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Dario Saltari
La brutta partita più bella della storia
29 set 2022
29 set 2022
Quando Neymar e Ronaldinho trasformarono il calcio nel teatro dell'assurdo.
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Dario Saltari
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Arriva sempre, nella vita di noi appassionati, il momento in cui ci si accorge che il calcio è un gioco buffo. Lo descrive così Nick Hornby ben dentro Febbre a 90 scrivendo che «la visione da dietro è ridicola, come il dietro le quinte di un set cinematografico» subito dopo aver realizzato di non averci mai pensato prima. Ora, non so come abbia raggiunto questa epifania, ma vorrei azzardare una classificazione per cui esistono due strade per arrivarci. La prima è quando in una partita normale, geometrica, razionale succede qualcosa che rompe la grammatica a cui siamo abituati - qualcosa di sublime, come la rovesciata di Cristiano Ronaldo contro la Juventus o il dribbling di Messi su Boateng, oppure di semplicemente strano o grottesco, come la “parata” di Luis Suarez contro il Ghana ai Mondiali del 2010 o l’esultanza di Fowler che sniffa la linea di fondo. Un frammento infinitesimale di una partita che si compone di centinaia di migliaia di momenti e azioni che però, come nella fobia della pellicina del dito in grado di sfoderare tutta la pelle del tuo corpo, finisce per smantellare tutta la nostra illusione nei confronti di ciò che stiamo vedendo. Quel momento è forse «il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità», e la verità in quel momento è che stai guardando uno spettacolo assurdo.

Poi c’è la seconda strada, ancora più rara della prima, quella in cui ti ritrovi a vedere una partita composta da un’infinità di momenti sublimi e grotteschi uno dietro l'altro, talmente tanti da farti chiedere se non sia fatto tutto apposta, se quello che stai vedendo non sia coreografato come nel wrestling, come se la FIFA o chi per lei avesse deciso di rilanciare l’immagine del calcio mettendoci dentro tutto ciò che ci affascina e/o ci repelle di questo gioco. Sono momenti in cui devi un attimo mettere in pausa quello che stai vedendo, in cui ti guardi intorno, cerchi lo sguardo di chi sta lì con te, provi a fare delle domande, razionalizzare: ma cosa diavolo sta succedendo? Ecco, non so se vi è mai capitata questa sensazione, di chi improvvisamente ha il dubbio esistenziale di vivere dentro il suo personale Truman Show. Personalmente non l’avevo mai provata prima di pochi giorni fa quando, con l’intenzione di scrivere un pezzo sul gol con cui Neymar vinse il Puskas Award, mi sono rivisto tutta Santos-Flamengo del 27 luglio del 2011.

Bisogna dire innanzitutto che prima di diventare la partita di quel gol di Neymar, Santos-Flamengo sarebbe dovuta essere l’incontro tra Neymar e Ronaldinho. Era questa la grammatica della partita, la narrazione che lo stesso Ultimo Uomo, se fosse esistito più di 11 anni fa e per qualche ragione avesse deciso di dedicare un pezzo a questo classico del calcio brasiliano, avrebbe cavalcato. Neymar doveva ancora compiere 20 anni ma in Brasile era già un’icona. I ragazzi si facevano i suoi capelli alla moicana, cercavano imitare i suoi orecchini vistosi, il modo di esultare ballando. In un pezzo del Globo di due giorni prima della partita sull’ossessione per Neymar nella Nazionale brasiliana Under 15 si parla di vera e propria “generazione moicana”, si cita il suo motto ousadia e alegria (audacia e gioia), che poi diventerà un brand di scarpe prodotte da Nike e una canzone a lui dedicata dal musicista brasiliano Thiaguinho.

Allora Neymar era una creatura molto diversa da quello che conosciamo oggi: magrissimo, con un sorriso indio e i capelli quasi arancioni e lisci che lo facevano assomigliare a un membro di una boy band coreana nata per qualche ragione nella periferia di San Paolo. Lo scout che lo aveva scoperto quando era ancora un ragazzino aveva scritto nel suo report: «Ho trovato il nuovo Robinho», e quel paragone gli rimarrà appiccicato in tutta la sua prima parte della carriera. Robinho come lui cresciuto al Santos, come lui accanto a un centrocampista di culto con cui formava una coppia formidabile (Diego per Robinho, Ganso per Neymar). Ancora prima di segnare quel gol, però, Neymar aveva restituito vibrazioni di grandezza tali che il mirino si era spostato più in alto, all’ultimo grande esponente della futebol arte brasiliana, Ronaldinho per l’appunto, nel 2011 già al tramonto della sua carriera nonostante avesse ancora 31 anni.

