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Classificone: marzo
12 apr 2016
12 apr 2016
Torna il Classificone, la rubrica più haterata, hackerata, spoilerata de L'UltimoUomo.
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32 min
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Benvenuti al sesto appuntamento dell’anno con il Classificone de l’Ultimo Uomo, la rubrica in cui mettiamo in lista le cose più belle, e pazze, e interessanti, e strane, e stupide, e acute capitate nell’universo sportivo nell’ultimo mese.

In questa puntata abbiamo provato ad assecondare le tendenze tradizionalmente pazze di marzo e dei primi giorni d’aprile. Un periodo nel limbo tra primavera ed estate, che illude e tradisce. Dopo i tradizionali appuntamenti con i migliori gol e i cambioverso, abbiamo i momenti più situazionisti ascoltati in telecronaca. Dopodiché: le 7 cose che perderemo senza Canada ai playoff NHL, i 5 migliori scambi di Goffin, le 3 migliori punizioni di Payet a marzo e i 3 momenti meno intensi delle amichevoli internazionali.

Buona lettura!

I migliori gol

di Daniele Manusia

5. Pogba vs Milan. Assist: Marchisio da angolo

Ciao, scusate il ritardo ma la pausa di Pasqua ci ha spinto a prenderci una giornata in più. Sono un grande ammiratore dell'ambiguità e vorrei cominciare parlando di questo. Già in passato ho inserito in classifica gol o assist che non si capiva se erano voluti oppure no, i protagonisti erano giocatori che ammiravo in ogni caso (Bonaventura, Saponara) e l'ambiguità non faceva che esaltare – per contrasto – delle qualità che comunque facevano parte di quei giocatori. Nel caso del gol di Pogba, ad esempio, c'è tutta la stranezza del giocatore più originale del calcio europeo.

Il suo corpo in Europa non ce l'ha nessuno e Pogba con il suo corpo non fa praticamente niente di normale quando gioca. Non fa mai due volte la stessa cosa, è istintivo ai limiti della costante improvvisazione (con alcune note particolarmente raffinate tipo il contrasto di tacco con Antonelli, nella partita di sabato scorso), e questo rende impossibile avere precisione. E quando si trova nella stessa situazione non prende mai la stessa decisione. La mia idea è che Pogba (come tutti i grandi calciatori contemporanei) sia estremamente sensibile alla lettura del contesto (sulla sua importanza tattica leggete qui Fabio Barcellona). Che ogni volta interpreti posizioni e movimenti di tutti i giocatori in campo, i tagli in profondità, gli spostamenti laterali dei difensori, quanto vede della porta e come quella porzione di specchio si stia allargando o restringendo. E che prenda decisioni magari barocche, magari impossibili anche per lui, ma che dal suo punto di vista sono sempre la decisione migliore possibile. Dal nostro punto di vista lo sono solo quando le cose gli riescono, ovviamente, o lo sono le sue scelte più “normali”.

Ma il fatto che Pogba non faccia praticamente niente di normale spiega anche perché il suo talento sia così difficile da apprezzare, o anche solo da capire (anche per gli arbitri non deve essere semplice applicare le regole comuni su un giocatore che sfrutta il proprio dominio fisico in maniera così evidente). I suoi movimenti, il ritmo, le pause e il modo anticonvenzionale in cui decide di toccare la palla fanno di lui un inventore di calcio e più il suo talento si accresce, più Pogba è in grado di creare il contesto intorno a sé. Pogba ha sfruttato il suo talento per diventare un giocatore unico, per essere stesso in modo così forte che è difficile da amare. Ma Pogba si è anche preso dei rischi che se non avesse i mezzi tecnici e fisici che ha, probabilmente non potrebbe giocare affatto, il suo stile è inimitabile con un corpo o un rapporto con la palla “più normali”.

Detto questo, sarebbe bellissimo se il gol con il Milan fosse interamente voluto. Al di là del movimento ambiguissimo su Abate (la mia impressione è che Pogba faccia un passo in avanti per trarre in inganno Abate e poi staccarsene) è meraviglioso lo stop di petto, e la palla schiacciata a terra che scavalca Donnnarumma. Magari voleva crossare – Abate lo colpisce con l'anca e, guardandolo cento volte, mi chiedo se magari non possa aver girato lui Pogba verso la porta, sbilanciandolo e facendogli colpire la palla in quel modo – ma come sempre in questi casi io preferisco non saperlo. Questo gol, in ogni caso, rende perfettamente l'idea di quanto è strano Pogba. Stop di petto sul secondo palo e pallonetto schiacciato da dentro l'area piccola: lo poteva segnare solo lui.

4. Bruno Fernandes vs Napoli. Assist: Duvan Zupata. Protagonista ombra: Gabriel

Una regola non scritta nel calcio è che per ogni bel gesto riuscito di un giocatore c'è l'errore di un suo avversario. Un'idea che non piace a chi nel calcio non vuole ambiguità, a chi vuole solo pippe o fenomeni, giocate eccezionali oppure errori. Nel calcio dagli errori nascono fiori, eppure persino quando Ibrahimovic ha segnato in rovesciata da metà campo c'è stato chi si è sentito in dovere di sottolineare l'uscita azzardata di Hart. Nel gol dell'Udinese contro il Napoli la vittima sacrificale è Gabriel, che non riesce a non sbagliare fino alla fine. Al tempo stesso la palla di Zapata per Bruno Fernandes è molto bella, non era facile trovarlo con l'area piena, e raggiungerlo calciando da fermo. La rovesciata è bella atleticamente, ma a me piace sopratutto perché è un gesto molto controllato: Bruno Fernandes colpisce con la forza necessaria per far arrivare la palla in porta, tanto sapeva che era vuota.

