovo esecutivo a guida talebana. Ma anche nei 20 anni precedenti a questo evento drammatico il calcio a Kabul è rimasto un fenomeno tutto sommato marginale, malgrado gli sforzi e gli investimenti stranieri - in grado di creare di tanto in tanto un certo entusiasmo ma incapace di essere realmente competitivo a livello internazionale. Lo certifica, al di là di un estemporaneo successo nel 2013 nella Coppa dell’Asia meridionale, la posizione oltre il 150° posto nel ranking FIFA sia a livello maschile che femminile.


 

Lo stesso si può dire per gli sport olimpici. Non riuscendo a qualificarsi direttamente, gli atleti afghani hanno gareggiato ai Giochi quasi esclusivamente grazie agli inviti del CIO e le uniche medaglie olimpiche conquistate (i bronzi di Pechino 2008 e Londra 2012 dell’hazara Rohullah Nikpai nel taekwondo) sono stati il frutto di un exploit individuale arrivato anche grazie agli investimenti dell’Olympic solidarity (il programma del CIO di supporto ai comitati olimpici dei Paesi più in difficoltà politicamente ed economicamente).



Altre discipline come il Buskashì (una sorta di polo in cui i cavalieri si contendono una carcassa di pecora), disciplina che ha ispirato un libro di Gino Strada, la lotta o il bodybuilding sono forse più popolari e godono di maggiore tradizione fra la popolazione maschile afghana, ma faticano ad avere una proiezione internazionale. Tuttavia c’è uno sport in cui, quantomeno a livello maschile, gli afghani sono riusciti ad eccellere a livello internazionale e che è diventato uno dei pochi simboli positivi per cui il paese è conosciuto a livello globale, e cioè, l'avrete capito ormai, il cricket.


 

Pur essendo poco conosciuto in Italia, il cricket è uno degli sport più praticati e seguiti al mondo, soprattutto in quella sua parte una volta all'interno dell'Impero Britannico. In Afghanistan però, per quanto risulti traccia di una partita disputata dalle truppe inglesi addirittura nel 1839, il cricket è diventato lo sport nazionale solo nel corso dell’ultimo decennio. Importato nel corso degli anni Novanta da giovani profughi afghani, che lo avevano imparato nei campi del Pakistan sorti per accogliere gli sfollati che fuggivano dall’invasione sovietica del 1979, il cricket ha faticato oltremodo ad affermarsi.


 

Nonostante la fondazione nel 1995 dell’Afghanistan Cricket Board (ACB), il gioco era inizialmente visto come un portato straniero e i giocatori, all’epoca esclusivamente di etnia pashtun, erano spesso tacciati di essere degli immigrati pakistani. Inoltre la salita al potere dei talebani, che in un primo momento osteggiarono gli sport nel timore che distogliessero gli uomini dalle preghiere, non facilitò certo la situazione. Tuttavia anche sotto il regime dei talebani, che finì per tollerarlo e talvolta persino incentivarlo, il cricket riuscì gradualmente ad ampliare i propri spazi di legittimazione nel paese. Fu però soprattutto dopo l’invasione della coalizione filo-occidentale a guida statunitense nel 2001 che quella della Nazionale afghana di cricket si è trasformata in un’autentica favola sportiva, come si dice. Come racconta il documentario Out of the Ashes (che si può recuperare facilmente online), in meno di un decennio una squadra nata in polverosi e disumani campi profughi, è stata capace di qualificarsi ai Mondiali e di conquistarsi il cuore degli afghani.


 

Il 2010 fu l’anno della svolta con la partecipazione ai Mondiali T20 nei Caraibi e la vittoria dell’Asian Cricket Council Trophy Elite. In entrambe le occasioni i giocatori furono accolti come eroi all’aeroporto e celebrati con imponenti caroselli. Queste scene, negli anni, hanno continuato a ripetersi ad ogni vittoria internazionale, visto che da quel momento in poi la squadra non ha mai fallito la qualificazione al massimo evento, sia nella modalità ODI (300 lanci a testa chi fa più punti vince) sia in quella T20 (120 lanci a testa chi fa più punti vince). Oggi l’Afghanistan nel ranking ICC (International Cricket Council, più o meno la FIFA del cricket) è la 10° squadra al mondo nel formato ODI e l’8° nel formata T20. Inoltre dal 2017 è stata inclusa come una delle sole 12 squadre che possono vantare il titolo di full members e giocare i Test matches (gare da due innings a over illimitati che possono durare al massimo cinque giorni).