Oggi Neymar ha all’incirca la stessa età che Ronaldinho aveva allora, e anche per lui sembra approssimarsi la fine della sua storia in Europa. Un anno fa Neymar ha dichiarato che quello in Qatar sarà probabilmente il suo ultimo Mondiale, «perché non so se avrò più la forza mentale per avere a che fare con il calcio», un Mondiale che in molti pensano sia l’occasione perfetta per il Brasile per tornare a vincerlo, e che sipario sarebbe per O’ Ney. La Seleção non lo vince dal 2002, quando Ronaldino, allora ventiduenne, si annunciò al mondo, e se Neymar dovesse riportare la Coppa del Mondo in patria quest’anno sarebbe un altro tassello della quasi perfetta simmetria che sembrano seguire queste due carriere a specchio. Ronaldinho prelevato in Brasile dal PSG e diventato adulto al Barcellona, Neymar prelevato in Brasile dal Barcellona e diventato adulto al PSG. Guardarli oggi incontrarsi nei momenti opposti delle proprie storie nel piccolo stadio di Vila Belmiro, a San Paolo, fa pensare a quella scena de Il curioso caso di Benjamin Button in cui Brad Pitt e Cate Blanchett si guardano allo specchio, uno che va verso la giovinezza l’altra verso la terza età, l’ultimo attimo di un avvicinamento prima di allontanarsi per sempre.

A questa narrazione si possono aggiungere altri dettagli: il fatto che Ronaldinho fosse andato al Flamengo un po’ a sorpresa, perché si pensava che potesse tornare al club in cui era cresciuto, il Gremio (avremmo avuto comunque una partita del genere se fosse andato lì?); Neymar che forse aveva già un accordo per passare al Barcellona, almeno secondo quanto sostiene l’editor di Globo, Adilson Barros. A fare da ulteriore raccordo tra i due c’è l’allora allenatore del Flamengo, Vanderlei Luxemburgo, che aveva allenato per un periodo Neymar al Santos coniando per lui il soprannome file de borboleta, letteralmente “filetto di farfalla”, espressione che in Brasile si usa per chi è secco e senza muscoli. Luxemburgo, figlio di comunisti perseguitati dal regime militare brasiliano che volevano onorare la memoria di Rosa Luxemburg, è uno dei personaggi che animano questa partita, che ci mette poco a rivelarsi per lo spettacolo assurdo che sto provando a raccontarvi, e che credo ogni partita sia davvero.

Santos e Flamengo hanno quindi i loro due campioni, come nelle fiere medievali, ed entrambi hanno un loro Sancio Panza: Ganso per Neymar, Thiago Neves per Ronaldinho. Intorno a loro si muovono, in qualcosa che è più vicino alla confusione che alla fluidità, nove mestieranti per parte, e questi due mondi, quello dei campioni e quello della plebe, sembrano continuamente influenzarsi a vicenda, nel bene e nel male. E quindi è possibile vedere profeti di questo sport perdere improvvisamente coscienza del proprio corpo e giocatori mai sentiti prima fare giocate strabilianti, e ovviamente viceversa, che è la cosa a cui siamo abituati. Nei primi quattro minuti si alternano subito cose belle e brutte a una velocità impressionante, preludio al primo gol di Borges: un triangolo cominciato da Thiago Neves con una croqueta e concluso da un tentativo di dribbling senza capo né coda di Junior César; Ganso che si libera di due avversari con un tip tap sul posto a velocità rallentata; Ronaldinho che tenta di lanciare un compagno in profondità di tacco; l’assist francamente incredibile di Elano, che fa l’unica cosa buona della sua partita mettendo in porta Borges con un filtrante a mezza altezza che fa girare Edu Dracena su se stesso come se avesse visto un fantasma.