3. Mauro Zarate vs Hellas. Assist: la Fiorentina di Paulo Sousa

La Fiorentina è in difficoltà da tempo ma non c'è dubbio che sul piano del gioco collettivo sia una delle migliori squadre del campionato (e nei suoi momenti migliori è stata una delle più interessanti della stagione europea). Il gol contro il Verona è uno splendido esempio dei meccanismi base del 3-2-4-1 offensivo della squadra di Paulo Sousa, che prima che arrivasse il portoghese mai ci saremmo sognati di vedere in Serie A. Tutto nasce da una combinazione tra i due centrocampisti “bassi” del quadrilatero centrale, in particolare dal movimento in avanti di Tino Costa che attrae fuori posizione il centrale di centrocampo avversario giocando di prima per Borja Valero che si era reso disponibile al lato dell'altro centrale. Lo spagnolo si gira verso la porta e Babacar fa subito scappare all'indietro la difesa del Verona, con il terzino Fares che si stringe verso i centrali lasciando a Borja l'opzione più semplice verso Tello che non deve far altro che servire rasoterra Zarate, libero tra le linee al limite dell'area. Le indecisioni dei giocatori del Verona sono tanto individuali quanto strutturali (Pisano, il terzino destro, non sa se uscire su Zarate o restare in posizione e quando si decide è troppo tardi; Ionita che era uscito su Tino Costa non può fare in tempo, Marrone era uscito su Mati e Leandro Greco è messo in mezzo al triangolo Borja-Tello-Zarate). I giocatori della Fiorentina galleggiano negli spazi vuoti dei giocatori avversari tenendo perfettamente le distanze tra loro. Comunque vada, quarto o quinto posto, grazie lo stesso Paulo Sousa.

2. Pinilla vs Milan. Assist: che cambia?

Ok, mi sto rendendo conto che sto dedicando l'intera classifica di questo mese al concetto di ambiguità. In passato ho scritto più volte delle rovesciate di Pinilla. Le ho messe in contrasto con la retorica del successo, simbolizzata dalla traversa di Pinilla contro il Brasile al Mondiale e consacrata da Pinilla stesso nel tatuaggio “A un centimetro dalla gloria”. Ho scritto che per Pinilla le rovesciate sono solo un'alternativa al colpo di testa, che Pinilla è un coatto che trasforma l'eccezionale in banale e che le sue rovesciate “fanno a stracci il nostro immaginario”. A questo punto devo confessare che sto cominciando a cambiare idea. Forse Pinilla ne ha fatte ancora troppo poche, ma nella quantità sto iniziando a vedere un rapporto speciale tra Pinilla e le rovesciate. Non parlo della sua capacità coordinativa, comunque abbastanza speciale, ma del “destino” che lega Pinilla alle rovesciate. Quante volte capita in carriera a un centravanti l'occasione per una rovesciata? Nel caso di Pinilla mi sembra siamo già oltre il numero ragionevole, mi pare. Resta il dubbio che una rovesciata non abbia lo stesso valore nel momento in cui non è più unica, ma forse è una forma di gloria per Pinilla, forse ci vuole un altro tatuaggio. Insomma sospendo il giudizio di fronte a qualcosa di troppo ambiguo, che non riesco a definire.

Ne approfitto, prima di passare alla prima posizione, per citare almeno alcuni gol eccezionali rimasti fuori classifica, tipo quello di Immobile contro il Genoa successivo a un velo + sponda di Belotti che è l'incarnazione stessa dei principi di Ventura (e Conte). O il secondo di Suso contro il Frosinone, con una parabola accecante, la punizione da trenta metri di Kevin Lasagna, o il gol di Sansone con Sansone con lo splendido assist al volo di Defrel. Resta anche fuori la splendida incornata di Icardi contro il Frosinone che è un manifesto dell'ambiguità come solo quei centravanti che sembrano giocare partite a parte, toccando pochissimi palloni (anche se sulle qualità tecniche dell'argentino non ci sono dubbi), per poi buttare dentro l'unica mezza palla decente ricevuta, sanno essere.

1. Gonzalo Higuaín vs Genoa. Assist: il fatto che mancavano dieci minuti alla fine e il risultato era ancora sull'1-1

Sull'unicità di Higuaín ho già speso più delle parole necessarie, colgo l'occasione di questo gol assurdo (è assurdo riguardandolo ora, ma era ancora più assurdo visto in diretta) per aggiungere poche righe sulla sua “ambiguità” caratteriale. Che non sia un leader, un trascinatore, che si innervosisca quando le cose non gli riescono, è abbastanza evidente (anche se come tutti i campioni ha una grossa influenza anche a livello emotivo sui compagni: il punto è che lui questa influenza non la controlla e non la può controllare). Quello di cui non si tiene conto è il livello di concentrazione con cui gioca Higuaín per essere determinante come sa essere in casi come questo. Sono le due facce della stessa medaglia, è quella stessa concentrazione che lo rende fragile (vulnerabile alle provocazioni, ad esempio) a permettergli di trovare lo spazio in cui far passare il pallone e pensare alla traiettoria giusta per infilarcelo. A dieci minuti dalla fine di una partita difficile, contro uno dei migliori Perin della stagione. È quello stesso pensiero ossessivo, la voglia di essere decisivo forzando a volte situazioni quasi impossibili, a creare quella frustrazione che alcuni non gli perdonano quando viene fuori sotto forma di rimproveri ai compagni o insulti all'arbitro. È un'ossessione egoista (Higuaín “divoratore di palloni”) e al tempo stesso è una forma di generosità (Higuaín capace di creare un legame con i tifosi napoletani che va al di là del numero di gol segnati). Non dico che debba piacervi per forza, ma le due cose sono inseparabili e, probabilmente, chi non capisce gli aspetti negativi del carattere di Higuaín non è in grado di apprezzarne davvero neanche quelli positivi.

