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Federico Principi

Cos’ha lasciato al tennis Pete Sampras?

Riflessione sull'eredità del grande tennista americano.

Il film cult Le iene, di Quentin Tarantino, inizia con un lungo dibattito all’interno di una banda criminale che sta consumando la colazione in un bar, preparandosi a un colpo. Al momento di raccogliere le quote per pagare il conto, Mister Pink (Steve Buscemi) fa partire uno dei lunghi dialoghi tipicamente tarantiniani su questioni non inerenti alla trama del film, ma utili per caratterizzare i personaggi. Mister Pink argomenta a fondo, in modo anche condivisibile, sul perché sia sbagliato lasciare le mance ai camerieri. Nel corso del film si rivelerà il più razionale e il più sveglio di tutta la banda.

 

L’episodio più significativo attraverso il quale Andre Agassi – nella sua autobiografia Open – vuole caratterizzare Pete Sampras è quello in cui Agassi e il suo allenatore Brad Gilbert scommettono su quanto Sampras abbia lasciato di mancia al suo parcheggiatore. La scommessa la vince Gilbert, che aveva fiutato la tirchieria di Sampras: «Mi ha dato un dollaro», disse loro il parcheggiatore incalzato, «e non è tutto: mi ha detto di assicurarmi di darlo a chi gli portava effettivamente la macchina».

 

Come per il personaggio di Mister Pink, il braccio corto di Sampras si rivela uno dei tratti più simbolici attraverso cui delinearne il temperamento. Sampras condivideva con Mister Pink il pragmatismo, la razionalità, l’assoluta lucidità nel focalizzarsi sugli obiettivi. Diceva Brad Gilbert, nel celebre Winning ugly, che «Pete non si lasciava distrarre da quello che succedeva fuori dal campo. Era sempre molto controllato e non si lasciava coinvolgere da battibecchi con il pubblico, cattive chiamate arbitrali o qualunque altra cosa potesse capitare. (…) Si rifiutava di sprecare energie o emozioni per qualunque cosa che non accadesse dentro le linee del campo».

 

È diventato forse questo il tratto di Sampras che, più di ogni altro, ha contribuito a creare attorno alla sua figura un’immagine monodimensionale, scarsamente evocativa di carisma nonostante i suoi straordinari risultati. Un’etichetta che Sampras ha cucito attorno al suo stile di gioco apparentemente asettico e alla sua tipica andatura a testa bassa, e che ha ulteriormente accentuato grazie alla sua ineguagliabile qualità al servizio: il suo colpo migliore, quello che gli ha permesso per lunghe fasi nel corso delle sue partite, e nei punti più importanti, di non far partire il gioco, di crearsi una reputazione di tennista monocorde che va senza dubbio rivisitata alla luce della sua importanza storica.

 

L’influenza del servizio di Sampras sul gioco

Il servizio, per Sampras, si è anche rivelato lo strumento chiave per produrre vantaggi a cascata sul suo tennis, per aumentare l’autostima in tutte le fasi del gioco, appiattendo le debolezze e lasciando un’impressione ancora più meccanica della sua espressione in campo. «Il servizio di Pete era letale», spiega Gilbert, «(…) e ciò metteva grande pressione sul servizio dell’avversario. Pete sapeva che avrebbe tenuto i suoi turni di battuta senza sforzi: in questo modo nei game di risposta attaccava prendendo qualche rischio su ogni palla. Servire contro di lui, in questa situazione, ti metteva addosso una pressione asfissiante».

La finale di Wimbledon 1999 contro Agassi è stata una partita in cui si sono manifestate proprio queste tipiche dinamiche. Agassi forse era addirittura il favorito, ma subì la brillantezza di Sampras e fu soffocato dalla fretta di prendergli il tempo per primo.

 

Ma l’impressione di Sampras come tennista noioso, troppo diffusa nell’immaginario collettivo, non nasce solamente dalla sua tendenza a chiudere spesso il punto con un solo colpo. Grandi servitori dell’epoca come Becker e Ivanisevic hanno creato connessioni emotive profonde con il pubblico, forse per una manifestazione molto più estroversa del loro carisma, per aver rivelato più spesso le loro debolezze personali anche nella vita privata. La freddezza caratteriale di Sampras ha reso difficile perfino apprezzare fino in fondo l’espressione più leggera e raffinata del suo immenso talento. Dell’icona televisiva di Sampras restano più gli slam dunk, e il loro totale sciorinamento di esplosività, rispetto alla delicatezza delle volée.

