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Daniele Manusia
Tutte le volte che è morta la Costa d'Avorio
06 feb 2024
06 feb 2024
Racconto del suo incredibile percorso in Coppa d'Africa.
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Daniele Manusia
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IMAGO / ZUMA Wire
(foto) IMAGO / ZUMA Wire
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Originariamente, nella cultura vudù uno zombi era un morto resuscitato da uno stregone, sotto il suo controllo e privo di volontà. La “zombificazione” prevede la riduzione di una persona in uno stato catalettico per effetto di una neurotossina estratta da un pesce palla - come quello che in Giappone si mangia a proprio rischio e pericolo, per la presenza di tetrodotossina che il cuoco deve essere abile ad estrarre lasciandone una dose davvero minima per avere un effetto eccitante - la persona veniva poi seppellita in una bara ed entro un certo limite di tempo, affinché non morisse veramente asfissiata, disseppellita e rianimata con un antidoto. I danni subiti al cervello e al sistema nervoso nel frattempo la lasciavano in uno stato non del tutto umano, oltre a procurargli la necrosi di lingua e palato. Nelle interpretazioni successive date dalla cultura occidentale gli zombi sono dei morti viventi, dei cadaveri semidecomposti che, non per forza sotto l’influsso di uno stregone, ma piuttosto infettati da un virus, si nutrono di carne umana alla disperata (dal nostro punto di vista, perché gli zombi sono per definizione privi di emozioni e pensiero) ricerca di quella vitalità che manca loro. Les Revenants, vengono anche chiamati in francese.Les Revenants è il modo in cui (stando al racconto di Jonathan Wilson direttamente da lì) viene chiamata la squadra della Costa d’Avorio dopo che ha sfiorato l’eliminazione nel girone, e poi di nuovo negli ottavi di finale, e poi di nuovo nei quarti. Finendo sotto terra e dissotterrandosi ogni volta. La dichiarazione di Franck Kessié: «Un fantasma non può avere paura», in realtà parlava proprio di revenant. Sono gli zombie a non avere paura. La Costa d’Avorio non è una squadra fantasma, ma semmai una squadra zombie, morta e risorta e che va avanti per inerzia nutrendosi dell’energia delle sue avversarie. C’è un punto, però, in cui l’orrore inizia a diventare poetico e in cui il pubblico, dapprima disgustato, poi incredulo, inizia a tifare per gli zombi.La prima volta che è morta la Costa d’AvorioRiassunto delle puntate precedenti per chi si fosse perso l’incredibile percorso della Costa d’Avorio nella Coppa d’Africa (CAN) ospitata in casa, per cui ha speso quasi un miliardo di euro. Cominciata a dire il vero nel migliore dei modi, con una vittoria per 2-0 con la Guinea Bissau (l’unico deluso, il tifoso che nel reportage di Liberationdiceva di voler scommettere sul 5-0). La seconda partita con la Nigeria sembrava già una sfida per il primo e per il secondo posto e la sconfitta per 1-0 che ne è venuta fuori (rigore di Troost-Ekong dopo un fallo a centro area su Osimhen, un contrasto ingenuo con Diomandé arrivato un attimo in ritardo rispetto al centravanti del Napoli, che comunque non avrebbe controllato la palla) non sembrava neanche particolarmente indicativa di niente, sicuramente non faceva presagire la catastrofe che stava per succedere. Alla Costa d’Avorio bastava un pareggio contro la Guinea Equatoriale per qualificarsi quanto meno tra le migliori terze, e una vittoria per arrivare seconda, e per questo ha iniziato la partita spingendo con prepotenza. Si è ritrovata però sotto di un gol a cinque minuti dalla fine del primo tempo, senza sapere bene come. Quando Emilio Nsué ha bruciato Singo calciando in modo sporchissimo sul secondo palo (la palla che passa tra le gambe di Singo al rallentatore) Jean-Louis Gasset, l’allenatore settantenne della Costa d’Avorio, storico vice di Laurent Blanc senza alcuna esperienza di calcio africano prima di questa coppa, si è portato le mani sul cappellino e si è girato verso la panchina come se avesse visto un incidente. La regia è andata subito su Didier Drogba in tribuna, depresso, svuotato di ogni emozione, già zombificato.

Qualcuno rianimi Didier Drogba.