L'esultanza più brutta del mese: Fabrizio Cacciatore

A quanto pare Cacciatore esulta in modo brutto volutamente (perché prima non esultava e i suoi amici si lamentavano) e pensa che questa sia una “danza squilibrata” . Forse, però, era più brutta l'esultanza al suo primo gol in Serie A contro la Juventus.

L'esultanza più bella del mese: “Alino” Diamanti

Oh, ecco, questa è una controesultanza che vale quanto un'esultanza! Diamanti prima cammina con gli occhi da pazzo, poi non si sa come resiste a una spallata di Pinilla che arriva a tutta velocità. Pinilla a cade a terra e Diamanti continua a camminare tirandosela come fosse Gesù Cristo che cammina sull'acqua.

I cambioverso di marzo

di Fulvio Paglialunga

Che ci fai col Faraone?

Intorno alla Roma c’è sempre la possibilità di cogliere un #cambioverso. Perché l’esigenza dei tifosi costringe a bruciare i pareri, ad anticipare le opinioni di chi vuole inseguire lo spirito di chi del calcio non parla per mestiere e puntare alla cassa, magari. Che un tifoso dica che l’attaccante è un bidone il giorno in cui sbaglia un gol facile e lo porti in trionfo il giorno dopo se segna una doppietta rientra nel gioco dei ruoli. Chi, invece, scrive, lascia tracce. E se modifica il suo ruolo va incontro a prove di incoerenza.

Immaginatevi a gennaio, negli ultimi giorni di mercato, con la Roma che sta per prendere El Shaarawy e un po’ di romanisti che storcono la bocca (possono, lo abbiamo spiegato). Immaginate che per la Roma sia un periodo tormentato e che si percepisca lo scontento. Che fate, non lo cavalcate? La risposta sarebbe no. Chi, invece, risponde sì pubblica questo titolo…

Poi però El Shaarawy viene schierato, e il campo non è una pagina di giornale. Finora nove partite, sei gol. Quello che ha segnato di più nella Roma è Salah (di qui tutti i giochi di parole tra l’egiziano e il Faraone), meno del doppio dei gol (11) nel triplo delle partite (27). Ecco cosa ci faceva, la Roma con El Shaarawy.

Infatti, stesso giornale e prospettiva ribaltata.

La risposta a “A che serve il Faraone?”

Chi ha detto Mediaset?

Sulle sfuriate di Aurelio De Laurentiis c’è un’intera letteratura, ma l’ultima ha sorpreso, perché non è arrivata nemmeno da un microfono passato per caso di fronte al presidente innervosito da qualcosa. È stato un comunicato ufficiale a prendere una posizione durissima contro Mediaset.

L’antefatto è un pezzo di Paolo Bargiggia che parla del rifiuto di Higuain di firmare il rinnovo con il Napoli, che scatena la reazione furiosa della società.

Il comunicato è netto: «Un servizio privo di veridicità e confezionato senza rispettare alcuna regola giornalistica, su tutte il controllo delle fonti». Con tanto di ritorsione strombazzata: «Tale approssimazione obbliga, pertanto, il Napoli a interrompere, a partire da subito, i rapporti giornalistici con le reti sportive Mediaset, alle quali, perciò, i nostri tesserati non rilasceranno più interviste, nemmeno allo stadio, a prescindere da qualsiasi accordo commerciale». Poi, visto che avanzava spazio sul foglio del comunicato, un po’ di poteri forti e manovre destabilizzanti ci sta sempre bene. Così: «Il Napoli e i suoi tifosi non temono i poteri forti e chi voglia destabilizzare un ambiente carico e sereno».

Tutto questo accade mercoledì 30 marzo, nella settimana della partita con l’Udinese. Tre giorni dopo c’è la conferenza stampa pre gara di Sarri: i racconti dicono che il primo a fare una domanda è Valter De Maggio, di Mediaset (e direttore di Radio Kiss Kiss). Sarri, se il Napoli non ha cambiato verso, non dovrebbe rispondere. Invece ovviamente risponde. Si penserà (si può pensare anche questo) che ha risposto al direttore di Radio Kiss Kiss e non al giornalista Mediaset, se si vuol fare equilibrismo, ma la verità è che “a prescindere da qualsiasi accordo commerciale” il Napoli lo aveva messo lì così.

Perché poi arriva la domenica, la partita, purtroppo per il Napoli la sconfitta e i vari dopo partita. A quello con Mediaset Premium immagini il tabellone degli sponsor inquadrato e nessuno del Napoli che parla. Lo hanno detto loro, del resto.