 

Uno dei maggiori fraintendimenti su Sampras, quindi, sta proprio sul perché sia stato così efficace al servizio. Sampras è stato catalogato come apripista del power tennis anni Duemila, in qualche caso considerando le sue velocità ottenute col servizio come di rottura in un’epoca classica ormai in estinzione. Non ci si è mai soffermato abbastanza su quanto la sua esplosività, specialmente nelle esecuzioni al servizio, fosse in realtà subordinata alla pulizia tecnica del movimento. Negli anni Novanta viaggiare a medie di 190 km/h sulla prima e 160 km/h sulla seconda, per un uomo di 1 metro e 85, era innanzitutto una questione di pura tecnica esecutiva e solo in un secondo momento di potenza muscolare.

 

È sempre mancata una dimensione universale nell’apprezzamento del gioco di Sampras, da sempre in bilico tra classicità e modernità ma incapace di fondere questa sua versatilità in un’immagine sufficientemente carismatica. L’epoca d’oro di Sampras si è incastonata in un decennio diventato di transizione, forse principalmente per colpa del suo dominio a tratti inespressivo. Per questi motivi, a distanza di anni, Pete Sampras ha ancora bisogno di una rivalutazione storica: non della sua forza concreta in campo, ma soprattutto di cosa ha lasciato effettivamente al tennis.

 

Il limbo di Sampras

«Pete (…) era il top per quello che riguarda il talento. (…) La sua tecnica era molto difficile da imitare, tanto era rilassato mentre giocava i suoi colpi: (…) colpi sontuosi, eseguiti con grande partecipazione del polso e che richiedono tecnica sopraffina». In questo modo in Winning ugly riassumeva la manualità di Sampras, un fattore troppo trascurato e rimasto vagamente sepolto sotto la sua esuberanza atletica: la vera novità portata in campo da Sampras, l’unica evoluzione possibile per un tipo di gioco d’attacco, quello del serve and volley sistematico, ormai saturo di soluzioni tecniche dopo decenni.

 

Uno dei motivi per i quali la mitologia di Sampras è prevalentemente legata ai risultati, e possiede una scarsa connotazione emotiva e carismatica, risiede proprio nel suo stile di gioco. Contrariamente a due suoi connazionali e quasi coetanei – Andre Agassi e Jim Courier – Sampras non è stato un rivoluzionario dei paradigmi del tennis, ma piuttosto ha evoluto lo stile classico al suo ultimo stadio possibile. E in questo modo, la solidità e la ripetitività del suo gioco si accompagnavano in maniera invisibile e paradossale alla sua versatilità tecnica e tattica.

 

L’eredità storica di Sampras è quindi rimasta in un limbo, esattamente a metà tra i grandi campioni di culto dal talento classico – McEnroe, Edberg, Becker, Rafter e poi Federer – da una parte, ma senza possederne la leggerezza, le fragilità umane e neanche l’istinto di improvvisazione; e i grandi rivoluzionari modernizzatori – da Borg e Connors verso Wilander e Lendl, poi Agassi e Courier e infine Nadal e Djokovic – dall’altra, dai quali Sampras ha attinto gran parte della sua forza mentale, senza però provocare lo stupore e la curiosità per un tennis avanguardistico, l’immedesimazione del pubblico verso l’anticipazione del futuro.

Ecco, forse questo punto per Sampras è un’eccezione a livello di improvvisazione, ma nei successivi si notano tutte le sue – numerose – caratteristiche dominanti.

 

La vera innovazione storica di Sampras si è rivelata, quindi, quella di aver sviluppato un servizio talmente devastante da portare un certo tipo di tennis ai limiti della sostenibilità. Sampras non ha evoluto il servizio dal punto di vista tecnico, ma piuttosto ha sublimato nel suo servizio le migliori caratteristiche in battuta di ogni specialista apparse fino a quel momento. Sampras ha rotto gli schemi senza aver inventato nulla, ma lo ha fatto portando al limite estremo della fisica le soluzioni tattiche del gioco d’attacco fin lì conosciute.

