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Fondamentali Emiliano Battazzi 6 ottobre 2014 9'

Fondamentali: Juventus-Roma

La sfida tra la squadra campione in carica e la sua sfidante più ambiziosa. Juventus e Roma, per quello che è successo in campo.

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DISCLAIMER
“Elephant in the room” è un’espressione idiomatica inglese che pare abbia origini addirittura in un racconto di Mark Twain, “The stolen white elephant”. In questo racconto, gli investigatori cercano un elefante in teoria sparito nel nulla e che invece è esattamente dove dovrebbe stare, davanti ai loro occhi. In seguito, l’espressione ha assunto vari significati, in gran parte riassumibili con la volontà di non discutere un fatto evidente, o l’incapacità di farlo.
In questo caso, l’elefante non è bianco come quello di Twain, è giallo fluorescente. Una partita di calcio è legata ad un grande numero di variabili e le decisioni arbitrali, purtroppo, incidono sulle partite come un palo o una traversa, come una papera di un portiere o come un calciatore che quella sera sta pensando ad altro. Juventus-Roma è uno di quei casi in cui la partita è cambiata (più volte) sotto l’influenza delle decisioni arbitrali, difficili quanto discutibili, e di qualsiasi fede calcistica si sia è difficile affermare il contrario. La valutazione delle decisioni arbitrali in un’analisi tattica, però, sarebbe inutile, per cui farò come gli investigatori di Mark Twain. E pensare che agli albori del calcio l’arbitro non esisteva, tra gentlemen pensavano non ce ne fosse bisogno: good old days.

 

IN CAMPO
Nella formazione della Juventus la novità è il ritorno di Pirlo e la panchina di Vidal. Schierata solo apparentemente con il solito 3-5-2, la squadra di Allegri si mantiene spesso molto fluida durante le partite, e anche contro la Roma si è visto Asamoah scalare a terzino sinistro e formare una linea difensiva a 4, come contro il Milan: anche in questo caso un accorgimento contro le 3 punte avversarie. Inoltre, la posizione di Tevez, quasi sempre tra le linee, associata al movimento offensivo dei due interni di centrocampo, Pogba e Marchisio, ha determinato a volte uno schieramento con una punta centrale, Llorente, e tre trequartisti dietro.
Nella Roma c’è il terzino sinistro Holebas (o Cholevas, o Χολέβας) al posto di Cole, per non dare la possibilità alla Juve di attaccare la profondità (aspetto su cui Cole ha destato qualche perplessità nelle prime giornate) e anche per reggere alla pari il duello atletico con Lichtsteiner. In attacco Iturbe al posto di Florenzi, con l’obiettivo di attaccare sempre la profondità dietro la linea difensiva bianconera con continue triangolazioni sulle fasce. In porta il polacco Skorupski, che influirà negativamente nella fase di costruzione più che nelle parate.

 

COME HA GIOCATO LA JUVE
Rispetto alla prestazione dell’anno scorso a Torino, quando la Juve decise consapevolmente di aspettare la Roma per levargli la profondità, in questa occasione i bianconeri cercano di adottare più strategie di gioco. Da un lato, soprattutto su rinvio dal fondo, con un pressing altissimo impediscono alla Roma di iniziare l’azione, costringendo il portiere o i difensori centrali a lanci lunghi quasi sempre preda dei giocatori bianconeri (67% i duelli aerei vinti dagli juventini); dall’altro, si compattano dietro la linea del pallone, lasciando alla Roma la possibilità di manovrare fino alla metà campo, cercando di difendere con linee molto strette, senza lasciare spazi.

Foto1JR
La Juventus ha pressato molto bene sul primo possesso della Roma, mettendo sempre in difficoltà Skorupski (solo 51% di passaggi riusciti): come in questo caso, con tutte le linee di passaggio chiuse, il portiere è costretto a lanciare lungo ma la Roma davanti non ha grandi colpitori di testa.

 

Il piano di Allegri prevedeva una serie di strumenti piuttosto efficaci per attaccare la Roma. La capacità delle due mezzali Pogba e Marchisio di fluttuare tra le linee avversarie e di attaccare la profondità a difesa schierata è emersa praticamente da subito: a metà del primo tempo Marchisio fa un movimento perfetto da centrocampo dietro Nainggolan, che non prova neppure a tenerlo (con Holebas che si accorge del movimento in ritardo), e Bonucci lo pesca dentro l’area con un lancio splendido ma difficile da controllare.

Un altro strumento offensivo a disposizione di Allegri era quello della superiorità numerica sulle fasce, e anche in questo caso è fondamentale il ruolo delle mezzali. In astratto la Roma aveva 2 uomini per fascia, ma Holebas e Maicon non hanno quasi mai accorciato su Lichtsteiner e Asamoah, preferendo evitare di lasciare Manolas e Yanga-Mbiwa troppo soli, uno contro uno con Tevez e Llorente, evitando anche di creare dei canali di attacco tra centrale e terzino per gli inserimenti. A questo va aggiunto il movimento delle mezzali bianconere con cui creavano addirittura superiorità proprio sulle fasce. Così la Juventus arrivava con una certa facilità al cross (20 effettuati in tutta la partita, tra cui quello per il colpo di testa di Morata sulla traversa). Soprattutto sull’asse Asamoah-Pogba la Juve è stata spesso pericolosa, con Tévez che in appoggio a volte creava una sorta di 3 vs 2, ben sapendo che la fase difensiva è il punto debole di Maicon.

