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Cosa tenere d'occhio nel 2017
03 gen 2017
03 gen 2017
Le 40 questioni che sono già sul menù del nuovo anno.
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Se Guardiola sta realizzando solo ora la dura realtà della Premier League - e sembra non farsene proprio una ragione - il gioco di Conte sembrava già in partenza adatto ai ritmi inglesi. Recuperare il terreno bruciato da Mourinho, cioè la forza mentale del gruppo, la coesione, e trasformare quegli stessi giocatori che un anno fa sembravano finiti in una macchina da 14 vittorie consecutive resta comunque un mezzo miracolo e non tutti avevano fiducia nei suoi mezzi.

 

Conte viene anche da un Europeo in cui ha raccolto meno di quello che avrebbe meritato, con una rosa che invece ha fatto più di quello che ci si sarebbe aspettati, e dopo le prime difficoltà in Inghilterra c’era già chi lo dava per spacciato. Insomma, se vincesse la Premier League al primo anno, riuscendo a mantenere il controllo delle partite visto finora e un dominio in classifica più o meno equivalente (anche se non può vincere per sempre), persino i più scettici dovrebbero arrendersi e riconoscergli i suoi meriti.

 

Conte quest’anno si gioca l’unanimità, il plebiscito. E sono davvero in pochi anche solo ad avvicinarsi a un traguardo del genere.

 

 


 

Per quanto si possa non condividere il conflitto artificiale e irrisolvibile che i detrattori di Massimo Allegri creano tra la sua gestione e quella di Conte, è vero che intorno all’allenatore della Juventus non c’è un clima serenissimo e non si può permettere di fallire in campionato - dove la vittoria è imperativa - e anche in Champions League non può uscire senza vendere carissima la pelle.

 

Ad esempio, non può uscire, in nessun caso, contro un’avversaria come il Porto. La squadra ha più qualità in attacco della passata stagione e magari, forte della capacità di Higuain e Dybala di trasformare in oro anche pochi palloni, potrebbe reggere meglio l’urto di partite di cartello. Sarà questione di millimetri, ma persino una semifinale non sembra fuori portata giocando anche solo

- se poi giocasse al proprio meglio…

 

In campionato, paradossalmente, nella durata le mancanze strutturali potrebbero costare più caro ad Allegri. Oggi come oggi la vera antagonista sembra essere il Napoli, che potrebbe approfittare di eventuali passi falsi bianconeri, come quelli avuti nel girone d’andata. Certo, l’unico modo per detronare la Juventus sarà quello di sfruttarne ogni passo falso e non concedersi più nessuna pausa. Un compito che non possiamo essere certi sia alla portata del Napoli come di nessun’altra squadra di A. Non è il campionato “finito prima di cominciare” che qualcuno diceva, ma i favori del pronostico continuano ad essere dalla parte della Juventus.

 

 


 

Una vocina al nostro interno grida entusiasta: “Belotti!”. Poi però arriva una voce più grave e razionale che dice: “Mhhh…. Higuain”. Dallo stomaco sale una voce che dice: “E no, allora Mertens!”. A quel punto si fa avanti una voce spaventata che chiede: “Icardi no?! Sicuri sicuri?”. E dopo un attimo di silenzio dal fondo del nostro cervello una voce assonnata dice sbadigliando: “E se vincesse Dzeko?”.

 

 


 



 

Sono passate cinque stagioni dall’ultima vittoria del campionato tedesco sulla panchina del Borussia e due dall’ultimo trofeo (la Supercoppa di Germania del 2014). L’anno passato, di ambientamento in Inghilterra, ha perso due finali (League Cup contro il Manchester City; Europa League contro il Siviglia), arrivando ottavo in campionato. Quest’anno però il Liverpool sembra avere un’efficacia diversa nell’applicare i meccanismi del pressing di Klopp. In campionato, al momento, il Liverpool sembra l’unica valida contender del Chelsea di Conte, mentre deve ancora giocare la prima partita di FA Cup. Invece in League Cup dovrà affrontare il Southampton in semifinale, tra qualche giorno, e poi una tra Manchester United e Hull City in finale. Il primo trofeo, quindi, potrebbe arrivare già a febbraio, e Klopp se lo meriterebbe, sempre che Mourinho non decida di farne una questione di principio e vincerla lui.

