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Pinilla visto con delle lenti blu
Classificone Emiliano Battazzi 3 giugno 2015 6'

Il Classificone 4/4: Le migliori punte

Le punte più incisive dell’ultimo quarto di stagione. Ritorna il Classificone, la rubrica più amata de l’Ultimo Uomo. Sempre più lampante, vorticosa e psichedelica.

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Mauricio Pinilla

Mauricio Pinilla è l’uomo che, con il suo Cile, stava per risparmiare al Brasile intero l’umiliazione del Mineirazo. Dopo il Mondiale, in un gesto a metà tra delirante egomania e nostalgia poetica à la Antoine Pol, ha deciso di tatuarsi sulla schiena il mancato appuntamento con la storia, quella traversa all’ultimo minuto dei supplementari degli ottavi di finale.

 

«A un centimetro dalla gloria».

 

Da quella grande occasione Pinilla si è ripreso a modo suo: acquistato dal Genoa di Gasperini, non riusciva a trovare spazio in un modulo che prevede un lavoro continuo anche degli attaccanti. Solo 6 presenze dall’inizio, ma comunque 3 gol, che gli sono valsi la chiamata dell’Atalanta nel mercato invernale. È lì che il vero Pinilla è tornato a segnare e a stupire, regalando la salvezza a colpi di rovesciate. I gol banali non fanno per lui. Con 5 gol nelle ultime 11 giornate (di cui solo 6 giocate), è stato decisivo per i bergamaschi: la doppietta a Cesena il segno definitivo sulla salvezza.

 

Nella squadra di Reja a volte ha giocato da prima punta, con il compito di riempire l’area di rigore, vincere duelli aerei e creare spazio per i rapidi Moralez e Gómez; a volte è stato schierato persino in coppia con Denis, in un reparto offensivo modello cingolato, in cui toccava al cileno il compito di muoversi e portare un difensore centrale fuori posizione.

 

La carriera di Pinilla non è stata all’altezza del talento che sin da giovane aveva dimostrato: un giro di campionati e di squadre senza alcun senso (dal Portogallo alla Scozia, dal Brasile a Cipro, con varie puntate nella Liga spagnola e nella nostra Serie A), per uno che era stato acquistato dall’Inter su indicazione di Iván Zamorano.

 

In lui avevano visto il centravanti fisico, che riesce a occupare l’area e a far salire la squadra, ma anche tecnico, capace di giocate sopraffine degne di un fantasista, oltre al fiuto del gol. Non avevano previsto, però, che la maturità sarebbe arrivata solo dopo anni di professionismo.

 

Tra Genoa e Atalanta quest’anno ha centrato la porta per ben 9 volte. I suoi 41 gol lo rendono il giocatore cileno più prolifico di sempre nella Serie A, davanti a Marcelo Salas, Vidal e al suo scopritore, Zamorano. Il bad boy di Santiago de Chile è riuscito a chiudere i conti con il suo destino.

 

Segnare il 50% dei propri gol in rovesciata è un primato ai limiti dell’immaginazione: la più bella contro il Torino, ma la più difficile è contro il Cesena, quando il pallone è altissimo e lo costringe quasi ad andare in iperestensione.

 

Leonardo Pavoletti

Il copione è noto: a certi attaccanti non basta segnare nelle serie inferiori per ottenere un posto in Serie A. Leonardo Pavoletti è un classico esempio di quella strana selezione all’ingresso: nel 2012-2013 i suoi 11 gol permettono al Sassuolo di vincere la Serie B, ma dopo due presenze in Serie A viene rispedito in basso, al Varese, dove realizza ben 24 gol. Di nuovo, il ritorno al Sassuolo in Serie A, con Di Francesco che lo vede poco: segna solo un gol, il primo nel campionato più importante, ma sembra la solita storia, il solito destino.

 

Invece dietro l’angolo c’è un’opportunità che sembra impossibile: nel mercato invernale si trasferisce al Genoa di Gasperini, dove trova una concorrenza numerosa per il ruolo di punta centrale (da Niang a Borriello).

 

Dopo un paio di mesi passati a osservare i compagni della panchina, il momento di Pavoletti arriva inaspettato nel recupero della partita contro il Parma, giocata a metà aprile: Borriello si infortuna, Pavoletti entra, gioca e segna. In quel momento non lo sa, ma ha appena preso il treno della sua carriera: in poco più di un mese, 6 gol in 7 partite, di cui solo 4 dall’inizio, per una media di un gol ogni 87 minuti.

 

La sua duttilità è stata fondamentale per convincere Gasperini: il centravanti livornese sa spaziare su tutto il fronte d’attacco e partecipa alla costruzione della manovra; oltre ai 6 gol, ben 3 assist e la media di un passaggio chiave a partita. Il suo movimento ad abbassarsi per ricevere il pallone permette a Iago Falque di attaccare la profondità.

 

La storia di Pavoletti è la dimostrazione che non ci sono copioni già scritti: quando capita l’opportunità, bisogna saperla cogliere. Ora che è salito sul treno della Serie A, i tifosi del Grifone si augurano che non scenda più.

