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Fabio Barcellona
Germania e Cile sono pronte per il Mondiale
04 lug 2017
04 lug 2017
Cosa ci ha detto la finale di Conferation Cup su due delle migliori squadre nazionali.
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Fabio Barcellona
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Il formato della Confederations Cup è oramai lo stesso dal 2005: si gioca l’anno precedente la Coppa del mondo, nel paese dove si disputeranno i Mondiali l’estate successiva, a partecipare sono le 6 nazionali campioni in carica dei rispettivi continenti, più quella campione del mondo e quella organizzatrice del torneo. In genere, la Conf. Cup viene considerata una prova generale per testare il livello organizzativo della Nazione ospitante del Mondiale successivo, e da un punto di vista meramente sportivo come il laboratorio in cui ciascuna squadra può sperimentare nuovi giocatori in vista dell’appuntamento “più importante”.

 

Quest’ultima tendenza è stata esasperata dalla Germania, che ha grossomodo lasciato a casa tutta la formazione titolare per presentarsi in Russia con una selezione molto giovane. Ma nonostante la natura fortemente sperimentale della propria formazione, la Germania è giunta comunque agevolmente alla finale, vincendo il proprio girone eliminatorio e schiantando per 4-1 il Messico in semifinale.
In finale ha trovato il Cile di Juan Antonio Pizzi (

della Copa America giocata in casa nel 2015, bissata da una

disputata nel 2016 negli USA). Il Cile è arrivato in finale dopo avere eliminato il Portogallo di Cristiano Ronaldo, vincendo ai rigori dopo lo 0-0 dei tempi supplementari, dopo che La Roja era prevalsa ai rigori nella doppia vittoria in Copa America contro l’Argentina. Claudio Bravo è stato nuovamente a protagonista (dopo i rigori parati a Banega nel 2015 e a Biglia nel 2016)

.

 


Juan Antonio Pizzi ha raccolto nel 2016 la pesante eredità di due allenatori iconici e fortemente identitari come Marcelo Bielsa e Jorge Sampaoli, argentini come lui. Il tecnico ha mantenuto molte delle idee tattiche dei suoi predecessori, senza rinunciare a introdurre le sue correzioni all’interno di uno spartito tattico piuttosto collaudato.

 

Per Pizzi (come per Sampaoli e Bielsa) il modulo di gioco non è un dogma. Nelle due partite finali contro Portogallo e Germania, ha schierato il suo Cile con il 4-3-1-2, abbandonando il 4-3-3 più frequentemente adottato in precedenza, che gli aveva garantito la vittoria della Copa America Centenario. Di solito nel 4-3-1-2 l’ampiezza offensiva è garantita dall’allargamento delle due punte, che invece in quello Cileno partivano aperte e distanti tra loro per poi però muoversi dall’esterno verso l’interno.

 

Un’altra particolarità di questo Cile sta nella costruzione bassa, caratterizzata da un’asimmetria con cui Pizzi sfruttava al massimo le caratteristiche dei propri giocatori, in particolare quelle diverse dei due terzini. Il Cile di Pizzi tende a sviluppare le azioni sul lato sinistro dove il terzino, Beausejour, rimane basso per fissare il possesso, con il centrale di sinistra Jara che si apre sullo stesso lato per aumentare la densità cilena in zona palla. Il mediano, Diaz, sceglie di volta in volta la strategia migliore per ricevere, abbassandosi spesso tra i due centrali mentre una delle due mezzali, Hernandez, rimane in posizione. A questo vanno aggiunti i movimenti di Sanchez erano spesso orientati a ricevere il pallone nell’half-spaces di centro sinistra, muovendosi incontro il pallone.

 

Invece il terzino sul lato destro, Isla, meno abile in palleggio di Beausejour, viene utilizzato per ricevere in corsa e la mezzala Aranguiz, per il suo naturale dinamismo, non partecipa alla costruzione bassa ma si inserisce con continuità sulla linea degli attaccanti. A differenza di Sanchez, l’altro attaccante, Vargas, si muove sul centro destra esclusivamente in profondità, muovendosi dall’esterno verso l’interno negli spazi tra i difensori avversari. Vidal, infine, da trequartista, si occupa di parecchie cose come al solito, raccordando il centrocampo con l’attacco, giocando da puro rifinitore e inserendosi in zona tiro.

