Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Di chi ci siamo innamorati all'Europeo Under 21
27 giu 2017
27 giu 2017
Sette giocatori per una cotta di inizio estate.
(articolo)
26 min
Dark mode
(ON)

Maximilian Arnold, centrocampista centrale, 23 anni, Germania

Di Daniele Manusia

Ho capito studiando Maximilian Arnold che divento malinconico quando guardo l’Under 21. Magari sono solo io, magari no. Ho messo gli occhi su Arnold senza sapere chi fosse, colpito dalla pulizia del suo sinistro nei passaggi corti e lunghi, dal ritmo che dava alle sue giocate che esprimeva un controllo sulla gara da “giocatore vero”. Anche sotto pressione non si affrettava mai. Era la partita con la Repubblica Ceca e me lo sono goduto senza sapere niente di lui, il nome non mi diceva niente.

Vado più a fondo: ero stato colpito dal fatto che sembrava un giocatore maturo, per essere un Under 21. Giocava nella coppia di centrali di centrocampo accanto a Mahmoud Dahoud, che conoscevo meglio, e per quanto Dahoud sia senza dubbio uno dei più interessanti di questo Europeo, Arnold non sfigurava al suo fianco, era solo diverso, e dei due era il più carismatico. Un mediano, capitano, con la maglia numero 10. Interessante, no?

Il controllo orientato di destro e la protezione col corpo sono perfetti, a monte c’è la lettura della struttura avversaria. Peccato l’imprecisione nel passaggio.

Poi mi sono informato e mi sono reso conto che avevo già visto Arnold con il Wolfsburg e non mi aveva impressionato. E ho capito anche che se giocava in modo maturo era perché, in realtà, è uno dei più maturi del torneo. Perché ha più di 100 presenze in Bundesliga (è stato il più giovane esordiente con la maglia del Wolfsburg quando aveva 17 anni… più di sei anni fa!) e ha esordito con la Nazionale maggiore già nel 2014 (anche se giocando solo un quarto d’ora quella singola volta). Maximilian Arnold ha due anni in più di Dahoud e il doppio delle presenze in campionato.

Certo, aiuterebbe chiamarla Under 23 anziché Under 21, perché in fondo è quella che è quando si parla delle fasi finali dell’Europeo (perché si tiene conto dell’età del giocatore a inizio competizione, quindi a inizio qualificazioni); ma resta il fatto che in un torneo giovanile io ho cercato il più professionista, il meno giovanile. Magari sono solo io. O magari è la pressione del sistema calcio su dei ragazzi che per la stragrande maggioranza spariranno dal panorama di primo livello. Siamo spettatori anche di questo processo, in un certo senso, e magari ho scelto un giocatore di questo tipo per avere più probabilità di rivederlo in futuro. Insomma, sto scrivendo di Maximilian Arnold anche perché non ne posso più di scrivere giocatori che poi spariscono nel nulla, o quasi.

Per andare sul sicuro sono andato sul numero 10 capitano della Germania, cioè di una delle Nazionali da cui sarà più difficile che qualcuno sparisca. Se non è una forma di malinconia questa…

Forse la cosa che Maximilian Arnold fa meglio in assoluto è calciare le punizioni (e gli angoli, ovviamente).

Ma c’è della malinconia anche nel gioco di Maximilian Arnold - che in ogni caso tra i giocatori di questo pezzo ci sta benissimo, perché in fondo il suo valore è di solo 10 milioni su Transfermarkt. Non lo avevo notato, in Bundesliga, perché in quel contesto è difficile che Arnold riesca a controllare il ritmo.

Nel Wolfsburg quest’anno ha giocato mezzala, ma interpreta il ruolo con il minor dinamismo possibile: si smarca tra le linee o sull’esterno, si abbassa incontro alla difesa, pressa la mezzala opposta; ma diciamo che non si esalta in movimento e per sfuggire alla pressione avversaria deve velocizzare molto le sue giocate, perdendo un po’ in precisione, nonostante un sinistro non comune.

