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La decima non si scorda mai
21 mag 2018
21 mag 2018
Racconto, personaggi e analisi delle Final Four di Eurolega che hanno incoronato Luka Doncic e il suo Real Madrid.
(articolo)
19 min
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Con il weekend di Belgrado si è chiusa la stagione di Eurolega: il secondo anno della formula extralarge ha portato in dote il decimo successo continentale per il Real Madrid e la definitiva consacrazione di Luka Doncic come MVP del vecchio continente. Le quattro squadre protagoniste del fine settimana serbo sono state, con merito, le migliori di una stagione che per loro e per le altre dodici migliori squadre d’Europa ha lasciato più di una indicazione.

La decima – Real Madrid

di Davide Bortoluzzi

I playoff, e in particolare i tabelloni ad eliminazione diretta, sono di fatto croce e delizia degli sport di squadra. E se da un lato rappresentano l’acme e l’esaltazione di una stagione regolare che per l’Eurolega prevede la bellezza di trenta partite, dall’altro ne sono anche un elemento di discontinuità. In questo la pallacanestro, sport di inerzie e di ritmo per definizione, trova la sua esegesi.

Così può capitare che una squadra giochi una stagione regolare altalenante, qualificandosi senza troppo incantare ai suddetti playoff, per poi appunto cambiare ritmo e inerzia nel momento topico della stagione. Se poi in questa squadra gioca anche il più giovane MVP della storia dell’Eurolega, allora il tutto assume un senso più compiuto, con i tratti dell’epica che spesso accompagna la narrazione sportiva. Luka Doncic ha da poco vinto la sua prima Eurolega da protagonista solo otto mesi dopo aver vinto uno storico oro europeo con la nazionale slovena. A diciannove anni e tre mesi l’Europa è già ai suoi piedi, e dal prossimo 21 giugno si va alla conquista dell’America.

MVP.

Il Real Madrid visto a Belgrado ha giocato con il coltello tra i denti, senza incantare per spaziature e letture, ma sfruttando in maniera esemplare la capacità di creare e di accendersi dei suoi giocatori di maggior talento, con un Sergio Llull irreale in semifinale con il CSKA e Luka Doncic a sconvolgere ogni logica per maturità e personalità. Se poi Fabien Causeur gioca un terzo quarto fenomenale per scavare un solco decisivo in finale, vuol dire che le congiunzioni astrali sono tutte dalla tua parte.

Contro la miglior difesa dell’Eurolega, il Real ha messo in campo a sua volta un’intensità tale nella propria metà campo da mettere in crisi gli uomini di Zalimir Obradovic, che raramente sono riusciti a costruire tiri semplici piedi per terra. E con i granelli di sabbia in salsa “blancos” che bloccavano gli ingranaggi, non è bastato un Nicolò Melli alla miglior partita in carriera per completare la rimonta sul filo di lana al Fenerbahce.

Il Real conquista così la sua decima Eurolega, la prima di un capoverdiano (Eddy Tavares), la prima di uno svedese (Jeff Taylor), e la prima della carriera del nuovo fenomeno del basket mondiale, che non avrebbe potuto presentarsi al Draft del prossimo mese con un curriculum migliore..

La decima mancata - Fenerbahce Istanbul

di Ennio Terrasi Borghesan

A un passo dalla leggenda, Zeljko Obradovic e il Fenerbahce si sono arresi soltanto negli ultimi secondi della finale di Belgrado. Bisogna parlare di leggenda perché i turchi sarebbero diventati la terza squadra dell’Eurolega moderna - dopo il Maccabi 2004-2005 e l’Olympiacos 2012-2013 - a conquistare il back-to-back. E leggenda, ancor di più, sarebbe stata quella dell’allenatore serbo, in procinto di conquistare la decima Eurolega della sua carriera straordinaria e di raggiungere un traguardo del genere prima di qualsiasi altra squadra europea.

