Niente, ma in senso buono
Di Daniele Manusia
Quando l’Italia è stata tagliata fuori dal Mondiale dall’impenetrabile, fortissima, impossibile Svezia, ci siamo fatti prendere da una sete di vendetta che forse è la testimonianza più diretta dell’influenza che ha avuto sulla nostra cultura la visione di sette stagioni di Game of Thrones. Volevamo vedere le teste rotolare. Quella di Tavecchio e quella di Ventura, anzitutto. Se lo meritavano? Probabilmente. Ma non è bastato, ancora oggi vogliamo che rotolino le teste, per questo non mandiamo giù la convocazione di Buffon.
Eppure è da parecchio che parliamo dell’importanza di avere un progetto di grande respiro, almeno dal tentativo di Lippi di resuscitare lo spirito del 2006 in Sudafrica: dopo la brutta eliminazione nel girone con Slovacchia, Paraguay e Nuova Zelanda sembrava avessimo capito che non era solo una questione di uomini. In questi anni abbiamo parlato della rivoluzione belga, del sistema tedesco, di quello francese, ma alla fine, frustrati per la mancanza di un reale cambiamento, ci consoliamo con la cara vecchia ghigliottina. Ma è la cultura di fondo a essere cambiata pochissimo; in fondo questo bisogno di vendetta è solo il riflesso della nostra convinzione interiore che l’uomo giusto, o gli uomini giusti, possano cambiare tutto.
E intanto non cambia niente. O almeno cambia molto lentamente. Quattro mesi dopo l’eliminazione con la Svezia non è stata fatta ancora nessuna riforma strutturale, non c’è un nuovo presidente e non siamo neanche sicuri di chi sia il nuovo allenatore della nazionale. E intanto mentre noi discutiamo su chi tra Mancini e Conte potrebbe portare la Nazionale migliore al prossimo Europeo, a Gigi Di Biagio sono state due amichevoli per convincere tutti che invece è lui l’uomo giusto. Mettiamoci per un attimo nei suoi panni: per Di Biagio è l’occasione, probabilmente irripetibile, di allenare la Nazionale. L’occasione della vita, per un tecnico che come lui non ha esperienza in squadre di club, e se la gioca in due partite. Ma noi avremmo voluto che fosse proprio lui, subito, a far partire il rinnovamento. Solo io ci vedo una contraddizione?
Che senso ha lamentarsi se, pur avendo convocato molti giovani, Di Biagio ha convocato alcuni giocatori che magari tra due anni non saranno più del giro (Chiellini, Darmian, Parolo, Candreva, ovviamente Buffon) ma che, oggi, possono aiutarlo a vincere queste due partite? Il punto non è se Di Biagio avrebbe dovuto convocare qualcuno di diverso, ma se lui stesso avrebbe fatto scelte diverse con un contratto di due anni. Secondo me, per quel che vale, sì.
Spero che vedremo qualcosa di buono, che l’Italia con il 4-3-3 di Di Biagio - che di per sé è di rottura rispetto alla gestione di Ventura - giochi meglio, che i giocatori migliori a disposizione (Jorginho, Verratti, Insigne, Immobile) siano a loro agio e che l’Italia dimostri da subito di non essere quella dei 51 cross della partita di ritorno con la Svezia. Ma penso anche che se ci immaginiamo sul serio come un paese in cui le persone possono prendono decisioni coraggiose, innovative, veramente di rottura, forse dobbiamo coltivare anzitutto la nostra pazienza, la nostra fiducia nel lavoro altrui, e pretendere che siano innanzitutto le istituzioni a dimostrare coraggio.
Perché difficilmente può cambiare davvero qualcosa se al primo fallimento, al primo errore, alle prime due partite che non vanno come vorremmo, basta far rotolare un’altra testa per immaginare di aver preso una strada nuova.
Ripartire dal centrocampo
Di Francesco Lisanti
Sono passati quattro anni da quel doppio dribbling di Verratti contro l’Uruguay, che rimane il momento culminante della sua carriera in Nazionale, e tanto è bastato per azzerare completamente l’entusiasmo che lo circondava. Certo, se a ventun anni sei in grado di tenere a distanza Rodríguez con le braccia, superare Lodeiro con un crossover e trasformare Arévalo Ríos in una statua di sale, è quantomeno sospetto che a venticinque tu non sia in grado di nascondere palla alla Svezia intera.