 




 

La strategia cilena mirava a consolidare il possesso a sinistra, spostando la densità difensiva avversaria da quel lato, per poi cambiare il gioco a destra e sfruttare sul lato debole la dinamicità dei suoi giocatori di destra.

 

Nella fase di possesso palla, il contributo alla squadra delle idee di Pizzi è evidente e il Cile tende a sviluppare un gioco più ragionato rispetto a quello ipercinetico, anche col pallone tra i piedi, di Sampaoli e Bielsa. L’eredità bielsista si fa più marcata nelle fasi di non possesso palla e, specificatamente, nell’adozione di un pressing esasperato: Pizzi ha mantenuto tra le caratteristiche peculiari della sua squadra la capacità di giocare per lunghe porzioni di partita fasi di pressing iper-offensivo ed aggressivo, fortemente orientato sull’avversario.

 


Per dare un’idea plastica dei giocatori lasciati a casa dal tecnico tedesco Löw, possiamo immaginare un’ipotetica formazione: Neuer, Boateng, Hummels, Höwedes, Weigl, Kroos, Khedira, Özil, Reus, Müller, Schürrle.

 

Löw, confermando una tendenza mostrata dopo il mondiale del 2014, ha affrontato la Confederations Cup affidandosi alla difesa a 3 e a un sistema di gioco che transitava dal 3-4-3 al 3-5-2 in funzione della posizione assunta dinamicamente da Julian Draxler sul centro-sinistra.
All’interno del sistema di Löw parecchi giocatori sono in grado di occupare diverse posizioni.

, ad esempio, è in grado di giocare in qualsiasi posizione tra difesa e centrocampo, mentre il giovane talento dello Schalke 04, Leon Goretzka, può essere impiegato indifferentemente sulla linea dei centrocampisti o su quella dei trequartisti. All’interno della varietà di formazioni schierate, però, è stato imprenscindibile il contributo del mediano equilibratore Sebastian Rudy: ventisettenne dell’Hoffenheim, ma appena acquistato dal Bayern Monaco per raccogliere l’eredità di Xabi Alonso nel cuore del centrocampo bavarese.

 

Ma al di là delle formazioni sempre molto sperimentali, la Germania in questa Conf. Cup ha evidenziato i medesimi principi degli ultimi anni. La squadra di Löw ha sempre provato a costruire dal basso, utilizzando i tre difensori e il proprio portiere. L’ampiezza è garantita dai due esterni, sempre piuttosto alti, mentre gli spazi tra le linee avversarie erano costantemente ricercati dai movimenti dei due trequartisti alle spalle della punta. Ad aumentare l’imprevedibilità nell’ultimo terzo di campo ci pensavano i continui inserimenti profondi del mediano vicino a Rudy, e cioè Goretzka o Emre Can, che hanno garantito ben 3 gol, di cui 2 in semifinale.

 





 

In questa Confederations Cup la Germania ha anche messo in mostra una tendenza al gioco reattivo più accentuata che in passato: per lunghi tratti i campioni del mondo hanno rinunciato a provare a recuperare il pallone tramite il pressing offensivo, preferendo compattarsi più dietro e liberare campo per ripartenze lunghe e veloci in transizione offensiva.

 


Se Löw ha cambiato spesso formazione, la formazione cilena che ha affrontato la Germania in finale di Confederations Cup aveva un solo nuovo innesto rispetto a quella che scesa in campo un anno fa nella finale di Copa America Centenario, e solo due variazioni rispetto alla finale di Copa America di 2 anni prima.
Le due squadre si erano già affrontate nel girone eliminatorio pareggiando per 1-1 e in quell’occasione la Germania

del Cile: la volontà di costruire dal basso dei tedeschi si era scontrata, perdendo, con l’aggressività del pressing cileno. E nonostante i buoni propositi recitati Di Joachim Löw, che in conferenza stampa aveva affermato che la sua squadra non si sarebbe più fatta trovare impreparata dall’aggressione dei cileni, la Germania ha molto sofferto il pressing della “Roja” nei primi 20 minuti.

