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Foto di Valerio Pennicino / Getty Images
Calcio Emanuele Atturo 15 dicembre 2016 7'

Pavoletti prendere o lasciare

Il centravanti italiano che potrebbe arrivare a Napoli porta vantaggi e svantaggi molto marcati.

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L’ascesa di Leonardo Pavoletti ai vertici del calcio italiano è stata tanto rapida quanto inaspettata: nel 2012, a 24 anni, era ancora in Lega Pro senza dare l’impressione di essere fuori posto nella categoria; appena tre anni dopo era ai primi posti della classifica marcatori della Serie A; un anno dopo ancora, ha ricevuto la sua prima convocazione in Nazionale.

 

Ma non serve molto tempo per farsi un’idea di Leonardo Pavoletti: un calciatore di un classicismo così spiccato, nell’interpretazione del ruolo del centravanti, da aver subito intercettato l’amore di quella parte di pubblico italiano sempre più nostalgico di un calcio semplice, trasparente. Alla fine di un campionato chiuso con 14 gol, l’amore dei tifosi nei suoi confronti era arrivato al punto da reclamarne la convocazione per gli Europei, oltre che l’evocazione del mito esoterico di “Totò” Schillaci. L’esplosione tardiva di Pavoletti ricalca quella di altri centravanti italiani possenti del passato, a cui infatti è stato paragonato: Luca Toni e Cristiano Lucarelli.

 

“Dicono che assomiglio a Toni, ma il mio modello è Lucarelli” ha dichiarato lui stesso qualche anno fa, riferendosi più alle sue origini livornesi che a un vero gusto calcistico. Come per questi giocatori, Pavoletti ci ha messo qualche anno a scendere a patti con un corpo per molti aspetti inadeguato a un gioco dai movimenti complessi come il calcio. A lavorare con stoicismo attorno a dei difetti ineludibili per far brillare dei pregi altrettanto difficili da discutere.

 

La forza fisica rappresenta il principale motivo della sua esplosione ad alti livelli, ma il rapporto tra Pavoletti e il suo corpo non è semplice, da nessun punto di vista. Non solo per le richieste del calcio contemporaneo, che lo ha costretto ha massimizzare il suo vantaggio per sottostare ad alti standard di efficienza; ma anche per lo svantaggio che si accompagna con il suo corpo: la fragilità.

 

Pavoletti è alto 1 metro e 86 ma la pesantezza con cui si muove, la potenza con cui ingaggia i contrasti con i difensori, lo fa sembrare più grosso di almeno dieci centimetri. Sembra sempre sul punto di andare in pezzi, come se le varie parti del suo corpo facessero fatica a sostenersi a vicenda: negli ultimi due anni ha saltato più di 150 giorni per infortunio, tra problemi muscolari e la distorsione che ha sofferto recentemente – e con cui arriverà a Napoli: non il massimo come punto di partenza per una società che sta ancora facendo i conti con l’infortunio al crociato del centravanti su cui aveva deciso di investire tanto in estate, ovvero Milik.

 

Pavoletti dovrebbe tornare disponibile appena dopo la pausa, e prendere il posto al centro dell’attacco del Napoli, un ruolo che negli ultimi mesi era stato diviso tra Manolo Gabbiadini – che però ha mostrato dei limiti interpretativi giudicati evidentemente insuperabili da Sarri – e Dries Mertens da falso nove – che privava però la squadra di un riferimento affidabile spalle alla porta.

 

Gabbiadini è un tipo di giocatore che gioca talmente bene a calcio – nel senso di toccare e calciare il pallone – da non aver mai dovuto davvero imparare veramente come si gioca, che non è mai dovuto uscire dal giardino del proprio talento. Per Pavoletti vale l’esatto opposto. Niente di quello che fa dipende dal suo talento naturale, piuttosto da un insieme di piccole cose con cui ha costruito il proprio repertorio. Come tutti i giocatori che hanno lavorato sui propri limiti, Pavoletti si muove in campo in maniera molto intelligente. Sta attento a rimanere al centro, non si infila in zone di campo dove potrebbe andare in difficoltà. Risparmia le energie per rimanere lucido nelle situazioni di gioco dove sa di poter fare la differenza per la propria squadra: venire incontro e giocare a muro, farsi trovare pronto in area per finalizzare.

