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Chi ha vinto il calciomercato di gennaio
03 feb 2017
03 feb 2017
E chi lo ha perso, anche.
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Quest’ultima finestra di mercato è stata deludente per il campionato italiano da tanti punti di vista: non sono arrivati colpi con cui riempire le prime pagine dei giornali e i trasferimenti sono stati per la stragrande maggioranza interni alla Serie A (o al massimo dalla Serie B alla Serie A), cosa che non aiuta ad accendere la fantasia di tifosi e giornalisti. Una timidezza che probabilmente è legata alla severità dei bilanci, se pensiamo che anche un trasferimento molto oneroso come quello di Gagliardini è avvenuto tramite un prestito con obbligo di riscatto dopo un anno e mezzo; o forse alla situazione stagnante della Serie A, in cui le gerarchie sono talmente ben definite che è difficile anche solo immaginare un acquisto che possa fare la differenza da solo e per cui allora valga la pena fare una pazzia (ora, intendo, a gennaio).

 

Tutto ciò rende il mio compito, cioè quello di capire

, particolarmente difficile. È stato un calciomercato davvero di riparazione (Rincon alla Juve, per completare il centrocampo; Gagliardini all’Inter per aggiungere determinate caratteristiche che non aveva nessun altro in rosa), come a volte viene definito. Le sorprese sona arrivate piuttosto da cessioni/acquisti inattesi di cui è difficile capire, oggi, il peso (Ocampos al Milan, anche per coprire il buco venutosi a creare con la vendita di Niang), o da operazioni dettate da infortuni dolorosi (Pavoletti al Napoli, teoricamente per prendere provvisoriamente il minutaggio di Milik).

 

Nonostante ciò, anche se in nessuno di questi casi la riparazione è stata completa, è comunque possibile distinguere tra chi è riuscito a ricavare il massimo dal minimo, per così dire, rafforzando la propria squadra con bilanci netti addirittura positivi, e chi invece (magari persino aumentando il numero degli effettivi a propria disposizione) è riuscita ad uscire da questo mercato comunque indebolito.

 



 





 



 

Il mercato di gennaio del Napoli è stato minimale e preciso, come un binario ferroviario. Le direttrici seguite sono state effettivamente due: la ricerca di una prima punta capace di trasformare in gol l’enorme mole di gioco offensivo prodotto dalla squadra di Sarri in attesa del ritorno di Milik; e la continuazione di quell’investimento a lungo termine sul talento partito quest’estate con gli acquisti di Diawara, Rog e Zielinski.

 

La prima direttrice ha portato a Leonardo Pavoletti. Un acquisto particolarmente oneroso (18 milioni) ma a rischio quasi zero, vista l’esperienza maturata nel nostro campionato e le sue capacità realizzative, nonostante la differenza tecnica

con Arkadiusz Milik. Pavoletti ha anche il pregio, venendo da un background provinciale lungo e faticoso, di essere probabilmente arrivato al picco della sua carriera professionale e di non avere quindi ambizioni che possano destabilizzare gli equilibri nello spogliatoio, con le gerarchie sarriane ovviamente già stabilite. La seconda, invece, ha portato un altro giovane dalle prospettive luminose, Leandro Henrique do Nascimento detto Leandrinho, ala sinistra particolarmente estrosa ben descritta da Flavio Fusi

.

 

Gli acquisti del Napoli sono stati quasi del tutto finanziati dalla cessione di Gabbiadini al Southampton (17 milioni più 2 di bonus facilmente raggiungibili). Un’operazione che, al di là del suo valore economico (su cui comunque la società di De Laurentiis ha tenuto il punto fino alla fine), ha sciolto un nodo di ambiguità sia tecnica che psicologica tra la squadra, compreso il suo allenatore, e il giocatore. Allo stesso modo, anche la cessione di El Kaddouri, sebbene a cifre ben più modeste (era in scadenza di contratto a giugno), è servita a togliere dallo spogliatoio un giocatore che non aveva posto nel 4-3-3 di Sarri.

 

E forse va citata anche la mancata cessione di Giaccherini, che aveva chiesto di essere venduto e su cui c’era, a quanto pare, l’interesse di diverse squadre. Chi sa che non torni utile nella lunga e sfiancante seconda metà di stagione della squadra partenopea, impegnata ancora su tre fronti.



