Come se la caverebbe Sarri al Chelsea?
di Alfredo Giacobbe
Dopo un quadriennio guidato da due allenatori, Mourinho e Conte, diversi sì, ma che condividono un atteggiamento tattico reattivo di fondo, l’arrivo di Sarri al timone del Chelsea costituirebbe una svolta epocale.
Un cambio filosofico che il club londinese dovrebbe riuscire ad assorbire, per le sue innumerevoli risorse, nella rosa attuale e nella pletora di giovani calciatori mandati a giocare in giro per l’Europa.
Sarri imporrebbe il ritorno della difesa a quattro, unico vero baluardo in carriera del suo credo tattico. Il tecnico toscano potrebbe ripescare David Luiz, epurato da Conte per oscuri motivi disciplinari, e potrebbe decidere di affiancargli ad esempio Antonio Rudiger. I due sembrano più adatti di Christensen e di Cahill nel giocare in una linea alta, che rimane a ridosso della metà campo, con 40 metri di campo alle spalle da difendere. Senza dimenticare che i primi due hanno maggiore qualità nel vedere e servire il passaggio in profondità tra le linee avversarie. Ai lati dei difensori centrali, Sarri riporterebbe Azpilicueta nel suo ruolo naturale di terzino destro; a sinistra potrebbe approfittare della spinta e dell’appoggio alla fase offensiva che uno come Marcos Alonso garantirebbe.
Per il centrocampo si hanno maggiori incertezze, anche perché i compiti richiesti da Conte e Sarri sono totalmente diversi. Attualmente Bakayoko e Kante hanno soprattutto compiti di controllo dello spazio; con Sarri i centrocampisti dovrebbero assumere su di sé maggiori oneri nella costruzione di una manovra palleggiata. Allo stato attuale possiamo solo ipotizzare l’impiego di un sistema che prevede un centrocampo a 3. Nel ruolo di vertice basso di centrocampo, Sarri potrebbe allungare la carriera di Cesc Fabregas, uno che ha intelligenza calcistica da vendere, piedi raffinati e tempi di gioco sviluppati. A Kanté verrebbe quindi affidato un ruolo alla Allan, da guastatore di centrocampo, primo trigger per scatenare l’aggressione in avanti. Nel ruolo di interno sinistro ci sono tanti dubbi, Sarri potrebbe reinventare Ross Barkley, che ha una progressione eccellente e un ottimo tiro da fuori con entrambi i piedi. Ma i talenti dell’Academy del Chelsea potrebbero offrire anche altre soluzioni: a partire da Loftus-Cheek, autore di un’ottima stagione al Crystal Palace, per finire a Marco van Ginkel, rinato al PSV dopo il periodo milanista.
Fatta la scelta a centrocampo, in avanti sarebbero lecite sia la soluzione “Napoli”, con un attacco formato da un’unica punta e da due ali a supporto, sia la soluzione “Empoli”, col ritorno al trequartista dietro alle due punte.
Nel primo scenario, Morata partirebbe avvantaggiato su Giroud, che è più un vero e proprio “target man”, una maniglia su cui appoggiarsi per far risalire la squadra, ma meno adatto al gioco palleggiato in spazi stretti. Ai lati dell’attaccante spagnolo potrebbero agire due dei tre folletti Hazard, Pedro e Willian.
Nel secondo scenario, Hazard sarebbe perfetto nel ruolo del trequartista. È una posizione che peraltro ha già ricoperto con Conte, in appoggio ad un’unica punta. Hazard ha una notevole forza fisica, che gli permetterebbe di appoggiare l’azione offensiva scegliendo il tempo dell’ingresso in area, nello spazio creato dal movimento delle punte. Una caratteristica che mancava ad Insigne e che ha spinto Sarri all’adozione dell’attacco a tre, all’inizio della sua esperienza napoletana. Davanti ad Hazard, Morata potrebbe assumere i compiti della seconda punta, che nel sistema empolese era impiegata per creare ampiezza con i suoi movimenti interno-esterno. Il ruolo della prima punta potrebbe essere assunto da Tammy Abraham, di ritorno dal prestito allo Swansea, un attaccante forte e potente, ma comunque veloce sugli appoggi.