 

 


 

Guardando le sue

sembra di no, e forse ci dobbiamo aspettare un burnout totale entro la fine della stagione. La cosa preoccupante è che Guardiola ha iniziato a dirigere le sue dichiarazioni passivo-aggressive verso il calcio inglese in generale, che non è proprio una buona idea quando sei allenatore del Manchester City. Tutto era iniziato con uno spunto di umiltà, quando Guardiola

di doversi adattare perché in Premier League spesso “il pallone sta più in aria che in terra”, ma adesso sono spuntate frasi come “devo capire le regole qui in Inghilterra” e “è ovvio che qui ci sia un’interpretazione diversa”. Credo che Mourinho si stia sfregando le mani. Buona fortuna Pep.

 

 


 



 

Se Federer sarebbe riuscito a vincere o meno un suo ultimo slam è

con cui aprivamo il pezzo dedicato all’anno passato. La risposta è stata: ritiro dalle olimpiadi, nessuna finale dello slam, zero titoli. Risultati simili per un giocatore come Federer, arrivati mentre suonano i 35 anni, odorano di ritiro in modo ormai inequivocabile. Soprattutto se si sono saltati la maggior parte dei tornei programmati durante la stagione per problemi fisici. Federer è tornato in campo dopo sei mesi di inattività ieri nella Hopman Cup. Al suo allenamento erano presenti ottomila persone, poi è sceso in campo e ha battuto Daniel Evans in due set. Tutti si augurano che la magia possa non finire. O se proprio deve finire, che Federer abbia almeno il canto del cigno che spetta di diritto ai pochissimi atleti col privilegio di diventare “venerati maestri” mentre sono ancora in attività. Per capirci, l’incredibile punto di luce vissuto da Sampras alla finale degli US Open del 2002, mentre era già la copia sbiadita di sé stesso.

 

A dire il vero, Wimbledon 2015 sembrava dovesse essere il canto del cigno di Federer. Quel torneo aveva messo tutto in una nuova prospettiva: i tormenti degli ultimi anni avevano preso la forma di una preparazione a quel nuovo modo di giocare ultraoffensivo. Federer sembrava aver trovato la chiave del matrix: un modo unico per strozzare i tempi e gli spazi del tennis avversario. Uno stile di gioco squisito e delicato come un uovo fabergé, e che infatti è andato in pezzi pochi mesi dopo.

 

Federer, come solo i veri ossessionati possono fare, ha ribaltato la prospettiva: «Una pausa così lunga dopo 20 anni di tennis non può che essere positiva». Poi ha dichiarato di essere ancora affamato, di voler giocare ancora tanto, che non si tratta di una sola partita, di un solo torneo: «Potrebbero volerci anni».

 

Le sue condizioni di forma al momento sono un vero enigma, ma come per il 2016 vale un solo punto fermo: che le sue vittorie dipendono completamente da quanto spazio gli lasceranno gli altri. Nel caso in cui Djokovic e Murray molleranno un po’ la presa in qualche slam - come sarebbe peraltro verosimile in questo momento - risulta difficile credere (o facciamo: vogliamo credere) che Federer non sia lì ad approfittarne.

 

 


 

I primi che ci vengono in mente:

del Nantes;

dell’Olympique Marsiglia (centrocampista piccolo e tecnico con piedi e statistiche da playmaker o mezzala di possesso, titolare da quando c’è Rudi Garcia);

del Nizza, che sta giocando splendidamente da difensore a sinistra di una difesa a 3;

che sembra già bello e esploso nel Monaco di Jardim.

 

 


 

L’addio di Walter Sabatini dalla Roma ha fatto perdere alla Serie A uno dei suoi personaggi secondari più paradossali e carismatici. Quindi la speranza è che possa trovarsi una squadra del campionato abbastanza pazza da concedergli la libertà di esprimere il proprio gusto calcistico senza troppe limitazioni.

 

Non sarebbe neanche così scellerato. In una lega sempre più fondata sull’idea del player trading in fondo Sabatini, per quanto sopra le righe, rappresenterebbe un investimento sicuro se si vogliono fare i soldi con i talenti sconosciuti ed entusiasmanti.