Di sicuro non basteranno queste due amichevoli di prestigio a riabilitare l’immagine del «sopravvalutato ed eterno incompiuto», ma magari potranno rappresentare l’inizio di un processo di riconciliazione tra il più grande talento prodotto dal calcio italiano in questa generazione e un’opinione pubblica, ferita da dieci anni di dolorose eliminazioni, che ha scelto di spendere un titolo ammiccante per ogni prestazione opaca, ogni eliminazione del PSG, ogni ammonizione di troppo.
Nelle due partite simbolo della rovinosa gestione Ventura, le due sconfitte in trasferta contro Spagna e Svezia, l’Italia si era disposta con due moduli diversi, il 4-4-2 e il 3-5-2, ma senza idee e riferimenti per passare dal centro del campo, e aveva offerto due prestazioni molto simili, legate a doppio filo dalla sterilità offensiva e dalla solitudine di Verratti. Su queste pagine abbiamo spesso ragionato sul sistema ideale da costruire intorno a un giocatore così particolare, una mezzala di possesso senza grande istinto verticale, né grande influenza in fase di rifinitura.
Foto di Catherine Ivill / Getty Images.
Nel 4-3-3 del PSG, Verratti ha reso al meglio quando aveva un metodista alle sue spalle che garantisse equilibrio, e una mezzala più dinamica che ne sfruttasse le grandi doti di passatore. «L’ideale sarebbe affiancargli un giocatore che possa compensare queste lacune, uno che abbia, cioè, capacità di inserimento e presenza fisica in area», ha scritto Fusi soltanto la settimana scorsa. Se sul metodista abbiamo finalmente sciolto ogni riserva (Jorginho) dopo almeno tre anni di incomprensibile ostracismo, Di Biagio ha pescato dalla sua Under21 due giocatori che in modi diversi rispondono all’identikit della mezzala di inserimento.
Cristante e Pellegrini hanno la stessa altezza, 186 cm, e nonostante la giovane età (classe ‘95 il primo, classe ‘96 il secondo), un pedigree europeo di tutto rispetto (784 minuti nelle coppe il primo, 544 minuti il secondo). Cristante è forse il giocatore più complementare a Jorginho e Verratti, perché più forte fisicamente, più incisivo negli inserimenti e più consapevole negli smarcamenti. D’altra parte, Pellegrini è un giocatore altrettanto dinamico e presente sulla trequarti, che rappresenta un’opzione interessante per dialogare con più qualità nello stretto. Sono soluzioni simili per adattarsi a contesti diversi, e garantire quella flessibilità che è drammaticamente mancata nell’ultimo ciclo: per il momento, è un’ottima base di partenza.
Certo, se Di Biagio avesse davvero voluto rompere gli schemi, avrebbe già coinvolto Barella, che non è altrettanto tecnico ma è comunque un salto nel futuro rispetto a Parolo (al limite, con negli occhi ancora i tunnel visti all’Old Trafford, avrebbe anche potuto reinserire Franco Vázquez). Non possiamo sapere se da giugno in poi questa sarà la Nazionale di Di Biagio, ma ho letto che nel primo allenamento ha provato Jorginho, Verratti e Cristante nello stesso gruppo. Vedere un centrocampo funzionante, vitale, funzionale alle caratteristiche dei migliori centrocampisti che ci sono oggi in Italia. È tutto quello che chiedo a queste due amichevoli di prestigio.
Cosa aspettarsi da Di Biagio
di Flavio Fusi
Ovviamente considerando che Di Biagio viene dalle panchine delle nazionali giovanili (U-20 e U-21) la cosa che possiamo aspettarci è che inserisca il giovani che ha allenato nella nazionale maggiore e che porti avanti, sviluppandoli in base alle qualità dei giocatori già maturi, i propri princìpi di gioco. In parte ce lo possiamo aspettare già da queste prime due amichevoli, ma è un discorso che vale soprattutto per il futuro (se Di Biagio avrà un futuro da CT).
