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Il Classificone: Ottobre
16 ott 2015
16 ott 2015
Ritorna il rinnovato Classificone, la rubrica più amata de l'Ultimo Uomo: sempre più assurda, gigantesca ed esoterica.
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In questa classifica selezionerò i gol delle prime 7 giornate di campionato. Se avete letto i passati Classificoni ormai sapete che quella che state per leggere è una classifica personale e che le ragioni per cui scelgo i gol non sono sempre condivisibili. Ad esempio, qui non ci sono

– ormai è chiaro che per Pinilla è solo un'alternativa al colpo di testa, non c'è neanche bisogno di coordinarsi, sforbiciare, basta cadere all'indietro alzando la gamba, e a Sabaudia i cani addestrati di Totti fanno rovesciate uguali a questa tutti i giorni – o

, che ha una parabola così arcuata e inarrivabile per il portiere che sembra quasi un tiro da 3. Ho scelto invece di cominciare dalla punizione di Balotelli perché ha mandato in pezzi per un momento la mia idea di realtà facendomi chiedere: se non ci fosse stata la rete a fermarla, dove sarebbe arrivata quella palla? Magari avrebbe continuato la sua corsa, alla stessa altezza da terra e a velocità costante e, con un po' di fortuna, senza ostacoli sul suo percorso, avrebbe fatto il giro della terra e avrebbe colpito Balotelli dietro la nuca. Chi lo sa.

 



 



 

Higuain è la cosa più vicina all'idea comune di “centravanti”. Se vi chiedessi di chiudere gli occhi e visualizzare un “tavolo”, pensereste a una superficie piana con quattro zampe. Se chiudete gli occhi e provate a pensare all'idea di centravanti vi verrà in mente questo gol (o magari

). Higuain non è perfetto sotto nessun punto di vista, ma di attaccanti ossessionati come lui dal gol non ce ne sono molti in giro. Non è una questione statistica, di medie gol o dell'importanza dei gol segnati, in quel caso dovremmo dare un giudizio molto più ampio di Higuain. Quello che mi interessa qui è la sua ossessione genuina per la porta avversaria, che magari lo rende infelice la maggior parte del tempo ma che in alcuni casi si trasforma in volontà di potenza; e tutti i discorsi tattici, tecnici, filosofici finiscono schiacciati sotto l'idea primordiale di calcio come: prendere palla e andare a fare gol. Non importa da quanto lontano, contro quanti avversari, Higuain ha deciso di puntare la porta appena vede quella palla vagante. Certo, la difesa laziale e Marchetti non sono impeccabili, ma è difficile fermare un uomo con un'idea fissa. Leggetevi i resoconti della gente tenuta in ostaggio o rapita, con i pazzi si finisce per collaborare anche non volendo.

 



 



 

La retorica sportiva è troppo ricca di sottovalutati, di

. Tutti noi pensiamo di valere di più della somma delle nostre scelte ma i talenti

sono rari, per fortuna. Quando ci riesce qualcosa di così eccezionale dovremmo accontentarci, incorniciare la gif in salotto e mostrarla ai nipoti con fierezza, ma senza dargli troppa importanza, come al resto delle gioie terrene. Dal

: «Gli ignoranti agiscono per attaccamento all'atto. Anche il saggio deve agire, ma senza attaccamento, mirando solo all'integrità dell'universo». No Meggiorini, non te ne verrà nulla da questa bellezza unica, non potrai

e nessuno cambierà idea sul tuo valore generale per un solo singolo gesto, così come non sarà questo paragrafo a cambiare la mia carriera, così come sono pochissime le vite cambiate da una sola singola idea. Presto ci dimenticheremo di Meggiorini, ci dimenticheremo di questo gol, ma adesso – a ottobre 2015 – è ancora “vivo” e vale la pena celebrarlo. E dobbiamo ringraziare anche Paloschi, che non ha rovinato tutto. Che poi alla fine è proprio Paloschi a prendersi il terzo posto di questa classifica, non Meggiorini.

