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Guida ai quarti di Copa América
27 giu 2019
27 giu 2019
Inizia la fase a eliminazione diretta, quella più divertente.
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15 min
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Trent’anni fa, nell’ultima edizione giocata in Brasile prima di quella in corso, la formula della Copa América non prevedeva gare a eliminazione diretta: da due gironi composti da cinque squadre ciascuno usciva fuori un nuovo minigirone in cui le migliori due (Paraguay e Argentina da una parte, Uruguay e Brasile dall’altra) si scontravano in gare di sola andata. Tutto questo per dire che quella che è passata alla storia come la finale di Brasile 1989, la rivincita del Maracanazo tra Uruguay e Amarelha, in realtà è stata solo contingentemente la partita che ha assegnato la Copa (perché, cioè, non era una finale ma una partita da 3 punti: vinse il Brasile con un gol di Romario dopo una bella azione di Mazinho sulla fascia).

La nostalgia è uno dei motori retorici di questa (di ogni?) Copa América: oggi il tabellone torna a mettere la Celeste, in proiezione, sulla strada del destino dei padroni di casa, evocando una mistica che è sempre una garanzia. Le squadre di Tite e Tabárez hanno confermato i pronostici dimostrandosi organizzate e attrezzate per arrivare fino in fondo, forse le due compagini più solide, senza tentennamenti viste finora nel torneo. Ma questo è il Sudamerica, bellezza: il luogo in cui l’unica certezza è che certezze sono fatte per essere smentite.

Cosa ci hanno detto, finora, le partite giocate nella fase a gironi? Su chi dovremmo puntare gli occhi? Cosa ci dobbiamo aspettare? Intanto qua c’è il tabellone:

https://twitter.com/CopaAmerica/status/1143351545842601992

Brasile: Everton deve raccogliere l’eredità di Neymar

Vs Paraguay. Possibilità di accedere alle semifinali: 80%

A distanza di tre anni si sta materializzando, nel Brasile, una narrativa simile a quella della Canarinha (la Nazionale brasiliana ha molti soprannomi) che vinse l’oro olimpico. Allora, in una squadra decisamente di un’altra dimensione rispetto alle avversarie, uno spento Felipe Anderson venne sostituito da un semisconosciuto Luan, che si prese sulle spalle le redini dell’attacco con Neymar, imprimendo un cambio di marcia devastante e decisivo. Oggi, in assenza di O’Ney, a beneficiare dello Slot Provvidenza™ è Everton.

Detto “Cebolinha” in onore del personaggio di un fumetto, Everton è il ventitreenne attaccante del Gremio, l’unico dell’undici titolare ad oggi a giocare ancora in Brasile. Ha segnato il suo primo gol per la Seleçao 4’ dopo l’ingresso in campo nella gara inaugurale con la Bolivia: prima di allora aveva giocato poco più di 200 minuti in Nazionale. Con il Perù, poi, partendo da titolare, ha segnato un gol e fornito un assist.

Everton è l’attaccante perfetto per la squadra di Tite: disequilibrante senza essere funambolico, devastante sui ritmi della transizione offensiva partendo da una posizione esterna, rapido e con i cambi di passo e di velocità nel suo DNA. Finora non ha sbagliato praticamente niente: ha fallito solo 4 dribbling su 24; il 50% dei suoi tiri (6) è finito in porta; il 75% di quelli in porta dentro la rete.

Ovviamente la Seleçao è soprattutto ciò che ruota attorno a Everton: il miglior attacco, la miglior difesa (insieme a quella della Colombia, imbattuta), uno dei centrocampi più talentuosi mai avuti (con Casemiro e Arthur dietro a Coutinho; in panchina Allan, Fernandinho) e un attacco pieno di jolly con cui far saltare il banco (Gabriel Jesus, Richarlison, David Neres, oltre al titolarissimo Firmino).

Eppure, nella sfida al Paraguay dei quarti, tutti gli occhi saranno su Everton, personaggio perfetto per la saga del calciomercato di cui ogni Copa América costituisce sempre un prequel. Dopo l’Olimpiade, Luan decise di resistere alle sirene europee, chissà se Cebolinha sarà altrettanto ferreo.