Nella scalata al successo dell'Afghanistan il ruolo dell’ICC è stato fondamentale e vale la pena soffermarcisi un attimo. La federazione internazionale ha infatti capito quanto anche l’immagine globale del cricket avrebbe potuto beneficiare dei successi sportivi della nuova Nazionale asiatica e non ha quindi mai fatto mancare il proprio supporto tecnico e finanziario che si è rivelato decisivo per professionalizzare il movimento. Altrettanto importante è stato dal 2015 il contributo alla guida dell’ACB di Shafiq Stanikzai, un’ex giocatore e team manager, che più di ogni altro si è speso per la diffusione del gioco in tutto il paese, cercando di promuoverlo anche al di fuori della maggioranza pashtun e delle regioni confinanti col Pakistan.


 

Sotto la sua guida il cricket afghano si è rinforzato a livello domestico e ha ottenuto straordinari risultati internazionali soprattutto grazie all’esplosione di un fenomeno come Rashid Khan. Lanciatore ad effetto nato nel 1998 nel Nangarhar, la regione al confine con il Pakistan che ha dato alla Nazionale il maggior numero di giocatori, Rashid Khan è dal 2015, quando esordì in una storica serie con lo Zimbabwe, la stella indiscussa dell’Afghanistan. Inoltre ha saputo costruirsi anche una carriera internazionale grazie alle sue superbe prestazioni con i Sunrisers Hyderabad, in India, gli Adelaide Strikers in Australia, il Sussex e i Trent Rockets in Inghilterra. Insomma, come dimostrano anche i suoi oltre 2,6 milioni di follower su Instagram o la nomination di giocatore del decennio nel formato T20 da parte dell’ICC, Khan è in pochi anni è diventato una superstar globale e uno dei volti di maggior successo dell’Afghanistan del mondo, e la sua giovane età lascia presumere un futuro ancor più brillante.



Pur senza raggiungere lo stesso livello di classe e di fama, anche il veterano Mohammad Nabi e le giovani promesse Mujeeb Ur Rahman e Qais Ahmad godono ormai di uno status internazionale e sono richiestissimi nei lucrosi campionati per franchigie che si disputano nei paesi dove il cricket è più popolare. Nell’instabile Afghanistan del post-Karzai, il cricket aveva rappresentato un motivo d’orgoglio per la popolazione afghana e uno strumento, magari effimero, ma comunque capace di unire importanti parti di una nazione lacerata da conflitti non solo internazionali ma anche etnici. Motivo per cui anche dopo la presa di Kabul da parte dei talebani, i nuovi vertici politici si sono affrettati ad assicurare che il futuro del cricket (sottintendendo sempre quello maschile) non era in discussione.


 



Certo, la drammatica fase di transizione dal precedente regime ai talebani ha comunque comportato dei sacrifici. I caotici giorni della transizione e la necessità degli statunitensi di mantenere il controllo dell’aeroporto di Kabul hanno imposto la rinuncia alla sfida programmata con il Pakistan che si sarebbe dovuta giocare in Sri Lanka a inizio settembre. Tuttavia, prima ancora dell’annuncio del nuovo governo, i leader talebani hanno incontrato i vertici dell’ACB e, al di là di un cambio alla Presidenza che ha visto Azizullah Fazli subentrare a Farhan Yousefzai, si è lavorato nel senso della continuità. Nelle settimane successive, con il nemmeno troppo implicito obiettivo di dimostrare che il nuovo regime è in grado di garantire il ritorno alla normalità, gli incontri domestici sono ripresi, mentre la squadra Under 19 maschile ha intrapreso una trasferta in Bangladesh.



A Kabul in occasione degli incontri locali di cricket sventolavano tanto la vecchia bandiera afghana quanto il vessillo talebano.