La finale di Belgrado, invece, passerà alla storia come la seconda - o per meglio dire terza, contando anche la Suproleague 2001 - finale persa da Obradovic in Europa, con il Fenerbahce che ha mancato solo in finale l’occasione del bis come già capitato al CSKA nove anni fa. Un risultato comunque incoraggiante e significativo per la squadra turca, ripartita in estate dopo le partenze alla volta dell’NBA di Bogdan Bogdanovic e quell’Ekpe Udoh che fu MVP delle Final Four vinte a Istanbul. A rinforzare i turchi sono però arrivati giocatori di qualità come l’emergente serbo Marko Guduric, l’ex NBA Jason Thompson, l’ex Pistoia Brad Wanamaker e soprattutto il nostro Nicolò Melli, che in caso di vittoria turca avrebbe meritatamente vinto il premio di MVP delle Final Four.

Career-high in Eurolega in una finale: ottime notizie per la Nazionale.

Proprio la crescita di Melli, che ha dato seguito alle due stagioni strepitose vissute in Germania con il Bamberg, rappresenta uno dei punti più incoraggianti per il futuro della squadra di Obradovic: il nativo di Reggio Emilia è sotto contratto con i gialloneri per altre due stagioni, e sicuramente la coppia con Jan Vesely sarà protagonista della prossima stagione.

Dopo una grande stagione, il lungo ceco non ha disputato delle Final Four all’altezza.

Il futuro è dalla parte della squadra turca: degli undici giocatori in campo scesi in campo nella finale di Belgrado, soltanto in tre ad oggi hanno più di 30 anni: il nostro Gigi Datome, in ombra in finale dopo una gran semifinale contro lo Zalgiris; Thompson, praticamente incolore nell’atto decisivo; e il 35enne Bobby Dixon/Ali Muhammed, che con un paio di canestri importanti ha provato a dare una chance di rimonta alla sua squadra.

Segnali che supportano la futuribilità di una squadra che potrebbe avere davanti a sé altre stagioni in cui dire la sua, e provare a riconquistare quel titolo abdicato nelle scorse ore.

La consacrazione di Saras - Zalgiris Kaunas

di Dario Ronzulli

Essere stati grandi giocatori non implica in automatico saper allenare: la visione del gioco è totalmente diversa, la preparazione delle partite è totalmenta diversa, le responsabilità sono totalmente diverse. C’è bisogno di un passaggio mentale oltre che tecnico non automatico per chiunque.

Ecco, tutti questi discorsi non valgono per Sarunas Jasikevicius. Lui, per il quale la definizione di allenatore in campo era validissima già quando giocava, non ha sofferto per nulla il passaggio in panchina. Un anno e mezzo di apprendistato da vice e poi il bastone del comando gestito subito con autorità e competenza. Perché lui è Jasikevicius, l’uomo che stava per far piangere gli USA a Sydney 2000, che ha vinto quattro volte l’Eurolega con tre squadre differenti, uno che trasuda carisma ad ogni passo. È facile che i giocatori lo seguano come fosse un Messia.

Freddo e glaciale durante la partita, umano quando l’obiettivo Final Four è stato raggiunto.

Lo Zalgiris è arrivato alla Final Four di Belgrado - la seconda della sua storia - non avendo a roster nessun top player, con il mercato che aveva portato via Westermann, Motum, Lima e Lekavicius e con un budget lontanissimo da quello di altri team che invece si sono fermati molto prima. In un contesto del genere risulta ovvio che il lavoro fatto in palestra abbia permesso alla squadra di andare oltre i propri limiti. E in quel lavoro c’è altrettanto ovviamente tanto Jasikevicius. C’è una statistica che emerge con forza e che racconta tanto dell’annata dei biancoverdi: lo Zalgiris è primo per percentuale da 3 (42%), ma ultimo per tiri dalla lunga distanza tentati a partita (16.6).

Qualità nelle esecuzioni, movimenti continui, ricerca costante e paziente del tiro migliore: Jasikevicius ha costruito una squadra moderna, capace di allargare il campo e muoversi all’unisono in attacco e in difesa, adeguandosi alle situazioni che l’avversario propone. Saras ha dato le chiavi della squadra in mano a Kevin Pangos, uno cresciuto nel mito di Steve Nash e che è l’unico dello Zalgiris presente in una Top 5 statistica dell’Euroleague, al terzo posto per assist. A testimonianza di come la Squadra, il Collettivo sia venuto prima di ogni cosa perché solo così lo Zalgiris poteva fare strada e poteva esaltare le qualità dei singoli. Prendete Vasilije Micic, che a 24 anni ha già girato mezza Europa e che a Kaunas ha trovato un coach e un sistema in cui mostrare ad alto livello ciò che con il Mega Vizura da adolescente gli riusciva senza troppi problemi. Oppure Aaron White e Brandon Davies, reduci dalla loro stagione più efficace non solo per i numeri ma anche per come hanno migliorato il loro bagaglio tecnico. Senza parlare di cosa sia diventato Edgaras Ulanovas, ora un tiratore affidabile come mai era successo in carriera.