Invece ecco Sarri…

Solo l’Inter

Un altro pezzo di letteratura appartiene ai tifosi dell’Inter, che riescono a coltivare consapevoli illusioni per poi sbattere contro deludenti realtà. Non è colpa loro, che in tutte le emozioni conservano qualcosa di razionale, ma di una squadra che sembra non reggere mai fino in fondo. Nemmeno quando, al raduno di luglio, ha un allenatore che sparge ottimismo…

E nemmeno quando parti e hai dopo cinque giornate dieci punti di vantaggio sulla Juve. E dopo 13 giornate sono ancora 9, i punti di vantaggio. E sei solo in testa, con Napoli e Fiorentina a meno due. E ci credi. Lo dice Jovetic…

E alla quindicesima giornata sei ancora primo (certo, i punti di vantaggio dalla Juve sono diventati sei. Ma sei!) e il tuo allenatore lo dice…

E anche alla sosta di Natale sei primo, da solo. Vuoi che i giornali non si sbilancino?

Il punto è che adesso l’Inter è al quinto posto (certo, da solo), la Juve è diciotto punti più su e nel frattempo tutto è franato. Anche l’idea di arrivare in Champions

Chi lo avrebbe detto, a gennaio?

Come hai detto?

Chiusura last minute. Bastano due titoli.

Il primo

Il secondo

Le 7 cose che ci perderemo senza il Canada ai playoff NHL

di Andrea Agostinelli

Durante il mese di marzo sono successe tante cose in NHL. Il difensore più forte della squadra campione in carica ha ricevuto 6 giornate di squalifica per aver colpito volontariamente un avversario in faccia con la mazza; una squadra è stata penalizzata perché i suoi tifosi hanno tirato dei topi in campo e la lega ha stabilito le regole per l’Expansion Draft che con tutta probabilità si terrà al termine della prossima stagione.

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Ma la vera notizia è che nessuna squadra canadese prenderà parte ai playoff. Non accadeva da 46 anni ed è la seconda occasione in assoluto. La prima volta fu nel 1970, ma all’epoca c’erano solo due squadre: Montreal Canadiens e Toronto Maple Leafs. Oggi sono 7. Oltre alle due Originals ci sono Ottawa Senators, Calgary Flames, Winnipeg Jets, Vancouver Canucks e Edmonton Oilers. Ecco cosa ci siamo persi insieme a O Canada:

1. Gli intro dei Montreal Canadiens

Sempre spettacolari e con un tratto distintivo: la torcia, simbolo del motto To you from failing hands we throw the torch. Be yours to hold it high. La stagione degli Habs si era aperta con una striscia di 9 vittorie consecutive che faceva presumere ad un dominio assoluto poi l’infortunio del goalie Carey Price, MVP in carica, ha segnato l’inizio del tracollo con l’Injury Report che giorno dopo giorno segnava delle nuove entrate. Un’annata talmente sfortunata che persino P.K. Subban, 273 partite consecutive in regular season, si è dovuto fermare a causa di un problema al collo.

2. La C of Red dei Calgary Flames

È dal 1987 che alle partite casalinghe di playoff dei Flames c’è il sold out con tutti i tifosi che indossano la jersey originale. Una tradizione che ha raggiunto il suo apice durante la rincorsa alla Stanley Cup nel 2004 quando l’azienda CCM fu costretta a sospendere la produzione di qualsiasi altra divisa per soddisfare la domanda di maglie rosse con la C al centro. In quel periodo nacque anche la leggenda del Red Mile, un tratto di strada nei pressi della Scotiabank Saddledome che dopo ogni vittoria veniva trasformato da tifosi nella versione canadese del Mardi Gras.

3. La Theme Song degli Ottawa Senators

Sezione ritmica in stile funky e riff di tromba tipiche delle sigle dei telegiornali per rievocare l’epicità del legionario, il simbolo della squadra. Questa è la Theme Song degli Ottawa Senators, la canzone che accompagna l’ingresso in campo dei giocatori. Durante la scorsa stagione, i tifosi avevano inaugurato anche una tradizione per celebrare le vittorie casalinghe lanciando hamburger al goalie Andrew Hammond, ma dopo un paio di partite la società li ha invitati immediatamente a smettere.

4. La Towel Power dei Vancouver Cancuks

Contestualizzata alla Serie A, è come se i tifosi del Torino alzassero sedie al cielo dopo ogni vittoria. L’origine di questa tradizione, infatti, è dovuta a una protesta arbitrale. Roger Neilson nel 1982, durante la serie di playoff con i Chicago Blackhawks, stanco per le continue decisioni controverse, espose una bandiera bianca mettendo un asciugamano su una mazza. I Canucks quell’anno conquistarono la Stanley Cup e i tifosi, per festeggiare, sventolarono fazzoletti bianchi dando il via ad un rituale che si ripete ad ogni partita di playoff.

5. La storica arena degli Edmonton Oilers

Il Rexall Place è stato il teatro delle cinque Stanley Cup vinte dagli Oilers, ma il 6 aprile si è giocata l’ultima partita di hockey della sua storia. Dalla prossima stagione, infatti, Edmonton traslocherà al Rogers Place, una nuova e super moderna arena da 480 milioni di dollari. Dopo il Nassau Coliseum di New York, casa degli Islanders campioni per 4 anni di fila, un altro pezzo di storia dell’hockey anni ‘80 va in pensione. L’unico elemento che verrà salvato è la statua raffigurante The Great One, Wayne Gretzky.