L’incipit del gol che porta il Santos sul 2-0 già al 16esimo è se possibile ancora più incomprensibile. Tutto inizia da un dialogo sulla trequarti tra Ganso e Neymar, che avevano il buon gusto di far pesare la propria superiorità tecnica al resto della squadra passandosi la palla solo tra di loro. I due arrivano al limite dell’area, quando un passaggio troppo alto e lento di Neymar viene interrotto dal colpo di testa di Junior César, che senza alcuna intenzione di voler mantenere intatta questa armonia si butta, come si dice, a pesce. Non si ha nemmeno il tempo di ridere per il tuffo di César che Ronaldinho fa una cosa senza senso: stop spalle alla porta e apertura sull’esterno di prima, con un passaggio fatto con la punta del piede portato all’altezza della testa. La palla è diretta a Renato Abreu, che però non ci pensa nemmeno ad essere all’altezza di ciò che è appena successo e con un cambio di gioco per chissà chi restituisce immediatamente la palla a Neymar.

È successo di tutto ma il Santos, come pochi secondi fa, è di nuovo sulla trequarti con Ganso, che dopo aver ricevuto da Neymar, riesce questa volta a metterlo in porta con un filtrante che taglia a metà la difesa avversaria. Sembra fatta per il 2-0, ma a quel punto il portiere del Flamengo, Felipe, ha un’intuizione geniale: capisce con una frazione di secondo d’anticipo che Neymar vuole superarlo scavando la palla e decide di rimanere in piedi, riuscendo a prendere il pallonetto con le dita della mano di richiamo. In questa partita, però, non esiste mai gesto tecnico completamente riuscito e la parata non risolve davvero il problema: il pallone si alza a campanile proprio sopra la testa di Neymar, che a quel punto forse potrebbe semplicemente colpirla di testa e metterla in rete. Il numero 11 del Santos, invece, prova a coordinarsi per una rovesciata per cui però non c’è abbastanza tempo e finisce per lisciare il pallone, che gli rimbalza accanto mentre lui è ancora in volo con le gambe che mulinano in aria. Neymar è sdraiato a terra, con le braccia a tenere la schiena, e il pallone è ancora là che gli volteggia sopra la testa come una luna. Avrebbe la reattività per alzarsi e continuare l’azione ma non è quel tipo di partita: ancora a terra, Neymar alza la gamba da terra, provando di nuovo a colpire la palla. Probabilmente è un tiro, e invece la traiettoria passa sopra la testa di Felipe, che era riuscito a tornare in porta, e trova dall’altra parte il miracolato Borges, di nuovo al posto giusto al momento giusto.

A questo punto, forse stremati dalla lettura di diecimila battute abbondanti, devo avvertirvi che non siamo nemmeno a metà dei gol segnati nel solo primo tempo. Questa partita non è una storia, ma uno di quei quadri immensi di Jacovitti in cui succede di tutto e ci sono talmente tanti personaggi che è impossibile persino contarli. Il susseguirsi delle situazioni grottesche contribuisce alla nascita delle opere d’arte e viceversa, come se in Guitar Hero si sbagliassero tutte le note una dietro l’altra e uscisse qualcosa di meglio dell’originale (praticamente l’idea alla base di un altro videogioco, Trombone Champ). Per dire: prima e dopo quel gol di Neymar il Flamengo arriva due volte a battere a rete in un modo più assurdo dell’altro. Prima Deivid, che viene pescato sul secondo palo da un cross basso, riesce a inciampare sul pallone con la porta completamente vuota mettendolo a lato (qualche mese dopo, contro il Vasco da Gama, riuscirà a sbagliarne uno ancora più incredibile). Poi Ronaldinho, meno di dieci minuti dopo, si ritrova nella stessa identica situazione su un cross basso alla cieca di Luiz Antonio perché il portiere del Santos, Rafael, ha l’idea sconsiderata di provare a prenderlo in uscita bassa lisciandolo e facendolo passare così tra le gambe di uno dei suoi difensori centrali. Quando Ronaldinho prende la palla dalla rete per riportarla a centrocampo ha una faccia sconcertata, come se non stesse riuscendo a farsi una ragione di quello che sta succedendo.