Con Sarri la Premier League sommerebbe altri crediti allo status di laboratorio tattico, acquisito con l’arrivo nelle ultime stagioni dei migliori tecnici della Liga, della Bundesliga e della Serie A.
Come se la caverebbe Sarri allo Zenit?
di Emanuele Atturo
Sarri a Napoli ha ritoccato due volte il record di punti in campionato, si è spinto a competere ai livelli di una superpotenza Europea come la Juventus, ma ha soprattutto creato un’identità di gioco che ha posizionato il Napoli sulla mappa europeo in un modo unico e speciale. Poche ore fa Guardiola ha definito il calcio di Sarri “Un brindisi al sole” mentre qualche mese fa Pochettino aveva eletto il Napoli come la più bella squadra da veder giocare e The Ringer “La squadra più eccitante d’Europa”. Nonostante in Italia questo aspetto sia stato trattato con ironia (“Lo Scudetto del bel gioco”), con il cinismo con cui ci piace degradare le cose belle, Sarri a Napoli ha costruito un brand, dandogli una dimensione internazionale. Secondo Michael Cox sempre più squadre stanno cercando di abbracciare una filosofia di calcio offensivo, perché aiuta a creare un’immagine positiva.
Per lo Zenit, quindi, prendere Maurizio Sarri in panchina sarebbe perfettamente sensato. Sono anni che la squadra di San Pietroburgo sta cercando di entrare nell’élite del calcio europeo, e non ci sta riuscendo né sul piano dei risultati (perché è sempre stato difficile attrarre grandi giocatori in Russia) né su quello dell’immagine (perché essere di proprietà di Gazprom non aiuta). Sarri allo Zenit non potrebbe ambire a grandi risultati - anche se già vincere il campionato, per una squadra che non lo vince dal 2014/15, rappresenterebbe un successo - ma potrebbe finalmente generare interesse attorno a una squadra grigia e che nessuno ha mai amato particolarmente. Lo Zenit di Sarri basterebbe come singolo motivo per interessarsi al campionato russo.
Per chi invece vorrebbe continuare a vedere Sarri esprimersi ad alti livelli, provando a magari a conciliare l’ambizione estetica del proprio calcio con dei trofei importanti, sarebbe una tragedia. Dopo appena 4 anni dal suo arrivo in Serie A Sarri inizierebbe il proprio esilio dorato, ottenendo in anticipo quel “contratto ricco” che aveva prospettato già un anno fa come uno degli obiettivi della sua carriera. Magari preferisce così. Magari gli ultimi due anni al Napoli lo hanno consumato al punto che l’unica cosa di cui ha voglia è fuggire verso un campionato senza pressioni. Masticare meno filtri per il nervosismo, fumare meno sigarette, godersi i frutti di una gavetta iniziata ormai quasi 30 anni fa.
I media russi apprezzerebbero la sua figura di italiano pane e salame, che preferisce la tuta all’abito e non ci tiene a sembrare brillante quando parla ai microfoni. Un italiano simile ai vecchi comunisti che venivano in visita in Unione Sovietica dalle sezioni del PC sparse tra Emilia e Toscana. Forse ce lo dimentichiamo ma il prossimo 10 gennaio Sarri compirà 60 anni, solo uno in meno del tecnico più anziano del campionato, cioè Gian Piero Gasperini, gli stessi di Carlo Ancelotti, che qualcuno già considerava a fine carriera. In fondo sarebbe legittimo, per un uomo di 60 anni, cominciare a preparare il proprio ritiro.
Dopo lo Zenit per Sarri sarebbe difficile tornare ad allenare una squadra ad altissimi livelli. Quel tipo di trasferimenti in Russia di solito somigliano a un esilio volontario e permanente, dopo il quale l’unica panchina plausibile sarebbe quella della Nazionale. Lo Zenit in realtà sembra sul punto di annunciare Semak come nuovo allenatore, ma la squadra russa è un simbolo del lato oscuro che Sarri potrebbe abbracciare, cioè una squadra pronta ad offrirgli un ingaggio ricco e un suo pre-pensionamento. Siamo davvero pronti a salutare la possibilità che le idee di Sarri possano arrivare a vincere, o almeno a provarci, trofei importanti?