6. Il Whiteout dei Winnipeg Jets

Sempre che riusciate a procurarvi un biglietto, l’MTS Center di Winnipeg è l’arena più rumorosa dove poter guardare una partita di playoff. Il merito, o la colpa, è dei tifosi dei Jets, i più accaniti e passionali di tutta la lega. Il Whiteout è una tradizione nata nel 1987 e svanita temporaneamente con il passaggio nel 1996 della franchigia a Phoenix ma tornata prepotentemente in auge dopo la rilocazione in Canada degli Atlanta Trashers. Per partecipare dovete indossare una maglietta bianca ma è meglio se ve la portate da casa perché non la troverete sui seggiolini.

7. I giocatori dei Maple Leafs con la barba

Evitare di farsi la barba durante i playoff è la tradizione più celebre della NHL ma a Toronto, dal lockout del 2004/2005, è accaduto una volta sola. Era il 2013 e quella versione dei Leafs passò alla storia per una clamorosa rimonta subita, la più grande di sempre in Gara 7. In vantaggio 1-4 a 9 minuti dalla fine in casa dei Boston Bruins, Toronto perse 5-4 ai supplementari prolungando la striscia di anni senza vittorie. L’ultima Stanley Cup è datata 1967 e nel 2017, insieme al centenario della franchigia, ci sarà il 50esimo anniversario.

Le migliori punizioni del mese di Dimitri Payet

di Emanuele Atturo

Dimitri Payet ha fatto la più importante scoperta del mondo del calcio del mese di marzo, ovvero come segnare su punizione sempre. Ovviamente non si tratta di una roba semplice. Bisogna allenare la propria sensibilità fino a riuscire a dare una carezza al pallone che tocchi un punto molto preciso sulla scala che va dalla delicatezza alla forza. È una formula delicata. Payet quest’anno è arrivato a convertire il 50% dei calci di punizione che tira: una percentuale assurda che, con un minimo di buon senso, dovrebbe essere limitata da qualche provvedimento legale. Cambiargli il pallone con uno di spugna prima della punizione; costringerlo a tirare a piedi scalzi, o col piede sinistro. Stabilire che è gol solo se la palla prima di entrare tocca il legno. Qui per esempio si suggerisce la possibilità di erigere una barriera a due piani.

Payet è un fattore troppo evidente per le squadre in cui gioca. Ogni mese si potrebbe fare una compila delle sue migliori punizioni. Ecco quella dell’ultimo mese.

3. vs Crystal Palace

La palla sale a 12 piedi d’altezza e poi ricade sotto il sette come se fosse uno straccio bagnato. Raro caso di punizione sul palo del portiere che non può essere parata in nessun modo.

2. vs Russia

Qui è molto lontano ma niente. La palla prende il palo ed entra. Payet riesce sempre a infilare il pallone nei punti più estremi della porta.

1. vs Manchester UTD

Il motivo per cui Payet è uno dei giocatori più fichi del pianeta sta nei pochi frammenti che dividono il momento in cui calcia, da quello in cui la palla entra in porta. Dopo aver tirato Payet già va verso la bandierina per esultare, ma nel frattempo continua a gustarsi la traiettoria che tocca il palo ed entra. Avrebbe potuto tirare fuori dei pop-corn dalla tasca, o mettersi a braccia conserte, aspettando il rumore bello e pieno che fa la palla sul palo.

Regolati Payet.

I 4 momenti più situazionisti delle telecronache

di Marco D’Ottavi

Nella poesia per i 12 mesi, lo sappiamo tutti, Marzo viene etichettato come il mese pazzarello. Prima c'è il sole, poi piove = pazzo, abbastanza facile da capire. Ma tutta questa crazyness deve aver contagiato anche chi di mestiere racconta il calcio, rendendolo il mese in cui avete più volte pensato di spegnere il televisore e farvi una vita. Ecco i 4 momenti in cui il calcio in TV è diventato una grande opera di Marina Abramovich.

4. Rigore petaloso

A Febbraio abbiamo imparato che un fiore può essere petaloso, perché pieno di petali, con tanti petali. Abbiamo anche imparato che la stessa parola – allorché inventata e specifica del campo floreale – può invadere prepotentemente la nostra quotidianità perché in Italia non abbiamo ancora imparato a gestire troppo bene il concetto di viralità. Chi proprio non è stato in grado di gestire la forza del termine petaloso è stato il telecronista di Sampdoria-Chievo che è ricorso al nuovo aggettivo per descrivere un rigore tirato da Valter Birsa e parato da Viviano.

https://twitter.com/fonzi_gol/status/711570544651587586

Ma come? Non è petaloso un aggettivo positivo e riferito ai fiori? Come è possibile usarlo in riferimento a un rigore non solo sbagliato, ma anche calciato veramente male? Pieno di dubbi ho mandato una lettera all'accademia della Crusca, i quali mi hanno gentilmente ha risposto così:

Caro Marco,

questo telecronista è davvero un burlone. Ovviamente il rigore tirato dal calciatore sloveno Valter Birsa non è petaloso. Questa parola si riferisce proprio ad un fiore con tanti petali e sinceramente l'uso scorretto che ne stanno facendo tutti ci ha un po' stancato. Il rigore di Birsa è semplicemente fiacco, svogliato e – al massimo – pietoso. E sta proprio nell'aggettivo pietoso una delle chiavi di lettura: l'ala conservatrice dell'Accademia pensa che il telecronista volesse usare questo aggettivo – quindi un rigore pietoso – ma che poi una certa pudicizia mista ad una impossibilità nel voler male a Valter Birsa lo hanno spinto a modificare in corsa il termine da usare che, a causa dei particolari ragionamenti del nostro cervello, è risultata essere petaloso. Un'altra interpretazione, sostenuta dall'ala riformatrice dell'Accademia, sostiene che la sera prima della partita il telecronista – sbronzo – abbia scommesso con gli amici che avrebbe usato il termine petaloso durante il suo lavoro, sottovalutando la mancanza di petalosità in una partita come Sampdoria-Chievo. Trovandosi sprovvisto di momenti petalosi, ha pensato bene di usarlo l'aggettivo nel primo momento utile, senza stare a pensare al reale significato, convinto che l'uso così intensivo fatto di questa parola nei giorni precedenti l'avesse così svuotata di significato da renderla semplicemente un intercalare. Anche questa è una possibilità, lo sviluppo delle parole è imprevedibile anche per noi accademici, e potrebbe segnare l'inizio della trasformazione del significato del termine petaloso.

Grazie per questa tua lettera, sono le richieste come le tue a mandare avanti l'Accademia, ti consigliamo di regalare a Birsa un bel libro intitolato Futbol e scritto da Osvaldo Soriano. In uno dei racconti c'è forse il rigore più famoso della letteratura.

- Per Birsa: il libro con i suoi riferimenti completi è OSVALDO SORIANO, Futbol. Storie di calcio, Torino, Einaudi, 2006.

Ciao Bello.

3. Porca puttana

In principio fu Felice Gimondi. Nel 1966 durante un Processo alla tappa di Sergio Zavoli disse che «Oggi non era facile andare in fuga, perché là davanti quelli della Molteni facevano un gran casino» e quella parola, ‘casino’, era a tutti gli effetti considerata una parolaccia, la prima nella storia della televisione italiana. Zavoli venne richiamato dai vertici RAI mentre Gimondi, che era già Gimondi, fece la storia (oltre ad essere estromesso dalle trasmissioni per un anno). Cesare Zavattini, invece, il 25 ottobre 1976, fu il primo a dirne una in radio: «E adesso dirò una parola che finora alla radio non ha mai detto nessuno». Ci fu una lunga pausa, crescita del pathos, curiosità: «Cazzo…». Bello, preciso, senza possibilità di sbaglio, un tabù infranto in 5 semplici lettere.

Arriviamo a Marzo 2016 quando oramai tutti i tabù sono caduti. Giovanni Trapattoni sta commentando, come seconda voce, la partita amichevole tra Germania ed Italia. Nel momento in cui Stefano Okaka stoppa un pallone sulla trequarti, Trapattoni intuisce un limpido corridoio tracciato dalla corsa di Stephan El Sharaawy. Il corridoio sta proprio lì, è palese. Prima prova a chiamarlo con la voce (sì, sì), poi spinge Okaka ad accelerare l'esecuzione (di prima!) perché da allenatore navigato sa che nessun corridoio dura per sempre. Infine, quando il passaggio di Okaka viene intercettato dalla difesa tedesca, Trapattoni si spoglia delle poche sovrastrutture rimaste e si siede sul divano accanto a noi.

https://www.dailymotion.com/video/x40tzpi_trapattoni-e-germania-italia_sport#tab_embed

Nel suo porca puttana strozzato c'è infatti la prima parolaccia in TV, ma non dalla TV. In quel momento il Trap non sta commentando Germania–Italia per la RAI, in quel momento è Fantozzi con la frittata di cipolla e la Peroni ghiacciata. A marzo 2016 Trapattoni ci ha dimostrato ancora una volta di essere un avanguardista, completamente fuori dalle accademie e per questo addirittura futurista, figlio unico, mal pagato, derubato, deriso, disgregato e ti amo Giovanni.

2. Imbarazzo

Esistono momenti così platealmente imbarazzanti da diffondersi nell'aria e contagiare chiunque si trovi nelle vicinanze, portando pelle d'oca, voglia di trovarsi da un altra parte proprio e profonda empatia con il soggetto colpevole del gesto causa dell'imbarazzo.

In questo caso l'atto del creare imbarazzo è toccato a Marco Cattaneo, giornalista di Sky, in televisione.

Descrivendo un azione di gioco, Alessandro Costacurta mima il movimento fatto da Juan Jesus per raggiungere il pallone abbassando leggermente la testa. Nello stesso momento, in quello che doveva essere un altro universo, Marco Cattaneo decide di mimare un altro movimento, simile al famoso calcio di karate kid, che lo porta a colpire con la punta della scarpa la guancia di Costacurta. La situazione è di per sé surreale: un uomo in giacca e cravatta che colpisce con un calcio in faccia un altro uomo anch'esso in giacca e cravatta senza che ci sia stata prima una qualche sgravata seria è una cosa davvero strana, ma concentratevi sul secondo che passa tra il colpo e la reazione di Cattaneo, in quel secondo c'è la definizione stessa dell'imbarazzo, ed è imbarazzantissima.