La più grossa novità, tra l’Italia che vedremo contro Argentina e Inghilterra e quella del ciclo di Di Biagio in Under-21, è che prima non aveva utilizzato un regista puro, impiegando davanti alla difesa Gagliardini, o in alternativa Cataldi. Anche in Under-21, il centrocampista dell’Inter ha faticato a imporsi nella costruzione del gioco, soprattutto in contesti in cui veniva posto sotto pressione. Nel 4-3-3 visto a Euro 2017 erano i difensori centrali a dover far girare la palla fino a che non c’era la possibilità di verticalizzare. Probabilmente, se il centrale del Milan non si fosse infortunato, avremmo visto ricostituirsi la coppia Romagnoli-Rugani, con i guai fisici che hanno tenuto fuori dalle convocazioni anche quello che da sempre è il terzo difensore nelle gerarchie del selezionatore, Caldara.
Di Biagio, però, con la Nazionale maggiore avrà a disposizione un centrocampista abituato a costruire il gioco e piuttosto abile negli smarcamenti (almeno all’interno del sinergico centrocampo del Napoli), quale è Jorginho, ma anche di una mezzala di possesso come Verratti, che dovrebbe partire titolare insieme all’oriundo. Ci possiamo aspettare, quindi, una maggiore fluidità della manovra, che risultava a tratti macchinosa in U21. Inoltre, Mandragora si è ormai messo alle spalle il grave infortunio e si sta esprimendo ad alti livelli nel centrocampo del Crotone. Non è escluso, quindi, che si possa assistere ad un cambio di strategia, oppure ad un’asimmetria nello sviluppo del gioco tra fascia destra e sinistra.
Infatti, in maniera similare a quanto avviene nella Roma di Di Francesco, la progressione del gioco nel 4-3-3 di Di Biagio si basava sui triangoli formati da terzino, mezzala e attaccante esterno. I terzini dovevano spingere molto e le mezzali essere dinamiche e propositive, anche sugli esterni. In questo senso Pellegrini, che è sempre stato apprezzato da Di Biagio, potrebbe avere senso come titolare contro l’Argentina. Anche Cristante, però, si adatterebbe discretamente bene a questo ruolo da incursore e persino Benassi potrebbe rientrare nel giro nel prossimo futuro.
Sempre guardando avanti, rimane difficile pensare che Barella possa rimanere ancora lontano dalla Nazionale maggiore, soprattutto in un periodo di transizione come questo. Per quanto riguarda i terzini, oltre a Calabria, che il CT impiegava su entrambe le fasce, è probabile che prossimamente vedremo anche Conti, una volta che sarà recuperato dall’infortunio che lo ha tenuto fuori per quasi tutta la stagione, mentre Barreca e Biraghi, convocati per lo stage di febbraio, potrebbero ampliare le alternative sulla fascia sinistra.
Vedremo sicuramente alcune differenze nell’interpretazione dei ruoli, anche in attacco: Berardi, Bernardeschi e Chiesa giocavano quasi sempre a piede invertito, stringendosi verso il centro del campo, mentre con Insigne a sinistra, come è probabile, l’esterno della Fiorentina (oppure Candreva) sarebbe schierato a destra, ovvero sulla fascia concorde al proprio piede. Quando tornerà disponibile, il mancino della Juventus sarà quasi sicuramente tra i convocati, visto che Di Biagio ci ha sempre puntato molto. Anche l’ambidestrismo e le tendenze tattiche del 25enne Verdi potrebbero rivelarsi una caratteristica funzionale al suo 4-3-3.
Dopo aver fatto assaggiare a Inglese e Pinamonti l’ambiente della Nazionale, chiamandoli per il recente stage, Di Biagio ha convocando Cutrone, l’attaccante giovane più prolifico del campionato. Detto che dobbiamo ancora capire i margini di miglioramento del giocatore del Milan, letale in area di rigore ma non particolarmente associativo, non sembra esattamente il centravanti ideale per un CT che a Petagna preferiva schierare Bernardeschi come attaccante centrale proprio perché necessitava di un giocatore in grado di combinare con gli esterni.
Foto di Alessandro Sabbattini / Getty Images.
In ogni caso starà a Di Biagio, sfruttare al massimo l’esperienza del quadriennio alla guida dell’Under-21 per favorire il ricambio generazionale ma anche dimostrare la flessibilità che è mancata a Ventura per mettere il materiale umano prima delle proprie convinzioni tattiche.