 

Foto2JR
Il movimento delle mezzali di Allegri dietro la linea dei centrocampisti: qui Marchisio scappa via a Nainggolan, che sembra quasi indicarlo a qualche compagno. Marchisio salterà completamente il centrocampo e attaccherà lo spazio tra Yanga-Mbiwa e Holebas, calciando poi fuori il perfetto lancio del suo compagno Bonucci. Anche in questo caso, il difensore centrale che imposta l’azione è totalmente libero di pensare e realizzare il passaggio.

 

Ma il vero grande uomo in più della Juventus, un giocatore che è allo stesso tempo arma offensiva e difensiva, centrocampista in più, trequartista, punta centrale e chi più ne ha più ne metta, è Carlos Tévez, “el jugador del pueblo”, come lo chiamano in Argentina, e non a torto. Non esiste un numero di maglia che racchiuda davvero tutte le caratteristiche di questo giocatore: ad esempio, lottare quasi alla pari su ogni pallone con uno dei migliori centrocampisti d’Europa (Nainggolan) di sicuro non è cosa da numero 10. Il ruolo di Tévez, in continuo movimento tra le linee di difesa e di centrocampo avversarie, ha dato fastidio alla Roma e sembrava tatticamente difficile da arginare (anche se poi Keita e Nainggolan sono riusciti a levargli spazio e a compattare le linee). In più, il suo pressing ha permesso di sporcare molte impostazioni di gioco della difesa giallorossa, e come diceva Cruyff, una squadra gioca bene se riesce a portare il pallone sulla metà campo con relativa facilità.

Una cosa che alla Juve, in effetti, è riuscita. Alla fine, è stato Bonucci a definire il risultato della partita con un gesto tecnico fuori dal repertorio classico del difensore, ma è dalla sua circolazione di palla e dal collegamento costante e indisturbato con Pirlo che è nato il gioco della Juve, soprattutto nel primo tempo.
Dove la Juve ha concesso, e spesso sbagliato, è stato in fase difensiva: Caceres si è trovato spesso da solo uno contro uno contro avversari molto più veloci, fino a quando non si è infortunato. Appena prima del 2-2 la Roma avrebbe potuto allungare sul 1-3: la Juve si è esposta ad un avversario di grande qualità e velocità garantendo la necessaria intensità e concentrazione solo a folate.

 

COME HA GIOCATO LA ROMA
Ancora una volta, come per la partita di andata dello scorso anno, la Roma di Rudi Garcia si è presentata a Torino con la voglia di giocare la partita, provando a controllarla, gestendo il pallone il più possibile. Va detto però che la Roma ancora si muove tra due tipologie di possesso palla: da un lato quello conservativo e sterile, il pallone passato tanto per passarlo, senza alcun obiettivo concreto che non sia mantenere il possesso; dall’altro, il gioco di posizione, in cui ogni singolo passaggio è volto a squilibrare l’avversario e creare così degli spazi da attaccare.

Nel primo tempo, pressata sulla propria trequarti, la squadra giallorossa ha provato ad aggiungere qualità con Pjanić che si abbassava in aiuto a Keita. Il maliano, già gran maestro dell’Ordine di Guardiola, gestisce i ritmi di gioco con splendida sapienza, la sua circolazione del pallone rasenta la perfezione sia statistica (è il miglior centrocampista della Serie A per precisione, con circa il 93% dei passaggi riusciti) che stilistica.
Al suo fianco, però, Pjanic non è apparso particolarmente brillante: oltre all’occasione da gol fallita nel secondo tempo, ha dato un supporto tiepido in entrambe le fasi, con alcuni errori di impostazione per lui piuttosto rari.

 

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Nel continuo interscambio di ruoli tra le ali della Roma, Iturbe si trova in posizione centrale e Gervinho sulla fascia. La Juve difende a 4, molto stretta in zona centrale, preferendo lasciare spazio all’ivoriano. Ogbonna scalerà su di lui, ma si troverà esposto ad uno contro uno impossibile da sostenere. Sarà Pjanić a non scartare il delizioso cioccolatino di Gervinho.

 

Il gioco sulle fasce della Roma ha funzionato molto bene in fase offensiva, con Gervinho come al solito libero di muoversi ovunque, mentre Iturbe veniva spesso lanciato in profondità. Per chi non se ne fosse accorto già dalla scorsa stagione, il campionato italiano trova un altro protagonista: il numero 7 della Roma, che da solo a volte tiene occupata l’intera difesa bianconera.
L’azione del gol dell’argentino è una perfetta sintesi di come dovrebbe giocare la Roma, e di come in realtà le due ali d’attacco di Garcia siano spesso punte mascherate, con Totti come trequartista centrale. L’azione parte a centrocampo, con una circolazione di palla perfetta: ad ogni possesso si creano molte linee di passaggio favorevoli, che la Roma sfrutta per più di 30 secondi. Una volta che Gervinho viene servito nell’uno contro uno, tocca a Iturbe fare un taglio perfetto per tempismo e velocità. Il gol poi è splendido anche da un punto di vista atletico, oltre che tecnico.