Gli highlights della gara di Pangos contro il CSKA in regular season. È un compendio di cosa abbia combinato il canadese quest’anno e di come l’attacco dello Zalgiris abbia fatto venire il mal di testa a tutti.

Il terzo posto di Belgrado rischia di essere la fine del ciclo di questo Zalgiris. Il coach potrebbe partire attirato dalla possibilità di allenare un team di caratura superiore - ad esempio il “suo” Maccabi -, Pangos fa gola a tanti e via discorrendo. Solitamente per un coach chiamato in una squadra che vuole vincere subito si fanno ipotesi su come la pressione del successo possa condizionarlo: ma, anche in questo caso, è un discorso che per Sarunas Jasikevicius non vale. Lui, la vittoria, l’ha sempre cercata e spesso ottenuta. La pressione gli fa un baffo.

Il centesimo mancante - CSKA Mosca

di Ennio Terrasi Borghesan

Il classico centesimo mancante per fare il dollaro. Potrebbe riassumersi così la stagione del CSKA Mosca, autentico rullo compressore della lunga e logorante regular season (24 vittorie su 30 partite, meglio del Real della scorsa stagione, mai due sconfitte consecutive) e alla fine prima delusa del weekend serbo.

A dire la verità qualche segnale d’allarme della fragilità dei russi si era già visto nel corso del derby ai quarti di finale con i rivali cittadini del Khimki. Una serie condizionata dall’infortunio a Nando De Colo - poi recuperato per le Final Four - ma in cui la squadra di Itoudis ha lasciato intravedere quelle crepe poi emerse nella semifinale persa col Real Madrid.

Abituato nel corso della stagione a rotazioni larghe, Itoudis in semifinale ha deciso di puntare su un nucleo più ridotto di giocatori - ben 4 giocatori con meno di 5 minuti sul parquet, meno del giocatore meno impiegato del Real - cambiando le gerarchie. In una partita dove gli uomini chiave hanno tenuto percentuali insufficienti (De Colo, Rodriguez e Clyburn hanno combinato per 12/39 al tiro in tre), i russi sono stati incapaci di trovare soluzioni alternative.

A un attacco che, dopo l’exploit dei 30 punti nei primi 10 minuti, è stato poco efficace nel fare circolare il pallone (soltanto 14 assist su 28 canestri di squadra), il CSKA ha aggiunto una difesa non all’altezza, soprattutto nel confronto diretto con la second unit avversaria che in apertura di secondo quarto ha propiziato quel parziale di 8-0 che ha cambiato l’inerzia dell’intera semifinale.

Nell’inutile finalina contro lo Zalgiris, il CSKA ha quantomeno ritrovato l’orgoglio di riaprire la partita una volta finito a -24, ma la vittoria è poi andata ai lituani. Nella sfida contro la squadra di Sarunas Jasikevicius ha ben impressionato Mikhail “Mike” Kulagin, fratello di quel Dmitry passato la scorsa estate al Lokomotiv Kuban, e giocatore che potrebbe essere il futuro del CSKA e della nazionale russa.

A questo punto, i moscoviti dovranno intraprendere una riflessione seria in estate: l’età dei giocatori chiave è ben avanzata - Rodriguez, De Colo, Hunter, Hines e due veterani russi come Vorontsevich e Frizdon sono tutti oltre i 31 anni d’età - e l’estate potrebbe portare con sé una rivoluzione in grado di dare nuova linfa all’eccezionale continuità di una squadra che nelle ultime sedici stagioni soltanto in un caso ha mancato l’accesso alle Final Four.