Una presa di consapevolezza
di Emanuele Atturo
Se l’eliminazione con la Svezia ci sembrava impossibile, una piccola parte di noi la considerava inevitabile: il sigillo della nostra idea di una Nazionale vecchia, stanca e priva di programmazione alle proprie spalle. Figlia di un contesto politico opaco e senza un’idea di futuro. Una squadra che ha giocato con quel tipo di paura di perdere che fa presto a trasformarsi in una profezia auto-avverante. Al di là della mancata qualificazione, a deludere dell’ultima Italia di Ventura era insomma l’aria mesta e senza prospettive di cui sembrava intrisa.
È molto difficile aspettarsi delle novità radicali nelle prossime due amichevoli, soprattutto per la singolarità di un momento senza precedenti nella nostra storia. L’Italia giocherà due partite con poco da perdere, dove dovrebbe considerarsi gli albori di un ciclo di ricostruzione fondamentale e da affrontare con calma; ma, come detto, Di Biagio si giocherà la riconferma proprio sulla base di queste due amichevoli. L’impressione, insomma, è che stiamo ricominciando il ciclo alla luce di una delle piaghe storiche del nostro calcio: il risultatismo.
Dalla Nazionale di Di Biagio, in queste due partite, mi aspetto una reazione di segno opposto. Che giochi, cioè, senza la paura di perdere ma con la voglia di stupire e far ritornare il piacere di guardarla giocare. Può suonare retorico ma è un cambio di atteggiamento che si può esprimere in aspetti molto concreti.
L’Italia di Ventura era costruita attorno a un blocco difensivo - quello composto da Bonucci, Barzagli, Chiellini e Buffon - che da un paio d’anni non era più il punto di forza della Juventus e che aveva smesso di esserlo anche per la Nazionale. Ci siamo adagiati su un’idea di Italia sempre più scollegata dalla realtà. Lo abbiamo fatto con idealismo raccontandoci che lo facevamo per praticità, ripetendoci il motto ultra-realista siamo questi. Pensavamo, in assenza di fuoriclasse assoluti, in assenza di “nuovi Baggio”, “nuovi Totti”, “nuovi Del Piero”, l’Italia fosse condannata ad essere una squadra fisica e tattica mentre i nostri giocatori migliori stavano diventando quelli più tecnici e creativi. In un certo senso abbiamo faticato ad uscire dagli stereotipi che la nostra tradizione calcistica ci ha tatuato addosso, e su cui abbiamo costruito i nostri successi.
Dalla Nazionale di Di Biagio mi aspetto innanzitutto questa presa di consapevolezza. Vorrei vedere una Nazionale che controlli il pallone e che assecondi la vena associativa dei propri giocatori migliori: Verratti, Jorginho e Insigne. Non mi aspetto per forza un gioco brillante, ma almeno un’Italia che passi dal controllo degli spazi a quello del pallone, e che magari scelga persino di difendersi tenendo palla. Me lo aspetto non per un fatto di gusto, ma di comodo. Poche Nazionali possono permettersi tre giocatori che parlano un linguaggio calcistico così simile, che possono costruire le loro connessioni in modo naturale e senza meccanismi tattici troppo sofisticati. Di Biagio dovrebbe solo assecondare uno stile di gioco che esiste già in potenza.
Al di là di Jorginho, Insigne e Verratti, anche altri giocatori sembrano adatti a un’idea di Italia di possesso. La coppia difensiva Bonucci-Romagnoli - che non giocherà nelle amichevoli ma lo farà in futuro - sta dimostrando al Milan di poter garantire un’uscita palla di qualità dalla difesa. Accanto a loro Florenzi è un terzino che preferisce attaccare che difendere. A centrocampo Pellegrini è una mezzala dinamica ma anche molto tecnica e associativa; Simone Verdi e Federico Bernardeschi potrebbero partire ali per abbassarsi a centrocampo e offrirsi come ulteriori fonti di gioco. A bilanciare tutti questi portatori di palla ci sono giocatori dalla tensione più verticale come Immobile, Chiesa e Cristante.
Da anni ci raccontiamo di essere una Nazionale senza talento, che in assenza di fuoriclasse assoluti deve provare a fare le nozze con i fichi secchi. Ma è indubbio che nella Nazionale di oggi, pur senza fenomeni veri e propri, ci sia più qualità di quella di qualche anno fa. Dalla Nazionale di Di Biagio, già in queste due amichevoli, mi aspetto di abbandonare questa modalità sopravvivenza. Sembra poco, ma sarebbe una piccola rivoluzione culturale.