 

Non tutto comunque sembra andare liscio. Il sito viene aggiornato a singhiozzo e la comunicazione dei convocati per il Mondiale di T20 cricket, che si disputerà dal 17 ottobre al 14 novembre in Oman e negli Emirati Arabi, annunciata per l’8 settembre è arrivata con oltre 24 ore di ritardo. E se a un primo sguardo le convocazioni potevano sembrare tutto sommato delle legittime scelte tecniche (anche perché le stelle, comprese quelle che dall’estero nei giorni del collasso del vecchio regime si erano spese per la fine delle violenze, ci sono tutte) non è passato neanche un quarto d’ora che è emersa la prima grana. Rashid Khan, che un po’ a sorpresa era stato nominato capitano, ha condiviso sui suoi social una dichiarazione in cui denunciava il fatto che, nonostante il suo ruolo, non fosse stato coinvolto nel processo di selezione della squadra e annunciava la sua rinuncia al ruolo di capitano. Una decisione coraggiosa che, alla luce delle sue precedenti dichiarazioni e della situazione nel paese (riflessa nel cricket dalla lotta per il controllo dell’ACB, la federazione più ricca del Paese), sembra dettata solo in parte da ragioni sportive.


 

Quello di Khan può essere legittimamente interpretato anche come un gesto nei confronti del regime. Del resto già nei giorni della rapida avanzata talebana nel Paese, pur senza condannare mai esplicitamente i talebani, il lanciatore afghano si era espresso contro le violenze chiedendo l

immediata fine delle ostilità. Oggi, quindi, possiamo però leggere la bandiera afghana pitturata sulle sue guance, che veniva sventolata dai manifestanti che protestavano contro il ritorno dei talebani nel giorno dell'indipendenza afghana e in quelli delle successive repressioni, come un primo indizio della sua posizione politica. La rinuncia alla fascia da capitano è un secondo indizio su come il talento afghano percepisca il nuovo regime. A voler sospendere il giudizio, ne mancherebbe un terzo per farne una prova.

 

In ogni caso, non ci sono comunque più dubbi sul fatto che il regime dei talebani voglia usare il cricket per legittimarsi e, nello specifico, per mantenere il proprio consenso interno e per restare legato a un circuito internazionale, cercando di continuare a proiettare l’immagine di un Afghanistan vincente o quantomeno competitivo. Partecipare alle competizioni internazionali è infatti un modo semplice e tangibile per mostrare il nuovo Afghanistan al mondo. Allo stesso tempo, però, lo sport è un fenomeno meno controllabile di quanto non si pensi. Può essere funzionale al potere tanto quanto un’eccezionale mezzo di contestazione. Un fallimento sportivo ai prossimi Mondiali, ad esempio, potrebbe minare l’immagine dei talebani, tanto più alla luce dei cambiamenti imposto al vertice dell’ACB. Inoltre in occasione degli eventi internazionali gli espatriati potrebbero usare gli spalti per lanciare messaggi politici sgraditi, ma, almeno sul piano teorico, potrebbero essere soprattutto gli atleti a rappresentare il pericolo maggiore. La defezione di un atleta che approfittasse di una trasferta per chiedere asilo politico sarebbe un duro colpo d’immagine, così come lo sarebbe ancor più una presa di posizione contro il nuovo regime sulla scia di quanto fatto dai giocatori dello Zimbabwe Andy Flower e Henry Olonga che nel 2003 indossarono una fascia nera come segno di lutto per la “morte della democrazia” nel proprio paese contro le reiterate violazioni dei diritti umani del Presidente Robert Mugabe.


