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Andrea Lamperti
La Coppa d'Africa di Sébastien Haller
12 feb 2024
12 feb 2024
Il centravanti del Borussia Dortmund ha scritto il suo nome sul trionfo della Costa d'Avorio.
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Andrea Lamperti
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Sébastien Haller non aveva segnato neanche un gol nei tre mesi che hanno preceduto la semifinale contro la Repubblica Democratica del Congo, mercoledì scorso. L’ultimo gol in una gara ufficiale era arrivato sempre con la Nazionale, in un 9-0 alle Seychelles, come se non avesse davvero interrotto il digiuno di mesi, tuttora in corso, con la maglia del Borussia Dortmund. Chissà se lo stesso Haller si ricorda di quel rigore oggi, che nessuno può rinfacciargli di non aver segnato gol importanti.

Haller ha incarnato il sogno di chiunque abbia mai indossato la maglia della Costa d’Avorio. Prima la firma in semifinale (1-0), poi il gol con i tacchetti per completare la rimonta contro la Nigeria (2-1): le due reti che hanno forgiato il trionfo degli "Elefanti", per la prima volta davanti al proprio pubblico, riscattando il flop del 1984 e vincendo il trofeo per la terza volta. Un collettivo momento di riscatto che unisce diverse storie toccanti. È la rivincita di una Nazionale che nell’ultimo mese ha attraversato una serie surreale di drammi e resurrezioni, culminata in una finale ribaltata nell’ultima mezz’ora; la rivincita di un Paese che ha accolto questa edizione della Coppa d’Africa come la fine di un lungo incubo; la rivincita di Sébastien Haller, tornato in campo poco più di un anno fa dopo la diagnosi di un tumore ai testicoli.

La malattia gli era stata diagnosticata nel luglio 2022, dopo uno dei primi allenamenti da neoacquisto del Dortmund. Lo aveva scoperto accasciandosi a terra durante un allenamento, per un malore. Duecento giorni esatti dopo, il 22 gennaio 2023, era sceso in campo per la prima volta con la maglia giallonera. Sugli scarpini aveva scritto: FUCK CANCER.

Le immagini immediatamente successive al triplice fischio di ieri sera sono intrise di tutti questi ricordi, vicini e lontani. Oltre che di una gioia incontenibile: in campo, quella di Franck Kessié, ancora decisivo con il gol dell’1-1; di Max Gradel, che non ha dimenticato di ringraziare il Marocco per il favore nei gironi; e del CT Emerse Faé, cui sarà difficile sottrarre il record di primo allenatore a vincere la Coppa d'Africa subentrando a torneo in corso. Una forza che ha travolto anche gli spalti, dove sono riusciti a stare fermi un compiaciuto Alassane Ouattara, presidente del Paese cui è intitolato lo stadio, e un Didier Drogba onnipresente e in perenne sofferenza. Con buona pace della Nigeria e dei suoi tifosi, insomma, possiamo trovarci tutti d’accordo - come direbbe impropriamente Mara Venier – sulla “recensione” con cui archiviamo questa Coppa d’Africa: ha avuto un lieto fine, forse l’epilogo perfetto.

Anzi: l’epilogo quasi perfetto, perché in un mondo ideale la rovesciata tentata da Haller al 73’ avrebbe baciato il palo e trovato il fondo della rete, diventando l’instant classic per eccellenza della competizione (e la riedizione aggiornata del suo gol più bello con la maglia dell’Eintracht, nel 2017).

L’atto conclusivo del torneo è stata una delle sue partite più emozionanti, che metteva di fronte due delle favorite iniziali: una finale non scioccante sulla carta, ma figlia di un mese in cui l’imponderabile è diventato parte della quotidianità. Dalla cavalcata di Capo Verde alla “finalina” tra Sudafrica e Repubblica Democratica del Congo, passando per il flop delle due favorite della vigilia, Marocco e Senegal, e per partite da cui dobbiamo ancora riprenderci (Gambia-Camerun 2-3) o che dobbiamo ancora razionalizzare (Costa d’Avorio-Guinea Equatoriale 0-4). In ogni caso, ricorderemo per sempre questa Coppa d’Africa come la Coppa d'Africa di Haller.

Per il gol contro la Repubblica Democratica del Congo, innanzitutto. Il cross dal fondo parte dal destro di Gradel, Haller si prepara per la volée e la coordinazione per concludere verso la porta, anche se non in modo pulito, è notevole. Il resto lo fa una fortunosa traiettoria “schiacciata” a terra.