Pochi minuti dopo il Santos subirà anche il 3-2 con la stessa incredibile facilità (un cross dalla trequarti trasformato in gol da un colpo di testa di Thiago Neves, entrato in area con la stessa facilità di un cucchiaino nello yogurt) ed è difficile accettare dal nostro punto di vista di osservatori italiano ossessionati dalla solidità difensiva che si stia concedendo questo lusso mentre Neymar, al suo prime fisico, faceva assomigliare i difensori del Flamengo a dei giocatori non professionisti in ogni singola progressione. Erano passati meno di dieci minuti dal gol con cui avrebbe vinto il Puskas Award. Un’azione che nasce non troppi metri oltre la linea del centrocampo e che contiene dettagli onirici. C’è per esempio il dribbling iniziale, con cui Neymar passa tra due avversari facendosi passare la palla dietro il piede d’appoggio con la suola, o anche il tiro con cui conclude l’azione in rete, eseguito con la punta del destro che sarebbe dovuta servirgli a tenersi in piedi anziché che con l’interno del sinistro come sarebbe stato più facile e logico.

Il mio momento preferito, però, è dopo la chiusura del triangolo con Borges sulla trequarti. Neymar punta Ronaldo Angelim mentre ha Renato Abreu attaccato alle spalle e fa quel numero con cui allo stesso tempo riesce a superare il primo e a scrollarsi di dosso il secondo, una specie di pettinata al pallone con l’interno destro per passarsi la palla sul sinistro. Ecco, in quel momento credo che Ronaldo Angelim ha la stessa sensazione che abbiamo noi guardando questo gol, cioè di trovarsi davanti a qualcosa che non è di questo mondo, perché invece di fare il suo lavoro, e cioè difendere o provare a rincorrere disperatamente il suo avversario, si ferma e allarga le braccia, come se volesse sottolineare di non aver toccato il suo avversario, di non essersi messo in mezzo alla bellezza. È un gesto che superficialmente mi ha fatto pensare al doppio sorpasso di Hakkinen e Schumacher a Zonta nel Gran Premio di Spa del 2000 (con la differenza sostanziale che qui Hakkinen e Schumacher sono un’unica persona) e che al suo interno contiene due caratteri che definiscono il calcio brasiliano e lo rendono unico: l’amore dell’astuzia per l’astuzia e il rifiuto del contatto fisico. «Il grande segreto del Brasile per dominare il calcio mondiale non è nessun segreto», ha scritto il giornalista brasiliano Ruy Castro «I giocatori brasiliani hanno ginga - un talento speciale per dribblare, marcare e segnare gol come se l’avversario non esistesse». Ted Sartori, giornalista di Tribuna de Santos che commentava la partita dal vivo, ha dichiarato successivamente che dallo stadio non ci si poteva accorgere di quanto fosse bello il gol: «era quasi troppo bello da apprezzare in tempo reale, se ha senso questa cosa».

Come ha spiegato Paolo Demuru in Essere in gioco, ginga è un verbo portoghese che significa ciondolare e che oggi si riferisce sia alla capacità di oscillare i fianchi per ballare che a quella di dribblare l’avversario ingannandolo. Originariamente, però, ginga nasce nel campo della marina, indicando sia il remo sia l’atto del vogare, che ti permette di avere una direzione su una superficie mobile che cambia in continuazione. Guardare Neymar significa risalire la corrente dell’etimologia di questa parola, perché il suo gioco di finte ed elusione sembra davvero trasformare il campo in acqua, dove gli avversari faticano a spostarsi come se stessero nuotando, sono trascinati via dalle correnti e mossi dai flutti incontrollati.

In questo, Santos-Flamengo veder "gingare" Neymar è la normalità. Pochi minuti dopo il 3-2 dei rossoneri torna di nuovo in area con una progressione simile, questa volta condotta sull’esterno sinistro. Al suo ingresso, però, viene buttato giù da una spallata che sembra un normale contrasto di gioco ma che lo fa scivolare di schiena sul prato come nei film dei supereroi quando prendono un pugno particolarmente forte. Per l’arbitro, comunque, è calcio di rigore e, dato che questa non è una partita come le altre, sul dischetto non ci va né Neymar né Ganso, ma Elano. Il motivo nobile è che Elano aveva sbagliato un rigore la settimana prima con il Brasile in Coppa America, la conseguenza disastrosa è che Elano tenta un cucchiaio a cui Felipe non solo non abbocca ma addirittura sbeffeggia, mettendosi a palleggiare con il pallone appena raccolto con le mani.