 

Cosa fa il Napoli di Pavoletti

Nel Genoa veniva utilizzato come riferimento costante per risalire il campo, soprattutto con Gasperini. In questo aspetto, soprattutto grazie alla sua fisicità e a un magistrale uso del corpo, Pavoletti è stato uno dei migliori del campionato: la scorsa stagione è stato il giocatore ad aver ingaggiato, e vinto, più duelli aerei (10 ogni 90 minuti). Per certi versi, quindi, è paradossale che uno dei migliori giocatori nella gestione delle palle lunghe sia stato acquistato da una delle squadre che lancia meno lungo in Serie A: il Napoli risale il campo sempre attraverso un palleggio sincopato che passa dalla difesa, utilizzando spesso persino Reina, e arriva all’attacco senza saltare nessuna linea posizionale.

 

Ma questo non significa che al Napoli non faccia comodo un giocatore bravo nel proteggere palla spalle alla porta, anzi: il problema emerso dopo l’infortunio di Milik è stata soprattutto l’assenza di un attaccante in grado di spingere indietro le linee difensive avversarie, così da liberare lo spazio tra i reparti. Un compito in cui Gabbiadini si è applicato con tanta volontà ma poca qualità, tanto nei tempi con cui si è mosso quanto nella qualità delle giocate.

 

Pavoletti in un lavoro di quel tipo è davvero un pesce nell’acqua, rimangono semmai grossi problemi quando deve toccare il pallone: un limite difficile da aggirare per un giocatore così coinvolto nel gioco a muro. Nel Genoa spesso veniva lanciato direttamente dai difensori che lo impegnavano in un gioco di sponda in cui non si è dimostrato sempre preciso. Pavoletti ha dei limiti tecnici talmente evidenti che a volte sembra muoversi come un difensore spostato in attacco, non ha la sensibilità per toccare il pallone con altre parti del piede che non siano il piatto e deve applicare la massima intensità mentale anche nello scarico più elementare. La poca pulizia tecnica lo rende ulteriormente lento, rallentando i tempi di gioco. Quando azzarda una giocata più complessa i risultati sono il più delle volte disastrosi.

 

Lost in translation?

Semplificando posso dire che Pavoletti non parla la stessa lingua dei giocatori del Napoli. Di fronte a chirurghi del gioco di passaggi come Insigne, Hamsik e Zielinski, Pavoletti sembra un macellaio chiamato a operare d’urgenza un’appendicite. In compenso, utilizza il corpo con la maestria di un pugile quando deve proteggere il pallone, facilitando il riciclo di qualsiasi palla sporca transiti dalle sue parti. Offrendosi incontro come riferimento costante se la squadra ha bisogno di un appoggio veloce per la risalita del campo, o anche attaccando direttamente lo spazio in profondità come un carro a cavalli.

 

I problemi tecnici si accentuano ulteriormente fuori dalla sua zona di confort: quando Pavoletti deve allargarsi sulle fasce o puntare la porta in zona centrale in conduzione, i limiti diventano quasi imbarazzanti.

 

Una conseguenza diretta dei suoi limiti, quindi, è che il set di movimenti garantiti da Pavoletti è inferiore a quello di centravanti con la qualità di Milik, per fare un esempio interno al Napoli. Un giocatore con qualche problema tecnico nel primo controllo e nell’uso del piede debole, ma comunque capace di un dinamismo che lo rende versatile in tantissime situazioni di gioco diverse: se Milik è un centravanti che sa fare più o meno tutto benino, Pavoletti è del tipo che sa fare molto bene pochissime cose. Ho già anticipato, però, l’intelligenza sviluppata da Pavoletti nel corso degli anni, che gli permette di evitare di infilarsi in situazioni da cui sa che non può uscire, limitandosi a un gioco elementare, dai tratti zen.

 

E in questo senso, Pavoletti potrebbe rivelarsi più funzionale di quanto non sembri in teoria per una squadra con tanta qualità nella trequarti come il Napoli, che vive di sofisticate armonie offensive che esaltano e trascendono il talento dei singoli.