Erano ancora sotto di un solo gol ma c’era chiaramente aria di psicodramma. Sullo 0-0 Pepé era arrivato da solo davanti al portiere avversario ma non era riuscito a saltarlo, prima dell’intervallo (dopo il gol di Emilio Nsué) invece era stato Sangaré a pareggiare su torre di Fofana, ma era in fuorigioco. Sempre Sangaré a inizio secondo tempo ha sbagliato da pochi passi, la posizione era angolata ma lui ha sparato talmente alto che c’era qualcosa di strano nel suo errore. Quasi nell’atto stesso di calciare in porta Sangaré si porta le mani alla testa e crolla in ginocchio. Subito dopo Kuamé, servito da a un avversario che voleva togliere palla a Fofana al limite dell’area, si ritrova davanti a Jesus Ovono, il portiere, ma non riesce a non calciargli addosso. Dato, appunto, che c’era aria di psicodramma, la Costa D’Avorio si è sbilanciata sempre più in avanti. Gasset ha fatto entrare praticamente tutti gli attaccanti che aveva in panchina ma dopo un altro gol annullato - a Krasso che prima di calciare a giro di sinistro rasoterra aveva controllato il pallone con un piede in fuorigioco - è arrivato il crollo vero e proprio. Il secondo gol di Pablo Ganet, con una splendida punizione. Poi il terzo e il quarto. Questa è la prima volta che è morta la Costa d’Avorio.

Le occasioni incredibilmente fallite. Incredibilmente? Magicamente?

L’autorevole quotidiano francese Le Mondeha riportato i seguenti fatti. Dopo la sconfitta con la Guinea Equatoriale - anzi, durante la sconfitta con la Guinea Equatoriale, prima ancora che la partita finesse - alcuni ivoriani se la sono presa con un piccolo villaggio a un’ora e mezza di viaggio da Abidjan, chiamato Akradio. Così mentre dalle parti dello stadio qualcuno vandalizzava macchine e autobus, ad Akradio scoppiava una piccola sommossa. Lì vive una comunità di stregoni che nel 1992 avrebbe propiziato con un rito la vittoria della prima CAN ivoriana e che, oggi, sarebbe colpevole di aver venduto la partita agli spiriti maligni. La protesta è sfociata nell’incendio di un chiosco di legno e nella ricerca in particolare di una signora di settant’anni che, ritrovata poi dalla polizia sana e salva, ha confessato di aver in effetti influito sul risultato della partita.Tutto è tornato al proprio posto quando un rappresentante del villaggio ha letto un comunicato in cui ha assicurato che avrebbero chiesto agli spiriti di “rimettere le cose al proprio posto, facendo qualificare gli Elefanti agli ottavi di finale e poi vincere la CAN 2024”. Il che, in effetti, spiega quello che è successo dopo.La seconda volta che è morta la Costa d’AvorioCon solo 3 punti in classifica e una differenza reti tremenda (-3) la Costa d’Avorio aveva pochissime speranze nonostante il format prevedesse il passaggio del turno di quattro su sei delle squadre classificate come terze nel loro girone. Solo due, cioè, tra le terze in classifica, non si qualificavano. La Costa d’Avorio quindi aveva bisogno di due squadre che facessero peggio di lei, arrivando terze con meno di 3 punti o con una differenza reti peggiore della sua. Le cose hanno iniziato a “tornare al proprio posto” quando il giorno dopo la sconfitta con la Guinea Equatoriale è arrivato il pareggio del Ghana, che al 90esimo era in vantaggio di due gol con il Mozambico e ha subìto due gol nel recupero pareggiando 2-2 e finendo il girone con 2 punti. Il primo gol è nato da un rigore del tutto casuale, una palla vagante in area, crossata con una specie di rovesciata da un giocatore del Mozambico sul braccio di André Ayew a pochi passi di distanza (Ayew leggenda della squadra che aveva segnato sempre su rigore i due gol del Ghana in quella partita). Il secondo gol lo hanno preso all’azione immediatamente successiva alla rimessa in gioco, su un calcio d’angolo in cui tutti i dieci giocatori ghanesi erano in area di rigore ma, nonostante ciò, la palla l’ha presa il difensore dell’Atletico Madrid Reinaldo, mettendola sotto l’incrocio più lontano, lenta lenta, in modo che il cuore dei ghanesi avesse il tempo di rompersi in più pezzi possibile prima che la palla entrasse in porta. Una squadra, così, era andata. La Costa d’Avorio a quel punto ha dovuto aspettare l’ultima partita in assoluto dei gironi, quella tra Marocco e Zambia, per sapere del proprio destino. Se lo Zambia avesse pareggiato non ci sarebbe stato niente da fare e il Marocco era già matematicamente qualificato, con la quasi certezza del primo posto anche in caso di pareggio. La tensione era talmente alta che prima ancora che quella partita si giocasse - il Marocco ha vinto 1-0 lasciando lo Zambia, terzo, con solo 2 punti - la federazione ha esonerato Gasset, mettendo la squadra in mano a Emerse Faé, la cui massima esperienza come primo allenatore risale a quando, tre anni fa, ha allenato la squadra delle riserve del Clermont-Ferrand nella quinta divisione del sistema francese. Il presidente Yacine Idriss Diallo sperava di convincere la federazione francese a “prestargli” Hervé Renard, con cui la Costa d’Avorio ha vinto la CAN nel 2015 e che in quei giorni era stato avvistato allo stadio, proprio per guardare la sua ex squadra, sempre abbronzatissimo e bello come il sole, foderato in una magnifica e attillatissima camicia leopardata. Attualmente, però, Renard allena la nazionale femminile francese. Quella di Diallo era un’idea talmente strana che per un attimo ci abbiamo sperato.La Costa d’Avorio è passata grazie al gol di Ziyech e per le strade di Abidjan e Yamassoukro la gente ha iniziato a gridare “grazie Marocco”. Ma come peggiore terza ha pescato la squadre campione in carica, il Senegal di Sadio Mané, e dopo neanche 4 minuti - per la precisione dopo 3 minuti e 13 secondi - è andata sotto di un gol. Proprio Mané ha ricevuto un fallo laterale vicino alla linea di fondo, sulla fascia sinistra, un pallone apparentemente innocuo che ha controllato a malapena prima che uscisse, così apparentemente innocuo che Serge Aurier non lo ha seguito neanche preferendo fermarsi per dare istruzioni a un compagno (in effetti Aurier sembra essere l’allenatore ombra della Costa d’Avorio da quando c’è Faè da solo in panchina), lasciando che Mané crossasse al centro dell’area. Seri non ci è arrivato di testa (è alto meno di un metro e settanta in effetti) e dietro di lui Habib Diallo, il centravanti del Senegal, ha controllato di petto prima di scaricare un missile di sinistro sotto la traversa. Questa è la seconda volta che la Costa d’Avorio è morta.