Come se la caverebbe Sarri al Barcellona?
di Daniele V. Morrone
La presidenza Bartomeu ha abbracciato da tempo l’idea di un Barça che non debba necessariamente aderire ai dettami classici di Cruyff, che non deve, insomma, seguire il gioco di posizione in campo e fare esclusivo affidamento sulla Masia per costruire l’ossatura della squadra. Il pragmatismo di Valverde ha salvato una stagione nata morta, ma l’eliminazione con la Roma ha lasciato l’amaro in bocca che la vittoria del Real Madrid per il terzo anno consecutivo ha trasformato in rabbia: il Barça in Europa sembra incapace di giocare contro quelle squadre brave a pressare e giocare con intensità. Essere conservativi va bene nella Liga, ma non è abbastanza in Europa.
Per questo non sarebbe così assurdo immaginare che il Barcellona esoneri un allenatore vincente come Valverde. L’idea potrebbe essere quella di costruire qualcosa con un allenatore di campo, con un impronta tattica proattiva forte. Le idee tattiche di Sarri darebbero una raddrizzata al brand Barcellona, ormai troppo sottomesso al dominio tecnico del Real Madrid in Europa.
Sarebbe una sorta di erede di van Gaal: un allenatore altrettanto bravo nel creare degli automatismi che possano portare la squadra ad imporre il proprio contesto di gioco. Un allenatore di sistema più che di principi, che possa quindi superare con il lavoro in allenamento le lacune della squadra nelle grandi partite. Che possa insomma elevare tutti quei giocatori di sistema come Jordi Alba, Sergi Roberto e Rakitic, e al contempo “scolarizzare” le stelle in divenire come Coutinho e Dembélé.
Il Barcellona per facilitargli il lavoro potrebbe acquistare qualche suo sergente. Potrebbe arrivare Raul Albiol come centrale di riserva, fidato pretoriano all’interno dello spogliatoio; ma soprattutto Jorginho, un giocatore che manca alla rosa dalla partenza di Xavi e che Sarri potrebbe posizionare nel suo stesso ruolo, quello di mezzala destra, facendone il regista del suo Barça. Sarebbe così blasfemo immaginare Jorginho con la maglia blaugrana numero 6?
Un primo problema per Sarri potrebbe essere quello di trovare gli incastri giusti per valorizzare quello che potrebbe essere l’acquisto di copertina dell’estate, cioè Antoine Griezmann. Sarri potrebbe fare le cose semplici, rispolverando il suo modulo col rombo: con Messi sulla trequarti e Griezmann-Suárez davanti. Coutinho nel ruolo di mezzala sinistra e Busquets vertice basso davanti alla difesa per completare il tutto. Il lavoro maggiore fin dal ritiro estivo sarebbe sui meccanismi di uscita dalla difesa. Il suo Barcellone proverebbe a uscire palla al piede contro qualsiasi pressione, attirando l’avversario e poi giocare sul campo libero alle sue spalle. Liberare insomma spazio di manovra per Messi. Un giocatore come Umtiti, per dire, sarebbe estremamente valorizzato da un lavoro sulla difesa di questo tipo.
Certo, come avevamo già scritto qui, sarebbe problematico gestire il lato comunicativo. Sarri dovrebbe subito scendere a patti con i fusi orari della tournée estiva e con una stampa aggressiva che dovrebbe accettare la sua incuria dialettica. Chissà se al Barcellona Sarri accetterà di diventare un allenatore da giacca e cravatta.
Come se la caverebbe Sarri al Manchester UTD?
di Dario Saltari
«O con me o contro di me», aveva detto Mourinho ai suoi giocatori dopo la finale di FA Cup persa con il Chelsea e molti di loro avevano pensato “contro di te”. Alcuni degli esponenti più influenti nello spogliatoio – Lukaku, Pogba, Fellaini – erano andati di fronte alla dirigenza a chiedere la sua testa e la ottennero, perché la dirigenza dello United vide l’occasione di prendere due piccioni con una fava: allontanando un allenatore malvisto dalla tifoseria e vendicandosi del Chelsea rubandogli Maurizio Sarri.
L’allenatore toscano, tra l’altro, portava con sé tutta una serie di altri benefit: adesso anche lo United, come il City, poteva avere un’identità tattica non solo definita ma anche esteticamente appagante e i video su Facebook dei nerd del bel gioco non sarebbero stati ad appannaggio solo della squadra di Guardiola.
