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Fulvio Paglialunga
Il Classificone 4/4: I migliori cambioverso
08 giu 2015
08 giu 2015
I migliori cambioverso della Serie A dell'ultimo quarto di stagione: ritorna il Classificone, la rubrica più amata de l'Ultimo Uomo. Sempre più sottile, spettrale e misterica.
(di)
Fulvio Paglialunga
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Sopra la panca si campa di risultati. Un allenatore che vince due partite consecutive è un eroe. Se perde quella decisiva è un somaro. Il resto sembra sempre contare poco, la spericolata altalena di giudizi quasi sempre non ne tiene conto. Non accade solo per loro: in una stagione i #cambioverso sono stati tanti e tutti legati a giudizi dati in corsa, sul momento e quindi anche solo su novanta minuti. A campionato finito non c'è più niente di opinabile: la classifica è depositata come una sentenza, un allenatore viene valutato in base al posto che ha raggiunto (e della squadra che guidava, ovvio) e tutto quello che si è detto prima viene mandato al macero, tra le opinioni inutili. Invece quelle opinioni vanno ripescate, altrimenti di che #cambioverso si parla?

 

Questa è un'edizione speciale: tutta sugli allenatori, anche per colpa loro.

 



Su come si sia ogni tanto cambiato opinione su Rudi Garcia e sulle sue capacità si

. Niente di strano: Roma è città assai umorale e non ci vuole molto per passare dall'adorazione al banco degli imputati. Stavolta è Garcia ad averci messo del suo, confondendo i tifosi e forse pure un po' sé stesso. Va riletto per gradi.

 

Dopo Juve-Roma (a ottobre) parte sparato: «Questa gara mi ha fatto capire che quest'anno vinceremo lo scudetto. Io sono sicuro di questo perché abbiamo una squadra fortissima. Siamo più forti della Juventus e lo dimostreremo in campo».

 



 

Ottima occasione per i titoli

 



 

E perché nessuno se ne dimentichi Garcia lo twitta pure.

 




 

Poi però la Roma ha un po' di flessione, in Champions perde in casa del Bayern a novembre (il turno prima aveva perso sempre con i tedeschi 7-1 in casa propria) e deve giocare con il Torino. Garcia insiste: «Roma da scudetto? Quando dico una cosa, non la dico per aria. Una partita non modifica le mie considerazioni e le convinzioni della squadra: non sono cambiate di una virgola». Dunque, titoli.

 



 

Occorre sorvolare per brevità sulle altre occasioni utilizzate per ribadire il concetto, utile anche a fornire motivazioni ma comunque assai sbilanciato. Anche perché forse poi di quell'eccesso si è accorto lo stesso Garcia, a marzo, a scudetto praticamente perso. «La frase che ho detto a ottobre sullo scudetto? Forse c'è una divinità misteriosa che ha voluto punirmi per questo peccato, se peccato ho commesso, di superbia. Di certo non ci fermiamo a questa stagione, l'obiettivo non solo è vedere la Roma al centro del villaggio, ma al centro dell'Italia. Il destino della Roma è vincere, lottare per lo scudetto».

 



 

Volendo, tutto normale: un allenatore prova a caricare la squadra dopo una sconfitta con la diretta concorrente, la tiene su dopo brutti turni di Champions e poi dice di aver usato quella frase per scuotere l'ambiente e che però si sta lavorando per vincere domani. Anzi no. Domani no.

 

Perché prima dell'ultima partita con il Palermo Garcia fa una virata. Improvvisa. «Non bisogna illudere la gente: la Juventus, anche dal punto di vista economico, è una potenza irraggiungibile. E l’anno prossimo il gap sarà ancora maggiore». Né centro dell'Italia né altro di quello che aveva detto prima. Nemmeno l'anno prossimo.

 

Come da titolo.

 



 

Una giravolta. Poi un'altra. Questa volta dopo la partita con il Palermo. È passato un giorno: «Io in Francia ho fatto una doppietta con una squadra che non era certo favorita: ovviamente l'anno prossimo la Juventus sarà favorita, ma a volte capita la stagione perfetta, senza infortuni, con i più forti che hanno un piccolo calo». Conviene aspettare, per capire che ne pensa. Potrebbe non essere l'ultima opinione.