C’è persino chi si mette a ridere dopo il gol subito e l’autoironia è la tappa che viene dopo la disperazione di ogni tifoso.

In quei 3 minuti e 13 secondi di inizio partita la Costa d’Avorio non aveva praticamente toccato palla, come era normale aspettarsi, e se fosse continuata così nessuno ci avrebbe visto niente di strano: il Senegal aveva vinto il girone con tre vittorie, sette gol fatti e nessuno subito, era la squadra più in forma del torneo e non c’era ragione di pensare che potesse aprirsi qualche crepa nella sua solidità (salvo credere agli spiriti). Eppure la Costa d’Avorio è rimasta in partita fino alla fine. Sadio Mané è andato vicino al secondo gol - quello che di solito si chiama “un rigore in movimento”: passaggio e conclusione dal dischetto, che Mané incrocia troppo facendo passare la palla vicino all’incrocio - e a inizio secondo tempo Ismaila Sarr entrando in area si era quasi conquistato un rigore, ma il contatto con Odilon Kossounou era troppo leggero - aiutino degli spiriti oppure, a pensar male, della terna arbitrale, anche se a dire la verità il fallo, se c’è, è difficile da vedere persino al replay. E insomma la Costa d’Avorio è arrivata a dieci minuti dalla fine con un solo gol di svantaggio. Nel secondo tempo Faè aveva fatto entrare in campo Sebastien Haller che, pur non al massimo della forma, aveva migliorato il gioco ivoriano e che, appunto a dieci minuti dalla fine, da sinistra ha tagliato una bella palla filtrante per Kouamé. Kouamé non controlla, anzi la liscia proprio, ma quando le cose ti devono andar bene… dietro di lui si infila Pepé che salta il portiere e viene abbattuto. Il rigore lo calcia Kessié, inizialmente messo in panchina da Faè. La Costa d’Avorio resuscitata ha portato il Senegal ai rigori dove un errore del difensore Niakhité, che ha calciato sul palo, e quello decisivo segnato di nuovo da Kessié hanno regalato la vittoria, a dir poco inaspettata, alla Costa d’Avorio. Per rendere l’idea della portata del dramma, del potere distruttivo degli zombi ivoriani: Lamine Camarà, ventenne del Metz che in questa CAN ha segnato una bellissima doppietta contro il Gambia, non ce la faceva a uscire dal campo camminando per quanto era distrutto. Lo ha portato fuori un compagno, in braccio. La terza volta che è morta la Costa d’AvorioMa il vero capolavoro la Costa d’Avorio lo compie contro il Mali, nei quarti di finale. Giocata né ad Abidjan, capitale economica, né a Yamoussoukro, capitale politica, ma a Bouaké, città del nord a maggioranza islamico e, ai tempi della guerra civile, capitale dei ribelli, in uno stadio per questo chiamato Stade de la Paix. Contro un Mali che aveva passato il proprio girone da primo, pareggiando con Tunisia e Namibia dopo aver vinto all’esordio con il Sudafrica. Ai quarti aveva eliminato il Burkina Faso, segnando un gol dopo due minuti del primo tempo e un secondo gol dopo un minuto del secondo. Il Burkina Faso ha segnato il 2-1 su rigore e poi gli è stato annullato il 2-2 allo scadere per fuorigioco, ma il Mali aveva confermato l’impressione di generale solidità e, neanche a dirlo, partiva favorito contro la Costa d’Avorio.Il primo tempo della Costa d’Avorio contro il Mali è stato un disastro ma, per quanto è stato disastroso, sarebbe potuto andare peggio di come è andato. Dopo dieci minuti un primo rigore per fallo di mano di Kossounou è stato tolto dal Var per fuorigioco di rientro del giocatore che calciava in porta, ma ne sono bastati altri cinque al Mali per infilare di nuovo la difesa ivoriana e a Kossounou per stendere in area Sinayoko. Sul dischetto è andato Adama Traoré (da non confondere con l’omonimo spagnolo che si unge le braccia muscolose di olio per bambini così da scivolare ai difensori) che ha calciato dal lato di Fofana. Sopravvissuta a due rigori, uno tolto e uno parato, la cosa peggiore successa alla Costa d’Avorio nei primi 45 minuti è l’espulsione di Kossounou - che con il Leverkusen sta facendo benissimo, ma che avrebbe fatto meglio a fingersi malato prima della partita del Senegal - ubriacato ancora una volta dalle finte di un avversario, Kamary Doumbia, che stavolta quantomeno ha sdraiato prima di entrare in area.