 



 



 

Questo gol è in seconda posizione perché la sua è una di quelle bellezze naturali che possono ispirare poesie e far innamorare, ma difficili da scomporre e classificare. Cosa ci dice sui limiti umani, sugli sforzi, le difficoltà, i sacrifici e le ricompense, sulla nostra capacità di innalzarci al di sopra dei nostri istinti? Benassi scivola all'ultimo, perché scivola non è neanche chiaro, avrebbe potuto coordinarsi e calciare al volo: invece scivola quasi sul posto, come i ragazzini che fanno le mezze-rovesciate sul letto. È un movimento di una fluidità incredibile, Benassi si trasforma in superficie, riflette il pallone come uno specchio la luce. Non ci mette neanche molta forza nel calciare, sembra quasi che la palla faccia tutto da sola. Senza sforzo. Benassi non l'ha cercato, è il gol che è andato da Benassi, lui ha solo dovuto assecondare la natura delle cose. Benassi sembra consapevole che la vita è composizione e disfacimento, che questo gol non gli appartiene, ha a cuore

. Se riuscite a mettere pausa nel momento esatto in cui la palla entra in contatto con il piede di Benassi sul vostro computer si aprirà un piccolo buco nero: guardateci dentro come se fosse una serratura e dall'altra parte vedrete dio.

 





 

La prima posizione di questo mese si spiega con ragioni personali. Da un paio di mesi sto facendo avanti e indietro dall'ospedale per una persona cara, e per questo seguo in diretta quasi solo le partite della mia squadra del cuore, la Roma, e anche in quei momenti non provo nessun sollievo. La Fiorentina vista da lontano ha lo stesso effetto delle foto di Facebook di un amico felice, una normalità per me lontanissima: un salotto, un cane, una ragazza che sorride davanti a un piatto cucinato così così. Ho letto tutto quello che è stato scritto di Paulo Sousa, lo ricordavo nel documentario sul Queens Park Rangers di Flavio Briatore, The

, e non faceva una bella figura costretto sotto il carisma squallido dell'imprenditore italiano – che, adesso che ci penso, sembra la sua versione, appunto, squallida: brizzolato, abbronzato, con un'idea di piacevolezza fisica, però, cinica, che tiene conto dei soldi. Paulo Sousa è diventato, in queste poche settimane, una consolazione per me, e senz'altro c'entra il fatto che in questo momento ho bisogno di figure paterne stabili, sicure, serene. Guardatelo quando esulta sopo il gol di Verdú: Paulo Sousa è un uomo che non conosce sofferenza, per cui la sofferenza su questa terra non esiste. E lo dico sapendo che non è possibile, ma non ne posso più di figure tragiche, o squallide (squallido o tragico, in Italia non se ne esce: Briatore o Lo Cascio, Berlinguer o Berlusconi). La serenità di Paulo Sousa si trasmette alla sua squadra: all'assist di Kalinic, che ricorda quello di Cantona per Irving (che, in

, il personaggio di Cantona

essere il suo momento preferito), con la differenza che Kalinic è spalle alla porta e la sua torsione è ancora più innaturale. Una serenità che si trasmette alla volé di destro di Verdú, un gesto eseguito con la sicurezza e l'immediatezza del tennista salito fino a un metro dalla rete per chiudere il punto, con l'avversario che si risparmia la corsa da una parte all'altra del campo. Posso persino sorvolare sulla carriera di Verdú, su tutti bivi strani e apparentemente insensati che ha dovuto prendere per trovarsi lì quel giorno. Viviamo di momenti. Verdú, Kalinic come Cantona, Paulo Sousa, e questo gol sono una consolazione per chiunque nel calcio cerchi storie e significati oltre alle gioie materiali del tifo. Guardateli quando esultano tutti insieme: che famiglia felice.

 





 

Ryder Matos. Pronunciatelo ad alta voce, pensate di essere voi a chiamarvi Ryder Matos e a dovervi presentare agli sconosciuti dicendo: “Piacere, sono Ryder Matos”.

 





 

Sette giornate così, con questa scorta di sorprese, di risultati e classifiche anomale, sono il trionfo del cambioverso. Narrano un campionato strano, che senza risultati chiari costringe a inversioni spericolate di giudizi e opinioni. Così frequenti da, in alcuni casi, essere al secondo giro, al “cambioverso” del “cambioverso”. In mezzo, gli allenatori.

