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Emiliano Battazzi

Dammi tre punti

Brevi analisi di Empoli - Inter e Genoa - Sampdoria, che ci hanno ricordato quante…

 

Empoli – Inter

 

di Emiliano Battazzi (@e_batta)

Nel suo ultimo articolo pubblicato online per The Guardian, Jonathan Wilson ci ricorda quanto possono essere ingannevoli le definizioni nel calcio e in particolare quanto possa essere difficile individuare in modo fisso uno stile di gioco offensivo e divertente.

 

La nostra Serie A, invece, anche nel turno della Befana ci ha voluto ricordare quanto possa essere complicato distinguere tra i diversi percorsi che conducono alla vittoria: distinguere tra modi esteticamente più o meno appaganti di ottenere i tre punti.

 

Nella sfida tra Empoli e Inter, infatti, ci sono due squadre che cercano la vittoria in modo opposto: per i toscani non può che essere il momento finale di un processo di gioco armonico, organizzato nei dettagli, ritmato quasi a un livello musicale; per i nerazzurri, invece, la vittoria va cercata per una questione di sopravvivenza, a costo di qualunque sacrificio, e si sostanzia spesso in una difesa organizzata della propria caverna.

 

Entrambe le visioni sono pienamente legittime e il campo l’ha confermato: le due squadre hanno provato a vincere la partita, hanno lottato fino all’ultimo minuto, sono state sempre vicine.

 

Cosa fare con il pallone

L’Empoli di Giampaolo, reduce da 4 vittorie consecutive, record storico per il club, si presenta in campo con il classico 4-3-1-2 di sarriana memoria: in difesa Barba al posto dell’infortunato Tonelli, finora uno dei migliori centrali difensivi del campionato; in avanti come sempre Saponara trequartista, dietro alle due punte Maccarone e Pucciarelli.

 

La squadra di Mancini è scesa in campo con un 4-3-3 molto flessibile: Icardi punta centrale, con Perisic ala destra e Ljajic sulla sinistra (ma con frequenti cambi di posizione); Medel davanti alla difesa con Brozovic e Kondogbia rispettivamente mezzala destra e sinistra; in difesa D’Ambrosio a destra e Nagatomo a sinistra, oltre a una delle migliori coppie di centrali del campionato: Miranda-Murillo.

 

L’Empoli inizia a elaborare il suo solito calcio fatto di una vertigine verticale continua: il pallone quasi sempre in avanti, ma mai a caso, sempre alla ricerca di un compagno che sta eseguendo un movimento prestabilito. Per bloccare l’avversario, Giampaolo decide di schermarlo alla fonte: l’inizio azione diventa quasi un incubo per i nerazzurri, con i tre giocatori offensivi empolesi a bloccare ogni linea di passaggio in zona centrale, rendendo quasi inutile l’abbassamento contemporaneo di Brozovic e Kondogbia. Spesso si deve ricorrere a una iniziativa individuale rischiosa per uscire da questa gabbia: un dribbling del croato o un’accelerazione palla al piede del francese. Oppure, semplicemente, un bel lancio lungo a scavalcare tutti, confidando nella reattività sulle seconde palle.

 

Impossibile iniziare l’azione per l’Inter, tutte le linee di passaggio sono bloccate: quindi lancio lungo (saranno 62 in totale).

 

Come al solito Icardi è completamente isolato in avanti e con pochissimi palloni giocabili: la sua unica speranza è Ljajic, che come un folletto si aggira sulla trequarti alla ricerca dello spazio giusto, mentre Perisic è spesso fuori dal gioco e si accende praticamente solo nei recuperi difensivi (e non è poco). Le due ali preferiscono accentrarsi, ma partono sempre da posizioni molto laterali: una soluzione tattica intelligente, perché il rombo dell’Empoli è sempre molto compatto nella zona del pallone e ha difficoltà a difendere in ampiezza (oltre a esporre il lato debole).

 

Brozovic sale spesso per aiutare la costruzione offensiva, a volte creando una sorta di 4-2-3-1, e neppure questa è una novità: è necessario che i pochi giocatori associativi dell’Inter siano vicini per creare pericoli.

 

Non è una marcatura a uomo: Medel scherma il passagggio verso Saponara. Mancini ingabbia così il rombo empolese: ogni mezzala è infatti coperta da due interisti, mentre la linea difensiva controlla facilmente le punte.

