“La bellezza umana in questione [agonistica] è una bellezza di tipo particolare; si potrebbe definire bellezza cinetica. La sua forza e la sua attrattiva sono universali. Sesso o modelli culturali non c’entrano. C’entra, piuttosto, la riconciliazione tra gli esseri umani e il fatto di avere un corpo.”
[David Foster Wallace - “Federer come esperienza religiosa”, 2006]
Potrebbe essere benissimo che noi spettatori, privi dei doni divini degli atleti, siamo gli unici a essere davvero in grado di “vedere”, esprimere e animare l’esperienza del dono a noi negato. E che coloro i quali ricevono e mettono in pratica il dono del genio atletico debbano, di necessità, essere ciechi e muti al riguardo, e non perché la cecità e il mutismo siano il prezzo di quel dono, ma perché ne sono l’essenza.
La citazione del più geniale scrittore americano dei Nineties (pace all’anima sua) mi torna utile per portare il Menego ad “aggirare” questa sacrosanta verità così lucidamente descritta da DFW. Conoscendo la ritrosìa tipica dei grandi giocatori – e ancor di più, di giocatori dalla grande intelligenza e altrettanta umiltà come Andrea [vedi nota a pié di pagina n. 1] – nel raccontare se stessi e il proprio talento che solo a loro appare come la cosa più normale e naturale, provo ad aggirare l’ostacolo proponendogli il paragone che mi ronza in testa da qualche mese.
Ragazzi, la cosa più importante è la ripetizione. Dall’inizio alla fine, sempre. [...] Per accrescitivo intendo l’accumulare attraverso gesti ripetuti, senza l’intervento della mente. Il linguaggio macchina dei muscoli. Fino a che riuscite a giocare senza pensarci. A circa 14 anni, anno più anno meno. Fatelo e basta. Non state a pensare se c’è un senso. Certo che non c'è un senso. Il senso della ripetizione è che non c’è senso. Aspettate fino a quando imbeve il vostro hardware, poi vedrete come vi si libera la testa.
Se tra quegli juniores ci fosse un novello Federer non è dato sapere. Il genio non è riproducibile. L’ispirazione, però, è contagiosa, e multiforme, e anche soltanto vedere, da vicino, la potenza e l’aggressività rese vulnerabili dalla Bellezza significa sentirsi ispirati e (in modo fugace, mortale) riconciliati.