 



 

Come Maurizio Sarri, tanto per iniziare. Un processo di immediata beatificazione partito subito dopo il quattro a zero in casa del Milan ha portato i giornalisti in pellegrinaggio sui luoghi della sua gioventù sportiva…

 



 

Durante il viaggio c’è chi ha fatto l’elenco dei miracoli del tecnico con la sigaretta tra le dita (di nascosto, ma tra le dita)…

 



 

Ma vincere con il Milan così bene non è stato un caso. È stato, anzi, il segnale giusto. Perché dopo le prime partite (sconfitta con il Sassuolo e pareggio con Sampdoria ed Empoli) Sarri era già un tecnico da rottamare, buono per altre squadre ma non per piazze così accese. Piazze che, in qualche modo, chiedono l’esonero con facilità, come Napoli, almeno con alcuni opinionisti. Al punto che, nelle ricostruzioni, si dice, a metà settembre, che c’è un limite per la pazienza di De Laurentiis.

 



 

Quale data? Il 4 ottobre, giorno della gara con il Milan. Quella dello 0-4. Che smentisce tutti, compreso D10S.

 



 



Massimiliano Allegri doveva aspettarselo: l’anno scorso ha vinto scudetto e Coppa Italia ed è arrivato in finale di Champions, sorpassando felice tutti quelli rimasti fermi ad aspettare il suo esonero, inutilmente profetizzato nel primo giorno di incarico post-Conte. Ha vinto quasi tutto e ha costretto all’inversione a U troppi commentatori, per essere adesso ancora simpatico.

 

Certo, la Juve non è partita benissimo, ma il tecnico è lo stesso fintamente osannato solo qualche mese fa. Allora via: partenza lenta e subito ipotesi nefaste. Affidate, come spesso accade, non al proprio parere ma a quello degli altri. Per celarsi. Ad esempio, citare i bookmakers…

 



 

Poi passando ai penultimatum (invenzione tutta giornalistica che di tanto in tanto suona come «se perde 6-0 le prossime 10 partite rischia l’esonero», che torna sempre buona nel caso dovesse accadere prima).

 



 

Poi, però, c’è la Champions (e la Juve va), c’è la squadra che torna a fare risultati e che promette di poterne fare ancora e allora ecco che tutto torna a essere esaltato. Come da titolo, nel quale improvvisamente non è una squadra a essere a punteggio pieno, ma il suo allenatore.

Sì, Allegri a punteggio pieno. Cambio!

 



 



 

In estate il Milan avrebbe meritato un cambioverso a parte solo per gli acquisti dati per fatti e poi scomparsi, ma anche per l’ingresso di mr. Bee poi avvolto dal mistero. Di certo doveva essere una grande subito e, dunque, ogni buon segnale diventava gigante.

Prende Mihajlovic per la panchina e tutto, subito, va ricondotto alla sua mano. Anche un’amichevole può bastare…

 



 

Poco dopo, è già da esonero: dicono siano pronti Spalletti o Donadoni…

 



 

E mettono anche in pista il solito Brocchi, lo spettro di ogni allenatore del Milan pur sempre affiancato da qualcuno (in questo caso, da Lippi)

 



 

Poi, però, ancora un cambio. Detta la linea Berlsconi.

 

 



 



Senza foto, senza titoli. In rassegna: Garcia, alla Roma, rischia da fine stagione scorsa, ma è diventato eroe dopo il pari con il Barcellona e poi di nuovo un somaro (per chi giudica); Zenga stava per essere esonerato dopo il preliminare di Europa League e poi è tornato mago sottovalutato quando la Samp ha vinto; Pioli come un anno fa stava per essere esonerato (sempre per volontà popolare) dopo le prime partite e ora è di nuovo il motore della Lazio; Mancini vince ed è il tecnico da scudetto per l’Inter e appena rallenta dicono che non lo è più e il resto è culo, Castori era l’eroe del Carpi ed è stato mandato via per la partenza a singhiozzo (sempre alla guida del Carpi eh).

 

Infine c’è Iachini: rischia l’esonero dal primo turno, perché è un tecnico di Zamparini e prevederlo è facile, ma è ancora lì. Anzi: proprio il presidente ha detto che non lo caccia, perché non servirebbe. Poi, magari, mentre leggevate tutto questo è stato rimpiazzato. Di Zamparini non si può rispondere in un pezzo solo: cambiaverso più volte al giorno.