 

Come sempre il pressing del Cile era fortemente orientato sull’uomo: le due punte si occupavano dei due laterali della difesa a 3 tedesca (Ginter e Rüdiger) mentre Vidal usciva sul centrale (Mustafi) pronto ad allungare la sua corsa fino a Ter Stegen. Alle spalle della prima linea di pressione, il Cile prendeva una forma asimmetrica: i due interni tedeschi erano marcati dal mediamo Diaz e dalla mezzala sinistra Hernandez, che impedivano l’uscita centrale del pallone dalla difesa, mentre sull’esterno il terzino Beausejour e la mezzala destra Aranguiz erano pronti ad uscire su Kimmich ed Hector.
In un contesto di pressing frenetico, che non concedeva respiro e superiorità numerica alla costruzione bassa tedesca, i due centrali difensivi venivano supportati da Isla e giocavano alti e particolarmente aggressivi per tenere la squadra corta, ridurre il più possibile le distanze alle spalle delle linee di pressione più avanzate e non concedere profondità ai lanci lunghi degli avversari.

 




 

Contro la pressione cilena, la Germania ha perso ripetutamente palla esponendosi alle ripartenze brevi cilene. Per i tedeschi l’unica reale maniera di evitare di perdere il pallone era quella di lanciare lungo la palla, riconsegnando la sfera agli avversari in una zona meno pericolosa. A differenza di una settimana fa, però, il Cile non è riuscito a concretizzare le occasioni generate dal suo pressing e la Germania è uscita indenne da quei primi venti minuti passati in balia della Roja.

 




 

Sul fronte opposto, la squadra di Löw difendeva con un blocco basso nella propria metà campo, un 5-4-1 formato dall’abbassamento dei due esterni sulla linea dei centrali di difesa e quello dei due attaccanti esterni al fianco dei mediani.

 




 

A cambiare l’inerzia del match, dopo 20 minuti di dominio cileno, è stato il gol di Lars Stindl. Per un cinico gioco del destino il Cile è stato

con le proprie armi, perdendo palla con Marcelo Diaz in una delle rare fasi di pressing alto della Germania.

 

Dopo il gol del vantaggio tedesco, il pressing del Cile ha perso di intensità e il match è diventato più equilibrato. Il disegno tattico è rimasto però pressoché invariato per 90 minuti: con la squadra di Pizzi che ha tenuto maggiormente la palla e provato a riconquistarla più velocemente, mentre la Germania ha giocato una partita più prudente attaccando in ripartenza gli ampi spazi garantiti dalla propria difesa bassa e dal pressing alto avversario. Alla fine nessuna delle due squadre riusciva ha realizzare le buone occasioni avute e il gol di Stindl ha deciso la partita (e la prima Confederations Cup vinta dalla Germania).

 


A un anno di distanza dalla Coppa del Mondo le prospettive per Cile e Germania sono piuttosto rosee. La squadra di Pizzi, dopo le due vittorie in Copa America, si è ripresentata ad altissimo livello su scala mondiale, anche se il gruppo di giocatori a disposizione (fatta eccezione per Arturo Vidal e Alexis Sanchez) non è forse di livello elevatissimo il lavoro degli allenatori che si sono succeduti in questi anni sulla panchina cilena mostra come anche nelle squadre nazionali è possibile colmare buona parte del gap tecnico con avversari più ricchi e talentuosi grazie al contributo tattico.

 

Il Cile è gestito quasi come un club e il basso numero di giocatori di livello assoluto è utilizzato a proprio vantaggio, limitando i nuovi ingressi e affinando sempre più la conoscenza reciproca tra i calciatori e il loro bagaglio tattico comune. La qualità e la coerenza tattica mostrata dalla Roja è davvero merce rara nel calcio delle nazionali e costituirà un’arma importate ai mondiali della prossima stagione.

 

All’opposto, la Germania può gioire della ricchezza del proprio parco giocatori. Oltre a questa Confederations Cup, vinta senza il proprio XI titolare, va tenuto conto del titolo continentale dell’Under 21 tedesca (privata dei propri migliori elementi proprio dalle convocazioni nella Nazionale maggiore di Löw). Goretzka, Kimmich, Werner e il non più giovanissimo Rudy sembrano già pronti per un ruolo da protagonisti e l’amplissima possibilità di scelta rappresentano una garanzia. Insomma, se la Conf. Cup serve da antipasto del Mondiale, in finale abbiamo visto due squadre già praticamente pronte.

 

 


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