 

Senza palla, l’Inter si dispone con un 4-1-4-1 tagliato su misura per l’Empoli: Medel si sistema tra le linee per occupare la zona di Saponara, levargli spazio e seguirlo negli inserimenti; Perisic e Ljajic sulle fasce devono aiutare le mezzali ad assorbire i continui triangoli di gioco avversari e ridurre l’efficacia offensiva di Zielinski e Büchel.

 

Con questo schieramento, Medel si schiaccia verso la difesa, mentre Icardi fa fatica a schermare Paredes, a cui spesso viene lasciato spazio. Il problema dell’argentino è che deve seguire anche i difensori centrali dell’Empoli, abituati ad aiutare il giro palla della squadra persino con azioni individuali.

 

È troppo poco per permettere all’Inter di controllare la partita e di rendersi pericolosa. C’è quasi da essere stupiti che a fine primo tempo il dato sul possesso palla registri la supremazia degli uomini di Mancini (54%): cosa ci ha fatto l’Inter con il pallone?

 

Tra le poche cose buone c’è il gol nel primo minuto di recupero, che nasce da un’intuizione di Ljajic e dalle qualità di Perisic nell’uno contro uno: non è un caso, perché l’Inter attacca molto spesso sulla sinistra, dove Laurini è in difficoltà. Ci pensa poi Icardi a bruciare Barba e a mettere in rete l’unica grande occasione di tutta la partita. Si tratta del suo ottavo gol in 12 tiri nello specchio: praticamente Re Mida.

 

Congelare

Ma è quasi sempre quello che fa senza pallone a permettere all’Inter di vincere la partita, ed Empoli non fa eccezione. Se il gioco di Giampaolo è fatto da continue giocate in verticale (170 in tutto), i nerazzurri controllano la profondità (il baricentro medio è molto basso, 43.7 metri) e sterilizzano il gioco offensivo avversario. Mancini lascia maggior libertà al regista dell’Empoli di servire il movimento ad allargarsi sulle fasce delle due punte, perché sa che le allontana dalla zona pericolosa e le isola: il movimento da coprire è quello di Saponara ad attaccare la profondità e la zona da occupare è quella centrale.

 

Le due squadre creano pochissimo e la differenza di expected goals è legata esclusivamente al gol di Icardi.

 

La coppia Miranda-Murillo come al solito si conferma solidissima (9 palle recuperate, 2 tackle il brasiliano; 5 e 1 per il colombiano), aiutata anche da un Medel onnipresente e dalla buona copertura dei terzini (ben 77 interventi difensivi positivi nella propria aerea, quasi il doppio rispetto agli avversari).

 

L’Inter recupera gli stessi palloni dell’Empoli ma quasi tutti nella propria trequarti (altezza media molto bassa, 30 metri), che diventa una zona quasi invivibile per Saponara, generoso ma costretto all’imprecisione (25 palle perse, 7 dribbling non riusciti, 10 passaggi negativi: il peggiore della partita in questi tre dati). L’Empoli non riesce a rendersi pericoloso e l’Inter vince la nona partita del suo campionato per 1-0.

 

Da dove nasce il gol dell’Inter: Ljajic va a cercarsi lo spazio dietro ai centrocampisti dell’Empoli, un po’ troppo passivi su Brozovic.

 

La squadra di Giampaolo ha poco da rimproverarsi: ha espresso il suo solito gioco, fatto di verticalizzazioni, di triangoli veloci, di compattezza e difesa in avanti (ben 15 palloni recuperati nella metà campo avversaria e la media dei recuperi complessivi è alta, 42 metri). Non è riuscita a incidere in attacco perché il suo avversario aveva un ottimo piano di gara in fase difensiva, ma anche perché il gioco dell’Empoli tende in ogni caso a tenere gli attaccanti lontani dalla porta, con tutti i rischi del caso.

 

Ormai è inutile discutere della “bellezza” del gioco dei nerazzurri, che in campo fanno esattamente quello che gli viene chiesto: ovvero eseguire il piano gara, ben studiato, del proprio allenatore. L’obiettivo è sbagliare il meno possibile, adattandosi ogni volta all’avversario.

 

Rimangono le incertezze sulla fattibilità di questo modello nell’arco delle 38 partite: non solo l’Inter deve per forza di cose passare in vantaggio, ma a ogni giocatore viene richiesto il massimo delle proprie possibilità, altrimenti il sistema collassa. Icardi deve segnare praticamente a ogni occasione da gol, Handanovic contribuisce con almeno due grandi interventi a partita, e così via…

 

Inoltre, basare interamente il proprio campionato su un sistema tattico di questo tipo significa esporsi a un grande rischio: che cosa succede se non si vince? Cosa rimane del calcio, se la vittoria è l’unica cosa che conta? A Mancini il difficile compito di eludere la domanda: mancano 20 partite alla fine, e l’Inter sembra la tartaruga del paradosso di Zenone: lenta, ma sempre un po’ più avanti di chi rincorre.