Paraguay: l’underdog più underdog di tutti

Vs Brasile. Possibilità di accedere alle semifinali: 20%

Il Paraguay di Eduardo Berizzo si è qualificato come migliore terza con 2 punti, e senza aver mai vinto. Ok, non aveva un girone facile ed era pronosticabile il piazzamento, ma non che si facesse rimontare due gol dal Qatar nella partita inaugurale, con il “Toto” che si è abbandonato a uno scorbutico sfogo bolivariano-revanscista che magari non ha fatto innalzare le sue quotazioni ma almeno rende fede al personaggio, perfetta sinestesia dei giocatori che guida.

Nella sfida più delicata del girone, però, quella con l’Argentina, Berizzo ha snocciolato tutti i grani del suo rosario (gioco di parole fortemente voluto) bielsista: il suo 4-2-3-1 prendeva spesso le conformazioni del mitico 3-3-3-1 del “Loco”, con il ventunenne Arzamendia libero di alzarsi in fase di costruzione all’altezza dei centrali di centrocampo e Piris ad aiutare i centrali di difesa, tra cui un Gustavo Gómez fondamentale dal momento del suo rientro contro l’Albiceleste.

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Foto di Wagner Meier/Getty Images.

Le altre due mosse che si sono rivelate vincenti, e che potrebbero creare qualche grattacapo alla difesa del Brasile in contrattacco, sono state quella di Almirón e Derlis González larghi sulle fasce con libertà di accentrarsi; e la sostituzione del “Ropero” Santander con Óscar Cardozo, rediviva punta centrale più associativa, in manovra, del bolognese.

La partita con l’Argentina è finita 1-1 e la sconfitta con la Colombia non è bastata a eliminare la squadra di Berizzo che adesso ha l’ultima occasione per diventare la vera sorpresa di questa Copa America. A differenza del più grande Paraguay dei tempi moderni, quello che si spinse fino ai supplementari degli ottavi della Coppa del Mondo di Francia 98, che puntava tutto sulla tenuta difensiva, l’Albirroja di Berizzo è una squadra alla quale non prestare mai il fianco, perché la sua miglior difesa è l’attacco: con il Brasile ha pochissime possibilità, ma alzi la mano chi non dava i guaraní per spacciati anche contro l’Argentina.


Venezuela: e se Dudamel stesse nascondendo le carte migliori?

Vs Argentina. Possibilità di accedere alle semifinali: 40%

C’è una relazione perfetta e proporzionale tra l’escalation della Vinotinto e la recrudescenza della situazione politica e sociale del Venezuela, che davvero non sappiamo cosa augurarci. Dudamel, il profe, in ogni caso è il primo a essere convinto dei mezzi della propria squadra: in conferenza stampa, dopo la vittoria con la Bolivia che gli ha garantito il secondo posto in un girone in cui era mica così scontato, ha detto che loro sono in Brasile per giocare sei partite. Ne hanno affrontate tre e ora vediamo cosa gli riserva la quarta, con l’Argentina.

Il Venezuela, peraltro, non perde da sette partite, la miglior serie nella storia calcistica della Vinotinto. Dudamel ha imbastito una squadra camaleontica, capace di adattarsi all’avversario, che spazia da un assetto iperdifensivista come quello adottato con il Brasile (con tre centrocampisti centrali, Moreno, Yangel Herrera e “El General” Rincón e un’organizzazione delle linee molto stretta, che tende a inghiottire e strangolare i portatori di palla avversari) a quelli più offensivi a tre punte, nonostante sia Machís che Savarino si abbassino spesso in fase difensiva, con Rondón destinato a fare - come si dice - reparto a sé.

Una squadra che arriva al tiro più spesso (e più efficacemente) con transizioni rapide, innescate dai lanci lunghi e precisi del portiere Wuilker Faríñez o del regista occulto Rosales, che con manovre ricamate.

Il gol di Rondón nel recentissimo ultimo confronto: finì 3-1 per la Vinotinto nella giornata in cui Leo Messi tornava in Albiceleste dopo una lunga assenza (e chissà con quanta gioia).