 

In passato si era parlato molto di Inter. Ma Suning avrebbe il coraggio di mettersi in casa un ds plenipotenziario? Forse la dimensione di Sabatini è ancora quella di una medio-piccola della Serie A. Magari davvero il Bologna di Saputo, oppure il Cagliari, o magari la Sampdoria che ha iniziato in maniera deciso un progetto di valorizzazione patrimoniale dei giovani.

 

Sarebbe invece un po’ più triste se Sabatini si lasciasse affascinare dalle prospettive economiche di un campionato diverso, dove la sua ricchezza sintattica e lessicale sarebbe quanto meno limitata. Siamo davvero pronti a vedere una figura così borderline all’opera nel contesto levigato della Premier League, in un club tipo il Tottenham?

 

 


 

Teoricamente sì ma in realtà è molto difficile da dire, soprattutto adesso che Berlusconi sembra clamorosamente intenzionato a tornare protagonista della scena pubblica italiana. Ufficialmente il cosiddetto “closing” è previsto per il 3 marzo ma, vista la poca chiarezza nella ragione dei ritardi fino ad adesso, non è detto che non ci siano ulteriori contrattempi. Alcuni dicono che le difficoltà siano dovute a nuovi controlli imposti dal governo cinese sull’uscita dei capitali all’estero, altri che invece sia lo stesso Berlusconi che sta negoziando la propria posizione all’interno del club. Legato al suo destino c’è ovviamente anche quello di Adriano Galliani che, se la Sino Europe Sports dovesse acquistare la totalità del club (com’è ufficialmente previsto), uscirebbe probabilmente di scena. La nebulosità di tutta la situazione, purtroppo, non ci permette di guardare oltre con maggiore precisione.

 

 


 

Anche nella stagione che viene è difficile immaginare un vincitore diverso dai soliti nomi. Le possibilità narrativamente più interessanti sono quelle di Del Potro, alla ricerca del definitivo lieto fine alla storia del suo rientro, che però non sarebbe davvero un nome nuovo. Per il resto ci sono le seconde linee che da anni si stanno lavorando i trofei: Raonic, che lo scorso anno ha raggiunto la sua prima finale slam; Nishikori, che ha avuto un 2016 al di sotto delle aspettative; Marin Cilic, che nel singolo torneo ha sempre la possibilità di fare la differenza col servizio.

 

Come negli ultimi anni, le sorprese sono possibili, ma nessuna di queste sembra offrire prospettive entusiasmanti per il pubblico.

 


 

https://www.youtube.com/watch?v=NHDaARr8YWA

 

Al momento le quote sono queste:

 

gol nel 2017: 4,50

tunnel di rabona: 3,00

2 retropassaggi di rabona nella stessa partita: 2,70

autogol di rabona: 11

incidente domestico con petardi e/o piscina e/o escort minorenni: 4,70

disco rap in coppia con Icardi: 8

 

 


 

È arrivato il momento di chiedersi se Verratti non stia perdendo tempo. Arrivato da Pescara senza grandi pretese nella stessa sessione di mercato di Ibrahimovic e Thiago Silva, oggi Verratti è uno dei giocatori di più grande valore del Paris Saint Germain e sembra pronto a un altro salto di qualità. Un campionato più competitivo? Magari quello spagnolo? Magari con una squadra che tradizionalmente fa della tecnica e della visione di gioco il cuore stesso della propria filosofia? Sì, insomma, ci piacerebbe vederlo a Barcellona.

 

 


 



 

 

Lui vorrebbe giocare un altro anno, è evidente che si tratta di un caso in cui l’orgoglio ci impedisce di chiedere apertamente quello che ci sembra dovuto. E la Roma ha aspettato troppo ormai per gestire un eventuale addio, non faremmo in tempo a prepararci e lo vivremmo male, scoppierebbero sommosse e i bambini sarebbero tutti tristi. Speriamo di no.

 



 

La porta d’accesso dorata al termine del

che collega l’epicentro calcistico mondiale alla Cina è stata definitivamente sfondata, dopo il passaggio delle spalle possenti di Hulk e Jackson Martinez l’anno scorso, dalla capigliatura di Witsel.

 

Nell’inventario ipergravido e continuamente aggiornato di calciatori che potrebbero scegliere la China Super League - luogo

del 2017 - come palcoscenico del loro arricchimento esperienziale, una lista che non si capisce bene se sia più un elenco di deportati o eletti, sono contemplate tutte le sfumature che intercorrono tra l’Assurdo e il Plausibile.

