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Il Genoa è arrivato all'apocalisse in un lampo. Come?
03 nov 2025
Dodici mesi dopo l'esonero di Gilardino ci risiamo.
(articolo)
14 min
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IMAGO / Buzzi
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Ogni squadra di calcio felice, specularmente alle famiglie di Tolstoj, è felice a modo suo, mentre le squadre infelici si assomigliano tutte. Dunque quello di Genoa-Cremonese non solo è stato un film ben noto ai genoani, ma una micro-parabola universale dello psicodramma calcistico.

Il catino elettrico dello stadio che prima del fischio finale trasmette la scossa delle grandi occasioni, ma di un’elettricità gelida, nervosa, carica di angoscia; l’allenatore avversario, Davide Nicola, che come il demone di It ha le sembianze di uno di famiglia ma le usa per fare giochetti mentali con le più profonde paure dei genoani, rinunciando a schierare in porta il Silvestri eccellente di questo inizio campionato pur di sbattere Audero in faccia a uno stadio già nevrastenico. Il gol maledetto preso dopo tre minuti: il corner teso di Vandeputte che pettina Valentin Carboni saltato (poco) per respingerlo - se fosse un cartone animato gli lascerebbe una striscia rasata al centro della testa. La palla che casca al centro dell’area dove un calciatore della Cremonese la sbuccia orribilmente, ma invece di finire in gradinata rimbalza e si ferma a un passo esatto dalla fronte di Bonazzoli, come appesa al soffitto con una cordicella da uno che vuole esercitarsi nelle rovesciate, solo che Bonazzoli non ha bisogno di esercitarsi, è tipo il giocatore più forte del mondo nelle rovesciate, è proprio famoso per questo, tra vent’anni se non ci sarà stato un olocausto nucleare e saremo ancora vivi ci diremo: «Te lo ricordi Bonazzoli? Dai, quello che segnava sempre in rovesciata», e la palla è proprio lì, allineata col suo sguardo come una ciambella a quello di Homer Simpson, così Bonazzoli fa la rovesciata, e fa gol.

Poi il resto del primo tempo il Genoa cerca di risalire il campo con quella straziante frenesia da cinema muto, la fisica del pallone sembra leggermente alterata come quando si dice che un videogame è scriptato e ti viene voglia di spaccare il joystick contro il muro. La Cremonese si abbassa ma ogni volta che recupera palla rovescia il campo alla velocità del basket, o della King’s League. Di pura confusione il Genoa ottiene qualche occasione per pareggiare, a un certo punto su una ribattuta Cornet calcia a colpo sicuro, bisogna rivederla tre o quattro volte per capire come Baschirotto è riuscito a deviarla con una specie di calcio volante da shaolin soccer, probabilmente ha dovuto rivederla anche lui perché se questo genere di riflesso è nel suo repertorio non dovrebbe fare il centrale della Cremonese ma il pilota di jet militari. Poi il secondo gol all’inizio della ripresa quasi in fotocopia, sempre di Bonazzoli e sempre su corner di Vandeputte, stavolta però con coefficienti di difficoltà e casualità più bassi, l’area del Genoa ormai una vetta conquistata e profanata dove i gitanti si fermano a bivaccare festosamente.

I dettagli, ancora più angosciosi e rivelatori degli highlights: i gesti di stizza accennati e subito trattenuti verso il compagno che l’ha passata troppo presto o troppo tardi; Leali che fa una parata e scatta in avanti per rinviare veloce, guarda prima a destra e poi a sinistra come un quarterback, si demoralizza, crolla le spalle, fa la faccia di uno che vorrebbe andarsene a dormire; la telecamera che al rientro dall’intervallo, nel tunnel degli spogliatoi, pesca Valentin Carboni che parla da solo con un’espressione sgomenta, come Holly del cartone animato quando ha le visioni di Roberto Sedinho.

Al fischio finale Vitinha, che è entrato alla fine e sostanzialmente non c’entra nulla con la partita, approfitta di un vuoto di potere per fare il mezzo capitano che porta la squadra a prendersi i fischi sotto la curva, i compagni che lo guardano come dire: ok ma cosa vuoi Vitinha. Junior Messias, con quella faccia da orsacchiotto coccoloso, prende a pugni la panchina perché Vieira non l’ha fatto entrare, in un’inquadratura notevole soprattutto perché rivela ai più, compresi molti genoani, che Junior Messias gioca ancora e gioca nel Genoa.

Tre punti in nove partite, un passo che inchioda il Genoa all’ultimo posto e - per quanto senso possa avere un calcolo del genere - lo proietta a fine campionato poco sopra a 12 punti. Per di più, come un coro greco sotto anfetamine, le vicende societarie prima e dopo la partita non hanno fatto altro che amplificare il senso di angoscia e smarrimento della piazza.