La partita giocata lo scorso marzo tra le due Nazionali (e l’Argentina per sette undicesimi è rimasta invariata) è un’ottima cartina di tornasole per prefigurare le problematiche che la Vinotinto creerà a Scaloni: Messi marcato molto da vicino da Rincón e Moreno; Rondón ad attirare fuori dalla linea i due centrali; Machís a far impazzire Saravia o Casco o chi altri avrà il malaugurato compito di contenere le scorribande del laterale. Oltre alla naturale predisposizione di Wuilker Faríñez a ipnotizzare gli attaccanti avversari e rendere la sua porta tipo stregata.

Senza contare, infine, che Dudamel sta centellinando l’utilizzo perlopiù da supersub sia di Yeferson Soteldo che di Josef Martínez, due dei più talentuosi e spettacolari giocatori in rosa, che insieme hanno creato il terzo gol con la Bolivia e più in generale hanno quel tipo di rapidità e superiorità tecnica che diventa letale nell’ultimo quarto di gara.

Quando cioè l’Argentina, se rimarrà l’Argentina delle ultime tre partite, sarà già in debito d’ossigeno, e in piena parentesi-confusione.


Argentina: nuovo líder cercasi

Vs Venezuela. Possibilità di accedere alle semifinali: 60%

Sullo stato dell’arte (SPOILER: incredibilmente desolante) dell’Argentina ho scritto un pezzo qualche giorno fa, e il fatto di trovarsi di fronte ai quarti una delle squadre più in forma della Copa América rende le percentuali di psicodramma (ancora una volta) discretamente elevate.

Il destino dell’Albiceleste oggi è quello di affrontare un perenne, enorme fardello di accanimenti statistici, e il fatto che né Bauza, né Sampaoli e né Scaloni siano ancora riusciti a battere la Vinotinto cala una patina di terrore sulla prossima partita, che chissà non possa essere l’antidoto alla depressione in cui sembra essere scivolata la Selección, o il definitivo sorso di cianuro.

L’unica certezza del “Gringo”, in questo delicato momento, è Lautaro Martínez. Il “Toro” è il massimo goleador del suo miniciclo, con cinque reti, il perno attorno al quale sono ruotate, in queste due settimane di Copa América, le critiche più ficcanti e le relative espiazioni. Probabilmente, quindi, il grimaldello al quale l’Argentina si aggrapperà per buttare - come si dice - il cuore oltre l’ostacolo.

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Foto di Carl De Souza / AFP/ Getty Images.

Nessuna squadra può affidarsi esclusivamente a un solista, di certo non può farlo con garanzia di successo l’Argentina con Messi, ma l’abbondanza di leaders non è mai di per sé un fatto negativo. Lautaro è il compagno più propositivo e tenace di Leo, pressa alto, ha una presenza scenica che basta per incutere timore nella difesa avversaria, ha scremato il suo gioco fino all’essenzialità del tiro (contro il Qatar 4 di cui 3 in porta) e del gioco di sponda.

Senza proclami ma a furor di popolo è diventato l’attaccante più importante di questa Selección. Sgravare Messi di almeno una piccola percentuale di incombenze, al momento, è il gesto di massima personalità che può trovarsi a compiere. E l’Argentina, di gente che si assume le proprie responsabilità, ha un bisogno senza precedenti.


Colombia: in medio stat virtus

Vs Cile. Possibilità di accedere alle semifinali: 55%

La Colombia di Nestor Pékerman, nonostante non cambiasse poi molto negli uomini, era una squadra diversa da quella di Carlos Queiroz che abbiamo visto giocare queste prime tre partite di Copa América, e lo era soprattutto nello spirito.

Orientata a un gioco di possesso, grazie anche alla contemporanea presenza in squadra di due palleggiatori di classe sopraffina come James Rodríguez e Juanfer Quintero, la Colombia di Pékerman non aveva la stessa frenesia con cui quella di Queiroz rompe l’azione avversaria e riparte. Per la Colombia oggi ogni transizione offensiva è un fiume di lava che ribolle, e il magma più incandescente si trova al centro.

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Foto di Photo by Wagner Meier / Getty Images.