Inside the Final Four

di Michele Pettene (da Belgrado)

Final Four di Eurolega e Belgrado poteva essere una combinazione dalle infinite possibilità, ma in questa edizione del 2018 significava un solo nome: Zeljko Obradovic. Il coach-mago-santone del Fenerbahce Istanbul rappresenta per l'Europa quello che il management dei San Antonio Spurs rappresenta negli Stati Uniti in quanto ad eccellenza riconosciuta, e dimostrare di appartenere alla Obradovic-connection proprio nella città che ha reso grande il coach serbo era un motivo d'orgoglio cui pochi hanno rinunciato a mostrare in pubblico.

Senza soluzione di continuità i personaggi che hanno esplicitato il loro affetto verso uno dei migliori allenatori di sempre sono stati tanti, a partire da quelli maggiormente sotto i riflettori come Sarunas Jasikevicius, ex giocatore prediletto di Obradovic al Panathinaikos diventato fin troppo rapidamente il secondo miglior allenatore del Vecchio Continente e avversario diretto nella semifinale con il suo Zalgiris.

Quando ancora mancavano alcuni secondi al suono della sirena che avrebbe sancito il successo dei turchi, Saras si è fiondato verso il suo Maestro applaudendolo, ricambiato a distanza da Obradovic in un crescendo empatico terminato con l'abbraccio più commovente e sentito del weekend. Poco prima, Saras aveva dichiarato che «Obradovic deve dire per forza che sono il miglior coach d'Europa, essendo mio grande amico!».

Poco dopo, durante la semifinale tra Real e Cska, lo stesso Saras - nonostante la battaglia sul campo da poco conclusa - è stato avvistato mentre scherzava con il suo vecchio coach, piombandogli alle spalle di soppiatto e infilandogli ripetutamente un dito nell'orecchio. Fintamente risentito come se stesse scacciando una mosca, Obradovic ha scatenato l'ilarità di Jasi e del suo ex pupillo Bogdan Bogdanovic, anch'egli avvistato al fianco dell'allenatore per continuare ad abbeverarsi alla sua fonte, con una reverenza e un'attenzione inusuale per una star della NBA in vacanza.

Le dichiarazioni di stima e affetto sono arrivate in modo più maturo ma altrettanto devoto anche da coach Pablo Laso, generoso di aneddoti e di attestati di rispetto quando interrogato sull'infinita eredità tecnico-tattica e mentale che Obradovic gli ha lasciato dopo l'esperienza a Madrid con Laso playmaker e la vittoria della Coppa Saporta nel 1997. Peccato sia stato anche l'artefice della festa casalinga rovinata a Zeljko, scorbutico e (comprensibilmente) sibillino più del solito nella conferenza stampa con cui ha salutato malamente tutti, dando però appuntamento all'anno prossimo.

Pochi flash invece da parte di Dimitris Itoudis, l'ex primo assistente per 13 anni al Pana di Obradovic che più di tutti forse ha cercato di replicare e superare l'esempio del Maestro nei suoi anni al Cska, incrinando nel mentre un rapporto che pareva granitico. Sembrato più volte un "separato in casa" durante il weekend, con l'ennesima sconfitta in semifinale potrebbe essersi meritato la buonuscita dal presidente Andrey Vatutin. Tra la Media Area, le mura della fortezza Kalemegdan e le kafane belgradesi si è sentito insistemente sussurrare del forte corteggiamento del Cska Mosca per Jasikevicius, con Itoudis diretto a fine stagione a Barcellona. Si vedrà.

Avvistati infine a rendere omaggio a Mago Zelimiro - tra i tanti capeggiati dal coach e "fratellone" Dusan Ivkovic - anche i due ex di lusso dello scorso anno del Fener, Pero Antic e Ekpe Udoh. Quest'ultimo si è portato appresso in un'esperienza inedita per lui anche il fenomenale rookie e compagno negli Utah Jazz Donovan Mitchell, intercettato con uno stivaletto protettivo alla gamba sinistra e un qual certo spaesamento durante i fischi iniziali dei 15.000 turchi. A pochi secondi dall'inizio della partita era uno dei pochi ancora in piedi perché non aveva ancora capito quale fosse il suo posto, probabilmente frastornato da un'atmosfera che ha pensato bene di riprendere più volte con l'iPhone a 360 gradi.