In questo Europeo ha coperto la posizione a centrocampo senza mai proiettarsi in avanti più basso di Dahoud sia per impostare che per coprire, con un volume di gioco e una qualità superiori. Ha esaltato il suo talento per i cambi di campo in orizzontale, distillando i passaggi verticali, sia i taglia-linee che i filtranti. Forse manca un po’ di coraggio (perché non è precisissimo), ma c’è una volontà di controllo sul gioco che secondo me fa immaginare grandi margini di miglioramento.

Per migliorare deve toccare più palloni, nel Wolfsburg effettua 44,2 passaggi per 90 minuti, troppo pochi per avere un’influenza forte sul gioco della propria squadra (è il 10 giocatore tra quelli in rosa: anche in assenza di stats credo di poter dire che in questo Europeo la sua influenza nella Germania sia maggiore). Uno dei problemi principali è in fase difensiva: copre poco campo e anche se difende abitualmente in avanti va spesso a vuoto. Anche in questo caso giocare più vicino alla difesa, con più calma e tempo per sfruttare la sua lettura del gioco anziché il dinamismo, non potrebbe che fargli bene.

Inoltre, dato che difficilmente si muoverà più di quanto si muove ora (non è lentissimo, ma è poco esplosivo e anche se è alto più di un metro e ottanta ha le leve corte) deve proteggere meglio il pallone. Oppure, anche qui, deve proteggerlo di più. Più che resistere alla pressione avversaria, ora come ora la elude. Si è adattato all’intensità del campionato tedesco pensando più velocemente, ma in questo modo secondo me non ha sviluppato a pieno il suo talento. E questo è l’aspetto malinconico: che anche se giovane è già formato su un certo tipo di calcio, che non è proprio il tipo di calcio che meglio esalta la fantasia e la libertà, fondamentali a qualsiasi giovinezza.

E poi Arnold sembra un ragazzo molto a posto anche se di carattere. Contro l’Italia è stato lui a imbruttire Berardi dopo che aveva spinto un suo compagno nella rete di porta: e insomma anche noi ci saremmo scomodati per dire a Berardi che non ci comporta in questo modo. Gagliardini invece ha dovuto esagerare e lo ha preso alla gola. Poi i giornali hanno detto che Arnold lo ha minacciato, ma insomma anche noi italiani facciamoci una domanda ogni tanto. Se abbiamo fatto incazzare uno come Arnold ci sarà un motivo.

Quando Arnold ha litigato con Marcelo in Champions League, e Marcelo ha simulato una testata facendo una figura a dir poco ridicola, Arnold invece di offenderlo davanti ai giornalisti ha detto: “Mi piacerebbe avere capelli splendidi come i suoi".

Maximilan Arnold. Che signore.

Tomas Soucek, centrocampista centrale, 22 anni, Repubblica Ceca

Di Alfredo Giacobbe

Tomas Soucek è il regista della Repubblica Ceca Under-21, ma conta già 3 presenze nella nazionale maggiore di Jarolim. Soucek è stato impiegato più spesso nei due mediani di un 4-2-3-1 e ha dimostrato di sapersela sbrigare anche se schierato da classico ‘5’, davanti alla difesa.

Soucek è uno di quei giocatori che usa la testa in campo, prima che la tecnica o la corsa. Proprio per questo è un giocatore dal gioco sì essenziale, ma utilissimo in entrambe le fasi. Il senso della posizione è una sua indiscussa qualità: si abbassa tra i due centrali per aiutarli nella prima impostazione, ma sa anche restare più alto per offrire una sponda oltre la prima linea di pressione, con le spalle rivolte alla metà campo avversaria. Gioca la palla per lo più di prima, ma è bravo a “sentire” l’avversario alle proprie spalle, e a sfilarlo proteggendo col corpo la corsa del pallone.

Nelle tre partite che ha giocato interamente in questo Europeo U21, Soucek ha tenuto una media di passaggi completati del 77%. Non è una cifra altissima in assoluto per un centrocampista impiegata in quel ruolo, ma c’è da considerare che Soucek cerca spesso il passaggio taglia-linee in avanti e questo è un azzardo che paga i suoi dividendi, in termini di pericolosità offensiva della manovra. Soucek è caracollante nel passo, ma è sempre pronto ad accorciare in avanti per seguire l’azione: Schick arriva al gol contro la Danimarca proprio perché Soucek anticipa un avversario pronto ad andare a contrasto.

