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Flavio Fusi
Chi può salvare Verratti
15 mar 2018
15 mar 2018
A 26 anni sappiamo bene cosa può dare il centrocampista del PSG, ma i suoi margini di miglioramento dipenderanno più che altro dal contesto intorno a lui.
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Flavio Fusi
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Come ogni anno arriva quel momento, di solito tra febbraio e marzo, in cui il Paris Saint Germain diventa rilevante nelle cronache del calcio internazionale, seppur brevemente. L’anno scorso il club di proprietà qatariota è stato costretto ad inchinarsi anche in campo nazionale, al Monaco di Jardim (una squadra che ha vissuto un’annata storica e probabilmente irripetibile, il cui esempio sembra difficile da seguire per altre squadre in Francia), ma in questa stagione il dominio del club parigino in Ligue 1 è tale da mettere in secondo piano il campionato francese, rendendo scontata la vittoria del campionato. Diventa inevitabile, quindi, che sia la Champions League a restituirci l’effettiva dimensione del PSG, che si valuti l’intero progetto tecnico sulla base delle risposte arrivate dalla massima competizione continentale.

 

È dal 2013 che in questo periodo dell’anno ci ritroviamo puntualmente a commentare prestazioni opache nei momenti decisivi e conseguenti eliminazioni anticipate (indipendentemente dall’avversario); a leggere di presunti dissapori, se non di veri propri scontri, tra le prime donne dello spogliatoio; a puntare il dito contro i giocatori più rappresentativi e costosi, rei di non essere stati all’altezza delle aspettative e a chiedere la testa del malcapitato allenatore di turno.

 

Il fatto che il calciatore italiano

all’estero giochi proprio nel PSG, fa sì che i tifosi italiani siano particolarmente attenti alle vicende del club del presidente Nasser Al-Khelaïfi. Così, oltre alle considerazioni sul progetto PSG, ogni anno, dopo ogni eliminazione, diventa inevitabile affrontare

e chiedersi a che punto sia la sua carriera (poco più di un anno fa, su queste stesse pagine, ci interrogavamo sui suoi

).

 

Quest’anno poi, il centrocampista classe ’92 è finito sul banco degli imputati per il doppio giallo che ha lasciato il PSG in dieci uomini durante la partita di ritorno degli ottavi di finale di Champions League contro il Real Madrid (anche se, va detto, la qualificazione sembrava effettivamente già compromessa a quel punto). La sua terza espulsione in Champions League, tra l’altro, dopo i due gialli rimediati contro l’Arsenal nella prima giornata della scorsa edizione e quelli contro l’Olympiacos nella fase a gironi 2013/2014.

 

Se il suo agente,

, ha provato a difenderlo,

non lo ha certo risparmiato: «L'ho visto crescere quando aveva 17 anni, rivedendo ciò che ha fatto l'altra sera dico che a certi livelli non puoi comportarti così: se lo fai, c'è un problema». Seppur i ripetuti fallimenti siano sempre da esaminare a livello macroscopico e quindi di squadra, giunti a questo punto è legittimo chiedersi cosa non abbia funzionato. Perché, a questo punto è chiaro, qualcosa non ha funzionato nel modo in cui si è provato a valorizzare il talento del centrocampista italiano.

 



Un tweet di qualche tempo fa della Champions League che ci ricorda che non solo i matti hanno visto in Verratti un talento speciale.


 


Dall’estate del 2012, quando è arrivato Verratti, il PSG ha acquistato solo altri sei centrocampisti centrali: David Beckham, Yohan Cabaye, Benjamin Stambouli, Grzegorz Krychowiak, Giovani Lo Celso (reinventato nel ruolo di playmaker da Emery) e Lassana Diarra. Tra questi, solo gli ultimi due sono ancora in rosa.