Oltre agli omaggi però, "Obradovic a Belgrado" significava anche ripescare dalla cella frigorifera i ricordi più esilaranti legati al coach, riportandoli a tavola per l'occasione e farsi belli con i nuovi amici giù in città. La migliore tra le confidenze che abbiamo raccolto racconta delle feste organizzate da Obradovic post-vittoria dell'Eurolega ai tempi del Pana, con l'intero quartiere dove risiede - nella Belgrado Vecchia, zona Topličin Venac - riunito in una sorta di scantinato a tirar l'alba, con Obradovic a correre seminudo (!) per le strade e l'assistente a inseguirlo dicendogli che al telefono lo stavano cercando per la diretta televisiva celebrativa della vittoria. “Non posso venire, ho bevuto troppo” dicono sia stata l'unica risposta di un uomo la cui statua dovrebbe essere posta in sostituzione del Vincitore sulla fortezza cittadina.

Non sono mancate invece le polemiche per l'assegnazione dell'MVP delle Final Four, che per molti sarebbe dovuto andare a Fabien Causeur: nulla di più sbagliato, a causa di un fraintendimento sul trofeo proseguito anche in sala stampa dovuto ad un riconoscimento basato sulle prestazioni di semifinali e finale e non solo sulla seconda. La guardia francese del Real è stato sì il migliore dei suoi contro il Fenerbahce, ma Luka Doncic ha avuto un impatto assoluto maggiore essendo stato decisivo anche nello scontro con il Cska, oltre che negli ultimi 40 minuti della stagione.

Significa che Luka meritava l'Mvp? A nostra avviso comunque no, dato che Nicolò Melli è stato importante contro lo Zalgiris e straripante in finale: un premio “alla Jerry West” sarebbe stata la cosa più giusta, ma dovendo premiare uno dei vincitori la scelta non poteva non ricadere sul Wonder Boy, “aiutato” da una mistica creata in questi giorni attorno a lui cui tutti hanno voluto attingere e magari contribuire con il semplice voto. Tra le tante cose, la quantità di selfie scattata sul campo della Stark Arena con Luka protagonista ha ritardato la conferenza stampa conclusiva di quasi un'ora, certificando nel caso ci fosse bisogno un fenomeno non solo cestistico ma anche mediatico con pochi precedenti.

A proposito di Luka: i premi sono stati talmente tanti in questi giorni che uno se lo stava pure scordando sul tavolo della conferenza stampa. Alzatosi dopo le domande dei giornalisti per tornare a festeggiare in spogliatoio, Doncic non si era accorto di aver lasciato il trofeo di MVP delle Final Four accanto al microfono. Tornato a riprenderselo dopo un "Oh!" esclamato ad alta voce mentre era in procinto di uscire, ha guardato imbarazzato e divertito verso la platea, risalutando come un bambino davanti alla mamma dopo essere tornato per la merenda dimenticata. Come avere 19 anni e non sentirli...

E poi ancora...

- Coach Laso che nel post-vittoria ha dedicato una risposta alla città di Belgrado e alla sua bellezza, confidando di essere in trattativa con la moglie per ritornarci nuovamente ma non per motivi cestistici, considerando il divieto della dolce metà. “Sarà difficile...” ha ammesso l’allenatore spagnolo bi-campione europeo;

- la Stella Azzurra Roma in finale dell’Adidas Next Generation, torneo riservato alle migliori squadre Under-18 d’Europa: la sconfitta onorevole contro il Lietuvos Rytas e il super prospetto lituano Deividas Syrvidis (segnatevelo) ha permesso di ammirare due prospetti dalle grandi prospettive come Paul Eboua, ala camerunense iper-atletica definita da alcuni scout NBA presenti a Belgrado come una sorta di rozzo e giovane Kawhi Leonard, e Matteo Spagnolo, classe 2003 dall’anno prossimo al Real Madrid, guardia con personalità, tiro e talento anche contro ragazzi più vecchi di 3 anni;