1. Telecronista che vomita per 77 secondi

Come prima cosa devo avvertirvi che il contenuto di questo video non è adatto a chi ha appena mangiato o, in generale, ai deboli di stomaco. In esso, posso assicurarvelo, c'è la ripresa tramite cellulare di un televisore che trasmette la partita Lazio-Atalanta dal minuto 03:07 al minuto 4:38. Nel video possiamo vedere: un fallo commesso da un giocatore dell'Atalanta, un azione della Lazio interrotta da un passaggio sbagliato, un rapido contropiede e un calcio d'angolo. È però quello che si sente a fare la differenza: settantasette secondi del video sono occupati di rumori di un uomo, presumibilmente il telecronista, che vomita.

Ora prendete questi settantasette secondi e fateli ripetere all'infinito da un televisore HD, ultrapiatto, ultra curvo, uno dell'ultimissima generazione davvero non importa il modello, e speditelo al MoMa. Loro lo prenderanno, ci monteranno una bella storia sopra che scriveranno sulla targa informativa, e poi lo piazzeranno al secondo piano, tra le opere del periodo che va dal 1980 ad oggi. Avremo così il primo esempio di telecronaca che diventa arte contemporanea.

5 scambi dalle meravigliose 4 settimane di David Goffin

di Federico Principi

Scrive Luca Bottazzi su David Goffin: «Nel tennis di oggi Goffin è limitato da una cilindrata troppo bassa. Tuttavia la sua arte superiore lo porterà, seppur per breve tempo, nei top 10». Un perfetto riassunto di quello che è un po' un anti-fenomeno del tennis contemporaneo, sia per struttura fisica che per body language.

Non è difficile capire che per "arte superiore" Bottazzi intendesse soprattutto la compattezza nella ricerca della palla, il timing nell'anticipo, l'intelligenza nella costruzione del gioco. In un'altra occasione il commentatore Sky ha scritto: «Tra Simon e Goffin è una partita tra giocatori pensanti». Oltre al fosforo, Goffin approfitta della sua statura da normotipo (1,80 metri, ormai bassa nel tennis contemporaneo) e del suo timing per essere efficiente in risposta, compensando un servizio leggero (è quarantesimo per game di servizio vinti nel 2015, trentasettesimo nel 2016) sia per tecnica che per centimetri.

Udite udite: Goffin a Miami risponde più spesso in campo rispetto a Djokovic. Questo nonostante il roster degli avversari fin lì affrontati dal belga (Granollers-Zeballos-Troicki-Simon) non sia inferiore a quello di Djokovic (Edmund-Sousa-Thiem-Berdych) nelle abilità al servizio.

Goffin si era lanciato nei primi 100 dopo gli ottavi di finale del Roland Garros 2012, sconfitto da Federer dopo aver vinto il primo set. Questa intervista post-match, in cui è visibilmente emozionato, sembrava il preludio a un'imminente esplosione poi ritardata. Goffin è presto uscito dalla Top 100 e ha avuto bisogno di tre vittorie consecutive in tornei Challenger a luglio 2014 per rilanciarsi. Dal maggio 2015 è stabilmente nei Top 20 e ora, dopo le semifinali di Indian Wells e Miami, ha raggiunto il suo best ranking di numero 13.

5. Taglia-gambe

Una delle caratteristiche che accomunano chi possiede gran timing e quindi grande anticipo (Djokovic, Murray, Nishikori) è l'abilità nel rovescio lungolinea. Generalmente questo colpo serve soprattutto per stanare chi, spostandosi sul dritto, lascia scoperta la zona destra di campo. Goffin in questo caso preferisce evitare il braccio di ferro contro il rovescio di Wawrinka, facilitato dalla superficie di Indian Wells non così veloce e che gli permette di caricare il colpo. Goffin cerca inoltre di far colpire il dritto in corsa allo svizzero, mai stato un fulmine di agilità. Il rovescio lungolinea gli esce talmente bene che riduce la successiva chiusura di dritto a una formalità.

4. Costruzione

Lo squilibrio di Raonic tra dritto e rovescio e la velocità ridotta delle sue gambe rendono un match contro di lui difficile da giocare (con quel servizio), ma facile da leggere. Goffin - in semifinale a Indian Wells - trasforma uno scambio impostato nel migliore dei modi per il canadese in una situazione tattica che invece è l'ideale per il belga. Raonic attacca con il dritto dopo il servizio, ma Goffin si difende bene e stana il canadese (spostato alla propria sinistra) con il rovescio lungolinea; Goffin si sposta sul dritto e martella in diagonale sul debole rovescio in back di Raonic, che non trova il campo nel tentativo di forzare il passante. Uno schiaffo a chi pensa che - nel tennis contemporaneo - i muscoli prevalgono sempre sull'intelligenza.

3. Balistica

Tra Simon e Goffin - a Miami - è sicuramente stata una partita tra «giocatori pensanti», ma non va sottovalutata la quantità di talento presente nei due pesi leggeri. Simon non ha la stessa capacità di posizionamento a rete di Stepanek ma per fare un lob così in corsa, come questo di Goffin, servono coordinazione e sensibilità. E talento.

2. Repertorio completo

Back millimetrico lungolinea, attacco di dritto da sotto la rete (e con il finale della testa della racchetta verso l'alto, per dare top spin alla palla e scavalcare la rete), smash difettoso che gli costerà caro qualche giorno dopo, demi-volée stoppata di rovescio a due mani e volée vincente in allungo. Goffin ha ceduto in tre set a Raonic a Indian Wells ma ha messo a segno il punto più spettacolare del match, nel quale ha dovuto tirare fuori praticamente tutta l'artiglieria. Lo smash doveva però fare un salto dall'arrotino a fine partita.