 





 



 

Il mercato della Fiorentina è stato meno chirurgico di quello del Napoli e più dettato dalle convenienze del momento che da reali esigenze tecnico-tattiche. Al primo febbraio i “Viola” rimangono con gli stessi problemi che avevano il 31 dicembre: manca ancora un esterno sinistro in grado di prendere in mano l’eredità di Marcos Alonso (uno migliore di Milic, cioè) e Kalinic è ancora privo di un sostituto tecnico di livello. Come abbiamo già detto, nessuna riparazione è stata davvero completa - nemmeno quella del Napoli, d’altra parte, che aveva un problema analogo a sinistra con l’assenza temporanea di Ghoulam e l’incognita di Strinic. A portare la Fiorentina dentro la cerchia dei vincenti di quest’ultima sessione invernale è soprattutto la “sostituzione” tra Mauro Zarate, ceduto al Watford per una cifra vicina ai tre milioni di euro, e Riccardo Saponara.

 

L’innesto dell’ex trequartista dell’Empoli porta con sé una serie di benefici non banali. Innanzitutto a livello numerico, Saponara permette a Sousa di arretrare, volendo, Borja Valero sulla mediana, o anche solo di dare un turno di riposo aggiuntivo a un reparto molto corto rispetto alle esigenze del suo allenatore, soprattutto adesso che Sanchez è stato reinventato terzino destro. In secondo luogo, Saponara porterà un set di movimenti senza palla in profondità che alla Fiorentina serviva come l’acqua nel deserto, e che ovviamente a Zarate mancava del tutto, senza contare la diversa conduzione del pallone in verticale. Saponara non è nella sua stagione migliore e

molto il suo gioco per funzionare all’interno del 4-2-3-1/3-4-2-1 di Sousa, ma ha potenzialità tattiche e tecniche molto grandi. Il tutto a un prezzo di saldo (circa 10 milioni in tutto).

 

Da non sottovalutare nemmeno il prestito di Marco Sportiello che, al di là dei giudizi personali, rimane uno dei portieri italiani più promettenti in circolazione, con un diritto di riscatto anche in questo caso particolarmente basso (6 milioni). Nel breve termine sarà l’alternativa di alto livello a Tatarusanu che mancava da troppo tempo, nel lungo una scommessa ad un costo comunque molto contenuto.

 

Ah, e poi Kalinic alla fine è rimasto, e pare per sua volontà. In un mercato in cui l’Italia non è più (non solo) predatrice ma anche vittima predata, è comunque una buona notizia, e Kalinic sarebbe stato semplicemente impossibile da sostituire.



 



 



 

L’Inter è la squadra di Serie A che forse è riuscita a migliorare maggiormente la propria rosa in quest’ultima finestra di mercato. Fermo restando che anche in questo caso restano dei nodi da sciogliere (i due elefanti nella stanza rimangono la mancanza di terzini di livello e di centrali abili in impostazione), l’Inter è l’unica squadra di prima fascia ad essere riuscita a prendere un titolare certo da questa finestra di mercato, seppur a caro prezzo (circa 22 milioni in tutto, anche se spalmati su un anno e mezzo). Gagliardini ha caratteristiche tecniche e fisiche che si adattano perfettamente al gioco aggressivo e verticale di Pioli, messe in mostra fin dalle prime partite con la sua nuova maglia nerazzurra, dimostrando di poter fare il salto nel Calcio che Conta™ con una disinvoltura inattesa. Sembrava un’acquisto impulsivo, fatto sull’onda dell’entusiasmo per un giovane che si stava mettendo in mostra da pochi mesi, e invece è un innesto che si sta rivelando chirurgico nel sistema interista.

 

L’Inter ha lavorato bene anche sul fronte delle cessioni, liberandosi almeno temporaneamente di molti giocatori che incidevano in modo pesante sul bilancio ed erano ormai finiti ai margini della rosa (Jovetic, Felipe Melo e Ranocchia). È vero che due di questi prestiti vivono nell’incertezza del diritto o della possibilità di riscatto, ma i primi passi di Jovetic a Siviglia lasciano ampi margini d’ottimismo.

