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Azzurri per amore
12 ago 2019
12 ago 2019
Il racconto di Christian Burns e Jeff Brooks, italiani per matrimonio e orgogliosi di vestire d’azzurro.
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Da sempre l’identità nazionale è un tema fortissimo nel mondo dello sport. Lo è nelle competizioni individuali, che durante Mondiali o Olimpiadi esaltano l’atleta all’insegna del motto “Citius, Altius, Fortius”. Lo è anche negli sport di squadra, che nonostante il predominio dei club sono in grado di esercitare tutt’altro fascino e appeal quando ad affrontarsi sono due rappresentative nazionali.

Nello sport, l’Italia ha da sempre mostrato un’integrazione maggiore, e migliore, che nella vita di tutti i giorni. Tra le icone sportive, ad esempio, ci sono Josefa Idem e Fiona May, due che sono diventate italiane per matrimonio e che con la maglia azzurra hanno conquistato medaglie mondiali e olimpiche. Tale integrazione, con passaporti ottenuti per origini familiari o matrimonio, la si è avuta anche negli sport di squadra: basti pensare, per esempio, a Mauro German Camoranesi, calciatore campione del mondo con l’Italia nel 2006. Il basket non fa eccezione: negli ultimi 25 anni, giocatori come Gregor Fucka, Dan Gay, Marcelo Damiao e Nikola Radulovic hanno figurato in selezioni azzurre capaci di andare a medaglia in tornei internazionali, arrivando alla Nazionale Italiana per cittadinanza ottenuta successivamente alla nascita, per origini o matrimonio.

I due nomi più recenti di questa lista appartengono a due giocatori americani di nascita, provenienti da città che tanto hanno dato alla storia del basket, e fondamentali nel consentire all’Italia di qualificarsi alla prossima FIBA World Cup China 2019. Dal 2018 Christian Burns e Jeff Brooks, oltre alla maglia azzurra, condividono anche la maglia biancorossa dell’Olimpia Milano. E anche se non potranno mai scendere in campo insieme per una partita della Nazionale Italiana, non essendo possibile la presenza in campo in contemporanea di due giocatori “passaportati”, questo loro azzurro in comune ha contribuito a creare un legame importante: «Io e Jeff siamo come migliori amici» ci dice Christian Burns, «abbiamo un bellissimo rapporto, veniamo da una situazione simile. Amiamo giocare per la Nazionale Italiana, sarebbe incredibile giocare una partita insieme».

Come tutto è iniziato

La storia di Burns e Brooks è una storia di sport, così simile e così diversa nel suo svolgimento, ma con un tratto in comune: l’amore. In origine per la compagna di vita, in seguito per il paese che li ha accolti personalmente e professionalmente.

Una differenza, nelle storie italiane di Christian e Jeff, sta nell’arrivo nel Bel Paese. Per Brooks l’Italia ha rappresentato la prima tappa della carriera da professionista, subito in uscita da quattro anni di college a Penn State: per il nativo di Louisville, quindi, tutto ha inizio con una stagione in Serie A2 a Jesi. «Non avrei mai immaginato, la prima volta che sono arrivato qui, l’impatto che questo paese avrebbe avuto sulla mia carriera» ricorda oggi Brooks. «A quei tempi pensavo soltanto che Jesi mi stesse dando la possibilità di giocare da professionista. L’adattamento fu difficile: non riuscivo a rispondere al meglio alle richieste di coach Cioppi, ma soprattutto mi veniva complicato abituarmi all’essere in un nuovo paese, al fuso orario, al cibo e alla lingua. Col tempo mi sono abituato, ma il momento in cui mi sono reso conto che l’Italia stava diventando una parte importante della mia vita è stato quando ho conosciuto mia moglie Benedetta».