Wilmar Barrios si sta scoprendo un calciatore nuovo. Ottimo a spezzare il gioco avversario e a rubar palla, il centrocampista dello Zenit in realtà è qualcosa di più del voltante de cinco “1.0”. Nonostante il suo lato più scintillante sia quello dell’uomo che scherma per 90 minuti interi ogni linea di passaggio, idea, intuizione (comprese quelle di Leo Messi), Barrios è una moneta antica della quale un giorno, per caso, scopri l’esistenza dell’altro lato. Con 84 passaggi realizzati a fronte dei 93 tentati, una percentuale di riuscita del 95,6%, Barrios è uno dei passatori principali della Copa América.

Nel centrocampo a 3 della Colombia è l’uomo più cerebrale, al quale viene affidata la prima impostazione. Barrios fa da collegamento tra la difesa e i suoi compagni di reparto, Uribe e un Cuadrado (spessissimo impegnato come interno di centrocampo), o James Rodriguez. Più che nella rocciosità di una difesa composta da Davinson Sánchez e Yerri Mina, nell’estro di James o nell’esuberanza del sorprendente Luis Diaz, più ancora che nello strapotere fisico di Duvan Zapata, la vera forza della Colombia sta nel mezzo, dove Cuadrado, Uribe e Barrios si scambiano spesso le posizioni. E dove Wilmar si è preso lo scettro del reparto, mettendosi in luce per il giocatore completo che è. Il Cile, insomma, ha di che preoccuparsi.


Cile: cioè quando ti accorgi che l’utopia che stai inseguendo non è poi così irrealizzabile

Vs Colombia. Possibilità di accedere alla semifinali: 45%

Solo l’imbecille non cambia idea tre volte al giorno, scriveva Julio Cortázar. Ci saremmo mai aspettati un Cile così accreditato? Faccio ammenda: io personalmente, no.

Anche se era complicato immaginarne un’eliminazione già al primo turno (oltre alla Roja e all’Uruguay il girone era composto dall’Ecuador e dall’U23 del Giappone, devo ammettere che non avrei dato un soldo di fiducia nel proseguio del torneo del Cile. Dev’essere l’aria della Copa, ma il Cile si sta dimostrando una squadra decisamente in forma, quadrata, con la sua solita aggressività e, nonostante un mancato ricambio generazionale degno di tal nome, persino fresca.

È come se Reinaldo Rueda avesse conservato, in qualche banca del seme nascosta sulle Ande, i vincitori dell’edizione del Centenario criogenizzati, e li avesse scongelati per la Copa América brasiliana, mentre ai loro alter-ego posticci, quelli che non sono riusciti a qualificarsi per il Mondiale russo, è stato finalmente concesso di ritirarsi in una comune alle porte di Valparaiso.

In questo contesto di rinnovata fiducia, Erick Pulgar si sta stagliando come il faro del centrocampo cileno, brillante come la lanterna che si è tatuato sul collo. Pulgar fa di tutto, e gli sta riuscendo di tutto: recuperi palla, primi controlli su rilanci spioventi degli avversari, laser-pass per i compagni d’attacco. Il Cile non ha avuto un sorteggio semplice, ma questa Roja non si spaventerebbe davanti a nessuno.

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Foto di Alessandra Cabral / Getty Images.

E chissà che a decidere le sorti della sfida con la Colombia non sarà proprio la battaglia a centrocampo, ma comunque segnalato che davanti il fuoco di Edu Vargas e Alexis Sanchez sembra essere stato riattizzato dal vento della Copa come un incendio spento male (parliamo di un Alexis Sánchez che l’ultima stagione col Manchester ci aveva dato a intendere di trovarsi sul vialone alberato del tramonto). Cile-Colombia si annuncia come la partita più equilibrata e forse anche la più interessante di questi quarti.


Perù: quanto si può andare avanti, Per Grazia Ricevuta?

Vs Uruguay. Possibilità di accedere alle semifinali: 30%

Chissà se riusciremo mai, un giorno, a finire di associare l’idea del Perù calcistico con quella delle mattanze. L’ultima sconfitta, il disastroso 5-0 subito dal Brasile, per quanto non abbia impedito al Perù di qualificarsi ai quarti ha innegabilmente buttato a terra il morale degli andini: e più di tutti gli altri, quello del portiere Gallese, autore di una partita indimenticabile ben oltre i 5 gol raccolti dalla sua rete.