 




 

Certo, sarebbe ingiusto pretendere dai giocatori della Nazionale proteste eclatanti. Non va dimenticato infatti che i regimi autoritari hanno una capacità coercitiva che spesso sfugge anche agli occhi degli osservatori più attenti. Ce lo insegnano ad esempio i casi dei calciatori Valdes e Cazely, i quali pur essendo ferocemente contrari al regime di Pinochet continuarono a rappresentare la "Roja" e non poterono sfruttare il palcoscenico dei Mondiali come avrebbero voluto perché in tal caso a pagare il prezzo della ribellione sarebbero stati anche i propri familiari. Peraltro, anche nei democratici e liberali Stati Uniti, chi come Colin Kaepernick ha messo in discussione lo status quo prendendo in campo sportivo posizione contro la brutalità della polizia nei confronti degli afroamericani, pur potendo manifestare liberamente il proprio pensiero, ha pagato comunque un prezzo in campo sportivo venendo emarginato dall’NFL. Non è invece da escludere che qualche atleta decida di prendere una posizione “alla Carrascosa”, il capitano dell’Argentina che alla vigilia del Mondiale casalingo del 1978 organizzato dalla sanguinaria dittatura di Videla preferì ritirarsi. Insomma, nel caso in cui i vertici talebani non riuscissero a controllare a proprio piacimento l’immagine che il cricket afgano proietta di se stesso all’estero non è da escludere che possano rivedere la propria strategia sportiva.


 

Infine una partita delicatissima, soprattutto per l’ICC, si gioca intorno alla questione femminile. Negli ultimi anni la federazione internazionale ha investito moltissimo nel promuovere in tutte le affiliate la pratica femminile. Nel 2017, però, si fece un'eccezione per l’ammissione a full member all’Afghanistan, concessa nonostante l’assenza di una Nazionale femminile. In ogni caso già sotto la guida di Shafiq Stanikzai (secondo cui anche se “la società afghana non è pronta ad accettare il cricket femminile, dobbiamo insegnare alla società che le donne possano giocare a cricket”), si era cominciato a promuovere il cricket femminile in alcune province. Piccoli passi, estremamente prudenti avevano portato nel novembre del 2020 ad un oscuro annuncio da parte dell’ACB della contrattualizzazione di 25 giocatrici, che però non hanno mai giocato alcuna partita ufficiale.


 



Pochi giorni fa, però, i talebani hanno esplicitamente annunciato che sotto il loro regime non ci sarà spazio per il cricket o per qualsiasi altra attività sportiva femminile. Una dichiarazione profondamente discriminante tutt’altro che inattesa ma che per forza di cose impone all’ICC delle scelte. La posizione del nuovo governo afgano sul cricket femminile va contro i principi della federazione internazionale che però si era precedentemente dimostrata estremamente tollerante concedendo all’Afghanistan un’esenzione culturale per l’assenza di una pratica femminile strutturata. Il problema è che per provare a indurre i talebani a una retromarcia, l’ICC ha la possibilità e il dovere morale di imporre delle sanzioni che potrebbero arrivare fino all’esclusione dell’ACB con il paradosso però di escludere una federazione su cui si era molto investito e che aveva contribuito in maniera importante alla globalizzazione e allo sviluppo del gioco. È una questione delicata e piena di lame a doppio taglio, perché se da un lato un'esclusione della federazione afghana toglierebbe ai talebani l'arma di poter usare il cricket come strumento politico (cosa che peraltro fanno in maniera più o meno violenta praticamente tutti i regimi, autoritari e non, e non solo con il cricket), escludendolo si rischierebbe di isolare ulteriormente tutti quegli atleti che magari, anche attraverso il cricket, vogliono e possono portare delle istanze di cambiamento. In ogni caso, l’ostracismo talebano nei confronti dello sport femminile potrebbe comunque avere delle conseguenze sui rapporti sportivi con i paesi occidentali, anche senza sanzioni da parte dell'ICC. La federazione australiana, ad esempio, ha già fatto sapere che se i talebani confermeranno il loro stop al cricket femminile allora il test match contro l’Afghanistan previsto a Hobart per il prossimo novembre sarà cancellato.


 

Insomma, più che in qualsiasi altra disciplina intorno al cricket afghano, che va inteso come strumento tanto di consenso quanto di contestazione, si stanno combattendo tante piccole battaglie di cui noi, a migliaia di chilometri di distanza, percepiamo solo una minima parte. E anche se ha una storia molto giovane, nessun altro sport come il cricket riflette i numerosi conflitti che la popolazione afghana si trova a fronteggiare dopo l’abbandono del governo Ghani e l’avvento dei talebani.


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