 

Anche la figura di Federer, alla stregua di Sampras, non ha rappresentato un punto storico di rottura del tennis e dei suoi modelli di successo. Federer è però riuscito a imporsi maggiormente presso il pubblico sia per la sua collocazione storica, in una posizione ormai molto più anacronistica di Sampras, quella dell’estrema resistenza dell’epoca classica, sia per un’interpretazione più leggera sul piano atletico e più umana su quello mentale del suo tennis. Quella delle occasioni sprecate, per esempio, è una delle narrazioni più dominanti su Federer, inscindibile dalla sua figura contraddittoria, in bilico tra l’umano e il semi-divino.

 

Forse proprio per avere un maggiore controllo mentale sul colpo, in tutte le sue esecuzioni Sampras rispetto a Federer appariva più rigido, più pesante. Nel suo colpo migliore, il servizio, Sampras otteneva maggiori velocità rispetto a Federer – al netto dei materiali delle rispettive epoche – ma meno varietà. Spingeva in modo eccezionale in alto con le gambe e con la spalla destra per chiudere il movimento, con un sincronismo mai visto prima, utile a ottenere la massima potenza possibile sul colpo. Federer ha invece fondato la sua forza al servizio con l’abilità del braccio e con la sua leggerezza, che gli permettono di improvvisare, di cambiare repentinamente dallo slice al kick e di ottenere una precisione millimetrica.

Un parallelo interessante dei movimenti del servizio di Federer e Sampras. Forse l’americano riusciva a colpire la palla più in alto, sia per un maggior caricamento delle gambe che per l’uso della spalla destra.

 

Lo spartiacque del tennis

Della meccanica del servizio di Sampras parlò il grande tecnico Roberto Lombardi, sottolineando come la sua esplosività nascesse da un fattore molto specifico: «Per un fatto di dominanza oculare, Sampras aveva bisogno di inarcare molto la schiena per vedere bene la palla con l’occhio sinistro da sotto, durante il lancio. Da questa necessità Sampras riuscì poi a utilizzare il grande inarcamento della schiena per generare una sopra-velocità nella fase di esplosione del colpo».

 

Rispetto a Federer, tuttavia, Sampras ha sempre lasciato l’impressione di una produzione industriale in serie del servizio, che assomigliava quasi a una catena di montaggio fordista, e per questa ragione asettica in quanto a estro. Nonostante Federer e Sampras abbiano tutto sommato ottenuto un’efficacia simile dai rispettivi servizi, da questo colpo Federer ha ricavato una maggiore varietà che nasce da una mentalità più aperta all’improvvisazione. Il martellamento incessante del servizio di Sampras è stato invece uno dei fattori più incisivi nelle riflessioni dell’epoca su come il tennis sarebbe entrato nel nuovo millennio, su come avrebbe potuto preservare il suo lato più creativo.

 

Ma l’elemento che ha reso ancora più disumano il tennis di Sampras è stato soprattutto la seconda di servizio. Il colpo che avrebbe dovuto rivelare maggiormente il suo talento in questo fondamentale si è rivelato, per la sua inedita aggressività, quello che ha messo più a repentaglio la credibilità e gli spazi di manovra del tennis a venire. Se anche un essere umano dotato di una statura nella norma, come Sampras, poteva aggredire incessantemente sia con la prima che con la seconda di servizio, senza una verosimile dose di doppi falli conseguenti, si pensava che il tennis dal 2000 in poi avrebbe rischiato di subire una rivoluzione troppo grande per garantirne la sopravvivenza.

 

La storia ci ha insegnato che alcuni fattori fondamentali – l’aumento delle dimensioni dei piatti corde e degli sweet spot che ha favorito la risposta al servizio, il rallentamento dei campi veloci e delle palline – hanno contribuito a preservare una certa armonia nello spettacolo, seppur spostandola su altri parametri. Ma è stato principalmente per la qualità al servizio di Sampras, rivelatasi poi sostanzialmente irripetibile, che certe previsioni sono risultate distorte.