 

Oltre alla

Cristiano Ronaldo (al Real Madrid sarebbe giunta un’offerta di 300 milioni di euro, e a CR7 un onorario di 99 milioni di euro l’anno, più di 8 milioni di euro al mese, cioè 3 euro e mezzo

) e Ángel Di Maria, al quale andrà pure stretto il confino tattico imposto da Unai Emery al PSG, ma addirittura anelare la pazzia anarcoide della CSL mi sembra troppo (rientra in questo universo distopico anche l’offerta a Clattenburg), c’è una serie di calciatori per i quali l’ipotesi non è solo suggestiva, ma

.

 

Una microcategoria è composta da gente che credevamo definitivamente fuori dai giochi, o in via di dismissione, e che potrebbe tornare solo per guadagnarsi uno scivolo d’oro verso il definitivo pensionamento, come Ashley Cole (accreditato alla diaspora di DP da Los Angeles), l’onnipresente Ronaldinho, Nicklas Bendtner, Samuel Eto’o che così potrebbe ammortizzare i costi delle sue

, Podolski prima di calarsi definitivamente nel

e Emmanuel Adebayor, il cui Instagram, in rotta di collisione con muraglie e lanterne, impazzirebbe in un turbinio di fuoco.

 

La seconda microcategoria include calciatori per i quali la scelta di un futuro esotico o di un trasferimento intercontinentale non è strettamente necessaria, anche se suggestiva. Si tratta di nomi già accostati anche alla MLS in passato, per i quali l’ingresso dello scenario cinese crea una dicotomia: l’ago della bilancia della nostra percezione degli stessi oscilla adesso tra «calciatori in cerca di riscatto» o «mercenari». In ordine di plausibilità decrescente ci sono Balotelli (che se vuole provare a tornare in Nazionale gli conviene non allontanarsi troppo neppure da Promenade des Anglais), Cesc Fabregas, Radamel Falcao, Yaya Touré, Wayne Rooney, Robin Van Persie, John Terry e Fernando Torres.

 

Infine c’è il miniplotone WTF, che è l’unico che vorremmo davvero vedere col nome sulle spalle in ideogrammi e che ci farebbe comprare subito l’abbonamento in streaming alla CSL: un quintetto all-star composto da Mattia Caldara, prepotentemente desiderato da Fabio Cannavaro per il suo Tianjin Quanjian; Vladimir Weiss e Assou-Ekotto, le vere personificazioni della

che muove gli astri del calcio cinese (Weiss dopo sei mesi all’Olympiakos si è imbarcato in un bel peregrinare tra squadre del Qatar che giocavano al rialzo col suo stipendio e che gli hanno fatto guadagnare il nickname di Wei$$, mentre come la pensa BAE

, e poi che ci sta a fare a Saint-Etienne?); Hal Robson-Kanu e Hatem Ben-Arfa.

 

 


 



 

Ad ascoltare Gervinho, il mega-contrattone è una tendenza che appartiene ormai all’anno passato:

. L’ivoriano non è esattamente una macchina da gol, e adesso starà probabilmente rimpiangendo di non aver mai affinato la finalizzazione, considerato che, come ha rivelato, ogni gol segnato gli frutta 150,000€ netti. Il bonus per ogni partita giocata, invece, ammonta a 60,000€. Poco male, insomma, che guadagni solo 10 milioni annui, se una stagione da 30 gol può riportarlo facilmente nella top ten dei più pagati.

 

Del resto stare dietro ai contratti stava diventando francamente frustrante, basti sapere che in estate Pellè era il quinto giocatore più pagato al mondo e adesso è appena il nono. Per non parlare del primato di Oscar, oscurato da Tévez nel giro di qualche ora. Il Graziano nazionale non poteva incassare quest’affronto senza colpo ferire, dopo mesi trascorsi in cima a ogni photogallery sui “paperoni del pallone”, così ha stipulato un nuovo contratto che gli permetterà di guadagnare:

 


 

 


 

Con la firma, a pochi giorni dalla fine del 2016, del contratto che sancisce il suo terzo ritorno in campo in cinque anni, Juan Sebástian Verón ha decisamente fissato a vette irraggiungibili l’asticella della portata mitica dei comebacks.

