Considerando quanto fosse già diventato importante per il centrocampo dell’Inter di Conte dopo solo un anno, a inizio stagione ci chiedevamo se Nicolò Barella sarebbe riuscito ad avere un maggiore peso negli ultimi metri di campo. Data la sua qualità tecnica e la visione di gioco, era l’unica cosa che potevamo aspettarci “in più” da lui. A inizio febbraio possiamo dire che è già molto vicino a eguagliare i gol segnati la scorsa stagione: con il tiro a giro che ha sbloccato la partita con la Fiorentina, sabato scorso, sono già 3 reti in questa stagione ‘20-’21, mentre in quella precedente ne ha segnata una in ciascuna delle quattro competizioni a cui ha partecipato l’Inter. Solo nella stagione ‘17-’18, con la maglia del Cagliari, ha segnato di più (6 gol), mentre non ha mai fatto meglio se si considerano gli assist realizzati, già 10 (di cui 6 in campionato) quest’anno, 8 lo scorso (5 in campionato).
Il gol alla Fiorentina è arrivato solo tre giorni dopo l’assist per Lautaro Martinez in Coppa Italia, contro la Juventus. E poco più di una settimana dopo che, con una sterzata in area che ha mandato a vuoto un goffo intervento difensivo di Rafael Leao, aveva conquistato il rigore del pareggio nel tesissimo derby di Coppa Italia. E se si torna indietro di un’altra settimana si arriva fino alla sfida di campionato con la Juventus, decisa da un suo assist e un suo gol.
L’influenza di Barella sulla trequarti non si manifesta, ovviamente, solo in termini di gol e assist. Sono eventi comunque rari, specie per una mezzala con compiti di consolidamento ed equilibrio come lui. Nel sistema di Conte, che tende a svuotare il centro del campo per liberare una linea di passaggio che porti alle punte, Barella finisce spesso per occupare posizioni che agevolano lo sviluppo della manovra sull’esterno, con tagli in diagonale che lo portano sull’esterno, davanti al laterale di fascia, o movimenti incontro o al lato della difesa in fase di costruzione.
Il lato destro (dove gioca stabilmente in questa stagione, salvo rare eccezioni) è quello forte dell’Inter e Barella ha imparato a trasformarsi, nel corso dell’azione, da secondo playmaker all’altezza di Brozovic, o addirittura ipotetico terzino all’altezza dei centrali, in trequartista o addirittura incursore nel cuore dell’area di rigore. Per questo spicca il suo dinamismo, perché per riuscire a fare tutte le cose che gli viene chiesto di fare, senza trascurare una fase per privilegiarne un’altra, Barella non deve mai stare fermo.
«Pensavo fossimo in 12, ma sei te che vali per due», gli hanno detto su Inter Tv dopo la partita con la Fiorentina. «Io faccio quello che chiede il mister. Quello che serve alla squadra. E se serve una corsa in più, la faccio». È un aspetto interessante: se gli venisse chiesto di coprire meno campo e concentrarsi solo su un aspetto del suo gioco, Barella lo farebbe comunque molto bene (come gli capita con la Nazionale, dove ha meno responsabilità nelle prime fasi del possesso), ma ci sembrerebbe magari un giocatore più “normale”.
A renderlo eccezionale, invece, è proprio il fatto che non perda qualità in nessun momento della partita, o zona di campo.
Quello con la Fiorentina ricorda, tra l’altro, un gol segnato a novembre 2019 contro il Verona. Non c’è niente di casuale in quello che fa Barella.
Barella ormai non è solo uno dei giocatori più affidabili per Antonio Conte ma anche tra i più amati della tifoseria, se consideriamo come degno rappresentante Alessandro Cattelan, che dopo essersi fotografato con la sua maglia addosso in diretta ha confessato il suo amore per “Bare”, come lo ha chiamato: «Credo che racchiuda lo spirito che piace ai tifosi di questa squadra». Lo spirito di Barella piacerebbe ai tifosi di qualsiasi squadra, ma il dinamismo e la generosità rischiano di mettere in ombra altre sue qualità.
La tecnica, certo, che ai tempi di Cagliari aveva spinto Maran, nella stagione ‘18-’19, a dargli quasi tutte le responsabilità creative della squadra. Quella stagione Barella era sembrato un giocatore talentuoso ma forse troppo istintivo, con idee ambiziose fino all’esagerazione e confusionario. A febbraio di due anni fa perdeva 2 palloni in media ogni 90 minuti, e sbagliava 3.1 passaggi; quest’anno le palle persone sono diventate un quarto (0.5) e i passaggi sbagliati poco più della metà (1.9), pur toccando molti palloni in un contesto offensivo complicato che non gli assegna certo poche responsabilità. Perché oltre a ottimi piedi, Barella sta dimostrando un’intelligenza non banale e in continuo miglioramento.
Sono le sue letture, eseguite sempre con grande fluidità, senza mai toccare la palla una volta di troppo, a fare di lui in questo momento il talento più moderno e completo che il calcio italiano abbia prodotto. Un quadro complesso delle sue abilità emerge anche dalle statistiche (uso quelle di Alfredo Giacobbe per l’Ultimo Uomo e quelle di Statsbomb pubblicate sul sito fbref.com).