 




 



Gagliolo in effetti ha quella sfumatura-olof-mellberg che immagino lo abbia reso molto quotato in adolescenza tra le ragazzine e odiato dai compagni dell’Itis (mi dà l’impressione abbia studiato da perito industriale), ma mi sembra che la faccenda ultimamente gli stia un po’ sfuggendo di mano. Grazie a sua mamma, svedese, ha acquisito il doppio passaporto, e forte di un paio di prestazioni oneste e sincere con il Carpi s’è già sperticato in sogni a breve termine con la nazionale gialla e blu. Ci sta che allenarsi tutti i giorni con Letizia e Lasagna sia un incitamento all’Ibra dreamin’, ma insomma.

 

Gagliolo è uno dei migliori interpreti, in questo primo scorcio di stagione, del gesto atletico che in inglese ha un nome bellissimo, clearance, un nome che secondo me esce sminuito dalla traduzione italiana, spazzata, che lo imbrutisce, lo rende più rozzo.
Come si dirà spazzata in svenska?

 



Immagino che il Frosinone possa ritenersi soddisfatto di essere arrivato alla prima storica partecipazione in Serie A con la rosa infarcita di giocatori così fotogenici: in una prossima futura auspicabile pubblicazione celebrativa dei frusinati, quel tipo di libri con le copertine in pelle da riporre nelle teche, nella memoria dei tifosi rimarranno inscalfibili

, le facce da guappi di

.

 

Per questo ha senso che il primo gol pesante dei gialloblu sia stato di Leonardo Blanchard, che ha una storia fatta apposta per marcare il segno, per essere incisa con l’inchiostro indelebile. Tifoso juventino e autore del gol che vale pareggio, primo punto in A e invincibilità allo Juventus Stadium in un’unica soluzione.

 


Mio malgrado, raga.


 

Perché ha quel fascino dell’hipster intellettualizzato, le braccia tatuate del bassista indie e la barba curata da foodblogger. E poi un cognome così poco grossetano, e allo stesso tempo così simile a quello del suo più illustre concittadino Bianciardi. Pur senza rimanerti impresso nella retina come

.

 



Oscar è arrivato a Palermo con l’incarnato del colore della statuetta di cui porta il nome, i capelli biondi al vento, l’aria principesca, la faccia pulita perfetta per una confezione in latta di biscotti al burro, eppure il suo impatto con i rosanero è stato lo stesso di un aitante universitario svedese che arriva sulle spiagge di Mondello in un periodo povero di vitelloni da spiaggia: in un attimo si è preso tutti gli sguardi.

 


Il momento del primo gol in campionato è quello in cui si cominciano a prendere le misure nell’associazione nome-volto.


 

Forse il pensiero sulla mancanza di vitelloni me l’ha fatto fare la maglia che ha scelto pretenziosamente di indossare: se fossi stato un nostalgico magazziniere del Palermo avrei scucito tutti i dieci e li avrei appiccicati sotto il nome di Vazquez, altro che sotto quello di Oscar.
Dopo la doppietta di San Siro contro il Milan - ma non sono state tanto le reti, quanto il suo verticalizzate il gioco, l’interscambio continuo con El Mudo come fanno il libero con il palleggiatore nella pallavolo, le giocate pulite - ci siamo andati a guardare le sue compile su YouTube: ah, ma giocava con il PSV, ora ho capito chi è!
Ma se al commissariato vi chiedessero di disegnarne l’identikit, sareste davvero in grado?

 



L’Empoli di Giampaolo non è ancora (riuscirà ad esserlo mai?) la macchina ben congegnata di Sarri, ma sul cerchio di centrocampo, per compiti e responsabilità, Assane Diousse sembra proprio la fotocopia venuta scura, ma non per questo meno nitida, di Mirko Valdifiori. Dai suoi piedi, nei quali Giampaolo ha installato il centro nevralgico della manovra bassa, di partenza, dall’inizio del campionato sono sempre circolati almeno una cinquantina di palloni, e la percentuale di passaggi completati non è mai scesa sotto l’85%, che voglio dire, son cose: anche perché Assane non si limita al passaggio banale o sicuro, in orizzontale o all’indietro, ma osa verticalizzare, imbeccare Pucciarelli o Maccarone quando tagliano verso l’esterno.