 

L’attacco dei cross

Una situazione di gioco in cui l’ex Genoa fornirà un miglioramento chiaro e immediato è quello dell’attacco dei cross. Una situazione in cui Gabbiadini non sembrava neanche un centravanti. Pavoletti è stato soprannominato “lo sparviero” per definire la sua prolificità, ma il soprannome non descrive bene il rapporto tra Pavoletti e il gol, che non ha la velocità aerea di un rapace ma la risolutezza tipica dei centravanti che capiscono quanto il gol sia una questione di pragmatismo. Quando attacca i cross dalle fasce Pavoletti somiglia a una libreria che si ribalta sui difensori.

 

Nonostante non abbia la tecnica dei grandi tiratori, Pavoletti ha una grande sensibilità nella scelta delle conclusioni efficaci. Sa di non poter concludere in modo pulito e preciso, quindi si concentra nella scelta più astuta e pratica possibile. Qualche esempio: questo tiro spizzato con la suola a chiudere un taglio sul primo palo; il tempo della conclusione in questo tiro di collo sul primo palo o in questa spaccata in area. Ma soprattutto questo gol nel derby, che fotografa al meglio l’universo calcistico di Pavoletti: un primo controllo approssimativo, a cui riesce a compensare con un misto di astuzia, ferocia e forza fisica.

 

Un talento nel fare la scelta migliore possibile che lo porta anche ad andare oltre sé stesso, e a provare conclusioni acrobatiche in cui sembra sempre sul punto di spezzarsi.

 

Anche nelle conclusioni aeree la capacità di trovare sempre il punto d’impatto più efficace è forse la migliore del nostro campionato. Pavoletti riesce a dare forza anche a palloni completamente privi di gravità, rigirandone la traiettoria a piacimento. Una situazione di gioco che potrebbe essere esaltata da crossatori d’élite come Ghoulam o Insigne, ma a cui il Napoli 2016-17 ricorre in maniera estremamente limitata.

 

Il Napoli è una delle squadre, insieme alla Fiorentina, che sviluppa maggiormente il proprio gioco al centro del campo. Rispetto allo scorso anno Insigne si muove con più libertà verso il centro, agendo quasi da trequartista puro e liberando lo spazio per le avanzate di Hamsik e Ghoulam. La conseguenza è che il Napoli è la sesta squadra della Serie A per cross tentati e la dodicesima per cross riusciti. Una scelta forse modellata attorno all’assenza di Higuain o, più in generale, di un attaccante dominante in area di rigore, e che forse potrebbe leggermente cambiare con l’innesto di Pavoletti.

 

Miglioramento?

Il Napoli è una squadra dall’identità estremamente definita e dagli equilibri tattici maniacali e complessi. Per fora di cose non può essere chiaro, oggi, come e se lo specialista Pavoletti riuscirà a integrarsi in un gioco che sulla carta si adatta solo in parte alle sue caratteristiche; ma l’investimento del Napoli – di circa 18 milioni – lascia immaginare che esiste una ratio, che non si tratti solo di un’occasione pre-natalizia (anche perché Milik non tornerà tra moltissimo). Soprattutto, guardando al Napoli di oggi, è difficile negare che Pavoletti rappresenti un miglioramento nel ruolo rispetto a Gabbiadini.

 

Quando Milik tornerà in condizione difficilmente il Napoli se ne priverà, ma con Pavoletti ha aggiunto delle caratteristiche offensive specifiche che prima non aveva. Bisognerebbe inoltre chiedersi, con un minimo di provocazione, se davvero Pavoletti escluderebbe l’utilizzo di Milik. E se Sarri non abbia in mente un attacco con due punte (come era quello del suo Empoli e come, per i primi mesi, ha provato a replicare con Higuain e Callejon)?

 

Pavoletti, oggi, è uno dei pochi specialisti sopravvissuti ad alti livelli in un calcio che chiede polivalenza e adattabilità, il fatto che una società come il Napoli abbia investito così forte su di lui ci fa capire quanto, a volte, saper fare poche cose benissimo è meglio che farne tante discretamente.

 

Magari i centravanti puri non vanno più di moda, ma forse proprio per questo quelli più bravi sono diventati merce pregiata.

 

 

Tags : FC Genoaleonardo pavolettiSSC Napoli

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988) dove vive e lavora. Laureato in Semiotica, si interessa di cultura pop e sottoculture. È caporedattore de l'Ultimo Uomo e scrive in giro.

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