 

Genoa – Sampdoria

 

di Dario Saltari (@dsaltari)

Erano anni che Genoa e Sampdoria non si incontravano al Derby della Lanterna in un momento così critico della loro stagione. La squadra di Gasperini non vinceva una partita dal 22 novembre, con 6 sconfitte nelle ultime 6 partite giocate tra campionato e Coppa Italia. I blucerchiati invece arrivavano al derby con una sola vittoria nelle precedenti 9 partite giocate: era prevedibile che lo stato d’animo delle due squadre vagasse in un punto imprecisato tra l’ansia e la paura.

 

I due tecnici, però, hanno reagito all’emergenza in maniera diversa. Gasperini ha deciso di cambiare, affidandosi inizialmente a un 4-2-3-1 con la difesa composta da ben quattro difensori centrali, con Izzo a fare il terzino destro e Ansaldi quello sinistro. Dzemaili e Rincón come doble pivote davanti alla difesa mentre Lazovic, Ntcham e Laxalt assistevano Pavoletti davanti. Montella, invece, ha puntato su alcune certezze, con un 4-3-3 basso e compatto: a centrocampo Fernando come vertice basso, Soriano e Barreto a fare da mezzali. Cassano occupava la posizione di prima punta mentre Éder e Carbonero agivano sugli esterni.

 

La Sampdoria ha iniziato fin da subito aspettando il Genoa nella propria metà campo, lasciando il possesso all’avversario e facendo scattare la pressione a partire dalla linea di centrocampo. A fine partita il baricentro della Samp sarà in media molto basso, a soli 42,7 metri dalla porta (contro i 57,6 metri del Genoa), così come il suo recupero del pallone (a soli 24,4 metri dalla porta, contro i 40 metri del Genoa). A fine primo il Genoa avrà addirittura il 60% del possesso palla.

 

In fase di non possesso i blucerchiati si compattavano fino a schiacciare le linee di difesa e centrocampo al centro, spingendo il Genoa sugli esterni o al lancio lungo a scavalcare la difesa (la Samp è rimasta corta per tutta la partita: solo 34,7 metri di lunghezza media).

 

In quest’opera di distruzione del gioco avversario un ruolo fondamentale l’ha giocato Carbonero, con il compito di marcare a uomo Laxalt a costo di seguirlo fino nella propria area di rigore: così, in fase di non possesso, la Sampdoria finiva schierata sostanzialmente in un 5-4-1, con Carbonero a fare il terzino (a fine partita il colombiano sarà il giocatore della Samp ad aver subito più dribbling e ad aver commesso più falli).

 

Il 5-4-1 compatto della Sampdoria in fase di non possesso, con Carbonero che segue Laxalt fino alla linea dei difensori.

 

Effetto domino

Dall’altra parte, invece, era Rincón a essere oberato di lavoro tattico. Nella sua consueta opera di pressing alto a uomo, infatti, il Genoa portava Dzemaili e Pavoletti sui due centrali di difesa, Ntcham e Lazovic sui due terzini, Laxalt e Izzo sulle due ali. Il venezuelano, quindi, restava in inferiorità numerica tra Fernando e Barreto.

 

Un pressing asimmetrico, se così si può dire, che oltre ad agevolare la Sampdoria in uscita dal primo pressing (aiutata anche dalla grande abilità con i piedi di Viviano: per lui ben 18 passaggi positivi, quanto Soriano) ha contribuito al sistematico e pericoloso uno contro uno che ha spostato gli equilibri nel primo tempo: quello tra Ansaldi e Soriano.

 

Dzemaili e Pavoletti vanno sui difensori centrali, Ntcham e Lazovic sui terzini, Rincón in mezzo tra Fernando e Barreto. Scegliendo il primo, Barreto viene totalmente liberato in mezzo al campo. E infatti Moisander verticalizzerà verso il movimento incontro di Cassano, che di prima aprirà verso Barreto, che punta faccia alla porta la difesa (ma sbaglierà la verticalizzazione verso Carbonero).