«Conoscerla, condividere con lei le nostre origini, la nostra cultura e le nostre differenze, ha fatto sì che io potessi conoscere l’Italia sempre di più, arrivando a innamorarmi di questo paese» continua Brooks. «Avere l’opportunità di giocare per l’Italia è per me la possibilità di rappresentare mia moglie, la sua storia e la sua cultura. Quando gioco, porto con me lo spirito del nostro rapporto e di ciò che abbiamo insieme, e cerco di trasferire tutto questo sul campo».

«Mi sono reso conto che l’Italia stava diventando una parte importante della mia vita alla fine del mio secondo anno con Cantù, quando ho ricevuto delle offerte importanti da altri paesi. Ma a quei tempi io e Benedetta stavamo diventando una coppia, e sentivo che quel rapporto per me era molto importante. Feci quindi del mio meglio per restare in Italia, e mi accordai con Caserta: quella stagione fu poi molto importante per me, giocai molto bene in una buona squadra, e il mio rapporto con Benedetta stava diventando sempre più forte. L’Italia, a quel punto, era diventata una parte importante di me».

Wakanda Forever. (foto FIBA)

Se Jeff Brooks arriva per la prima volta in Italia da rookie, lo stesso non si può dire di Christian Burns. Il nativo di Trenton, New Jersey, e concittadino di alcuni giocatori NBA tra cui Dennis Rodman, arriva in Italia al suo sesto anno da professionista, dopo un inizio di carriera da autentico giramondo: cinque stagioni in cinque paesi diversi, come Polonia, Portogallo, Germania, Ucraina e Israele.

«La mia storia è particolare, perché la stagione prima di arrivare in Italia per la prima volta ebbi un infortunio grave al ginocchio» ricorda Burns. «Riuscii però a recuperare molto bene e a firmare un buon contratto con Montegranaro, giocando una delle migliori stagioni della mia carriera in un campionato importante come quello italiano. Da quell’anno la mia carriera svoltò in una direzione migliore».

Una carriera sviluppata quasi in sordina, un leit-motiv comune anche in quello che è stato l’approdo in Nazionale di Burns, convocato per la prima volta nell’estate 2017, dopo la stagione del ritorno in Italia con la maglia di Brescia. «Sono arrivato in Nazionale con l’obiettivo di mettermi in mostra, consapevole però che sarebbe stato molto difficile entrare nel roster per l’Europeo. Le gerarchie di Messina erano abbastanza chiare: lui mi aveva semplicemente detto di farmi il mazzo nei due mesi di training camp».

«Alcuni giocatori però ebbero infortuni e problemi vari, e mi sono ritrovato nei 12 facendo ciò che Messina mi aveva detto di fare» continua Burns, «arrivando a vivere un’esperienza indimenticabile, che mi ero guadagnato lavorando duro, giocando per il paese che era nel frattempo diventato “mio”. È stato incredibile».

Burns a rimbalzo durante Eurobasket 2017. (foto FIBA)

L’esperienza con la maglia azzurra di Jeff Brooks è invece “più fresca”. Per il prodotto di Penn State l’esordio risale a poco meno di dodici mesi fa, durante un momento clou per le qualificazioni al Mondiale 2019: l’avvio della seconda fase, quella decisiva, a cui l’Italia si presentava dopo quattro vittorie nelle sei partite del primo girone. «Ogni momento della mia carriera rappresenta qualcosa che posso dire di avere fatto» dice Brooks. «Avere la possibilità di giocare per una Nazionale, qualcosa che tanti giocatori non possono dire di aver fatto nella loro carriera, è qualcosa di molto importante per me».

«Avere la possibilità di essere convocato per un Mondiale rappresenta uno dei momenti più importanti della mia carriera. È come una milestone, una pietra miliare. Qualcosa che posso ricordare per sempre, condividendo con mio figlio, qualora dovesse scegliere di giocare a basket, tutto ciò che mi ha portato a questo momento: sapere che lavorando duro si possono raggiungere obiettivi importanti».