Kamary Doumbia decisamente troppo felice per l’espulsione di Kossounou. Sembra uno di quei personaggi che negli horror pensa di aver ucciso il cattivo ma noi sappiamo che manca ancora mezz’ora di film.

Faè risistema la Costa d’Avorio con un 5-3-1 che, neanche troppo paradossalmente, la migliora in fase difensiva. Tutto sommato nel secondo tempo non rischia molto prima di subire il gol di Nene Dorgeles, 21enne figlio di genitori ivoriani entrato in campo una decina di minuti prima di calciare sotto l’incrocio un pallone da venticinque metri di distanza. Non è raro che ci siano intrecci familiari tra i due paesi “fratelli” (anche se in passato ci sono state tensioni); Erik Chelle, l’allenatore maliano, e Bissouma sono nati in Costa D’Avorio, mentre i genitori di Seko Fofana sono maliani. Nene ha iniziato a esultare ma si è subito fermato, alzando le braccia in segno di scusa. Questa è la terza volta che la Costa d’Avorio è morta.

Ricordate: mai chiedere scusa a uno zombie, neanche se è un vostro lontano parente.

In generale era un finale un po’ triste, considerando tutto quello che aveva passato la Costa d’Avorio. Perdere con un gol preso da lontano dopo aver resistito più di un tempo intero in dieci contro undici. E forse è proprio qui che l’orrore della storia di zombi diventa poesia, perché la Costa d’Avorio non ci sta e anzi reagisce. Faè mette dentro prima Simon Adingra e poi Oumar Diakité, due attaccanti ventenni (rispettivamente 2002 e 2003), con quest’ultimo che va vicino al pareggio colpendo di spalla un calcio d’angolo sul secondo palo. Il pareggio è arrivato subito dopo, nel 90esimo minuto di gioco esatto, con un tiro da fuori di Seko Fofana che ha rimbalzato sul numero 5 maliano, Kouyaté, e poi su Adingra, che aveva iniziato l’azione partendo in slalom da destra prima di appoggiare a Fofana e che poi è rapido a calciare in scivolata anticipando il ritorno di Kouyaté e la chiusura di un altro difensore, Mamadou Fofana.Nei tempi supplementari la Costa d’Avorio, ancora sporca di terra e con il sapore della tetrodotossina in bocca, continua a resistere e non sembra più avere un uomo in meno, mentre il Mali per converso inizia a pensare che forse gli spiriti gli si sono rivoltati contro. Prima la Costa d’Avorio pressa in alto il Mali, recupera palla e prende la traversa con Sebastien Haller, saltato un metro più in alto del difensore che lo marcava. Poi, quasi alla fine dei secondi quindici minuti, va vicina all’autogol con una deviazione di Boly su un cross basso che sfila a pochi centimetri dal secondo palo (e dietro Boly c’era Singo, che forse l’avrebbe messa direttamente dentro la porta).Subito dopo il 120esimo, nel primo e unico minuto di recupero concesso dall’arbitro, Diakité si conquista un fallo sulla fascia destra. Adingra batte la punizione, la difesa del Mali mette fuori, Seko Fofana calcia ancora una volta da fuori, al volo, una mezza ciabattata che arriva addosso proprio a Diakité che ha ancora una volta la bravura, la furbizia, la genialità, di deviarla di tacco quel che bastava a ingannare Djigui Diarra, il portiere, e il difensore che aveva alle spalle, sempre Mamadou Fofana.