1. Il tassello mancante

Per suggellare ulteriormente il fantastico mese nordamericano, Goffin avrebbe dovuto battere l'invincibile Novak Djokovic in semifinale a Miami. Lo scorso anno a Cincinnati il belga andò avanti 3-0 con due break nel terzo set, subendo un incredibile parziale di 6 giochi consecutivi del serbo fino alla sconfitta. Lo scambio con cui Goffin perde ogni speranza di battere Djokovic a Miami è una metafora perfetta del match in Ohio della scorsa estate: il belga impatta bene la risposta in avanti e attacca subito perfettamente con il dritto lungolinea. Il pacchiano errore nello smash (di fronte a un Djokovic attonito e assolutamente fermo) rimette in pista il Numero Uno, che inesorabilmente conquista sempre più campo. Con questo punto Goffin sarebbe salito in vantaggio 5-4 nel tie-break con due servizi per chiudere: quello smash era il tassello mancante per chiudere il set perfetto, rimasto incompiuto.

I 3 momenti meno intensi delle amichevoli internazionali

di Emanuele Atturo

Il gol di Rangelov in Macedonia – Bulgaria

Allo stadio Nacionalna Arena Filip II Macedonski di Skopje si sono affrontate Macedonia e Bulgaria. Un’amichevole davvero poco intensa, il cui miglior sottofondo è la musica strumentale cupa e intimista del video. Non so se esiste qualche rivalità tra le due nazionali che giustifichi la ricerca di un effetto estetico così preciso.

Sono stati diversi i momenti di pochissima intensità. Per esempio quando Goran Pandev ha dribblato il portiere ma poi si è impicciato e ha tirato a lato a porta vuota. Ho scelto però il gol di Rangelov, quello dell’uno a zero, che sblocca il risultato, indirizzando la partita. Non è neanche un brutto gol. C’è un colpo di tacco al centro dell’area casuale del numero 11, la palla che si alza con la difesa della Macedonia scomparsa, e Rangelov che la colpisce con una certa forza sul secondo palo, mentre il pallone ancora sale.

Rangelov gioca nel Konyasport, in Turchia, ha 33 anni e alle spalle una carriera minore. Non so se la sua vita di calciatore professionista gli ha mai regalato delle autentiche gioie o solo questi momenti derivativi. Fa per esultare istintivamente, corre verso un punto imprecisato oltre la porta, poi c’è una pista d’atletica blu elettrico a ricordargli che è a Skopje, per Macedonia–Bulgaria. E allora si ferma, forse per pudore, e si accontenta dei complimenti dei compagni.

L’azione dello 0 a 1 di Lussemburgo – Albania

I 62 minuti di zero a zero tra Lussemburgo e Albania me li immagino davvero poco intensi. Non esistono dei reperti video che giustifichino l’espulsione di Joubert al 45’. La diretta scritta di “calcio.com” riporta una successione di eventi scarna come la cella di una galera.

Nel video la telecronaca è in una lingua irriconoscibile ed è fuori sincro col video. Il senso di straniamento è molto forte e confonde ancora di più un’azione di per sé parecchio confusa, dove la palla fatica a restare per terra. Poi arriva sul lato quasi per caso, cross, gol. Ho provato a raccogliere informazioni sull’autore della rete, tale Sadiqu, ma è stato impossibile andare oltre il Sadiq della primavera della Roma.

I 4 minuti di recupero di Montenegro – Bielorussia

Internet ha viziato i nostri consumi culturali al punto che non riusciamo più ad accorgerci di quanto morbose e sinistre siano certe cose che si trovano sul web. Il mondo aveva davvero bisogno degli highlights dei 4 minuti di recupero di Montenegro–Bielorussia, finita zero a zero? Dovremmo vederli fino in fondo senza pentircene, senza la sensazione di aver buttato via 4 minuti che nessuno ci darà indietro?

È evidente che il Montenegro, la squadra di casa, vuole vincere la partita. Batte angoli e punizioni di fretta, mentre la Bielorussia fa un minimo d’ostruzionismo. Comunque non troppo convinto. Lo stadio è minuscolo, le gradinate laterali così basse che quasi si può intravedere il tessuto stradale che sta oltre. Al posto della curva c’è un palazzetto basso sulla cui terrazza sono appostati diversi uomini che guardano la partita. Il Montenegro, che indossa una maglia della Legea che ci dà immediatamente un’impressione da calcio di categoria, guadagna un calcio d’angolo. Il 4 chiama uno schema ma poi calcia la palla in mezzo un po’ a caso. Il portiere la blocca. La regia ci mostra ben 3 replay dove notiamo soprattutto lo strano taglio di barba del portiere della Bielorussia. Poi su un cross dalla destra l’11 del Montenegro prende un palo e si dispera con le mani nei capelli. Sulla gradinata verso la telecamera qualche persona sembra quasi sinceramente emozionata.

Su un cross alto dalla trequarti il portiere della Bielorussia prende la palla al volo e fa una capriola. Sembra voler accasciarsi e perdere tempo, e invece poi continua il movimento e rilancia direttamente il contropiede.

Lo zenith di intensità dei 4 minuti.

L’arbitro fischia la fine, lasciandoci ad ammirare il blando scambio di maglie dei calciatori, decisamente poco intenso. Per favore, seguite su Twitter LTV 2015 per altri highlights di minuti di recupero.

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