 

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Dopo una serie insistita di passaggi, Holebas vede Gervinho alle spalle della linea di centrocampo e lo manda nell’uno contro uno con Caceres (stravolto alla fine sarà costretto ad uscire per un infortunio muscolare mentre rincorreva il numero 27 giallorosso). L’ivoriano serve un pallone perfetto ma un po’ lento: Iturbe taglia dietro la linea difensiva, ma soprattutto riesce a trovare il passo per calciare un pallone che andava piano rispetto alla sua velocità.

 

La coppia difensiva giallorossa ha dimostrato ancora una volta una notevole solidità, con Manolas sempre pronto a chiudere su tutte le incursioni. È impressionante sopratutto la sua capacità di recupero, che a volte lo spinge addirittura a concedere spazio al suo diretto avversario per affrontarlo in uno contro uno in corsa pericolosissimo per chiunque altro.
La Roma ha saputo reagire agli episodi negativi ma ha sofferto molto la pressione sulla trequarti, più per bravura degli juventini che per i limiti tecnici di Manolas o di Yanga-Mbiwa, il francese anzi sta dimostrando una tecnica sopra le aspettative. Per aiutare la squadra a salire, oltre a Pjanić è arrivato anche Totti, pestandosi i piedi con Nainggolan e Keita o con effetti collaterali peggiori: da un suo fallo evitabile, in un generoso ma errato tentativo di creare superiorità a metà campo, la punizione di Pirlo del primo rigore. Il movimento giusto è quello del centravanti che diventa trequartista, non regista (finendo solo con il rallentare il gioco).

Inoltre la Roma ha lasciato troppo spazio e troppo tempo all’impostazione di gioco bianconera (sia Bonucci che Chiellini hanno raggiunto un invidiabile 92% di precisione nei passaggi). Pirlo, soprattutto nel primo tempo, è stato lasciato libero di pensare alle linee di passaggio davanti a sé, con un Pjanić un po’ pigro nella copertura.

 

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Lasciare tutto quello spazio a Pirlo è molto rischioso: più volte la Roma cercherà di porre rimedio, tramite Pjanić, Nainggolan e Keita, che alla fine insieme riusciranno a “sporcarne” leggermente le statistiche di passaggio.

 

Quella del pressing della Roma è una questione aperta: già contro la Fiorentina aveva alternato fasi di buon pressing a periodi di lassismo e passività. Contro la Juve, invece, il pressing sulla trequarti avversaria non si è visto quasi mai, oppure era completamente disorganizzato, con solo due giocatori che portavano pressione.
Anche in questo caso, Keita sembra essere troppo solo: istintivamente tende ad alzarsi sul portatore avversario, salvo poi accorgersi che è in realtà l’unico a fare quel movimento e quindi riposizionarsi.

 

CONCLUSIONI
Il nostro calcio continua a flagellarsi. Dopo il primo rigore fischiato, la partita è diventata quasi brutale, sicuramente confusa. Ciò nonostante, Juventus e Roma continuano a crescere. Nei bianconeri, l’arrivo di Allegri ha arricchito e non impoverito gli strumenti tattici a disposizione della squadra, che adesso comincia a maneggiarli con disinvoltura durante l’arco di una stessa partita. L’addio di Conte non ha determinato affatto un calo di tensione: ancora una volta, la Juve è sembrata “cattiva” su tutti i palloni, con un’aggressività e una convinzione che non sembrano affatto minori rispetto agli ultimi tre anni.
La Roma ha dimostrato ampiamente di essersi evoluta rispetto alla scorsa stagione: la sconfitta di ieri non ha nulla a che vedere con le due della scorsa stagione. Questa volta i giallorossi se la sono giocata alla pari, anche per convinzione nei propri mezzi. Questa sconfitta può essere pesante, oppure no; in fondo, ha dimostrato che una differenza tra le due squadre è quasi impercettibile.
L’ambiente deve reagire a questa sconfitta come ha fatto la squadra in campo che, ad ogni episodio negativo, creava calcio. E’ vero che a questo punto c’è il rischio di sviluppare una sorta di complesso, ma in fondo siamo solo alla sesta giornata e questa partita non fa altro che ricordarci che Juventus e Roma saranno sempre lì a combattere fino all’ultimo, con la speranza di non doversi più ritrovare con un elefante che ascolta il violino nella stanza del nostro campionato.

 

 

Tags : juventusromaserie a 2014/15

Emiliano Battazzi: nato nel 1984, cresciuto in periferia a Roma. Economista, prova a coniugare la razionalità della tattica all’imprevedibilità del talento. È il caporedattore della sezione calcio de L’Ultimo Uomo.

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