«Per me poi è stato molto importante che Meo Sacchetti abbia avuto fiducia in me e che mi abbia fortemente voluto, oltre all’accoglienza dei miei compagni di squadra» continua Brooks, «che non mi hanno mai fatto sentire come uno straniero, come uno che non è nato in Italia. In campo siamo tutti uguali, e questo rappresenta in primo luogo un onore molto importante per me, perché non puoi programmare di arrivare a un momento del genere. Non avrei mai immaginato che sposando mia moglie avrei potuto avere questa chance».

Andare via per potere ritornare

Per entrambi l’Italia rappresenta anche un paese a cui sono tornati nel corso della loro carriera. Abbiamo visto in precedenza Burns ricordare la sua partenza dopo la stagione con Montegranaro: prima del ritorno con la maglia di Brescia, infatti, il nativo di Trenton ha continuato il suo personale giro del mondo, aggiungendo Russia, Repubblica Ceca e Emirati Arabi Uniti al suo Risiko cestistico. «Sapevo che sarei dovuto tornare in Italia, e non solo perché avevo ottenuto il passaporto» dice, «ma anche per rafforzare le mie radici».

Nelle qualificazioni per il Mondiale 2019, Burns ha registrato 8.1 punti e 4.3 rimbalzi di media in 8 presenze. (foto FIBA)

Ha avuto un po’ più di stabilità e continuità, invece, la carriera di Jeff Brooks. A quella stagione con Caserta fece seguito lo storico triplete italiano vinto con Sassari nel 2015, la prima occasione in cui il nativo di Louisville incrociò il suo cammino con quello di Meo Sacchetti, e dopo la Sardegna Brooks spiccò il volo, approdando prima in Russia nell’Avtodor Saratov e poi, per due stagioni, nell’Unicaja Malaga, vincendo l’Eurocup 2017 e ben figurando la stagione successiva in Eurolega.

«Penso sia stato positivo per me andarmene dall’Italia per qualche anno» dice Brooks. «Perché a volte hai bisogno di lasciare un posto per capire chi sei e che cosa ha rappresentato per te. Una volta tornato in Italia, è stato bello sentire di essere mancato: quando ho iniziato la stagione con Milano, mi è capitato di andare in città dove i tifosi e i bambini sapevano chi fossi e avevano un bel ricordo di me, nonostante giocassi in una squadra avversaria alla loro».

«Quelle stagioni lontano dall’Italia mi hanno permesso di crescere come uomo e come giocatore, così da potere fronteggiare le pressioni e le responsabilità che derivano dal giocare per una squadra di grande prestigio e in grado di generare grandi aspettative come Milano. Spero di chiudere la mia carriera qui in Italia» continua Brooks, «perché ormai questo paese è una seconda casa, per me. E perché è bello giocare in un contesto dove sei apprezzato anche dagli avversari, per le tue qualità dentro e fuori dal campo».

Che cosa significa l’Italia

Ma cosa significa l’Italia per Christian e Jeff? Anche in questo caso, pur nelle storie simili, le risposte di Burns e Brooks differiscono. «Negli Stati Uniti sono cresciuto in una comunità dove c’erano tante persone d’origine italiana» ricorda il primo. «Tantissimi erano italo-americani, e nonostante il mio cognome non lo sia, ci sentivamo tutti in parte italiani. È speciale e fantastico che poi io sia finito a sposare una donna italiana e ad avere la chance di giocare per la Nazionale italiana».

Per Jeff Brooks, invece, l’Italia è innanzitutto un sentimento ben preciso: «Solidarietà, lo stare insieme. Sin dal primo momento in cui ho messo piede in questo paese, è il concetto che ha sempre descritto la mia esperienza qui». Un qualcosa che fa parte di Brooks sin dai tempi di Jesi: «Ho sempre visto le persone cercare di trascorrere quanto più tempo possibile insieme agli altri, che siano famiglie, amici o colleghi di lavoro, ad esempio andando a pranzo, fermandosi per due o tre ore prima di tornare alle proprie attività».

«Ho sempre visto e ammirato il valore dello stare insieme, superiore a quello che ho visto in America, dove tutto è più rapido e immediato, come se il tempo fosse davvero denaro. Qui, invece, la gente sembra capire come la vita sia breve, e pertanto le persone cercano di trascorrere più tempo possibile con coloro che amano».

«È qualcosa che ho sentito quasi sin dal primo giorno qui», ricorda Brooks. «È stata una delle prime cose che ho anche vissuto durante la mia stagione a Jesi: uscendo con i miei compagni di squadra, andando a cena fuori insieme, potevano passare tre o quattro ore senza che ce ne potessimo rendere conto, perché tutti stavano bene e godendo della presenza degli altri».

Cosa lascia la maglia Azzurra

Sentimenti, sensazioni e ricordi che Brooks e Burns si portano insieme durante la loro carriera, e le loro tappe in Nazionale non fanno eccezione. Se Christian non dovrebbe aggiungere a breve altre presenze alle 27 già maturate dal suo debutto di due anni fa, è assai probabile che Jeff invece possa incrementare le tre partite disputate tra settembre 2018 e febbraio 2019, essendo uno degli “azzurri” più probabili nei 19 convocati di Sacchetti per la preparazione al Mondiale.

È indubbio, però, che il debutto in azzurro abbia cambiato, in meglio, la carriera di entrambi i giocatori: sono loro stessi a riconoscerlo. «Penso di essere riuscito a prendere il meglio di quell’estate e di quel torneo», afferma Burns, ripensando all’Europeo 2017, «e ad applicarlo al mio gioco: dopo l’Europeo, a Cantù, ho avuto una delle mie migliori stagioni, che mi ha permesso di arrivare in una delle migliori squadre d’Italia, a Milano».

«A Cantù, poi» continua Burns, «ho sentito una specie di maggiore rispetto dai miei compagni americani, per l’esperienza che avevo vissuto con l’Europeo, con loro che mi chiedevano cosa significasse giocare un torneo del genere. Ho portato la mia esperienza nella squadra, provando a essere un valore aggiunto».

«La Nazionale, poi, lascia il rapporto che si crea con gli altri compagni, qualcosa di speciale» continua. «Che siano mesi o due settimane, sono momenti che ti rimangono dentro, che ti porti insieme perché arrivi a condividere un’esperienza diversa, diventando quasi una famiglia. E non solo con i tuoi compagni di squadra nel club, ma anche quando giochi contro quelli che fuori dalla Nazionale sono avversari, come Pietro Aradori o Giampaolo Ricci. Ho avuto modo di conoscerlo quest’anno, giocando con lui» conclude Burns riferendosi all’ala romana, «e ho scoperto che è un ragazzo eccezionale. Con gli altri azzurri si viene a creare un rapporto speciale».

Speciale come il rapporto di Jeff Brooks con la maglia azzurra, sin dalla scelta del numero di maglia: «Giocherò sempre con la maglia numero 15, la data del compleanno di mia moglie Benedetta», dice. «La mia prima idea era quella di avere il numero 23, perché rappresenta la mia famiglia al completo: da 2 che eravamo io e lei, siamo diventati 3 con mio figlio Jordan. A Milano ho il 32, il 23 rovesciato, perché ho lasciato a Christian [Burns, ndr] il suo numero, per anzianità».

La “danza” di Brooks, Abass e Della Valle per festeggiare la qualificazione al Mondiale. (foto FIBA)

«In Nazionale c’è però Abi [Abass, ndr] che veste il numero 23, e lui è qui da più tempo di me, quindi anche lui ha maggiore anzianità rispetto a me» continua Brooks, «quindi la scelta, per celebrare anche la mia famiglia, è quella del numero 15. Non sarei qui se non fosse per Benedetta, è una scelta facile e immediata».

«Ogni qualvolta che indosso la maglia azzurra, celebro mia moglie, quasi come se fosse un tributo. Il 15 sarà il mio numero per sempre, fino alla fine della mia carriera. Anche perché» conclude Brooks, sorridendo, «sto iniziando anche io ad avere un po’ di anzianità con la Nazionale».

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