Difensivamente Soucek è prezioso quando prova a chiudere in anticipo i tentativi di ripartenza avversari, uscendo dalla propria posizione sia in avanti che sull’esterno. La sua presenza fisica si fa sentire in mezzo al campo: Soucek è un atleta di 192 centimetri, resiste ai contrasti e copre larghe porzioni di campo.

Le leve lunghe di Soucek, paradossalmente, possono costituire un grosso impedimento ad uno sviluppo sicuro del suo gioco. Per quanto sia bravo palla a terra o con la palla per aria, Soucek ha difficoltà a controllare propriamente le palle a mezza altezza, o i palloni veloci e rimbalzanti. Posto sotto pressione, può perdere facilmente il pallone nelle zone più calde del campo e concedere così una ripartenza pericolosa. In qualche modo Soucek è consapevole dei propri limiti e aver escogitato dei palliativi per nasconderli - far scorrere il pallone senza controllarlo, toccare palla più spesso di prima - ci dà comunque la misura dell’intelligenza calcistica di questo ragazzo.

Nella prima stagione da titolare allo Slavia Praga, Soucek ha messo insieme 29 presenze e 7 reti in campionato. L’arrivo del camerunense Ngadeu lo ha privato della titolarità e lo ha costretto a riparare allo Slovan Liberec per accumulare minuti di calcio giocato. Quest’estate tornerà ad allenarsi allo Slavia, a meno che qualche squadra in giro per l’Europa non decida di chiudere un affare a basso costo, ma dalle prospettive sicure.

Dani Ceballos, 21 anni, mezzala, Spagna

di Emiliano Battazzi

A volte per i giocatori giovani, soprattutto quelli con grande qualità tecnica, arriva il momento di compiere un passaggio rituale: dalla comfort zone dei primi passi da talento alla competitività del calcio d’elite, fatto di dinamismo, forza fisica e soprattutto tempi di gioco accorciati fino al limite estremo.

Dopo un inizio entusiasmante, per Dani Ceballos questo salto stava diventando difficile: tutti conoscevano le sue qualità enormi, eppure ne esaltavano i difetti. Poco dinamico per fare il trequartista; poca velocità e dribbling per fare l’ala sinistra; troppo amante del pallone e poco fisico per fare il regista. Non gli trovavano il vestito giusto.

Con l’arrivo dell’allenatore Víctor Sánchez del Amo al Betis (al posto di Poyet), questi problemi sono spariti. Perché Ceballos ha improvvisamente cominciato a fare tutto, dimostrando che non era un problema di ruolo, ma di compiti, e di fiducia.

Dani Ceballos è diventato così una delle migliori mezzali di possesso della Liga, a soli 20 anni: nel Betis, ad inizio azione si abbassa sempre per dettare il passaggio e migliorare la circolazione, come fosse un regista. Non sarà dinamico ma Ceballos si muove in continuazione, durante tutta la partita, e si suda anche solo a guardare una sua heat map: nettamente il giocatore del Betis che percorre più chilometri in campo. Si muove come un rabdomante, lo troverete sempre nelle vicinanze del pallone, pronto a fornire una linea di passaggio. Per Dani Ceballos vale il famoso detto per cui è il pallone a dover correre, ma anche che bisogna correre per dominare il possesso. Una volta ricevuta la palla, diventa uno strumento dai molteplici usi: nella Spagna Under 21 di Celades, ad esempio, Ceballos è l’uomo che blocca il tempo. Così permette ai compagni di muoversi negli spazi, oppure permette alla squadra di rifiatare, e persino di difendersi con il pallone. Il suo controllo di palla, spesso orientato verso la posizione di campo già immaginata, è talmente perfetto che gli permette di essere sempre in vantaggio rispetto all’avversario. Nonostante non sia un colosso, è molto difficile levargli il pallone, grazie al buon uso del corpo e alla vicinanza continua della palla ad entrambi i piedi. Se pressato, sa uscire bene in dribbling negli spazi stretti: non è veloce come un’ala ma è rapido di gambe, e di testa.