Ricardo Gareca, l’artefice del miracolo con cui il Perù si è qualificato agli scorsi mondiali dopo 32 anni, è già stato messo sulla graticola, eppure gli uomini sono gli stessi che hanno portato la bandiera bianca e rossa a sventoltare ancora a un Mondiale. Anche se oggi, ovviamente, hanno due anni in più. «È come se arrivassimo a metà della salita e ci fermassimo stanchissimi», hanno scritto in Perù.

Il vero problema del Perù, insomma, è la mancanza di ricambio generazionale. Paolo Guerrero e Farfán hanno 35 e 34 anni rispettivamente, e ammesso e non concesso che possa esserci qualcuno capace di ereditare lo scettro del Depredador, Farfán perdipiù sarà pure fuori dai giochi per via di un infortunio al ginocchio, un distaccamento della cartilagine che in qualche modo dovrà rilanciare Christian Cueva e André Carrillo.

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Foto di Wagner Meier / Getty Images.

L’ala destra, ex dello Sporting Clube Carrillo, finora non ha giocato che 2’ scarsi nella gara con il Venezuela (ufficialmente perché fuori condizione, visto che la stagione saudita per l’Al-Hilal è finita ad aprile, anche se sembra che le motivazioni siano disciplinari), ma teoricamente potrebbe essere l’arma in più contro l’Uruguay. Potrebbe, cioè, limitare le discese di Saracchi o Cáceres e spezzare le linee del 4-4-2 uruguayano.

L’errore più grande che potrebbe commettere Gareca sarebbe quello di spostare la sfida degli equilibri sul centrocampo, dove Yotún sembra fuori fuoco e rischia di venir fagocitato da Bentancur, Torreira e Valverde. Ma se saprà far rivivere i fasti ultraoffensivi e di palleggio visti in Russia l’anno scorso, il Perù potrebbe almeno provare a giocarsela.

La squadra che i peruviani si troveranno di fronte è una delle principali favorite del torneo, ma perché fermarsi ancora una volta solo a metà della salita?


Uruguay: affinché tutto cambi, che poco cambi

Vs Perù. Possibilità di accedere alle semifinali: 70%

Tabárez sembra aver trovato la sezione aurea dell’equilibrio dell’Uruguay, non solo tattico ma anche sul piano dell’esperienza. Raramente una squadra è riuscita, nel giro di così poco tempo, a rinnovare da zero un intero reparto come l’Uruguay ha fatto con il suo centrocampo: passando direttamente dalla deludente Copa América Centenario con Arevalo Ríos, il “Cebolla” Rodríguez, Carlos Sánchez e Álvaro González, a una scintillante Copa 2019 con Valverde, Bentancur e Torreira (con in più, se vogliamo aggiungerlo, il sempre troppo poco all’altezza delle aspettative De Arrascaeta).

Il segreto dell’Uruguay, però, a quanto pare, risiede tutto nella continuità, paradossalmente. Non ci stupiremmo, quindi, se a essere decisivo anche ai quarti fosse Nico Lodeiro, superstite di Brasile 2014 e ancora capace di sublimare le sue doti tecniche per metterle al servizio di una delle coppie d’attacco più iconiche del calcio sudamericano moderno, quella formata da Cavani (che non aveva mai segnato in Copa América, prima del suo gol all’Ecuador nella partita inaugurale della Celeste) e Suárez.

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Foto di Mauro Pimentel / AFP / Getty Images.

Uruguay e Perù dovranno soprattutto contrastare la retorica che le accompagna: la Blanquirroja deve dimostrare di non essere a fine ciclo; la Celeste, ancora una volta, di non essere solo garra charrúa, ma una squadra nel senso meno da Nazionale che potremmo intendere.

E all’orizzonte c’è il Maracanã, con i suoi corsi e ricorsi storici, l’eterna magia - meno secolare di quello che è invece il calcio - del torneo per Nazioni più antico del mondo, del quale sta per cominciare la fase più divertente, casomai non ve ne foste accorti.


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