 

Oltre a Verratti, ad oggi completano il reparto Rabiot, Thiago Motta e il ventenne Nkunku, che ha giocato 344 (interessanti) minuti in stagione, ed è in grado di fare anche l’esterno. Considerando che Lo Celso è, appunto, adattato nei tre di centrocampo, così come lo sarebbero anche Draxler e Pastore, e che Diarra e Motta hanno rispettivamente 33 e quasi 36 anni, è molto probabile che in estate sarà necessario rifondare il centrocampo del PSG. E dalle scelte che saranno fatte in termini di guida tecnica (dando per scontato l’addio di Emery) e in sede di calciomercato, dipenderà probabilmente parte della futura carriera di Verratti, che è un centrocampista con caratteristiche precise, e necessita un contesto preciso, per poter essere determinante.

 

Possiamo dire che quest’anno il tecnico spagnolo abbia puntato tutto sul tridente Mbappé-Neymar-Cavani ed è stato evidente soprattutto nella prima parte di Champions League:

ne è un ottimo esempio. Ma la scelta di lasciare estrema libertà creativa ai tre davanti ha diminuito l’influenza in fase offensiva del resto della squadra: i centrocampisti servono principalmente a trasmettere palla ai due attaccanti esterni e a riciclare il possesso; i terzini si spingono in avanti solo quando Mbappé e Neymar si stringono.

 

Come altri prima di lui, Emery ha fatto l’errore di mettere la suprema esaltazione del talento illimitato a sua disposizione, davanti a un gioco di squadra con una più armoniosa distribuzione dei compiti.

 

Quella di costruire attorno a Verratti un centrocampo che ne esalti i punti di forza e ne oscuri i punti deboli potrebbe essere la strada giusta per rovesciare questa prospettiva e seguire il progetto di un maggiore equilibrio tra i reparti. L’ideale sarebbe un centrocampo a tre: se abbiamo imparato qualcosa nella sua avventura sotto la Tour Eiffel, è che Verratti è una mezzala di possesso. D’altronde, non è mai stato incisivo in zona gol e probabilmente non lo sarà mai, anche perché gli mancano i tempi di inserimento o la presenza fisica per essere pericoloso in questo senso.

 


Il gol per Verratti è una rarità. Quest’anno ne ha segnati due in Champions League, ma è ancora secco in Ligue 1.


 

L’ideale sarebbe affiancargli un giocatore che possa compensare queste lacune, uno che abbia, cioè, capacità di inserimento e presenza fisica in area. E che possa a sua volta beneficiare delle qualità del centrocampista italiano come uomo-assist (34 in totale, con la maglia del PSG).

 

Senza essere un giocatore estremamente verticale e in grado di garantire un certo numero di gol stagionali, Matuidi era una mezzala che si integrava abbastanza bene con Verratti, mentre Rabiot è un centrocampista a cui piace toccare spesso il pallone, essere al centro del gioco, ma che non è altrettanto presente in area di rigore (1 tiro ogni 90 minuti quest'anno, di cui 0,4 da dentro l’area).

 

La soluzione interna consisterebbe nel proseguire nello sviluppo di Draxler come mezzala, un giocatore che per quasi tutta la sua carriera è stato una specie di

. Sulla carta il tedesco possiede doti di verticalità e ottimi movimenti sulla palla, ma è poco costante e ci sarebbe da lavorare approfonditamente sulla fase difensiva, considerando che anche quando gioca largo il suo contributo senza palla è migliorabile.

 

Per fare un esempio astratto, in un mondo ideale per completare Verratti bisognerebbe mettergli vicino un giocatore come Milinkovic-Savic, che nella Lazio aveva inizialmente un ruolo da specialista che poi si è allargato sempre di più: un percorso tecnico-tattico che potrebbe ripetere anche nella sua prossima squadra, che non può che essere che una squadra del livello e con le risorse del PSG.