Da interno sinistro di centrocampo, la sua capacità di associazione con Asensio provoca continui scompensi cardiaci ai tifosi avversari: se la Spagna crea densità sulla fascia sinistra, è quasi impossibile che non ne esca fuori qualcosa di buono. Talmente importante è la sua capacità di creare gioco nella metà campo avversaria che contro il Portogallo quasi mai si è abbassato ad aiutare l’inizio azione. Ceballos è la creatività del centrocampo iberico, il necessario complemento della disciplina di Llorente e la forza di Saul.

Il suo percorso è appena iniziato ed è difficile prevedere se i suoi difetti costituiranno degli ostacoli per trionfare davvero nel calcio d’elite: per ora li ha smussati fino a trasformarli in pregi. Adesso che è diventato una mezzala di comando, ed è la guida tecnica sia del centrocampo del Betis che dell’Under 21, deve dimostrare di saper gestire il tempo anche a un livello superiore: la qualità e l’intelligenza calcistica sono dalla sua parte.

Enis Bardhi, 22 anni, mezzala, Macedonia

Di Daniele V. Morrone

Non sono riuscito a trovare niente su Enis Bardhi, miglior giocatore della Macedonia in questo Europeo Under-21. L’unica cosa certa è il luogo di nascita (Skopje) e che è alto poco più del metro e settanta (Sia Wikipedia che Transfermarkt dicono 172 cm). Non esiste comunque una pagina wikipedia su di lui in macedone, non esiste un articolo in inglese su altri siti. L’unica cosa è un piccolo paragrafo sul sito stesso della UEFA nel pezzo in cui si nominano 10 giocatori da tenere d’occhio in questo Europeo. Materiale per dubitare dell’esistenza digitale della Macedonia, vero Molise d’Europa.

Bardhi è professionista da appena tre anni: ha fatto le giovanili in Macedonia e poi in scandinavia, e la sua carriera inizia quando, non è chiaro come, passa in Ungheria, nell’Újpest. Bardhi è un giocatore di calcio solo dal 2014. In questi tre anni è sempre stato titolare con l’Újpest, dove ha arretrato pian piano il suo raggio d’azione con l’aumentare della sua influenza nel gioco della squadra. In questa stagione, forse si può dire, è esploso come trequartista: 12 gol e 7 assist in 29 partite in campionato, leader dell’Under-21 che è riuscita ad arrivare davanti ed eliminare quindi la Francia nelle qualificazioni agli Europei.

L’Újpest pare abbia chiesto alla Dinamo Zagabria e allo Shakthar circa 6 milioni di euro per lasciarlo andare via (troppi o troppo pochi?), ma pare che anche Borussia Dortmund e Stoccarda sono su di lui al momento. Che è come dire però che Napoli e Hellas Verona sono sullo stesso giocatore. Non è chiaro se per il mercato Bardhi sia un giovane talento pronto per una big o un diamante grezzo che deve passare prima per una squadra appena salita di categoria.

Dopo lo stupore iniziale per le prime giocate ben riuscite ogni tocco di Bardhi mi ha fatto scoprire una nuova sfaccettatura del suo gioco. Babunski era la stella annunciata della Macedonia, e non ha tradito le aspettative nella prima partita contro la Spagna, ma la squadra girava sotto il controllo tecnico e mentale di Bardhi. Così come nelle altre due partite poi giocate.

Da questo Europeo ho capito due cose: Bardhi è un giocatore tremendamente determinato, non lascia mai la gamba nei contrasti e non ha paura di accendersi per fronteggiare avversari più grossi fisicamente. In campo vuole sempre essere proattivo, parte dell’azione, trascinatore.

La seconda cosa che ho capito è che questa determinazione viene incanalata in uno stile di gioco entusiasmante perché senza compromessi: i suoi passaggi sono possibilmente verticali, taglia linee, aggressivi, così come lui aggredisce il pallone quando non ce l’ha, e i suoi movimenti sono verticali a loro volta. Pensa sempre a non guardarsi indietro e non ha paura di osare. Il sistema della Macedonia lascia molta libertà a Bardhi di assecondare la sua attrazione per l’area di rigore, incoraggiando anzi i suoi inserimenti nonostante parta dal centro del centrocampo in un 4-2-3-1 dove gioca quindi ben più arretrato che nell’Újpest.

Bardhi ha una visione del calcio decisamente offensiva, qui raccoglie il passaggio del trequartista attento a proteggere il possesso e parte in una conduzione immediata per iniziare l’attacco, finendo poi dopo lo scarico ad inserirsi fino in area.