Il martedì il proprietario e presidente Sucu conferma piena e duratura fiducia a Vieira, a prescindere dal risultato. Mercoledì, subito prima della partita, il DS Ottolini, con la consueta complessione esausta e abbronzata da sondaggista tv, conferma e rafforza le parole di Sucu. In serata, subito dopo la disfatta con i grigiorossi, la società fa filtrare che le idee non sono cambiate, si continua così. Giovedì mattina, però, al posto di Vieira salta lo stesso Ottolini. Demiurgo delle ultime stagioni del Genoa, tutto sommato soddisfacenti dalla promozione in Serie A a oggi, da tempo in odore di finire alla Juventus, dove magari nelle prossime settimane approderà, a sorpresa è stato però sostanzialmente “esonerato”. Niente dimissioni né rescissione, al momento resta sotto contratto col Genoa ma sollevato dall’incarico.

Al suo posto, scelto probabilmente dal plenipotenziario Blazquez, arriva con un job title megalomane da tardo capitalismo, Head of Football, lo spagnolo classe ‘89 ex Lille Diego Lopez, il cui nome a sua volta nelle scorse settimane era circolato per la Juve. A questo punto tutti danno per spacciato Vieira, che invece dopo una riunione-lampo col nuovo capo i cui contenuti possiamo solo immaginare dirige regolarmente l’allenamento del pomeriggio ed è confermato per la trasferta di lunedì a Reggio Emilia contro il Sassuolo. Durante la notte è però proprio il tecnico francese a ripensarci. Venerdì mattina Vieira e il Genoa rescindono, a Reggio andranno ad interim Criscito e Murgita. Mentre il comparto tecnico del Genoa è raso al suolo e l’anima dei suoi tifosi dilaniata, i titoli della stampa online se li prende una story di Instagram in cui Balotelli fa gne gne a Vieira, non si capisce bene a che titolo.

Come siamo arrivati a questo? È una domanda che credo ormai ci poniamo tutti almeno sei volte al giorno, anche su aspetti dell’attualità più incalzanti e universali del Genoa, ma per questo articolo proviamo a restringere il campo.

Dobbiamo tornare a un anno fa, novembre 2024, quando il Genoa era a ben vedere in una situazione molto simile ad oggi. Un allenatore che l’anno prima, oltre che con le proprie idee tattiche, sembrava dominare l’inerzia dei risultati in maniera quasi mistica, anzitutto con la propria sorniona fiducia in sé e nei suoi uomini, aveva perso il tocco. Il Gilardino di allora condivideva con il Vieira di oggi i capi d’accusa dei detrattori - gioco scadente, gestione discutibile del gruppo, ingenuità e scarsa cattiveria negli episodi - ma anche l’attenuante principale, ovvero il drastico indebolimento della rosa sul mercato. L’estate 2024 si era portata via Martinez, Retegui e Gudmundsson, come quella del 2025 si sarebbe portata via Ahanor e De Winter. In entrambi i casi, a fronte di incassi da 40 o 50 milioni, si erano fatte solo entrate in prestito o a titolo gratuito.

Erano bastate poche disastrose partite - il fondo toccato perdendo ai rigori in Coppa Italia nel derby con la peggiore Sampdoria di ogni tempo, che a fine stagione sarebbe retrocessa in Serie C sul campo - perché Gilardino assumesse l’aspetto di Walton Goggins in The White Lotus, e qualche assonanza con certi personaggi di The White Lotus la aveva anche la situazione societaria: dopo mesi di voci inquietanti, 777 Partners, gruppo di investimento americano proprietario del Genoa che dal 2021 era riuscito a riaccendere gli entusiasmi dopo un decennio di grigiore preziosiano, era fondamentalmente imploso, e notizie come “sfrattati per morosità dal quartier generale di Miami” scalfivano l’ottimismo anche dei genoani più irriducibili. Il Genoa era finito in mano ai principali creditori dei 777, una holding assicurativa di New York di nome A-Cap a sua volta parecchio indebitata, che aveva subito lasciato intendere di non desiderare una squadra di calcio, e a dirla tutta di non aver capito bene cosa fosse, questo “calcio”.

Questa intricatissima ragnatela di difficoltà fuori e dentro il campo si era risolta in pochissimi giorni, con una facilità sospetta. Dentro Vieira al posto di Gilardino, e grazie a un aumento di capitale a sorpresa dentro il poco conosciuto imprenditore romeno Dan Sucu al posto di A-Cap come azionista di maggioranza.