- altri spunti dal weekend: la serata di gala per la conclusione della stagione con l’assegnazione dei premi finali, con il presentatore ed ex del Real Joe Arlauskas a smargiassare manco fosse agli Oscar con la busta dell’Mvp; Doncic con così tanti premi da doverseli mettere in mezzo alle gambe per reggerli tutti; le dichiarazioni d’amore tra i CEO di Turkish Airlines e Euroleague; il video di presentazione delle migliori azioni dell’anno completamente senza audio, nell’imbarazzato e più totale silenzio della sala principale del monumentale Palazzo di Serbia;

- nota a margine per la marea gialla dei tifosi del Fenerbahce, nettamente la più presente - come sempre - sia al palazzetto che nei cafè e nei luoghi storici della città, a cantare ininterrottamente. Per loro la sconfitta è stata una doccia fredda, ma all’una di notte ne abbiamo trovati comunque tanti radunati a Piazza Republike a ridere, scherzare, ballare, mangiare e bere insieme a lituani, spagnoli, russi e serbi. Belgrado 2018: un meraviglioso spettacolo, dall’inizio alla fine.

Cosa aspettarsi dalle altre dodici?

di Ennio Terrasi Borghesan

Al momento in cui scriviamo, è già certo che la prossima stagione di Eurolega vedrà il ritorno del Darussafaka vincitore di Eurocup - ma verosimilmente privo di David Blatt sulla panchina - e il ritorno del Buducnost Podgorica, assente (non considerando due Qualifying Round persi) dalla stagione 2002-2003.

Novità potrebbero arrivare dal campionato tedesco, dove il Bamberg ora allenato da Luca Banchi dopo l’addio ad Andrea Trinchieri potrebbe lasciar spazio a Bayern Monaco, Alba Berlino o all’emergente Ludwigsburg, mentre da Spagna e Russia dovrebbero arrivare due nomi ‘noti’: in ballo, tra le più papabili, squadre come Valencia, Malaga, Lokomotiv Kuban e Khimki.

Rivedere il Khimki significherebbe rivedere Alexej Shved, che quest’anno ha riscritto i record realizzativi della storia dell’Eurolega.

È ancora da definire la situazione legata al caos Panathinaikos: alla squalifica del patron Giannakopoulos sono seguiti proclami di voler abbandonare la licenza decennale con Eurolega per disputare la Champions League FIBA, ma più volte Bertomeu ha manifestato tranquillità nel vedere i verdi ateniesi come una delle 16 squadre della competizione anche nella prossima stagione.

Prossima stagione che, salvo sorprese, sarà l’ultima dell’attuale format a 16 squadre, in quanto è già in cantiere l’allargamento a 18 squadre - con il probabile ingresso di Bayern Monaco e ASVEL Villeurbanne - per la stagione 2019/20. Prossima stagione in cui una squadra sotto l’occhio del ciclone sarà sicuramente il Barcellona. I blaugrana sono provenienti da due fragorosi flop nelle due annate della nuova Eurolega, dando sempre l’impressione di poter battere chiunque in gara secca ma di avere un pessimo rendimento sulle 30 partite. Scelte sbagliate a livello di roster e caos in chiave tecnica hanno portato il Barça a non lottare praticamente mai, in due anni, per l’accesso ai playoff.

Nella strana stagione blaugrana ci sono questa roboante vittoria sul campo dell’Olympiacos, ma anche uno 0-2 contro Milano.

Al riscatto saranno chiamati anche il Maccabi, crollato nel finale di stagione dopo aver passato i primi due terzi in zona playoff, e l’Efes, largamente ultimo dopo l’ottima annata di due stagioni fa. E se Milano vorrà dare seguito ai segnali positivi intravisti nel girone di ritorno e lottare fino in fondo per un posto ai playoff, ci si aspetta di più anche dalle due squadre greche.

Olympiacos e Panathinaikos, al netto delle vicende extra-campo (i secondi dovrebbero pagare una penale di 10 milioni di euro per rescindere la licenza decennale con Euroleague), hanno deluso ai playoff, venendo eliminate entrambe nonostante il vantaggio del fattore campo. Soprattutto l’uscita dei biancorossi contro il sorprendente Zalgiris rappresenta un risultato da migliorare a tutti i costi per una squadra che aveva disputato quattro delle precedenti sei Final Four. Appuntamento al prossimo anno.

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