Presto, qualcuno rianimi Seydou Doumbia.

La partita riprende due minuti e mezzo dopo e scoppia subito una mezza rissa perché forse qualcuno del Mali ha colpito Sebastien Haller mentre la palla era lontana. Diakité nel frattempo è stato espulso per doppia ammonizione, perché si è tolto la maglia dopo il gol e si è fuso con il pubblico dietro la porta in un’unica massa di gioia. Erik Chelle, una specie di sosia di John travolta con gli occhi forse persino più azzurri di quelli di John Travolta, prima bacia in fronte un giocatore, o forse un membro dello staff, sussurrandogli qualcosa, recitando forse una formula magica. Poi sembra piangere, poi si calma di nuovo e guarda il campo come io guarderei l’asteroide all’orizzonte un attimo prima dell’impatto con il pianeta Terra.La partita riprende con il portiere del Mali che batte una punizione a metà campo, Haller devia di testa e la palla finisce sulla fascia sinistra d’attacco, il Mali conquista un angolo ma l’arbitro fischia la fine facendo impazzire i maliani. Hamari Traoré, terzino della Real Sociedad e capitano del Mali, è così aggressivo che l’arbitro - lui invece un sosia di Dr. Evil, il cattivo di Austin Powers, lo spinge con entrambe le mani sul petto, e poi lo espelle.Erik Chelle a quel punto crolla, forse si sente poco bene e qualcuno per raffreddarlo gli versa una bottiglietta d’acqua in testa. Poco dopo in conferenza stampa mostrerà tutto il limite delle parole in casi come questi, definendo la situazione come «difficile da incassare».

Jay Harris su The Athletic ha raccontato che nelle strade della Costa d’Avorio ancora dopo il gol di Diakité qualcuno gridava “Grazie Marocco”. Marocco che nel frattempo è stato eliminato dal Sudafrica, mentre la Costa d’Avorio continua a essere in corsa. Sempre più viva, qualcosa di più del cadavere ambulante di due partite prima. Forse più che a uno zombi dovremmo pensare a Voldemort quando, nel primo libro di Harry Potter, si rifugia nella Foresta Proibita tenendosi in vita col sangue argenteo degli unicorni, aspettando di tornare abbastanza in forze per poter sferrare un nuovo attacco e uccidere Potter. Se non ricordo male gli unicorni di cui si è nutrito Voldemort erano due - Senegal e Mali, se vogliamo approfondire la metafora, il che significa che adesso la Costa d’Avorio è tornata sufficientemente in sé da poter legittimamente ambire a quello che era il suo obiettivo di partenza: la vittoria della coppa. In fin dei conti mancano solamente altre due partite...Certo, prima non aveva paura di niente perché non c’era neanche niente da sperare. Il 4-0 subito dalla Guinea Equatoriale sembrava il loro Maracanazo, una sconfitta epocale, un’onta impossibile da lavare. Una settimana dopo, però, è quasi un ricordo lontano e adesso la Costa d’Avorio, che ha trovato una sua nuova identità come squadra a pezzi, diabolica, disperata, giocherà in semifinale contro la Repubblica Democratica del Congo - che da parte sua è arrivata fino a qui vincendo solo una partita delle cinque giocate, il quarto di finale con la Guinea - con uno spirito diverso, se non da favorita assoluta quanto meno con il pensiero che in fin dei conti il peggio è passato e che la finale (con una tra Nigeria e Sudafrica) è a portata di mano.E chissà che qualcuno non inizi a pensare che non si stava poi così male vivendo da zombi.

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