 

«Ho sempre giudicato un servitore dalla sua seconda palla», ha detto proprio Sampras qualche anno fa. «Tutti possono servire bene e fare degli ace, ma se la prima latita, ed è una cosa normalissima, bisogna cercare una seconda offensiva che ti dia opportunità. Il segreto per una buona seconda è la fiducia che hai in questo colpo, in modo da poterci fare affidamento anche quando sei sotto pressione». Escludendo una manciata di alcuni giganti di questo sport, nessuno nella storia del tennis ci è riuscito meglio di Sampras.

 

Ed è soprattutto tramite la seconda palla che il servizio di Sampras si distanzia da quello di Federer, sia nelle soluzioni adottate che nell’efficacia. La ripetitiva robustezza della seconda di Sampras non nasceva solamente dalla confidenza nel movimento, ma anche da una grande dose di coraggio calcolato, un fattore umano mai sufficientemente rimarcato in Sampras. Negli ottavi a Wimbledon 2001 contro Federer, Sampras scagliò una seconda a 194 km/h sul 5 pari del tiebreak del primo set, ottenendo il punto diretto. Nonostante in quel momento vivesse una fase di carriera in evidente involuzione, Sampras non perse praticamente nulla del suo servizio fino al suo ultimo giorno sul campo: la finale dello US Open 2002 contro Agassi, in cui mise a segno 35 ace di cui 5 sulla seconda.

 

Il distacco più evidente di velocità al servizio tra Federer e Sampras si registrò fin da subito sulla seconda. A Wimbledon 2001 Sampras la scagliava a una media di 177 km/h, Federer si fermava a 154. Fin da subito Federer fu più vario e usò di più il kick, ma complessivamente Sampras si è dimostrato un battitore leggermente migliore.

 

Oggi che la parabola di Federer si sta chiudendo, il parallelo con Sampras diventa ancora più importante per decodificare più a fondo la controversa eredità storica del tennista americano. Sampras forse più di Federer rappresenta il vero baluardo della transizione del tennis dall’epoca classica a quella contemporanea: capace di stare a fondocampo tenendo il passo dei nuovi baseliner e contemporaneamente di produrre un gioco d’attacco di straordinaria qualità e non solamente di regolare quantità, un ibrido tra la potenza al servizio di Becker e Ivanisevic, e il controllo e la posizione a rete di Edberg e Rafter.

 

Anche quello di essere rimasto coinvolto in un’era tennistica dall’epica relativamente inferiore rispetto agli anni Settanta-Ottanta e al Duemila è uno dei peccati involontari di Sampras. Se è vero che gli anni Novanta sono stati quelli della genesi degli specialisti della terra battuta, si sono rivelati anche quelli in cui il gioco classico è iniziato a scomparire e accanto a esso sono sorti i primi timori per la spettacolarità del tennis del futuro. In un gioco reciproco di causa ed effetto, è stato proprio il servizio di Sampras il colpo che, più di ogni altro, ha segnato un’epoca di transizione e di dubbi.

 

Un’esecuzione di rarissima pulizia tecnica, ma che ha finito per generare uno dei più grandi paradossi nella storia del tennis: quello di un giocatore dal talento sconfinato che ha trasmesso monotonia a gran parte dell’opinione pubblica. Più di ogni altro tennista Sampras ha dimostrato come le abilità tecniche e i risultati vincenti siano solo una parte, in molti casi minoritaria, delle qualità espresse da un giocatore che colpiscono l’immaginario collettivo.

 

Pur non essendo stato un profondo innovatore del gioco, Sampras è riuscito comunque a trasformarsi in un efficace collegamento tra due epoche tennistiche così lontane tra loro. Nel momento in cui il tennis si è trovato disorientato di fronte ai suoi imminenti cambiamenti, comprendere a fondo la portata storica di Sampras e la sua influenza – al di fuori dei titoli – si è rivelato un esercizio troppo condizionato dalle paure collettive del suo tempo. Oggi che abbiamo accettato e celebrato un altro tennis, la figura di Sampras diventa centrale e indispensabile – al pari di quella di altri giocatori dalle caratteristiche rivoluzionarie – per comprendere gli essenziali snodi degli anni Novanta. Ed è una figura tutt’altro che noiosa.

 

 

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Federico Principi nasce nel 1992 e si ammala di sport. È telecronista della Serie C su Eleven Sports Italia. Ha scritto "Formula 1 2016: The review", un libro completo sulla stagione 2016 di Formula 1.