 

Anche lo

tra Ranocchia e Sainsbury, seppur nel suo cinismo capitalista estremo, ha portato benefici innegabili all’Inter, intesa come società inclusa nel conglomerato Suning. In uno scambio a somma zero, praticamente, a livello sia tecnico che finanziario (Sainsbury arriva in prestito dal Jiangsu, altro club del gruppo Suning) la società nerazzurra si è aperta una possibilità di cedere un giocatore che non solo non faceva più parte del progetto tecnico da anni ma che ormai viveva anche un rapporto grottesco con la tifoseria.

 







 



 

Se ci fosse un premio al peggior calciomercato di gennaio degli ultimi anni dovrebbe essere assegnato al Genoa. È ormai tradizione che Preziosi in inverno smonti le squadre costruite in estate, e quest’anno non ha fatto certo eccezione. Anzi, forse mai come quest’anno il Genoa ha portato avanti una politica di cessioni masochistica volta a vendere i suoi pezzi migliori senza neanche avere offerte irrinunciabili. Se vendere il proprio attaccante titolare a fronte di un’offerta di 18 milioni può essere ancora considerata una mossa finanziariamente assennata, cedere il proprio perno di centrocampo e la propria scommessa più grande (Rincon e Ocampos) per un totale che si aggira sui 16 milioni suona come una specie di harakiri.

 

Anche il modo in cui questi soldi sono stati reinvestiti ha lasciato a desiderare. Accanto ad acquisti tatticamente utili (Hiljemark, Cataldi) o di grande prospettiva (Morosini), il “Grifone” ha affiancato ritorni vintage dal sapore quasi ironico (Rubinho, Palladino e Pinilla). L’unico arrivo in grado di tirare su il morale ai tifosi del Genoa è quello di Taarabt, che rimane comunque una scommessa molto difficile da vincere.

 

Ma al di là dei nomi, e del risultato finale che magari non cambierà di molto dall’obiettivo fissato a inizio stagione, è l’idea di progettualità (o l’assenza di essa) che lascia basiti. Non c’è prospettiva finanziaria, né ovviamente sportiva, dietro un mercato portato avanti in questo modo. Una strategia che sembra accontentarsi di una sopravvivenza stagnante che, nella Serie A castale di questi ultimi anni, condivide con ormai troppe squadre. E quando le squadre, anche quelle con esigenze economiche stringenti, smettono di sognare, non è mai bello.

 

 





 



 

Un’altra società che ha tradito le aspettative della prima parte di stagione è la Lazio di Lotito, che è rimasta sostanzialmente immobile sul mercato. È paradossale se pensiamo a quanto la squadra biancoceleste stia raccogliendo a livello di risultati rispetto alle prospettive fosche di inizio stagione, con l’affaire Bielsa e gli attriti societari con Felipe Anderson e Keita.

 

A Inzaghi sarebbe servita un’alternativa tecnica o un’aggiunta a Immobile, indipendentemente dalla cessione di Djordjevic che poi alla fine non è nemmeno arrivata. Il mercato in entrata della Lazio si è limitato a richiamare alcuni giovani della Primavera dai rispettivi prestiti, tra cui Luca Crecco dall’Avellino.

 

A questo si aggiunge il fatto che le cessioni non sono state nemmeno rimpiazzate numericamente. Particolarmente dolorosa quella di Cataldi che, al di là delle valutazioni tecniche, dava all’allenatore biancoceleste la possibilità di sostituire Biglia in caso di infortunio o squalifica. Molto tristi anche le certificazioni dei fallimenti delle scommesse Leitner (all’Augsburg per appena 2 milioni), Kishna (in prestito al Lille) e Ravel Morrison (di ritorno al QPR). Certo, la Lazio può andar bene così, ma un piccolo sforzo in più, economico o di immaginazione, avrebbe protetto quanto di buono fatto finora.



 





 



 

La Roma aveva diverse esigenze da soddisfare in questa sessione di mercato. Doveva trovare un uomo offensivo in grado di ricoprire sia il ruolo di ala che di prima punta (oppure, in alternativa, due uomini diversi) e magari anche di uno per allungare la panchina a centrocampo (sono in cinque per tre posti).

 

Paradossalmente, ciò che ha reso fallimentare il mercato della Roma è più quello che non è successo che quello che è successo. L’arrivo di Clement Grenier dal Lione, un trequartista dal grande talento ma su cui

, non cambia minimamente gli equilibri della rosa giallorossa, rappresentando per il momento solo un’opportunità finanziaria - visto il costo molto contenuto: 3,5 milioni per il diritto di riscatto.