 



Andrea Stramaccioni nelle giovanili aveva successo. A un certo punto l'Inter lo lancia in prima squadra, per sostituire Ranieri. A trentasei anni. Da quel momento, secondo la recente tradizione dei club italiani in difficoltà, che pescano dalle giovanili sperando di trovare un Guardiola nascosto da qualche parte pronto a rendere grande la prima squadra, Strama diventa allenatore di Serie A. L'Inter lo conferma l'anno successivo, poi resta una stagione fermo, fino a quando non lo chiama l'Udinese per questo campionato.

 

Ecco, qui l'ansia di trovare un nuovo eroe (e magari rinfacciarlo all'Inter) genera “inversioni” non da poco. L'Udinese vince la prima, perde con la Juve e poi batte in fila Napoli, Lazio e Parma: cinque giornate, dodici punti. Quella di Stramaccioni è una favola...

 



 

Di più: si lanciano sondaggi... (il 61 per cento ha votato sì).

 



 

Ha sbagliato l'Inter? Di certo non è sicura di averci preso l'Udinese, ora che può vedere la classifica di fine campionato. Ricordate quei sorrisi dopo cinque giornate? Non sopravvivono, ora che l'Udinese è arrivata sedicesima, solo due posti sopra la zona retrocessione e con il peggior piazzamento degli ultimi quindici anni in Serie A. Come è finita? Con un tweet.

 




 

«Udinese Calcio comunica che dall'incontro tra la dirigenza e il tecnico Andrea Stramaccioni tenutosi oggi è emersa la decisione del club di non esercitare l'opzione in proprio favore di rinnovo contrattuale per la stagione 2015/2016. Pertanto il rapporto con il tecnico cesserà alla scadenza naturale del 30 giugno 2015». Senza sondaggi.

 



Il 14 novembre, con l'Inter a sedici punti in undici partite, Thohir esonera Mazzarri e chiama Roberto Mancini. Nome ormai internazionale, garanzia, soprattutto un'altra mentalità rispetto al suo predecessore. Mancini accende gli entusiasmi. Anche in sé stesso. E si sbilancia. Il giorno della firma lancia promesse come fossero rose sul cammino degli acciaccati tifosi interisti. «Punto al terzo posto». «Inter, torni grande».

 



 

Ci crede, c'è tempo. E arrivano Shaqiri e Podolski a gennaio. Titoloni...

 



 

Anche il diesse Ausilio, rispondendo a Twitter ai tifosi, parla della Champions come un obiettivo, fa passare il mercato di gennaio come un “all in”.

 



 

È andata diversamente. A Mancini va riconosciuta la rivalutazione di alcuni giocatori (e anche la crescita di Icardi), forse aver posto una base per ripartire, ma non i risultati: l'Inter non è arrivata terza come il Mancio annunciava e nemmeno in Europa. Ottava, fuori da tutto. E con un media punti che non è cambiata tra i due allenatori (Mancini 1,44, Mazzarri 1,45). Insomma: cambiano verso gli obiettivi, non i risultati. Perché Mancini da solo non bastava, forse. E si era pensato di sì.

 



Il rapporto tra Rafael Benítez e Napoli è stato a lungo di alti e bassi, ma mai di irriconoscenza: il tecnico ha commesso errori che sono costati caro, ma non è stato mai messo da solo sul banco degli imputati. Perché comunque nei due anni in Campania ha tenuto il Napoli in alto. Non in altissimo, ma spesso perché costretto anche a consumare energie per limitare le scorribande verbali del suo presidente (che a volte hanno finito per travolgerlo, va detto).

 

Certo, ha perso la qualificazione ai preliminari di Champions quando sembrava essergli stata offerta su un piatto d'argento, ma non è “il” responsabile degli obiettivi falliti dal Napoli.

 

Invece così è per una parte troppo istintiva della tifoseria, ma soprattutto per opinionisti e giornalisti “di pancia”: Benítez è il colpevole di tutto e quindi via, anzi doveva essere esonerato prima, cacciato senza pensarci, e sai le risate a vederlo al Real Madrid.

 

Forse lo pensa anche De Laurentiis, che fece sapere a

di aver pensato all'esonero anche alla penultima giornata...

 



 

Ma prima di ridacchiare, chi ora vede Benítez come l'ultimo degli incompetenti, dovrebbe attendere di capire cosa può fare al Real, con un'altra squadra e un'altra società. Ché di Luis Enrique, in Italia, ne abbiamo già avuto uno.

 
 

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