Bardhi non è velocissimo, ha un ottimo primo passo ma come velocità di punta non è nulla di speciale. Però è dinamico e spinge al massimo anche i pochi metri di scatto a disposizione. Il baricentro basso poi lo fa scendere in un secondo in tackle e ne fanno un giocatore in grado di strappare il pallone e passarlo subito in un solo movimento. Ha un potenziale evidente come rubapalloni sia direttamente dalle gambe avversarie che fiondandosi sulle linee di passaggio.

Un giocatore che sa unire l’agonismo che lo porta a spendersi per i compagni senza palla e la tecnica che gli permette di essere protagonista quando serve per definirlo. Nel gol segnato al Portogallo si uniscono determinazione e tecnica: riceve una spazzata portoghese sulla trequarti offensiva e non ci pensa due volte a puntare la porta, lasciando partire il tiro appena trovato un metro di spazio.

La tecnica nel calcio è forse il pezzo forte del suo repertorio, il motivo per cui è tanto sicuro nei tiri da fuori e il motivo per cui tira lui le punizioni e i rigori per la squadra (su rigore ha segnato contro la Serbia). Nei gironi è stato il giocatore che ha calciato di più nello specchio insieme a Patrik Schick (7 volte).

Questo atteggiamento porta con sé problemi: come quello di voler essere sempre decisivo e di voler aiutare troppo i compagni. Cosa che lo porta ad andare sempre al massimo del potenziale del dispendio psicofisico e perdere ogni tanto lucidità quando vicino all’area di rigore. Ma anche problemi di gestione degli spazi, dato che spesso è attratto dal pallone più del dovuto. Lo chiede in modo veemente ogni volta che è su una linea di passaggio, anche con gesti evidenti, e se non è contento di accettare lo sviluppo dell’azione non si fa problemi ad intervenire in prima persona, creando però ovviamente delle zone di troppa densità.

Da notare come tra un passaggio filtrante e un altro ruba palla al compagno stesso.

Bardhi deve insomma essere limato tatticamente nella fase di possesso per valorizzare il suo stile di gioco. Dove rendere ancora più utile la sua naturale tendenza a posizionarsi dietro la linea avversaria. Bardhi sembra poter dare il meglio nelle squadre che praticano un calcio aggressivo, un pressing alto, fluido nelle posizioni in campo. Dove i suoi punti di forza possono venir esaltati e il suo potenziale in area di rigore può farne un vero valore aggiunto.

Christian Norgaard, 23 anni, centrocampista centrale, Danimarca

di Emanuele Atturo

Il misto di soglia d’età alta e poche squadre partecipanti ha reso questo Europeo Under-21 una sorta di all-star game dei giovani del vecchio continente. Lo squilibrio di esperienza internazionale, e spesso talento, fra le nazionali più prestigiose e le altre è stato troppo vistoso e alla fine ha portato a delle semifinali molto tradizionali (Germania-Inghilterra; Italia-Spagna). In realtà una delle cose migliori dei tornei giovanili è la possibilità di mettere in vetrina giocatori interessanti dimenticati alla periferia dei campionati europei, che nessuno scout è riuscito a scovare o su cui non ha avuto abbastanza fiducia.

La Danimarca è arrivata a questi Europei con buoni presupposti. Nelle qualificazioni ha subito pochissimi gol e perso zero partite, con nove vittorie e un pareggio. Eppure nessun giocatore del suo undici titolare era atteso a una prova di consacrazione. Quasi nessuno di loro gioca nei principali campionati europei e quelli che sembravano i suoi migliori talenti - Kenneth Zohore, Lucas Andersen - sembrano già decaduti. I presupposti migliori, quindi, per scoprire qualche sconosciuto di cui innamorarsi e sognare che la propria squadra del cuore lo compri per due spicci.