 

Ma il giudizio è diventato definitivamente negativo anzitutto con il naufragio della trattativa per acquistare Defrel, che avrebbe dato a Spalletti sia un’alternativa finalmente mobile senza palla a Salah/Bruno Peres sulla destra sia una a Dzeko anche se non perfettamente coincidente dal punto di vista tecnico; e poi con le surreali situazioni legate a Gerson e Paredes.

 

C’è stato un momento, alla fine del mercato, in cui la Roma sembrava davvero a un passo dal perdere le sue prime due riserve a centrocampo, senza avere pronti i sostituti (per quello che ne sappiamo). E anche se alla fine queste due cessioni non sono andate in porto (quella di Gerson per esclusiva volontà del giocatore), la società giallorossa si è comunque dimostrata in balia di decisioni poco lungimiranti sia dal punto di vista tecnico che finanziario, lasciando a conti fatti una sensazione di sfiducia nei confronti di due tra i giovani più interessanti che la Roma ha in rosa. Oltretutto, la Roma è sembrata impotente nel mercato italiano (Defrel, appunto) dentro cui fino a poco tempo fa riusciva a muoversi con autorevolezza. Nel pieno della lotta Scudetto, non proprio un messaggio di competitività.

 

 





Come tutte le classifiche, anche questo articolo lascia molto spazio a recriminazioni e opinioni personali, su squadre e giocatori. In quest’ultimo paragrafo parlerò sinteticamente delle squadre che ragionevolmente avrebbero potuto esserci ma alla fine ho deciso di escludere, cercando di spiegare le mie ragioni.

 

Il mio cruccio più grande è stato se inserire tra i vincenti il Milan oppure no. Il doppio acquisto di Deulofeu e Ocampos, effettivamente, permette alla squadra di Montella di avere una batteria di ali di primo livello e il tutto senza nemmeno un eccessivo spargimento di sangue, vista anche la mancata cessione di Bacca, che ad un certo punto sembrava quasi certa. La vendita un po’ frettolosa di Niang al Watford, però, mi ha spinto ad escludere il Milan, soprattutto per il ruolo svolto dall’ala francese nella prima parte di stagione. Niang era l’uomo dal potenziale futuro maggiore ed era servito a lungo per risalire il campo ed arrivare con un possesso pulito fino alla trequarti avversaria. Scartarlo per ragioni che sembrano soprattutto extra-calcistiche mi è sembrata una mossa poco lungimirante, oltretutto per due giocatori che non hanno mai brillato per maturità tattica o mentale. Ma vedremo, un po’ mi pento di non aver messo il Milan tra i vincitori.

 

Anche la Juventus rientrava tra le squadre che avrebbero potuto vincere questa sessione invernale, avendo preso uno dei migliori mediani di rottura del campionato ad un prezzo incredibilmente basso e investendo contemporaneamente sul futuro con gli acquisti di Caldara e Orsolini. La rosa attuale, però, ha perso Evra che non è stato rimpiazzato e se teniamo conto del fatto che l’obiettivo primario per il centrocampo era Witsel, il giudizio positivo si indebolisce.

 

Una possibilità di vittoria, forse, l’avrebbe anche potuta avere il Pescara, se non altro per la volontà bulimica con cui ha tentato in sede di mercato di invertire le drammatiche sorti della sua stagione.

 

Tra i perdenti, invece, avrebbero probabilmente meritato un posto anche Palermo e Sassuolo. Il primo per aver ceduto anche gli ultimi due giocatori di qualità rimasti in rosa (Quaison al Mainz e Hiljemark al Genoa) e anche ad un prezzo sorprendentemente basso (circa 5,5 milioni in totale). Il secondo per non aver provato a dare un segnale ad una stagione quanto meno deludente, se si esclude il solo ingaggio di Scamacca che però rimane più un investimento sul futuro che una reale integrazione di rosa, e la mancata cessione di Defrel. Per questo tra le due quella dei rosanero rimane la situazione più grave: al contrario del Sassuolo il Palermo avrebbe ancora un potenziale obiettivo da raggiungere. Che abbia girato le spalle in maniera così plateale alle proprie ambizioni non è positivo per la sua tifoseria ma anche per la vitalità del nostro campionato nella sua interezza.

 

 

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