Quando arriva a Genova, in un grigio pomeriggio di novembre 2024, Patrick Vieira sembra il forestiero di un western capitato in una città dove si sta combattendo una guerra di cui non sa niente. Schiva seccamente le telecamere che lo attendono all’aeroporto ma offre loro un sorriso largo e placido, come se gambe e volto non fossero collegati, o come quei virtuosi da circo che cucinano un uovo al tegamino con una mano mentre con l’altra suonano lo xilofono. Mentre si lascia avvicinare da tre emozionate tifose di una certa età, talmente più basse di lui che per stare nell’inquadratura deve piegarsi come Pippo coi bambini a Disneyland, Vieira ha l’aria di un uomo con una sola vaga preoccupazione: che la foto venga carina.

In realtà in giro c’è molto scetticismo: difficile resistere alla tentazione di sovrapporre il profilo di Vieira a quello del primo allenatore scelto dai 777 Partners nel 2022: Andriy Shevchenko. Un ex campione della Serie A che da allenatore non ha mai neppure sfiorato il calcio italiano, che si porta dietro un ingaggio ingombrante e che sembra scelto più per attrarre qualche sponsorizzazione che per sfilarsi dalle sabbie mobili della bassa Serie A. Se non vi ricordate come è finita con Shevchenko, vi dico solo che dopo tre mesi di Genoa lui ha smesso di allenare e ha letteralmente cambiato mestiere.

Vieira arriva inoltre al posto di Gilardino, che al Genoa in due anni ha centrato una promozione diretta e una stagione da record da neopromossi, e che ha patito, dopo essersi ripreso con una vittoria e un pareggio, uno di quegli esoneri ignobili da corporation americana, che sembrano fulmini lanciati attraverso l’oceano da un dio impasticcato e con un disturbo dell’umore. I genoani, che pure su Gilardino sono divisi come su qualsiasi altro argomento, come molti gruppi umani più abituati alla sconfitta che alla vittoria hanno un’acuta sensibilità per l’ingiustizia, vera o percepita. La simpatia per l’ex mister è dunque ai massimi.

Avanti veloce sei mesi: il Genoa si è salvato con così largo anticipo da giocare l’ultimo quinto di campionato in infradito. Pur senza stravolgimenti filosofici e conferenze stampa da santone, Vieira ha imposto al Genoa nella parte centrale del campionato un passo addirittura da lotta per l’Europa. La sensazione di molti è che proprio la sua relativa estraneità iniziale lo abbia aiutato a vedere più lucidamente di Gilardino la rosa a disposizione. Il tecnico francese ha impostato una costruzione piuttosto diretta sfruttando la grande abilità senza palla di Pinamonti - e in subordine la generosità di Ekuban -, ha suggerito una ricerca dell’ampiezza e ha consegnato le chiavi della creatività offensiva in mano ad Aarón Martín, terzino leggero ma molto tecnico che fino a quel momento aveva l’aria innocua dello spagnolo simpatico che gioca alla PlayStation mentre gli altri fanno sesso alle feste in Erasmus, e si era fatto notare soprattutto per i reel dal ritiro estivo, durante i Mondiali, in cui sorrideva rassegnato mentre Bani e Sabelli gli davano dei coppini gridando: «il nostro Cucurella!».

Una partita inutile di fine stagione. Venturino però fa doppietta ed è più facile guardare al futuro.

Nel Genoa di Vieira, Martin ha statistiche da trequartista per assist e occasioni create, e la sua esplosione non è il solo dato a suggerire un certo ottimismo in prospettiva: Vieira ha svecchiato il Genoa, marginalizzando alcuni senatori tra cui il venerabile Milan Badelj, la dipendenza della squadra dal genio calcistico del quale ormai mal si conciliava con la condizione fisica sempre più precaria e gli infortuni sempre più frequenti. Al suo posto, e a quello di Stefano Sabelli, hanno avuto minuti incoraggianti giocatori sotto i 25 anni come Patrizio Masini e Brooke Norton-Cuffy, che si spera possano affermarsi definitivamente nella stagione 2025/26.

L’estate di mercato scorre dunque tra umori ottimistici e dati di fatto allarmanti: oltre a De Winter e Ahanor, ceduti per ragioni di bilancio, il Genoa perde per fine prestito, senza neppure intavolare vere trattative per riscattarli, tre protagonisti come Pinamonti, Miretti e Zanoli. A fine luglio a sorpresa il capitano Mattia Bani si impunta per andare al Palermo, l’amministratore delegato Blazquez sale al ritiro di Moena e tenta personalmente, ma inutilmente, di convincerlo a restare. La sensazione è che il Palermo, una squadra di Serie B per quanto importante ed ambiziosa, abbia messo sul piatto della bilancia una forza economica e progettuale semplicemente impareggiabile per il Genoa. Il nuovo proprietario Sucu e lo stesso Blazquez, architetto del nuovo ordine societario, si concedono alla stampa col contagocce. Il compito ingrato di spegnere le speranze dei tifosi, che continuano a fantasticare su un colpo di mercato a sorpresa, spetta quasi sempre a Ottolini, che ha sempre più l’aria di Kendall Roy di Succession nella scena della chiusura di Vaulter.