Guardando una partita della Danimarca a questi Europei era impossibile non accorgersi della presenza statuaria del suo numero 6 al centro del campo, il vice-capitano, il regista, il cervello pensante: Christian Norgaard. Alto un metro e 85, fisico slanciato ma compatto, Norgaard è innanzitutto un bravo ragazzo. Lo so perché sono andato a guardare il suo profilo Instagram: ci ho trovato lui che va a un college dell’Ivy League, lui che conduce una trasmissione radio, lui che riflette sulla terrazza di un condominio. Quando vuole rinfrescarsi beve delle bibite al cocco e, insieme alla ragazza, forma quella che è senz’altro una delle più belle coppie di Danimarca. Il suo nome suona deliziosamente scandinavo e ha dato il titolo anche a una canzone dei The Vaccines piuttosto simpatica.

Norgaard gioca a calcio nel Brondby, che lo ha comprato due anni fa dall’Amburgo, che lo aveva a sua volta comprato due anni prima dal Lyngby BK (quando si parlava anche di un interessamento del Milan e veniva chiamato “Il nuovo van Bommel”). Ha 23 anni, ottime letture difensive, specie quando può correre in avanti e leggere in anticipo le linee di passaggio, e passa sopra gli avversari come uno spartifolla (qui distrugge Benassi). Non è veloce ma usa bene il corpo per difendere anche correndo all’indietro.

Quando ha fermato Bernardeschi con una facilità umiliante.

Nella Danimarca ha giocato bene in una coppia di centrocampisti ma nel suo club è usato anche come mezzala destra, dove paga però lo scarso dinamismo. La lentezza ne limita un po’ le soluzioni di gioco e Norgaard è costretto a giocare a pochi tocchi facendo valere le geometrie e la precisione del suo calcio, soprattutto nei cambi di gioco, anche col sinistro, di gran lunga il suo pezzo forte. Norgaard fa parte di quella categoria di centrocampisti centrali che provano un piacere quasi sessuale nel cambiare gioco da un lato all’altro del campo. Da destra verso sinistra, da sinistra verso destra. Guardare i suoi cambi di gioco in loop, magari con un Brian Eno ambientale in sottofondo, è un’esperienza rilassante per la stessa logica dei video ASMR.

Bello!

I suoi cambi di gioco sono sofisticati, li fa usando anche l’esterno o di prima per guadagnare un tempo di gioco. Se amate, insomma, i centrocampisti a cui piace avere un controllo da golfisti su palla e spazio Norgaard è il giocatore da seguire per i prossimi anni, a patto che qualcuno sia disposto a metterci quei due soldi che servono per portarlo via dal campionato danese.

Daniel Podence, 21 anni, trequartista, Portogallo

Di Dario Saltari

Il Portogallo, nelle tre partite disputate nell’Europeo Under 21, ha cambiato moduli e interpreti, passando da un 4-3-1-2 a rombo a un 4-3-3 che sfruttava l’ampiezza in maniera più classica. In questa metamorfosi continua uno dei pochi punti fermi nella trequarti offensiva è stato Daniel Podence, che nelle tre partite ha ricoperto rispettivamente il ruolo di trequartista, di seconda punta e di esterno destro.

Podence è uno dei tanti prodotti del prolificissimo vivaio dello Sporting Club, lo stesso che sta lanciando nell’orbita del calcio europeo Gelson Martins e Iuri Medeiros, con cui quest’anno ha giocato la seconda metà del campionato dopo aver passato la prima in prestito al Moreirense. Nonostante il ritorno alla casa base ne abbia leggermente frenato l’esplosione (allo Sporting fa la riserva proprio di Gelson Martins) quella di Podence è stata comunque un’annata positiva (in tutto 4 gol e 6 assist), fondamentale a suo stesso dire per prepararsi a questo Europeo.

Il fatto che sia stato impiegato in tre ruoli diversi in tre partite rivela una complessità tecnica che ad un primo sguardo Podence nasconde sotto l’apparenza. Il trequartista portoghese è un giocatore dal baricentro basso (arriva appena ai 165 centimetri in tutto), con due gambe molto ben piantate sul terreno che lo agevolano nel gioco spalle alla porta, una grande accelerazione sui primi passi e una capacità di ruotare il busto in tempi brevissimi davvero incredibile.

Sono caratteristiche fisiche che hanno esasperato la sua ambizione di trasformare ogni pallone in un dribbling. Podence sa cambiare direzione in una frazione di secondo ed ha un’ottima tecnica con entrambi i piedi – affrontarlo, sia nello stretto che in campo aperto, per i difensori è un incubo. Già oggi Podence è uno dei giocatori che dribbla di più nella Primeira Liga (è quinto; gliene riescono 2,78 ogni novanta minuti) e anche in questo Europeo Under 21 la sua dribblomania è apparsa a volte fuori controllo.