 

Sarà complicatissimo abbattere questa nuova barriera di clamorosità: ma un anno è lungo, e potremmo lecitamente aspettarci resurrezioni in grande stile anche da parte di

 


 

 


 

Diventerà padre, questo è sicuro. Poi vincerà il titolo Mondiale di pugilato, forse, e magari tornerà in UFC e Khabib Nurmagomedov lo farà fuori in due riprese. O magari gli organizzeranno un incontro con l'ultimo orso polare vivente su un iceberg al Polo per fargli estinguere la specie. Seriamente: dato che ha preso la licenza non sarebbe così assurdo se facesse qualche incontro, sarebbe persino interessante. L’idea che McGregor punti sul suo “personaggio” scegliendo il wrestling, anziché la sua arte nel gestire le distanze, ci toglierebbe un po’ di entusiasmo. Il personaggio McGregor si regge sul suo grande talento, messo alla prova ogni volta che sale sull’ottagono, piuttosto che sui post di Instagram. E senza il rischio che gli vengano cambiati i connotati non c’è gusto.

 

Per quanto riguarda l’UFC la nostra preferenza andrebbe a un terzo incontro con Nate Diaz. Altrimenti, un match con Tyron Woodley per la cintura dei Welter (sarebbe la terza per McGregor, l’equivalente delle chiavi dell’UFC) sarebbe affascinante anche solo per vedere fino a quale categoria di peso i pugni di McGregor conservano la loro potenza, e dal punto di vista mediatico non ci annoieremmo.

 

Meno interessante - da un punto di vista stilistico - l’incontro sopra paventato con Nurmagomedov, che potrebbe finire altrettanto velocemente con un TKO del dagestano, il cui mento non è mai stato messo alla prova da mani come quelle di McGregor. Va citata quanto meno la possibilità di cinque riprese con Tony Ferguson, che a mento è messo benissimo e che potrebbe affrontare prima Nurmagomedov, in una sfida a eliminazione che porterebbe inevitabilmente a McGregor (ma che non si riesce a fare perché, indovinate un po’, non Ferguson non trova l’accordo economico con l’UFC).

 

 


 

Gregorianamente parlando, il 2017 dovrebbe essere un anno tranquillo per Leo: l’Argentina non ha in calendario nessuna competizione nella quale poter arrivare in finale e perdere, quindi l’ansia da prestazione (anagramma sentimentale di rinosinusite cronica) di Messi potrebbe essere contenuta nei livelli pre-ematici. Possibili riacutizzazioni, proprio come per la fioritura delle graminacee, a Marzo (quando cioè l’Albiceleste sfiderà il Cile nel match più importante tra quelli ancora rimasti sulla strada per Russia 2018) e Novembre (il potenziale play-off con la rappresentante oceanica, effettivamente ciò che di più vicino a una finale l’Argentina potrebbe giocare)(

, come si dice).

 

 


 



 

Il termometro di Balotelli è sempre la proporzione tra gol e cartellini. Se fino a due mesi fa il bilancio era positivo (7-4) ora è tornato in parità (9-9) e nell’ultimo turno di campionato Balotelli è stato espulso per

. “La prima balotellata”

i giornali che non vedevano l’ora (anche se a nostro giudizio si tratta di poco più di uno sgambetto).

 

Mentre Ventura continua il

“Balotelli deve farsi delle domande e darsi delle risposte”, l’Italia cade ai piedi di Belotti, che offre più certezze non solo caratteriali ma al momento persino tecniche. Al di là del discorso caratteriale, Balotelli in Francia ha ritrovato la capacità di essere determinante perché il suo talento è troppo grande per il contesto in cui si trova a giocare, ma calcisticamente

che ci si aspettano da lui da anni.

 

Se da una parte il suo talento continua a essere troppo evidente, ed è quindi plausibile una sua convocazione nel 2017, il suo

sembra ormai passato. Oggi è difficile immaginare che tornerà a essere centrale nel nostro movimento come lo è stato per poche settimane qualche anno fa. Allora il 2017 potrebbe essere l’anno della vera rinascita di Balotelli come giocatore e al contempo del suo definitivo declino come fenomeno. Balotelli, cioè, potrebbe diventare un giocatore normale.