 

Un altro profilo, un’alternativa (relativamente) più economica, potrebbe essere rappresentata da N’Dombelé, centrocampista del Lione - ma in prestito dall’Amiens - atletico e diretto, che a un’incredibile capacità di dribbling unisce un’invidiabile presenza nell’ultimo terzo di campo. A quel punto Rabiot, che non è così influente in fase di rifinitura, potrebbe sistemarsi definitivamente davanti alla difesa, a patto che impari a portare meno il pallone e a prendere nei modi e nei tempi giusti tutte quelle piccole decisioni che servono per eccellere nel ruolo (Emery, ad esempio, lo ha bocciato in quel ruolo, nella seconda parte di stagione, riposizionandolo mezzala).

 

D’altronde il punto debole del centrocampo Draxler-Rabiot-Verratti era l’equilibrio e se la scelta fosse quella di proseguire con il tedesco nel ruolo, potrebbe essere necessario un ulteriore investimento davanti alla difesa, il cui profilo dipenderà molto dalle preferenze del prossimo allenatore.

 



Come detto, anche la scelta dell’allenatore potrebbe segnare anche una svolta più netta: è dai tempi di Blanc che il PSG flirta con un calcio che domina il pallone, che funziona contro gli avversari di Ligue 1, troppo inferiori, ma si è spesso rivelato fine a stesso in Champions League a causa di mancanze strutturali. Emery aveva portato in dote uno sviluppo offensivo più verticale, ma la squadra è gradualmente tornata alle vecchie abitudini, anche perché non ha mai proposto un pressing di alto livello, se non nel 4-0 al Barcellona dell’anno scorso. Emblematica in questo senso la partita di ritorno con il Real, con i tre centrocampisti molto, anzi troppo, vicini a passarsi la palla, perché impossibilitati a raggiungere Di Maria e Mbappé larghissimi e Cavani lasciato solo contro la difesa del Real Madrid. Già quando in panchina c’era Blanc e in attacco Ibrahimović

che il PSG risultasse disconnesso tra i reparti e di conseguenza proponesse un possesso lontano dall’essere incisivo e penetrante.

 

Ecco allora che potrebbe essere sensato un cambio di direzione nella scelta della prossima guida tecnica: invece di ingaggiare un allenatore per il suo curriculum, soprattutto a livello europeo, avrebbe più senso optare per un tecnico che abbia una filosofia chiara e un modello di gioco ambizioso quanto il progetto del fondo QSI (Qatar Sports Investments). Puntare su un allenatore che pratica un

puro, potrebbe finalmente valorizzare al massimo le abilità di Verratti: la sua visione di gioco, la sua capacità di passaggio, la resistenza al pressing, ma anche l’innata aggressività che da potenziale svantaggio potrebbe diventare un grande punto di forza in un contesto difensivo in cui la squadra vuole dominare le transizioni e difende in avanti oltre che in spazi più corti.

 


Questo invece è uno dei 3 assist realizzati da Verratti in Ligue 1 quest’anno (a cui ne vanno aggiunti 2 in Champions League). La sua capacità in fase di rifinitura non è - ancora - sfruttata a pieno, nonostante le evidenti, chiarissime, innegabili, qualità.


 

Un modello di gioco che si basi su questi principi potrebbe segnare una svolta anche nella sua comprensione del gioco: Verratti ha passato gli anni del suo sviluppo come calciatore vincendo grazie all’inesorabile superiorità della sua squadra, senza però aver dominato completamente sul piano tattico-strategico una squadra dello stesso spessore tecnico.

 

Di fatto, sono pochi gli allenatori che possiamo considerare seguaci di concetti tipici del

che siano testati al massimo livello: se escludiamo Guardiola, restano

e il disoccupato Tuchel. Per estensione, se sintetizziamo i principi del gioco di posizione come occupazione di specifiche zone di campo e una circolazione di palla atta a liberare i giocatori che occupano quelle stesse zone, potremmo inserire nella lista anche la rielaborazione verticale proposta da Conte, nome più volte rimbalzato in ottica PSG.