 

Il primo gol della Sampdoria, insieme a un altro paio di chiare occasioni, è nato proprio dall’uno contro uno tra Ansaldi e Soriano. In quel caso è stata fondamentale la complicità di Cassano, che venendo incontro tra le linee ha sempre attirato fuori posizione uno tra Burdisso e De Maio, creando lo spazio alle sue spalle per gli inserimenti delle due mezzali. Un movimento che ha mandato più volte in tilt il sistema difensivo del Genoa, con i centrali che il sembravano confusi su chi dovesse uscire per andare a prenderlo: non a caso Cassano è stato il giocatore con più sponde, 5, e falli subiti, 4, di tutta la Samp.

 

Ancora sul movimento incontro di Cassano. De Maio lo segue fino alla trequarti e libera spazio alle sue spalle. Nel frattempo Soriano brucia sulla velocità Ansaldi, ricevendo il pallone di Cassano nonostante l’intervento di Burdisso, e va a segnare lo 0-1.

 

Per tutto il primo tempo e buona parte del secondo, il Genoa ha fatto enorme fatica ad arrivare alla porta di Viviano, un po’ per l’atteggiamento attendista della Sampdoria, un po’ per la prestazione non indimenticabile dei tre trequartisti, Ntcham, Laxalt e Lazovic, che avevano il compito di proporsi tra le linee e saltare l’uomo. È molto indicativo, in questo senso, che l’unico in tiro in porta del Genoa non generato da un calcio da fermo nel primo tempo sia arrivato quando Carbonero è uscito dal campo per un infortunio: una grande occasione sui piedi di Laxalt, finalmente libero dalla sua marcatura a uomo, sparata però sul corpo di Viviano.

 

Rimedia all’errore

Nel secondo tempo (sullo 0-2) Gasperini ha deciso di tornare al vecchio 3-4-3 togliendo Ntcham per Suso e Dzemaili per Rigoni. Contemporaneamente, il tecnico del Genoa ha chiesto a uno dei tre centrali a turno di salire in fase di non possesso nella metà campo avversaria, in modo da scardinare con un uomo in più l’asfissiante sistema di marcature della Samp.

 

Una mossa rischiosa, che infatti il Genoa ha pagato con il contropiede che ha portato al provvisorio 0-3, ma che almeno ha avuto il merito di cambiare le variabili in gioco.

 

Il Genoa che prova a recuperare il risultato nel secondo tempo. Burdisso è l’ultimo uomo e De Maio sale fino alla trequarti a contribuire alla manovra offensiva. Nel frattempo Izzo e Suso si sono scambiati bene di posizione, ma lo spagnolo, che evidentemente ancora deve assimilare certi meccanismi, invece di attaccare lo spazio di fronte a sé, rientra dentro il campo. Izzo quindi apre a memoria, ma non trova nessuno.

 

Il resto l’ha fatto l’inevitabile calo fisico della Samp (soprattutto in alcuni giocatori chiave, come Fernando), unito a quella paura che sembrava ineludibile prima del calcio d’inizio. Dopo il primo splendido gol di Pavoletti, gli uomini di Montella hanno visto all’orizzonte l’incredibile possibilità di pareggiare un derby che stavano dominando e hanno iniziato a sbagliare scelte tecniche elementari.

 

Subito dopo l’1-3, ad esempio, una clamorosa palla persa da Moisander avrebbe permesso a Lazovic di segnare di nuovo, se solo il serbo non avesse calciato al lato. Anche il secondo gol del Genoa, al netto di un altro grande gesto tecnico di Pavoletti, nasce da un insieme di scelte poco felici: la palla sciatta di Zukanovic, l’intervento debole di Barreto e la corsa compassata di Fernando.

 

Alla fine dei conti Montella ha vinto la sua personale sfida con Gasperini. Ma questa vittoria non dirada del tutto l’orizzonte dai dubbi: l’allenatore campano potrà riproporre la tattica utilizzata in quest’occasione (così lontana da quella con cui faceva giocare la sua Fiorentina) anche nel prossimo futuro? E se la squadra sarà stravolta dal mercato (Éder e Soriano rimarranno?) rischia di dover ricominciare da capo. Anche Gasperini starà guardando il mercato come uno spauracchio: la squadra, già impoverita in estate, perderà a gennaio gli ultimi pezzi pregiati. A differenza del collega, però, almeno Gasperini sa già quanto può essere difficile il mestiere dell’allenatore a Genova.

 
 

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Emiliano Battazzi: nato nel 1984, cresciuto in periferia a Roma. Economista, prova a coniugare la razionalità della tattica all’imprevedibilità del talento. È il caporedattore della sezione calcio de L’Ultimo Uomo.

Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.