Il lato positivo dell’ambizione.

Quella dell’ambizione sembra essere il vero bivio da cui dipenderà la direzione della sua crescita. Per Podence quella di trasformarsi in buco nero di palloni che cerca di risolvere qualunque situazione da solo è ancora una tentazione a cui è molto difficile resistere, ed è un vero peccato perché, come detto, la sua sensibilità calcistica è molto ricca di sfumature.

Il lato negativo dell’ambizione.

Per esempio, Podence oltre a dribblare sa anche tirare con entrambi i piedi in maniera molto pulita, fattore che lo rende ancora più indecifrabile per i difensori avversari. Sembra essere particolarmente creativo (in campionato realizza 1,70 passaggi chiave ogni 90 minuti) e, se ciò non bastasse, dimostra a sprazzi anche una grande intelligenza nella lettura dei movimenti senza palla.

Esempio.

Non avendo però un dominio fisico o tecnico sulla partita da vero fuoriclasse, l’incapacità di leggere le situazioni, di riuscire ad alternare la giocata complessa a quella semplice, è ancora un limite su cui Podence inciampa spesso, nonostante non sia quel tipo di giocatori che si sgonfia mentalmente dopo un errore.

All’ala dello Sporting farebbe bene continuare giocare in zone più centrali di campo, da trequartista o magari perché no anche da mezzala, dove gli spazi sono più congestionati e i dribbling difficili. Centralmente può acuire i suoi altri sensi, sviluppare la sua creatività in relazione all’associatività con i compagni, integrarsi sempre più a fondo con i movimenti senza palla richiesti dalla sua squadra. Diventare, se vogliamo appiattire la nostra retorica sulle logiche commerciali che al momento sembrano dominare il calcio portoghese, un prodotto più complesso e quindi più vendibile.

Rimanere sull’esterno, dove lo spazio per ricevere è più ampio e la spinta a puntare il terzino in uno contro uno è praticamente naturale, potrebbe convincerlo davvero del fatto che al di fuori del dribbling non c’è salvezza. Visto il talento, sarebbe un peccato.

Bartosz Kaputska, 21 anni, mezzala, Polonia

di Fabio Barcellona

La breve carriera di Bartosz Kapustka è forse paradigmatica di come nel calcio di oggi, si faccia in fretta a generare aspettative sui giovani calciatori e, apparentemente, in maniera altrettanto rapida, a ritenerle deluse.

Quello di Kapustka non è un nome nuovo nel calcio internazionale. Ad appena 20 anni ha già 14 presenze e 3 reti nella nazionale maggiore polacca. Ma, per come sono andate le cose nell’ultima stagione, gli Europei Under 21 giocati proprio in Polonia potevano rappresentare per Kapustka una fondamentale occasione di rilancio e una scorta di fiducia necessaria per riprendere il percorso di una carriera precoce e bruscamente rallentata.

Kapustka cresce calcisticamente nel Tarnovia Tarnów, la squadra della sua città natale, nel sud della Polonia. A 15 anni il suo talento viene conteso tra il Legia Varsavia e il Ks Cracovia; a spuntarla sono i biancorossi del KS e Kapustka percorre pertanto gli 80 Km che separano Tarnów da Cracovia.

Con la sua nuova squadra esordisce in Ekstraklasa a soli 17 anni e già nella sua prima stagione in prima squadra gioca 23 partite, di cui 11 da titolare, segnando 2 reti e mettendo a referto 2 assist. Viene impiegato essenzialmente come trequartista alle spalle del centravanti. L’anno successivo è quello della consacrazione: Kapustka mette a segno 4 reti e 9 assist in campionato e, a soli 18 anni, esordisce in nazionale segnando un gol contro Gibilterra. La stagione si conclude con gli Europei in Francia, dove il talento diciannovenne gioca da titolare nella partita d’esordio contro l’Irlanda del Nord e subentra in tutti gli altri match della Polonia. In estate è uno dei giovani più contesi del mercato europeo: quanti diciannovenni possono contare 11 presenze, 2 gol e 2 assist in una nazionale europea di livello medio-alto come la Polonia?