 

Il Chelsea (come aveva fatto anche 

) segue meccanismi di gioco quasi automatici, con sviluppi di gioco sistematici ed espliciti (pensiamo alla

). Conte potrebbe essere l’allenatore capace di esaltare le qualità dei calciatori, Verratti compreso, all’interno di uno spartito definito, cioè proprio ciò che è mancato fin qui al club parigino.

 

Tra l’altro, dopo l’infortunio che lo costrinse a saltare Euro 2016, sarebbe interessante vedere finalmente il centrocampista pescarese allenato da Conte a tempo pieno.

 



Ci potrebbe essere anche un’altra possibilità ancora inesplorata che nel bene o nel male, potrebbe segnare una svolta netta nella carriera di Verratti: il cambio di ruolo. Per sua stessa ammissione, fare il trequartista non gli si addice: «Per me è facile proteggere palla quando mi vengono a pressare, saltare l’uomo o cercare di vedere una giocata forse un altro non riesce a vedere. Ma è difficile quando punto una difesa, cercare di saltare l’uomo […]. Penso comunque che la mia posizione preferita sia a centrocampo. Mezzala o davanti alla difesa», ha detto a Daniele Manusia, in un’intervista del 2015 pubblicata da Rivista Undici.

 

Eppure, se si esclude la stagione della rivelazione, quella a Pescara con Zeman, Marco Verratti non ha praticamente mai giocato davanti alla difesa, soprattutto da solo. Una tendenza degli ultimi anni, è quella di avere mediani con caratteristiche particolari che rispondano ai requisiti di un calcio più veloce e con spazi più congestionati: in Serie A, ad esempio, c’è Lucas Torreira, ex-trequartista reinventato regista da Oddo, che ad oggi è tra i migliori centrocampisti della Serie A per l’abilità con cui smista e conduce il pallone. In Bundesliga, invece, tralasciando l’esempio Naby Keita, che è un caso più unico che raro di tutto-campista che dribbla come un’ala e recupera palloni a ritmi impensabili, Domenico Tedesco ha riconvertito con successo l’ex mezzapunta Max Meyer in posizione di mediano.

 


Ricominciare da capo?


 

Sono tutti esempi di giocatori brevilinei che non rinunciano a giocare in maniera semplice ma che diventano fondamentali per la loro capacità di resistere al pressing e favorire la fase di uscita, anche dribblando in settori di campo dove normalmente non sarebbe consigliato, per aprirsi spazi dove condurre palla o portare gli avversari fuori posizione e creare i presupposti per una verticalizzazione.

 

Giocare davanti alla difesa, renderebbe Verratti funzionale anche a un modello di gioco più diretto, che sfrutti la velocità di Mbappé e Neymar in transizione: chi meglio di lui può lanciarli nello spazio?

 

È vero che non è una sicurezza nei duelli difensivi (ha sempre vinto tanti contrasti, ma nonostante i progressi il numero delle volte che viene dribblato rimane preoccupante) e che andrebbe messa in conto qualche palla pericolosa persa, ma è altrettanto vero che accorciando lo spazio da difendere, o perché la squadra si alza di comune accordo o perché difende compatta più vicino alla porta, lo aiuterebbe a gestire meglio certe situazioni, adottando l’approccio più conservativo che si addice ad un mediano.

 

Non sono molti i giocatori con caratteristiche così limpide come quelle di Verratti, eppure anche un profilo così specifico può essere valorizzato con modalità diverse.

 

Senza più una vera candidata al suo acquisto (il Barcellona si è ormai defilato e al momento il 4-4-2 di Valverde non risponde più alle sue caratteristiche) molto dipenderà dal piano della dirigenza del PSG e, soprattutto, da quanto essa lo riterrà centrale per il proseguimento del proprio progetto. Si può dire che Marco Verratti, a 26 anni, abbia ormai smesso di crescere: sappiamo bene che tipo di giocatore è, cosa può dare alla sua squadra, ma la parte più importante della sua carriera resta ancora da scrivere.

 

 

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