Barella è, dopo Brozovic, il giocatore che fa guadagnare più metri di campo, in avanti, all’Inter. Ma se Brozovic lo fa con i passaggi (è il quarto del campionato dopo Danilo, Locatelli e de Roon; Barella è comunque tra i primi quindici), Barella è il migliore dell’Inter a portare palla. Per capirci: ha guadagnato più metri (in media 46.5 ogni 90 minuti) di esterni come Spinazzola e Theo Hernandez, e nell’Inter solo Lukaku (39.3 metri) entra nei primi trenta della Serie A.
Il che significa che in una squadra verticale come quella di Conte, che però al tempo stesso consolida il possesso con difensori e il portiere e si appoggia molto direttamente sulle punte, Barella è uno dei pochi elementi capaci di collegare i reparti. E lo fa sia con lo scopo di portare la palla nei pressi dell’area avversaria, sia muovendosi nello spazio, con lo scopo complementare di non lasciare soli Lukaku e Lautaro/Sanchez negli ultimi metri.
Ma Barella è anche, dopo Vidal e a pari merito con Lautaro, il giocatore dell’Inter che recupera più palloni nella metà campo offensiva (2.7 in media ogni 90 minuti, il diciottesimo valore del campionato). Non è un giocatore dallo spiccato talento difensivo ma ha vinto più contrasti di tutti i suoi compagni (26) e contribuisce in misura maggiore al pressing (è il primo per pressioni portate sugli avversari, più di Vidal e Hakimi). Oltretutto, finora ha preso meno della metà dei cartellini gialli della passata stagione, mostrando miglioramenti anche sotto un aspetto che gli veniva criticato.
Se la fase difensiva per Conte è l’ordinaria amministrazione, si tratta di fare le cose che dice lui e non commettere errori, è in quella offensiva in cui chiede ai suoi giocatori di fare la differenza. E Barella è uno di quelli in squadra che creano più pericoli in fase di rifinitura: dopo Hakimi, Lukaku e Sanchez è il giocatore ad aver generato più Expected Assist (3.3) e in fase realizzativa ha superato le aspettative degli Expected Goals, ricavando i suoi 3 gol in campionato da 2.1 npxG (per dire, Vidal con 2.5 npxG ha segnato una sola volta).
Ha compiuto più dribbling di tutti (27) ed è il giocatore in squadra che effettua più passaggi all’interno dell’area di rigore avversaria (poco meno di Calhanoglu, poco di più di McKennie o De Paul, per fare dei paragoni). Insomma, il volume di gioco da aerea ad area è molto ampio.
Il diavolo è nei dettagli. Nel gol dell’1-0 contro la Juventus, Barella non crossa subito dopo aver ricevuto palla da Vidal. Ha davanti Frabotta e, anche riuscendo a far passare la palla, Lukaku è marcato strettissimo e Lautaro è in mezzo a due avversari. Spostandola sul sinistro permette a Vidal di entrare in area si apre la traiettoria per crossa verso la porta, che è sempre pericoloso.
Forse potrei dire, più semplicemente, che Nicolò Barella è un giocatore più sveglio degli altri. Più brillante, più svelto, più vivo. «Come una bottiglia di champagne appena stappata», lo aveva definito Rocca ai tempi della nazionali giovanili. Contro la Fiorentina, dopo neanche quaranta secondi, si è avvicinato a Lukaku mentre duellava con Amrabat, pronto ad avventarsi sul rimpallo uscito da un passaggio del belga intercettato dalla difesa viola e arrivare, da solo, palla al piede, a pochi metri dal portiere. Poi l’ha passata all’indietro, in un eccesso di altruismo, per Vidal in ritardo.
Cinque minuti dopo ha iniziato l’azione d’attacco sulla linea laterale a destra, si è inserito in area passando dietro a Sanchez che aveva la palla e poi ha raccolto un cross basso di Hakimi, che proprio il cileno non era riuscito ad agganciare in area di rigore. Cadendo, ha colpito la palla di collo pieno e solo un miracolo di Dragowski gli ha negato il gol (arrivato poco dopo, comunque).
Ma gli esempi, in questa stagione, come in quella passata, sono davvero molti. Contro la Juventus, in due occasioni, Barella ha trasformato Rabiot in un giocatore di un’altra epoca, troppo lento e macchinoso per lui. Prima, in conduzione sul lato destro del campo, ha lasciato che si avvicinasse, aspettando che allungasse la gamba, prima di spostargli il pallone e prendergli cinque o sei metri campo e arrivare al cross da dentro l’area. Poi, a fine primo tempo, ha raccolto una seconda palla da un duello areo di Lautaro Martinez, a metà campo: dopo il controllo si è trovato davanti Bentancur e Rabiot e li ha evitati con un tocco sotto, un mini-cucchiaio con cui ha scavalcato il doppio intervento, per poi consolidare il possesso tornando indietro (facendo un'altra specie di finta con il sinistro, che passa sopra la palla ingannando di nuovo Rabiot).