 


Un’altra sicurezza rispetto ai tempi della primavera.


 

In campo caracolla, ma la sua non è indolenza: Assane ha diciott’anni appena compiuti, in conferenza stampa è timido com’è giusto che sia, si dondola sulla sedia, ha lo sguardo basso ma con il lampo temprato come l’acciaio di chi è dovuto crescere in fretta, di chi ha bruciato le tappe più per necessità che per vezzo, eppure al contempo ha personalità. Si vede da come tiene le braccia attaccate al corpo quando non ha la palla tra i piedi.
In estate era stato cercato dal Tottenham, dalla Roma, dal Milan: lui ha scelto di rimanere ad Empoli e firmare un quinquennale. Lontano dal Castellani avremmo fatto meno fatica a ricordarne il volto?

 




 



Daniel Tailliferrer Hauman van der Merwe è senza dubbio uno dei giocatori più sorprendenti di questa prima fase della coppa del mondo di rugby 2015. La ventinovenne ala canadese (ma è nato in Sudafrica, arrivò nella città di Regina, nella regione del Saskatchewan, all’età di 17 anni insieme alla famiglia) ha messo ha segno 4 mete, una per incontro, è leader assoluto della competizione per metri percorsi palla in mano, ben 389, e figura anche nei primi 10 giocatori della rassegna come ball carrier, con 45 penetrazioni, 20 delle quali effettuate conquistando la linea del vantaggio. Aggiungiamoci 18 placcaggi, 14 offloads, 13 difensori battuti in uno contro uno, 5 turnover, e scopriamo come praticamente van der Merwe sia assente dalle statistiche relative ai primi 20 giocatori del torneo per skills individuali, soltanto nelle rilevazioni riguardanti mischie chiuse e rimesse laterali. 1 metro e 87 per 101 chilogrammi, l’ala ex Saracens e Glasgow, passato agli Scarlets gallesi quest’estate, è alla sua terza coppa del mondo ed ha stupito, oltre che per la sua enorme fisicità, per la completezza e la maturità dimostrata sul campo, sia in attacco che in difesa. Nello schieramento canadese van der Merwe ha dimostrato di essere, più che una semplice ala, un giocatore totale, capace di aiutare i centri in fase di placcaggio, sempre ben posizionato nelle ricezioni dall’alto ed in appoggio all’estremo Matt Evans, letale nelle ripartenze e capace di rompere almeno il primo placcaggio: ne sa qualcosa l’Italia, a cui van der Merwe ha segnato una delle mete più belle di questa coppa del mondo.

 



 



Fra i segreti del grande exploit della squadra giapponese nella Rugby World Cup 2015, c’è la straordinaria crescita del capitano Michael Leitch. Il flanker di origine figiana, arrivato in Giappone all’età di 15 anni, ha dimostrato di essere una delle terze linee più forti di questo mondiale. Leitch è il leader, a pari merito con l’azzurro Francesco Minto, nella classifica per placcaggi messi a segno in questa coppa del mondo, ben 51. Ma a far comprendere l’importanza delle sue prestazioni per il XV allenato da Eddie Jones sono i numeri che lo posizionano in testa nella competizione anche per le statistiche come ball carrier, ben 60 ripartenze, ed attacchi portati oltre la linea del vantaggio, addirittura 36, elementi che chiariscono il ruolo determinante che il numero 6 giapponese ha rivestito negli equilibri tattici di una squadra che è riuscita a mettere a segno una delle sorprese più grandi nella storia dello sport (per chi se la fosse persa, parliamo della vittoria del Giappone contro il Sudafrica all’esordio). A rappresentare perfettamente lo spirito di Leitch e l’importanza del suo carisma, della sua corsa, delle sue skills difensive per l’equilibrio del XV giapponese c’è il placcaggio portato in rincorsa, contro Samoa, su Kahn Fotuali’i, lanciato verso la meta. Un gesto che unisce forza fisica, visto il tipo di impatto laterale che riesce a portare in corsa, enormi capacità atletiche (se guardate l’inizio dell’azione, vedrete Leitch rientrare di spalle da un punto d’incontro), l’intelligenza tattica di seguire una linea di rientro perfetta per la chiusura difensiva e l’approccio tecnico di un placcaggio portato su tutto il corpo, in modo da eliminare qualsiasi possibilità di offload per il giocatore samoano.