 

Pavoletti contro l’Inter: un gol a occhi chiusi, da fuori area, da bomber vero che ha una propriocezione sviluppatissima. Sa sempre dove si trova rispetto alla porta.

 

Maxi López

Da un gol negli ottavi di Champions League per il Barcellona di Rijkaard e Ronaldinho (contro il Chelsea di Mourinho) alla panchina con il Chievo c’è tutta la sintesi di una carriera implosa: Maxi López aveva 21 anni, e da quel Barça se n’è andato nel 2006, poche settimane dopo aver vinto la competizione più importante d’Europa.

 

Da quel momento inizia un declino che sembrava inesorabile e che si è fermato solo al suo arrivo al Catania, nel mercato invernale del 2010: 11 gol in 17 partite, un exploit che lo porterà fino al Milan, ma che non è più riuscito a ripetere. Fino a quando ha incontrato Ventura.

 

Un inizio di stagione deprimente con il Chievo (1 gol in 13 partite) l’ha spinto ad andare al Torino, alla ricerca disperata di una punta d’area: è scoccata la scintilla, 23 partite e 11 gol tra campionato, Coppa Italia ed Europa League, e il suo marchio decisivo nella storia granata con il gol segnato nell’unica vittoria di una squadra italiana a Bilbao (oltre alla doppietta segnata all’andata a Torino).

 

Grazie alla sua presenza, infatti, Ventura è riuscito a colmare un vuoto che rischiava di rendere vana la manovra offensiva granata: è il terminale perfetto per i cross dalle fasce di Darmian e Bruno Peres; la sua intesa con Quagliarella permette a quest’ultimo di attaccare sempre le seconde palle, oltre ad avere più libertà di movimento e di tiro.

 

Dalla ventottesima giornata, 7 gol in 10 partite giocate: la sua spinta non è bastata per riportare il Toro in Europa, ma forse gli varrà una conferma per la prossima stagione.

 

Il gol di Maxi López che gela il San Mamés: da centravanti astuto, che si nasconde dietro l’avversario e lo colpisce con un colpo di testa perfetto per inserimento.

 

Bonus track

Luca Toni e il Verona: basterebbe dire che senza di lui Iturbe ha segnato solo due gol in campionato, contro gli 8 della scorsa stagione. Toni non si descrive solo con i gol, 42 in 72 partite con l’Hellas, una media impressionante, ma anche con lo spazio che crea per i compagni e il panico che semina nelle difese altrui.

 

Luca Toni è l’attaccante contro cui non esistono strategie, se non quella di impedire ai compagni di servirlo. Lui, in quei 16 metri dell’area di rigore, sembra felice come un bambino: nessuno lo riesce a tenere, con quelle mani che si agitano e si arrotolano attorno all’avversario, come fosse un polpo.

 

E come un polpo decora la sua tana di immagini: gol in acrobazia, tocchi sporchi, colpi di testa, rigori. Toni è la dimostrazione che l’allenamento fisico dovrebbe essere dedicato alla preparazione dei gesti da eseguire in campo: potrebbe giocare fino a 50 anni, perché non ha bisogno delle ripetute e dei gradoni; in quei 16 metri nessuno sta meglio di lui, e non conta la freschezza ma l’agilità, il fiuto e l’esperienza di sapere sempre dove andrà il pallone.

 

Nello schieramento di Mandorlini è indispensabile: permette alla squadra di recuperare tenendo palla nella metà campo avversaria; con i suoi duelli aerei vinti, quasi 3 a partita, è uno dei migliori attaccanti boa in Serie A; permette di difendere meglio sui calci piazzati; è il riferimento per i cross dalle fasce, è l’uomo su cui contare sempre, anche a occhi chiusi.

 

Con 9 gol nelle ultime 10 giornate è diventato capocannoniere a 38 anni (22 gol complessivi), completando così il suo grande ritorno in Serie A. L’ultima volta che ci riuscì, con la Fiorentina, era il 2006, proprio l’anno del Mondiale, e vinse persino la Scarpa d’oro.

 

https://www.youtube.com/watch?v=8XKfzzFQSmc

Il cross gli arriva leggermente arretrato, il difensore del Cesena si lancia e gli oscura la visuale, ma a Luca Toni non importa proprio nulla: in questa semirovesciata statica c’è tutto il centravanti che era, è e sarà sempre.

 

Un centravanti esploso con il tempo ma che dimostra quanto è importante la voglia di lavorare su sé stessi (e in questo ricorda l’evoluzione di Batistuta): un attaccante che tutti avevano dato per finito dopo la parentesi negli Emirati Arabi, e che invece sembra essere al di là dello spazio e del tempo.

 
 

Tags : attaccantileonardo pavolettiluca tonimauricio pinillamaxi lopez

Emiliano Battazzi: nato nel 1984, cresciuto in periferia a Roma. Economista, prova a coniugare la razionalità della tattica all’imprevedibilità del talento. È il caporedattore della sezione calcio de L’Ultimo Uomo.

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