È l’inizio della fine per il Santos che nei minuti successivi vede il pareggio di Deivid (tra l’altro un suo ex giocatore, che infatti esulta scusandosi) e i suoi tifosi iniziare a fischiare Elano. Il primo tempo si chiude con questa scena surreale: sullo sfondo un manipolo di giocatori intorno all'arbitro per una gomitata non vista di Borges che apre il sopracciglio di Junior César, con tanto di poliziotto in divisa antisommossa per calmare gli animi, davanti Ronaldinho e Neymar che si scambiano la maglia, indifferenti di fronte ai patimenti del mondo.

L’immagine serve anche a metaforico scambio di testimone tra i due giocatori come influenza sulla partita: se il primo tempo è stato di Neymar, il secondo sarà di Ronaldinho. È come se il talento fosse un folletto dispettoso che dà e toglie a suo piacimento, svuotando di immaginazione e forze il primo per far brillare il secondo. In questo senso, il gol del provvisorio e illusorio 4-3 sarà l’ultimo lampo di genio di Neymar, poi relegato a rabone ciccate e dribbling finiti male. I secondi 45 minuti verranno ricordati soprattutto per quello che succede al 22esimo quando, a seguito di una palla persa sulla propria mediana dal povero Elano, Ronaldinho inizia a ballare la sua samba davanti all’area di rigore avversaria. Dopo un primo controllo leggermente troppo lungo, prima manda a vuoto la rovesciata a piedi uniti di Edu Dracena, poi passandosi il pallone da un piede all’altro si fa buttare giù al limite dell’area da Arouca. A 31 anni Ronaldinho è appesantito come avesse almeno cinque anni di più, e nel suo gioco di elusione quasi esclusivamente sul posto sembra la ricomposizione temporale delle giocate in corsa di Neymar, praticamente una statua di Boccioni. L’intuizione arriva pochi secondi dopo quando tira la punizione sotto i piedi dei giocatori che compongono la barriera in un’era in cui non esiste ancora il “coccodrillo”. Dopo la partita Neymar si inchinerà di fronte al suo padre nobile: «È un genio».

Anche in questo caso il gol di Neymar e l’invenzione di Ronaldinho si inseriscono in un crescendo:

  • Al 50esimo, pochi secondi dopo il gol del momentaneo 4-3, Neymar cerca di gabbare di nuovo Junior César, pettinando la palla con il sinistro e facendosela passare subito dopo dietro il tacco. Junior César inciampa sul pallone alzandolo e Neymar lo impenna con il tacco dopo una giravolta. Prima che il pallone ricada Junior César lo butta giù con una spallata ma l’arbitro non fischia;
  • Al 59esimo il primo dribbling fallito di Neymar: Luis Antonio non cade in uno dei suoi doppi passi e si invola verso la porta. Neymar, per tentare di recuperarlo, lo spinge da dietro e, facendolo cadere, gli fa uscire la spalla. I medici del Flamengo provano a rimettergliela direttamente in campo, mettendogli un asciugamano in bocca per fargli sopportare il dolore.

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  • Qualche minuto dopo una giocata di Ganso che vi farà venire voglia di sapere tutto su di lui.
  • 75esimo: Elano calcia una punizione dalla distanza e manda il pallone in curva.
  • All'80esimo Ronaldinho fissa il risultato finale sul 4-5, dopo una palla persa da Ganso sulla trequarti in un modo che vi farà venire voglia di rinnegare tutto ciò che sapete su di lui. Dopo il gol scopriamo che, dopo la gomitata del primo tempo, Junior César ha giocato tutto il secondo tempo con una cuffia da piscina in testa.

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  • Dopo il 4-5 il Santos molla la spugna e il Flamengo gioca tra gli olé dei tifosi. Al 42esimo, dopo una grande azione collettiva, Thiago Neves arriva a calciare in area da ottima posizione ma manda al lato la palla del possibile 4-6. La reazione pacata della panchina di Luxemburgo:

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  • Dopo il triplice fischio dell’arbitro, la diretta televisiva stacca dal campo dopo aver mostrato il portiere del Flamengo, Felipe, uscire con un rosario perlato in bocca.

La partita, secondo quanto riportato daTed Sartori, rimarrà la notizia principale dei quotidiani sportivi brasiliani per giorni. La sera stessa, a caldo, Globo la commenterà così: «È difficile trovare una parola per descrivere cosa hanno fatto Santos e Flamengo questa sera, per la 12esima giornata del Brasilerão. Uno show, un concerto, uno spettacolo?». A più di undici anni da quella sera, non siamo ancora riusciti a trovare quella parola.

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