Il gol di ieri è stato se possibile ancora più bello. Cross vincente dal mancino di Adingra, ricerca del puntuale taglio sul primo palo, gol che vale la Coppa d'Africa. Un mix di istinto ed elasticità, pensato in un millesimo di secondo ed eseguito ancora più velocemente.

Ad accomunare questi gol ci sono tre elementi. Il primo, ovvio, è il peso specifico: uno al 65’ di una semifinale bloccata sullo 0-0, l’altro è un championship point a dieci minuti dal termine. Il secondo è l’effetto-sorpresa, restituito da quell’istante di ritardo nelle sue stesse esultanze (come sempre contenute): sono due gol e tocchi di palla molto diversi tra loro, ma in modo simile inattesi e sorprendenti per i portieri, e per lo stesso Haller. Il terzo è la componente acrobatica, squisitamente estetica: se ieri è stato un colpo di taekwondo di zlataniana memoria, anche l’altezza cui ha colpito quel cross in semifinale, in equilibrio precario e con le spalle alla porta, aprendo un compasso che ha attraversato mezza Abidjan, non è cosa scontata, soprattutto per uno che porta a spasso quel corpo di 190 centimetri. Forse, anche il trascorso nelle arti marziali (judo) gli è d’aiuto in circostanze del genere, a proposito di Ibrahimovic, di ex attaccanti dell’Ajax e di gente da cui potete aspettarvi di tutto nello spazio aereo.

Déjà-vu?

Il nono e il decimo gol di Haller in carriera con la maglia degli "Elefanti", così, sono diventati immediatamente parte della storia della Nazionale, e, di riflesso, dei ricordi di questi giorni di festa che conserveranno le giovani generazioni di Abidjan, dove l’età media è inferiore ai 18 anni e il calcio di strada è un’istituzione.

Prima della maggiore età, Haller aveva già segnato 12 reti con la maglia della sua Nazionale. Che nelle categorie giovanili, però, era quella francese. Nato a Parigi da madre ivoriana e padre transalpino, è nella capitale francese che Haller ha mosso i primi passi su un campo da calcio, prima di gettare le fondamenta per una carriera da professionista con l’Auxerre. È con la maglia della Francia che si è messo in mostra a livello internazionale, attirando l’attenzione dell’Utrecht di Ten Hag, dove si trasferirà nel 2015. Si era fatto notare già anni prima, nell’UEFA European Under 17 Championship del 2011, con cinque gol in sei partite; o poco prima nei Mondiali Under 17, in cui potete curiosamente trovarlo nell’undici titolare schierato contro la Costa d’Avorio. Che diventerà effettivamente la sua Nazionale solo a partire dal 2020.

«Non penso sia solo una questione di dove sei nato, ma anche di quello che senti», ha raccontato in una recente intervista per CNN, «ma ricordiamoci che si parla solo di calcio. Io sento l’appartenenza a entrambi i Paesi, ed è come se dovessi scegliere una parte di me: in questo momento della mia vita, la Costa d’Avorio mi è sembrata la scelta giusta». Difficile dare torto a chi oggi è in copertina di tutti i quotidiani sportivi del continente, e non solo.

Eppure, Haller è arrivato ad Abidjan con un fastidio al ginocchio e tante incognite sull’effettiva disponibilità nella competizione: è rimasto ai box per tutta la preparazione e la fase a gironi, subentrato a partita in corso negli ottavi e nei quarti, partito titolare solo dalla semifinale, evidentemente non al 100%. Il tutto, non certo nel momento più brillante della sua carriera. Come detto, fatta eccezione per la rete con le Seychelles e per una doppietta contro una squadra di quarta categoria tedesca (in DFB-Pokal), l’ultima volta che Haller aveva festeggiato un gol risale allo scorso maggio. Non un brutto periodo per il numero 9, quello: ne aveva segnati cinque nel giro di tre partite, ritrovando la confidenza con la porta dei giorni migliori e sfornando anche tre assist nella volata per il titolo del Borussia Dortmund. Sembrava il preludio di un trionfo, e invece si è rivelato uno psicodramma collettivo, anticipato in qualche modo dal rigore sbagliato dallo stesso Haller.

Prima di quel pomeriggio, di quel 2-2 con il Mainz, aveva sbagliato una sola volta su 28 dagli undici metri. Proprio quel rigore: da impazzire, a pensarci. Sébastien se ne è fatto presto una ragione: lui stesso dopo ha ricordato l'importanza di “non lasciarsi sopraffare dalle cose negative”, “di non smettere di crederci”. Sembravano frasi fatte, retorica, fino a quando Haller non ha sfiorato la palla con i tacchetti del suo scarpino, arrivando con il piede dove io e te, mio caro lettore, non arriveremmo nemmeno con la testa.

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