 

 


 

Nick Kyrgios è al momento uno dei pochi giovani su cui è possibile scommettere per la futura vittoria di uno slam. Tutti concordano che fra lui e un grande torneo ci sia di mezzo solo una grossa, aggrovigliata, massa di pazzia. Il 2017 ci dirà con qualche attendibilità in più se Kyrgios riuscirà a trasformare il suo squilibrio in energia positiva. A suo favore c’è il fatto che, a dispetto dell’impressione che sia sul circuito ormai da anni, Kyrgios ha appena 22 anni: l’età a cui Roger Federer, fino a quel momento incompiuto, ha vinto il suo primo Wimbledon. Contro di lui c’è il fatto che 22 anni sono già un’età avanzata per uno che vuole smettere a 27. Quest’anno dopo la squalifica rimediata contro Micha Zverev ha dichiarato di essere andato molto vicino al ritiro con

ricca di quel nichilismo che lo rende un eroe millennial: «Io non amo questo sport. Mi piace fino a un certo punto, ma non lo amo». Nel frattempo

di non voler arrivare a 30 anni nel circuito.

 

Il tempo stringe.

 

 


 

Dopo quello di Cristiano Ronaldo, che qualche settimana fa ha “tranquillamente ammesso di essere omosessuale” nel multiverso

(che forse dovrebbe

con più spirito critico). No, sul serio, sarebbe ora.

 

 


 

Il processo che si apre il 17 gennaio a Bolzano è probabilmente un procedimento senza futuro, al quale tiene assurdamente più l’accusato che l’accusa. Infatti quel giorno il giudice per le indagini preliminari Walter Pellino darà gli incarichi alle parti e sappiamo che avranno un ruolo il professore del dipartimento di chimica dell’Università di Torino, Marco Vincenti, e anche il comandante del Ris di Parma.

 

Un processo che nasce morto perché si deve tenere in quanto il doping è un reato penale. Ma l’archiviazione è dietro l’angolo visto che, per la legge italiana, ci deve essere un effetto sulla prestazione per sussistere il reato. Anche secondo il laboratorio Iaaf di Colonia che ha scovato le poche molecole di anabolizzante esogene quella quantità non è sufficiente a modificare la prestazione. L’accusa penale, dunque, dovrebbe cadere lasciando spazio al procedimento civile. Ed è qui che Alex vorrà mostrare di aver subito un torto. Sarà un processo lungo e difficile, che metterà in gioco la dignità di molti, ma non la loro fedina penale.

 

Che Schwazer vinca o perda, trovo comunque difficile ragionare sul concetto di giustizia, travolto in un giorno d’estate sulla strada che divide Racines, Colonia e Rio de Janeiro.

 



 

Nonostante in campionato la squadra parigina continui ad essere discontinua, in realtà molto dipenderà da come andrà in Champions League. Sappiamo bene quanto Emery sia forte negli scontri diretti e questo potrebbe permettergli di salvare la panchina, nel caso catastrofico in cui il PSG riuscisse davvero a non vincere la Ligue1 (attualmente è addirittura terzo, a cinque punti dal Nizza capolista). Certo, il passaggio è più stretto che mai, perché agli ottavi il PSG incontrerà il Barcellona, ma forse è l’unico disponibile per l’allenatore spagnolo. Salvare il campionato in extremis, infatti, probabilmente non sarebbe sufficiente per la dirigenza qatariota in caso di uscita dalla Champions League agli ottavi o ai quarti, visto che Emery è stato assunto esattamente per il suo curriculum di Europa League vinte. Una Champions sorprendente, non per forza condita da una vittoria, potrebbe invece convincere il PSG a continuare a puntare su di lui, anche se l’incandescente attacco del Monaco alla fine dovesse portare via da Parigi il titolo nazionale.

 

 


 

Il 17 giugno si aprirà a San Pietroburgo la Confederations Cup, il primo evento sportivo di rilevanza internazionale a tenersi in Russia dopo l’esplosione dello scandalo legato ai risultati delle indagini della WADA (la World Anti-Doping Agency). Sarà la prima occasione disponibile per la Russia per rimettersi in gioco dopo tutto ciò che è successo nel 2016, e non sarà facile per una serie di motivi.

 

Innanzitutto perché non è ancora del tutto sicuro che lo stadio dove si dovrebbe tenere la partita d’inaugurazione e la finale, cioè il Kretovsky Stadium, quello che doveva essere lo stadio cartolina dei Mondiali del 2018, sarà pronto in tempo. Il Kretovsky Stadium

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