 



Impossibile tenere fuori dalla lista l’autore della prestazione individuale più impressionante vista sin qui alla Coppa del Mondo di Rugby 2015. La vittoria degli Wallabies contro i padroni di casa inglesi non ha soltanto eliminato il XV britannico dalla corsa mondiale, ma ha soprattutto mostrato al mondo il talento di un numero 10 sul quale in pochi avrebbero scommesso prima della rassegna iridata. Ben 28 dei 33 punti con i quali la nazionale australiana ha schiantato l’Inghilterra sono infatti arrivati proprio da Foley, autore di due mete e protagonista di una prestazione di assoluta personalità. Aldilà della straordinaria precisione al piede mostrata durante tutti e quattro i match giocati dall’Australia, (Foley ha calciato con una percentuale dell’89%), a sorprendere è stata la maturità con la quale il mediano di apertura dei Warathas ha saputo prendere in mano la squadra, proprio nella partita più importante della prima fase.

 

Nelle settimane precedenti l’arrivo in Inghilterra su Foley aleggiavano gli spettri di Matt Giteau, Quade Cooper e Matt Toomua, invocati dalla stampa australiana per il ruolo di guida dei tre-quarti. Il ragazzo di Sydney, 26 anni ed all’esordio nella competizione mondiale, ci ha messo appena due partite per far ricredere i suoi detrattori, mostrando un bagaglio tecnico che unisce capacità di corsa da utility back, intelligenza tattica nella gestione della palla, grande solidità difensiva ed una straordinaria lettura del gioco sia nelle fasi di ripartenza che in situazione di avanzamento. Se l’Australia dovesse raggiungere almeno le semifinali, un traguardo decisamente alla portata per il XV allenato da Michael Cheika, il dottor Foley (laureato infatti in Economia alla Sydney University nel 2012) potrebbe raggiungere la definitiva consacrazione nel rugby mondiale. Niente male per un ragazzo che gioca ad alti livelli soltanto dal 2011 e che si era fatto notare dai tecnici australiani per i suoi exploit nella nazionale australiana di Seven. Vedere per credere gli highlights completi di Inghilterra – Australia. La seconda meta è un concentrato unico di bellezza rugbystica: velocità, tecnica, gioco alla mano, intelligenza tattica. Anche il passaggio che libera Ashley-Cooper al minuto 2:58 per la meta finale di Giteau non è niente male.

 



 




 



 

È il 14 ottobre, sono le 22 UTC e Robert Lewandowski ha segnato 22 gol in gare ufficiali.
Nelle ultime 6 gare RL ha segnato 15 reti.
L’attuale media gol di RL è di 1,83 periodico.
Mettendo in scia l’attuale media gol di RL su un campione medio di 50 presenze tra nazionale e club raggiungerebbe la quota di 91,6 gol in una stagione secca, stracciando il precedente record di Messi di 82.
A questo punto della stagione RL ha segnato, da solo, più gol delle seguenti squadre:
- Tutte quelle della Serie A
- Tutte quelle della Premier League
- Tutte quelle della Liga
- Tutte quelle della Ligue 1
- Juventus e Milan, messe assieme


Record di gol nelle qualificazioni europee ✔
Tre gol più veloci in Bundesliga ✔
Quattro gol più veloci in Bundesliga ✔
Cinque gol più veloci in Bundesliga ✔
Sei gol più veloci in Bundesliga
Maggior numero di gol in una sola partita
Record di gol da subentrato ✔
Record di gol di testa in una sola stagione
Record di gol durante l’Oktoberfest ✔

 




Lionel Messi 45 in 53 partite (0,85)
Cristiano Ronaldo 42 in 43 partite (0,98)
Robert Lewandowski 40 in 42 partite (0,95)

 



 



 



 


Al minuto 93 mancano pochi secondi alla fine della partita e alla vittoria della Scozia sulla Polonia che metterebbe seriamente a ris

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