Kapustka finisce al Leicester che ha appena vinto la Premier League. Claudio Ranieri accoglie un giovane talento che si è specializzato a giocare da esterno sinistro offensivo. Kapustka è un destro naturale dotato di ottima tecnica e discreta velocità. Non è però un’ala pura; è molto abile nella conduzione del pallone e la sua zona di campo preferita è l’half-spaces di sinistra, che può occupare portando la palla dalla fascia verso l’interno o ricevendo dopo aver dettato il passaggio grazie a una traccia che parte dall’esterno. In quella zona Kapustka è abile a utilizzare il suo piede destro per dialogare con i compagni e, se possibile, mandarli al tiro con precisi passaggi. Sull’esterno ha buone capacità di saltare in dribbling il difensore utilizzando principalmente le armi della velocità e dell’agilità. Le doti di finalizzazione sono meno sviluppate di quelle di assist, soluzione che preferisce alla conclusione diretta a rete. È un giocatore associativo, che ama dialogare coi compagni in zona offensiva; il suo gioco può svilupparsi se circondato da un contesto che assecondi la sua tendenza ad associarsi.

Contro l’under 21 italiana, partendo da destra conduce il pallone verso l’interno, scambia con un compagno e lo manda al tiro. Un bignami di cosa sa fare Kapustka.

Se in nazionale, a un livello più alto Kapustka è impiegato come giocatore esterno che occupa la trequarti campo avversaria in maniera dinamica e muovendosi dall’esterno, nel Cracovia viene anche schierato da trequartista puro, sfruttando la sua capacità di trovare lo spazio di smarcamento per ricevere il pallone tra le linee, la sua agilità e la sua buona tecnica.

Poteva esserci posto peggiore per l’ascesa di Kapustka che il Leicester post miracolo della passata stagione? Probabilmente no. La Premier League sembra proprio il campionato meno adatto al giovane polacco che, tra i propri maggiori punti deboli, ha proprio una fisicità e un’intensità di gioco ancora non sviluppate e inadatte al mix di prestanza atletica e energia caotica che caratterizzano il campionato inglese. In aggiunta al contesto globale, il Leicester di Ranieri, col suo calcio semplice, intenso e diretto, che occhieggia al vecchio kick and run britannico, non sembra favorire il calcio associativo di Kapustka.

Alla fine ha giocato appena 10 partite con la squadra riserve, non riuscendo mai ad esordire in Premier League, collezionando solo 8 panchine. Con la prima squadra gioca solo 151 minuti anonimi in F.A. Cup. Interrogato al riguardo del suo calciatore, Claudio Ranieri a novembre rispondeva: «È un buon giocatore, che sta migliorando, ma non so quando sarà pronto per giocare in Premier League. È intelligente, gioca bene, ma deve capire che la Premier è una battaglia per ogni pallone».

Questi Europei erano l’occasione per rivedere all’opera il giovane talento perso nelle Midlands. Ma evidentemente la stagione di Kapustka è davvero sfortunata. Dopo 55 minuti anonimi nella partita d’esordio contro la Slovacchia, in un tackle difensivo, Kapustka si fa male alla caviglia e il suo europeo finisce in quel momento. Quei 55 minuti restituiscono un giocatore timido e insicuro e, forse a causa dei pochi veri impegni ufficiali in stagione, privo di un’adeguata intensità di gara. Alcuni commentatori polacchi si spingono a dire che il suo infortunio sia stato una benedizione per la Polonia, visto il livello di gioco attuale di Kapustka.

Per lui si inizia a parlare di un ritorno di prestito al Cracovia. Tornare indietro per provare a ripartire e andare avanti. La storia della breve carriera di Kapustka, considerato dodici mesi fa uno dei migliori giovani dell’Europeo di Francia ci ricorda come lo sviluppo di un calciatore sia soggetto a tante variabili, non tutte note e non tutte perfettamente controllabili. Kaputska ha però appena 20 anni e potrebbe persino far parte della selezione Under-21 del prossimo biennio. C’è ancora tantissimo tempo per trasformare la stagione appena passata in un brutto ricordo.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura