
Pensate a quante volte, nel parlare di sport negli ultimi anni, facciamo riferimento al concetto di piattaforma. Alla ribalta che gli atleti raggiungono con le loro performance sportive e che possono potenzialmente usare per diffondere messaggi, sensibilizzare su tematiche che stanno loro a cuore, avviare conversazioni. Pensate anche a come noi tendiamo a reagire a questi momenti, a come non sempre emerga la nostra disponibilità all’ascolto, al comprendere una posizione, a partecipare al dialogo di turno.
A seconda delle posizioni conservatrici o liberali di chi riceve il messaggio - pensate, ad esempio, a frasi come “Shut up and dribble” - l’attivismo sociale e culturale degli atleti è in grado di innescare reazioni forti, di sostegno o opposizione, ma l’impressione di chi scrive è che si tenda per lo più a registrare la determinata posizione senza elaborare ulteriormente. Per incapacità di porsi nella posizione di chi esprime un determinato concetto, per sottovalutazione della capacità intellettuale dell’interlocutore, per altri svariati motivi.
Non elaborare ulteriormente, però, può essere un errore. In un mondo giornalmente sempre più interconnesso, in cui è difficile “stare al passo”, gli atleti non continuano soltanto a esercitare un magnetismo irresistibile, ma restano tra quei pochi personaggi pubblici in grado di raggiungere platee trasversali con i loro messaggi. A ispirare generazioni, soprattutto giovani. A trasmettere emozioni che restano dentro, nel profondo dell’anima. Il come un atleta utilizza la sua piattaforma, quindi, resta incredibilmente rilevante.
Jasmine Keys non è soltanto una giocatrice di pallacanestro di talento e dal curriculum importante, come certificato da tre Scudetti e cinque Coppe Italia con la Famila Schio, oltre a due partecipazioni alla fase finale di Euroleague Women e a tre Europei con la nazionale femminile. È una donna che non è mai stata timida nell’utilizzare la propria piattaforma per veicolare messaggi che le stanno a cuore, per sensibilizzare all’ascolto e all’importanza di determinate tematiche che vanno oltre quanto accade in un parquet di pallacanestro.
Nativa del vicentino e figlia d’arte - il padre Randolph vanta 241 presenze in NBA tra il 1988 e il 1996 con Cleveland, Charlotte, Lakers e Milwaukee - Jasmine è laureata in psicologia, e ha completato i suoi studi accademici con un master in psicosessuologia clinica. Ed è da questo punto che parte la nostra conversazione, in particolare dalla tesi focalizzata su «come la sessualità venga danneggiata dagli stereotipi di genere, non solo per quanto concerne la donna. Negli anni i pregiudizi hanno creato effetti anche a livello clinico, gli stereotipi ci portano a concetti di sessualità con molte lacune. È un discorso grande che parte dalla pallacanestro, che per me è un modo di comunicare: quello che vivo in campo si riflette anche nella società, se posso dire la mia nel basket lo faccio anche nella società sfruttando la mia piattaforma».
Keys insiste molto su questo aspetto, su come avverta un maggiore coinvolgimento e una maggiore disponibilità all’ascolto da parte del pubblico: «Secondo me succede perché ci siamo rese conto, molto di più, del potere che abbiamo e di come il mondo sia spaccato. La disparità esiste, avendo maggiore visibilità e vivendola da dentro te ne rendi conto di più. Penso a una cosa minima avvenuta nella Coppa Italia organizzata congiuntamente per maschile e femminile, un evento in cui ero consapevole delle differenze e che da vivere in prima persona è stato incredibile: la strada giusta è questa. Ma giocare la finale al mattino e fare la premiazione senza i coriandoli perché c’è da liberare lo spazio per fare le prove della premiazione dei maschi è una cosa che noti, anche se è una cazzata».

Il dialogo poi si sposta su un altro spunto poco discusso, ovvero l’incontrare sostegno e supporto a livello di posizioni sociali anche da parte di atleti uomini. Per Keys «c’è maggiore sensibilità, ma soltanto perché siamo noi a esserci un attimo svegliate, a farci sentire di più. Possiamo incontrare solidarietà, ma evidenziare la disparità di genere è qualcosa che parte da noi e non da loro, è un problema che colpisce noi e non loro, che non possono immaginare. Ma appena ci siamo fatte sentire di più abbiamo incassato sostegno e solidarietà. Di testa e di idee ci siamo: secondo me qualcosa sta cambiando, ma ci vuole ancora tanto tempo».
Nel caso di una ragazza come Jasmine, con un background certamente particolare e inusuale alle spalle - basta pensare alle esperienze accademiche citate in precedenza - si vede la luce negli occhi sull’importanza del farsi sentire nella vita quotidiana da atleta: «È una delle prime motivazioni, potere fare sentire la mia voce mi spinge e mi aiuta. Lo studio mi ha aiutato a capire diverse cose, è sempre stato una priorità ma questa consapevolezza, comprensione è arrivata ultimamente». Recente è anche quello che è un sentimento percepibile da parte di chiunque abbia la possibilità di vedere una partita delle nazionali maggiori della nostra pallacanestro, sia quella maschile che quella femminile.
Ovvero l’affetto, il sostegno quasi incondizionato in ogni palazzetto italiano, che in campo ci siano i “big” o anche le formazioni rimaneggiate a causa degli incastri difficili di calendario. Il tutto parlando di due squadre che non assaporano momenti di gloria e medaglie vinte da tanto tempo: i ragazzi hanno disputato una sola edizione delle Olimpiadi negli ultimi 20 anni (e l’ultima medaglia risale al 2003), le ragazze non vedono i cinque cerchi da Atlanta 1996 e in questi giorni ricorre l’anniversario dell’ultimo successo, ovvero lo splendido argento di Brno 1995.
Questo, però, non ha impedito agli appassionati italiani di stringersi attorno a questi due gruppi, e il bagno di folla - non necessariamente nei numeri, per quanto positivi, ma nell’affetto percepito dalle atlete e da chi assisteva - del girone di EuroBasket Women al Paladozza di Bologna è stato nuova dimostrazione. Due squadre amate e sostenute con affetto a prescindere da risultati sportivi che finora si sono sempre fermati all’anticamera della gloria. Affetto della gente che può anche generare una maggiore ricettività dei temi sociali di cui atleti come Jasmine Keys possono essere portabandiera.
«Secondo me ci si sta rendendo conto che prima di tutto siamo persone», ci dice, «e non macchine. Il campione del mondo non è tanto diverso dall’ultimo arrivato, secondo me ci stiamo avvicinando ed è importante fare leva su questo aspetto. Noi atleti abbiamo sentimenti, momenti di difficoltà, siamo fragili e vulnerabili come tutti. Questo secondo me genera unione, empatia. La visibilità poi conta: sono piccole cose che sentiamo. Il fatto che tutte insieme stiamo spingendo verso l’alto il movimento, che gli europei siano in casa e le partite trasmesse in chiaro, è molto importante. Ultimamente ho compreso di più la voce che abbiamo: tappe come la Serie A o la Nazionale arrivano, io faccio tesoro delle esperienze che vivo come del potere che abbiamo, di come possiamo farci sentire e cambiare il movimento».
Segno di cambiamento possono essere anche le performance di una squadra che arriva al Quarto di finale del Pireo contro la Turchia da brillante imbattuta nel girone del Paladozza. Risultati, quelli contro Serbia, Slovenia e Lituania, arrivati in un crescendo di margine (dal +9 con le serbe al +14 con le lituane) ma anche di prestazione nell’arco dei 40 minuti, per un gruppo che si è dimostrato arcigno in difesa - l’Italia è tra le migliori per palle perse generate e percentuali al tiro concesse - e coeso in attacco, nonostante la pesante assenza dell’infortunata Matilde Villa e oltre il grande talento di Cecilia Zandalasini.

Dell’Italia di Bologna è piaciuta in particolare la capacità di non disunirsi mai, nemmeno di fronte a momenti complicati - come le rimonte subite dal +15 con le serbe e dal +24 con le slovene - trovando sempre il modo di ripartire dalle piccole cose, da una comunicazione in campo sempre costruttiva e mai reazionaria tra le giocatrici. Aspetto, questo, di cui uno dei segreti nemmeno troppo nascosti è l’indole di una giocatrice come Keys, sempre in controllo completo delle proprie emozioni sul parquet.
«È molto importante», dice Jasmine su questo aspetto. «Ad esempio io e Olbis (Andrè, nda) ci troviamo molto bene perché siamo tanto tranquille. È una cosa che può passare come superficialità e leggerezza, ma non è così. Per me è molto importante riuscire ad alleviare la tensione in momenti super tesi. Provare emozioni è importante, io cerco di controllarle molto. Bestemmio dentro, ma ho sempre la stessa faccia, per me è importante. In questo ci troviamo tra noi, ci parliamo e ognuna trasmette ciò che può in modo positivo. La comunicazione è molto importante e in questo mese insieme è stata anche molto costruttiva».

Una squadra relativamente giovane, quella azzurra - soltanto il capitano Laura Spreafico ha più di 30 anni - ma indubbiamente matura soprattutto con le esperienze degli ultimi anni che hanno visto diverse giocatrici raggiungere, a livello di club, i vertici della pallacanestro europea con ruoli da protagoniste. «D’età siamo più grandi, più esperte all’estero come in Italia», continua Keys. «Ci siamo rese conto che la strada è quella, di imparare a comunicare bene e meglio, capire che se in quel momento ti dico una cosa non è che ce l’ho con te. Ci sentiamo più mature, ci rendiamo conto che serve».
Alla vigilia di una serata importante, che potrebbe regalare all’Italia la prima Semifinale europea dal 1995 e l’accesso al Pre-Mondiale di marzo 2026, viene naturale chiedersi quale possa essere l’eredità di questo gruppo che sta trovando anche a livello maggiore una sintesi già trovata, con successo, in rappresentative giovanili che hanno sommato diverse medaglie negli ultimi anni (9 negli ultimi dieci, tra cui tre ori, con Under 20, 18 e 16). Oltre ai valori già emersi nel corso di questa conversazione: «Vedendo molto più seguito ed entusiasmo credo che abbiamo già fatto emozionare, e per me è quello l’importante. Il coinvolgimento emotivo, essere ricordate per come abbiamo fatto entusiasmare».