La situazione in società intanto appare tutt’altro che stabile: dai massimi sistemi, con A-Cap che ancora reclama la proprietà del club portando avanti una causa milionaria, a episodi tragicomici come quello dell’ex presidente Zangrillo, ancora membro del CdA ma allo stesso tempo testimone a favore di A-Cap in tribunale, che una mattina di agosto si presenta in caserma ai carabinieri perché il Genoa ha rifiutato di rinnovargli l’abbonamento.

Domande inquietanti si impongono: perché Enrico Preziosi sta al Genoa come Renzi alla politica italiana, cioè in teoria non conta più niente ma in pratica il suo nome salta sempre fuori nelle decisioni importanti? Per capacità di attraversare la storia recente del proprio paese, duttilità professionale, senso dell’avventura e vena melodrammatica, Alberto Zangrillo può essere considerato il Limonov italiano?

Ma come sempre accade nelle piazze passionali, al Genoa quando l’umore della piazza e i dati di realtà si trovano in conflitto, a doversi fare da parte è la realtà. La stagione inizia con l’ennesimo record di abbonamenti (alla fine c’è anche Zangrillo) e sotto auspici poco meno che trionfali.

Il tonfo nella nuova stagione è dunque dolorosissimo: il Genoa di Vieira è per verità sempre piuttosto equilibrato, ma da un lato i tanti trequartisti e creativi sbarcati in estate non riescono ad alzare la qualità al punto di fare del Genoa, come probabilmente si auspicava, una di quelle divertenti squadre di metà classifica che fanno e subiscono centomila gol, un po’ vincendo e un po’ perdendo ma sempre per la gioia di chi deve vendere i diritti TV della Serie A. Dall’altro, persi in un colpo solo Badelj, Bani e Vogliacco e messi momentaneamente ai margini Thorsby e Sabelli, si fatica molto anche a buttarla sulla cattiveria e sul mestiere che risulterebbero decisivi in uno scenario di più tradizionale lotta per la salvezza.

Tra i nuovi acquisti il caso forse più clamoroso è quello di Gronbaek, arrivato in prestito dopo una stagione disastrosa tra Rennes e Southampton ma che solo un anno fa i francesi avevano pagato ben 15 milioni prelevandolo dal Bodø/Glimt, che oltretutto tanto per limare le aspettative di nome si chiama Albert e ha scelto la maglia numero 11, e invece è finito subito addirittura fuori dalle rotazioni.

Valentin Carboni appare esattamente per ciò che è, un talento di vent’anni che ha ancora tutto da dimostrare, e viene da una stagione interamente persa per un infortunio tremendo. Niculae Stanciu, capitano della sua Nazionale che Sucu aveva definito «un eroe» per i romeni, ha lasciato intravedere buoni colpi prima di scomparire in un gorgo di strani e poco rassicuranti infortuni, specialmente per un giocatore di 32 anni che ha trascorso le ultime stagioni tra il campionato cinese e quello saudita. Lorenzo Colombo ha perso il posto da titolare a vantaggio di Jeff Ekhator, tra le poche note positive assieme a Leali, Ellertsson e Norton-Cuffy.

Criscito e Murgita guideranno la squadra contro il Sassuolo, e a prescindere dal risultato la settimana prossima verrà scelto il nuovo allenatore. I media più accreditati parlano di un ballottaggio tra Vanoli e De Rossi, ma da Blazquez e Lopez molti si aspettano un nome straniero a sorpresa, come quello di Vieira un anno fa.

Intanto sono comparsi i primi striscioni di contestazione per la società, a meno di un anno dall’insediamento di Sucu, un record perfino per una piazza mercuriale come quella rossoblù.

Sassuolo, Fiorentina, Cagliari, Verona e Udinese. Il Genoa è atteso da 5 partite contro avversarie che sono temporaneamente o potenzialmente avversarie dirette nella lotta per la salvezza, un ciclo da cui può uscire rilanciato o fondamentalmente già spacciato.

«I genoani non sono una tifoseria competente, e non pretendono di esserlo», mi ha detto una volta un tifoso in un’intervista proprio qui per Ultimo Uomo «Su quel piano si affidano completamente. Se vendi tutti e gli dici che ci siamo rafforzati loro ci credono, e si abbonano in trentamila. Ma se il campo poi dimostra che li hai presi in giro paghi doppio, perché non hai solo sbagliato una campagna acquisti: hai tradito la loro fiducia, approfittato della loro passione, e non te lo perdonano».

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