Così come, in quella stessa partita, fa sembrare inadeguata l’intera struttura difensiva della Juventus nel movimento che Bastoni premia in occasione del secondo gol. Per quanto fosse messa male la difesa, Barella ha letto la situazione in modo geniale con una corsa di cinquanta metri dopo la quale è rimasto abbastanza freddo da controllare e concludere sotto la traversa.
O ancora, pensate all’assist con il Real Madrid, quando si è posizionato davanti alla difesa madridista attirando fuori posizione Ramos, tagliandolo fuori con un tocco di prima intenzione con la parte esterna del piede. Quanti altri giocatori avrebbero avuto la sveltezza di pensiero e la capacità di eseguire quella giocata? In ogni partita Barella riesce a far fluire il suo talento nelle crepe dei suoi avversari, con una conduzione, un cross o un inserimento.
Mi vengono in mente almeno altri due momenti. Il primo dalla semifinale di Europa League giocata lo scorso agosto, quando dopo un quarto d’ora di gioco Barella ha segnato il gol del vantaggio contro il Leverkusen raccogliendo una palla respinta dalla difesa che stava uscendo dall’area di rigore e calciandola di trivela a giro rasoterra sul secondo palo, tra una manciata di difensori che occupavano l’area. Vedere quello spazio e coordinarsi in quel modo controintuitivo in così poco tempo, oltre alla pulizia del suo esterno, mi hanno fatto saltare sulla sedia.
Il secondo momento, dal derby di andata con il Milan perso 1-2 a ottobre, non ha portato al gol ma mi ha sorpreso al punto che quasi quattro mesi dopo ancora lo ricordo come fosse ieri. Bennacer perde palla nella trequarti interista e de Vrij la passa a Barella che è spalle alla metà campo. Kessié lo pressa da dietro, mettendosi sulla linea di passaggio che alla sinistra di Barella portava a Vidal. Barella controlla il passaggio con una specie di finta, un colpo tagliato di collo, che alza la palla all’indietro, alla sua destra. Si gira e sprinta fino alla trequarti milanista, dove scarica a Lautaro che rientra e calcia al terzo anello.
Ho rivisto quell’azione più volte, mettendo pausa nel momento in cui esegue quel tocco all’indietro, caricando la palla di effetto e girandosi, ma non sono riuscito a capire se l’abbia fatto apposta o se abbia colpito male la palla. Il dubbio sorge perché, se fate molta attenzione, c’è un secondo movimento del piede con cui Barella sembra (forse) voler colpire la palla subito dopo il primo controllo, come se la prima volta fosse successa una cosa che non si aspettava. In ogni caso, sarebbe fenomenale anche solo il modo in cui recupera l’equilibrio in una frazione di secondo e prende velocità con Kessié alle spalle.
Davvero non ci sarebbe bisogno di difendere la qualità di un giocatore che è anche quantitativo, ma che di certo non può essere considerato sciatto o mediocre tecnicamente. La qualità di Barella è evidente in ogni sua partita, ben al di là dei chilometri percorsi o della quantità di campo che copre. Certo, in comune con giocatori come Kanté o Nainggolan ha il fatto che più è grande il campo in cui gioca, più si esalta, ma Barella ha una visione e un’intelligenza che, unite alla tecnica, gli permette davvero di fare tutto. Contro l’Olanda, in Nations League pochi mesi fa, ha messo in porta Lorenzo Pellegrini con una palla filtrante alle spalle della difesa olandese, messa in uno spazio grande come una porta, arrivata precisamente sulla corsa di un giocatore che stava quasi dalla parte opposta del campo, nascosto dietro a Immobile e a tre giocatori olandesi.
Mentre concludo mi viene in mente il vecchio paragone con Gigi Riva, nato ai tempi in cui era a Cagliari. Riva, un lombardo in Sardegna; Barella, un sardo in Lombardia. Nessuno potrebbe chiamare Barella “Rombo di tuono”, non c’è niente di minaccioso in lui, niente che annuncia le sue giocate. Brera diceva che Riva aveva «un folle e talora persino torvo eroismo fuori del tempo»; Barella non ha niente di torvo o eroico, anche la sua faccia tonda, con gli occhi piccoli e il mento da squaletto dei cartoni animati, non hanno niente degli angoli e delle ombre che scavavano le guance Riva, che gli nascondevano gli occhi piegati verso il basso come gli angoli della bocca.
Non c’è niente di eroico in Barella, né nel suo talento. È tutto leggerezza ed efficacia, capacità di adattarsi, di leggere la situazione e sfruttare le occasioni che si trova davanti, di reagire il più velocemente possibile. C’è la concentrazione di Barella, l'intensità del suo sguardo, la sua capacità di stare dentro la partita. C'è l’ambizione di Barella, questo sì. Quella che lo ha portato via da Cagliari e che lo sta facendo migliorare giorno dopo giorno. Fino a dove, fino a quando? Difficile stabilire oggi i limiti del suo talento. Intanto, a 24 anni appena compiuti, Nicolò Barella è il migliore centrocampista italiano. Quello che sa fare più cose, e che le sa fare meglio.