Il problema principale era permettere a Sarri di fare la sua magia. Non tanto in conferenza stampa, dove le frasi ad effetto erano già state tutte utilizzate da Mourinho e il suo inglese traballante non gli avrebbe comunque permesso di dire, quanto sul campo d’allenamento, dove l’allenatore toscano avrebbe dovuto insegnare il suo gioco di posizione ad una squadra fatta fisicamente per le risse da strada. Come avrebbe utilizzato quei Lukaku, quei Fellaini che pure gli avevano aperto le porte dell’Old Trafford? Sarebbe stato Sarri a cambiare lo United o lo United a cambiare Sarri? Come spesso accade, la verità sarebbe stata una somma delle due cose.
Sarri decise di non girare le spalle al gruppo, ponendosi in totale rottura con la gestione precedente, ma con la scusa di saper lavorare solo con squadre ridotte tagliò molti rami secchi a lui indigesti. Alcuni pretoriani di Mourinho partirono - Phil Jones, Ashley Young, Antonio Valencia – e al loro posto arrivarono alcuni pretoriani di Sarri: Lorenzo Tonelli, Elseid Hysaj e José Callejon. Inizialmente Sarri provò ad esportare il 4-3-3 di Napoli, riesumando dai sottoscala di Old Trafford giocatori che molti pensavano ritirati. Tornarono di moda Daley Blind, Juan Mata e Anthony Martial nella speranza di rimettere in campo piedi che sapessero controllare il pallone con intelligenza. Ma l’eredità di Mourinho tornò presto a tormentarlo.
Con Lukaku e Fellaini che si buttavano costantemente in area alla ricerca di un cross che non sarebbe mai arrivato, lo United non sapeva come arrivare alla trequarti per vie centrali costringendosi ad un possesso perimetrale che aveva come output finale proprio quello da cui Sarri stava cercando di rifuggire, e cioè il cross. La soluzione, dopo tre 0-0 di fila che ricordavano in maniera inquietante il recente passato, fu quella di tornare al 4-3-1-2 a rombo di Empoli.
La mossa - una novità tattica assoluta per la Premier League, che alcuni tabloid inglesi ricollegarono alle altre sue “stramberie da italiano” come il tabagismo - era un compromesso tra le idee dell’allenatore e le caratteristiche dei senatori dello spogliatoio: con Fellaini trequartista adesso la squadra poteva finalmente tornare ad appoggiarsi sul gioco lungo per far uscire il pallone dalla difesa (De Gea, in particolare, tirò un sospiro di sollievo), cercando le spizzate del centrocampista belga o di Lukaku per i tagli alle spalle della difesa di Callejon; Sarri, d’altra parte, con Mata, Matic e Pogba e la superiorità sistematica a centrocampo poteva avere un controllo ancora maggiore sul pallone, e poteva finalmente passare dal centro palla a terra.
Con il cambio di modulo arrivarono i primi risultati, con un gioco ibrido che si adattava agli avversari e ai momenti della partita. Appena prima del boxing day, una giornata prima del derby di Manchester, lo United riuscì finalmente a superare il City in testa alla classifica, e per l’occasione Sarri, che veniva incalzato dai giornalisti sul perché usasse così pochi uomini nonostante la densità del calendario, decise di ritirare fuori in conferenza stampa uno dei suoi cavalli di battaglia: «Con 18 uomini si può fare un colpo di Stato», disse trionfalmente, incurante del fatto che pochi giorni prima in Italia, a seguito della crisi costituzionale e finanziaria portata dalle ultime elezioni, un colpo di Stato c’era stato davvero.
Per Sarri, però, i problemi che avrebbe creato quella dichiarazione erano molto più vicini e concreti, e riguardavano direttamente tutti quei membri della rosa che erano esclusi da quei 18. I primi di febbraio, a seguito di una lunga crisi di risultati aperta proprio dalla sconfitta nel derby di Manchester, Alexis Sanchez, Marcus Rashford, Ander Herrera e Chris Smalling andarono dalla dirigenza per parlare delle loro rimostranze nei confronti del nuovo allenatore.
Come se la caverebbe Sarri al Milan?
di Federico Aquè
Nella primavera del 2015 il Milan aveva appena concluso una delle peggiori stagioni della sua storia recente e stava cercando un allenatore che sostituisse Filippo Inzaghi. A quanto pare le alternative erano due: Maurizio Sarri e Sinisa Mihajlovic. La scelta ricadde su quest’ultimo, perché a Berlusconi, si disse, non piacevano le idee politiche di Sarri e la sua immagine poco elegante, uno di quegli aneddoti assurdi in cui la verità non è mai chiara spesso raccontati sull’ex presidente del Milan. Eppure le idee di Sarri, sacchiano e sostenitore di un gioco brillante e offensivo, sono piuttosto vicine a quelle che Berlusconi ha sempre immaginato per il suo Milan, certamente più di quelle di Mihajlovic, con cui infatti il rapporto si logorò molto in fretta.
Sarri quindi firmò per il Napoli, portato in tre anni a contendere lo scudetto alla Juventus, mentre nelle ultime tre stagioni il Milan ha cambiato quattro allenatori, senza mai centrare l’obiettivo di rientrare tra le squadre di prima fascia del campionato. Tre anni dopo, per il Milan Sarri non sarebbe più una scommessa, ma una garanzia in un momento molto delicato per il suo futuro, dopo il rifiuto del settlement agreement da parte della UEFA e il rinvio alla Camera Giudicante, con il rischio concreto dell’esclusione dall’Europa League.
Il sistema di Sarri, che ha valorizzato molti giocatori a Napoli, sarebbe cioè un’assicurazione anche nello scenario peggiore, con il Milan escluso dall’Europa League e condannato a un mercato di basso profilo. Ovviamente non è scontato che il gioco di Sarri abbia al Milan il successo avuto a Napoli, ma sarebbe comunque una certezza su cui costruire la prossima stagione, soprattutto se la campagna acquisti non dovesse coprire i buchi presenti in rosa con giocatori di alto livello.
Per una strana coincidenza, i primi acquisti del Milan, Reina e Strinic, sono già stati allenati da Sarri a Napoli e potrebbero sfruttare le loro conoscenze pregresse per ambientarsi immediatamente e togliere il posto ai titolari nei rispettivi ruoli, Donnarumma e Rodríguez. Guardando al resto della difesa, con Calabria a destra Sarri avrebbe già la base per formare la catena di fascia privilegiata per costruire la manovra, sfruttando l’intesa tra il terzino e Suso, mentre con Bonucci e Romagnoli blinderebbe la fase di impostazione, anche se probabilmente non potrebbe permettersi di tenere la linea difensiva alta come a Napoli: nessuno dei due ha infatti le capacità di recupero di Koulibaly.
In mezzo al campo, dando per scontata l’affidabilità di Biglia, che pur senza avere la visione di Jorginho assicura continuità al possesso e sa come guidare il pressing, Sarri avrebbe in Kessié e Bonaventura la coppia di mezzali complementari, una più fisica e portata agli strappi palla al piede, una più creativa e votata al palleggio, simile a quella formata da Allan e Hamsik.
Nella composizione del tridente offensivo, invece, Sarri potrebbe avere più difficoltà: a Napoli aveva combinato il senso per il gioco di Insigne con quello per gli inserimenti di Callejón, al Milan si troverebbe invece Suso e Calhanoglu, entrambi più a loro agio a ricevere sui piedi e a condizionare con le loro scelte la manovra sulla trequarti. Una possibilità sarebbe il ritorno al rombo di centrocampo come a Empoli, con uno tra Suso e Calhanoglu da trequartista e due tra Kalinic, André Silva e Cutrone come attaccanti. Il reparto avanzato sembra quello in cui Sarri avrebbe maggiori margini di manovra, cambiando movimenti e trame per rendere il gioco più imprevedibile, costruendo maggiori occasioni per Kalinic e André Silva e provando così a valorizzarli dopo una stagione deludente.
L’annata appena conclusa ha avuto una svolta quando il gioco più diretto e difensivamente solido di Gattuso ha sostituito quello più votato al palleggio di Montella. Con Sarri si invertirebbe di nuovo la tendenza, e il Milan tornerebbe a giocare un calcio più brillante e offensivo. Più delle sue idee, però, è il rispetto che Sarri si è costruito in questi anni come uno dei migliori allenatori del campionato a rappresentare la garanzia di cui avrebbe bisogno il Milan in un momento così incerto.