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8 giocatori da cui ci aspettiamo una grande stagione
24 set 2020
24 set 2020
Giocatori molto importanti per le rispettive squadre.
(articolo)
12 min
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Un’altra stagione di Serie A è già iniziata e con lei sono arrivate le prime sentenze. Abbiamo raccolto una lista di giocatori da cui ci aspettiamo una grande stagione. Attenzione: non di cui prevediamo una grande stagione, perché predire con serietà non è serio, ma giocatori il cui contesto li costringe a fare una grande stagione: per le necessità della loro squadra, per la loro importanza tecnica e tattica o perché è una stagione decisiva per capire il loro valore.

Andrea Belotti

di Marco D'Ottavi

Andrea Belotti è, nettamente, il miglior giocatore del Torino. Non solo per i gol - sempre in doppia cifra nelle cinque stagioni con i granata - ma anche per lo spirito battagliero con cui guida una squadra che da troppi anni va avanti senza guizzi o progetti entusiasmanti. Il centravanti italiano è diventato rapidamente il leader emotivo del Torino, il giocatore che come Atlante si è caricato sulle spalle le sorti della squadra.

Il Torino non deve sperare in una grande stagione di Belotti, ma piuttosto pregare per una grande stagione del suo centravanti, perché altrimenti si mette male. C’è da dire che, a 26 anni, anche per Belotti è arrivato il momento di dimostrare di essere il quanto più vicino alla sua versione 2016/17, quella in grado di segnare 28 gol sembrando una furia inafferrabile, un flagello di Dio contro le povere difese avversarie della Serie A. Belotti non è un attaccante dal controllo raffinato o dalle letture di un trequartista, non ha il gioco spalle alla porta di un nove vecchia scuola, né la capacità di creare spazi come un centravanti moderno, ma se sta bene è in grado di vincere i duelli contro i difensori in ogni zona del campo per aiutare la squadra a risalire il campo o creare occasioni pericolose negli ultimi 16 metri.

Se Giampaolo riuscirà a trovare il modo di creare una squadra meno dipendente da Belotti, consegnargli le chiavi dell’area di rigore avversaria e non di tutto il fronte d’attacco, forse torneremo a vedere il Belotti promesso, l’attaccante da 25-30 gol. Per una squadra che sta avendo difficoltà a trovare attaccanti da affiancargli sarebbe un grande risultato.


Hakan Calhanoglu

di Emanuele Atturo

Dopo tre anni di mistero e perplessità, Hakan Calhanoglu è finalmente diventato il calciatore che pensavamo che fosse. Non perché è diventato il trequartista tecnico e raffinato che molti tifosi si aspettavano, ma perché si è rivelato un dieci atipico, perfetto per le idee del calcio di Pioli. In fondo non c’era niente di strano nel fatto che il trequartista forgiato dal più estremo degli allenatori della scuola tedesca - Roger Schmidt - esplodesse grazie al tecnico più tedesco della scuola italiana.

Nel Milan verticale e di transizioni, corte e lunghe, di Stefano Pioli Calhanoglu è un pesce nell’acqua. Probabilmente non è il giocatore più influente della squadra, visto che gioca insieme a Zlatan Ibrahimovic, ma è senz’altro quello che più dividerà con lo svedese l’onere di produrre gol e assist, cercando di mandare in porta lui e Ante Rebic. Quest’anno, a 26 anni, dovrà dimostrare una volta per tutte che i due anni e mezzo precedenti sono stati solo un (lunghissimo) periodo d’ambientamento prima di esprimere uno dei talenti più peculiari in Europa.


Joaquin Correa

di Emanuele Atturo

La Lazio è di fronte a una stagione difficile: il crollo patito nell’anomalo campionato post-lockdown ha dimostrato che la rosa non era attrezzata per sostenere impegni ogni tre giorni. In previsione della Champions League, Tare si sta muovendo per ampliare la rosa e aumentarne lo spessore ma finora sono arrivati solo Fares e Muriqi, che non aggiungono molte scelte alla rosa di Simone Inzaghi. La migliore notizia per la Lazio, però, è che sono rimasti tutti i migliori giocatori, e in questi casi ci si riferisce sempre alla trinità formata da Ciro Immobile, Sergej Milinkovic-Savic e Luis Alberto. Altri giocatori sono fondamentali nelle prestazioni della Lazio: Lucas Leiva a centrocampo, capace di ricucire gli squilibri che la squadra produce quando attacca; Acerbi, decisivo nelle difese in area di rigore a cui la Lazio si affida per alcuni tratti delle partite. C’è però un giocatore offensivo che ancora sembra avere margini di miglioramento, e da cui la Lazio potrebbe aspettarsi una grande stagione: Joaquin Correa.

Arrivato due stagioni fa, Correa si è trovato subito a proprio agio in una squadra che attacca in modo diretto e su un campo lungo. Le grandi responsabilità offensive che ha quando gioca hanno messo in luce i pregi e i difetti del suo gioco: un calciatore devastante nelle corse palla al piede, difficile da fermare anche quando tenta il dribbling in spazi stretti; ma d’altra parte non sempre lucido nelle scelte di gioco e, soprattutto, non sempre freddo sotto porta. Nelle prime sette giornate dello scorso campionato aveva messo a segno appena un gol dopo un numero non ricostruibile di occasioni. Sin da quando è alla Lazio il suo rapporto col gol è sembrato patologico. Col tempo la scorsa stagione è migliorato, ha finito per realizzare 9 gol, ma sarebbero potuti essere di più. Correa è stato fra i primi 15 giocatori del campionato per Expected Goals per novanta minuti. Sotto porta per lui si tratta sempre di un problema di scelte e lucidità, visto che la tecnica non gli manca neanche quando deve calciare. Ricordate il gol magnifico segnato all’Atalanta, calciando in corsa sotto la traversa?

Se dovesse avere meno problemi di natura muscolare, che lo hanno fermato spesso nel girone di ritorno, ci sono ragioni per pensare che Correa possa fare meglio quest’anno. La Lazio ha bisogno di lui, delle sue corse con e senza palla, per colmare gli eventuali cali di forma di Immobile e Luis Alberto in fase di finalizzazione.


Nicolò Barella

di Dario Saltari

Anche se nelle ultime due sessioni di mercato l’Inter ha preso prima Eriksen e poi Vidal, oggi nessuno si sognerebbe la squadra di Antonio Conte senza Nicolò Barella in campo. Questo già dice molto di quanto l’ultima stagione abbia cambiato il nostro punto di vista sul giovane centrocampista sardo che, è bene ricordarlo, ha ancora 23 anni e viene dalla sua prima stagione in una grande squadra. Appena un anno fa non era scontato che Barella fosse considerato un titolare inamovibile dell’Inter: l’ex centrocampista del Cagliari veniva infatti da una stagione interlocutoria in Sardegna e inizialmente ha fatto fatica a inserirsi negli ingranaggi del gioco di Conte. Eppure oggi sembrano lontanissimi i tempi in cui il tecnico salentino, dopo la sconfitta in Champions League a Barcellona, lo accusava più o meno esplicitamente di inesperienza, e invece è vivo il ricordo delle prestazioni di Barella in Europa League senza le quali l’Inter difficilmente sarebbe arrivata in finale.

La nostra percezione di Barella è cambiata al punto che adesso sembra difficile anche solo aspettarsi qualcosa in più da lui in questa stagione. Eppure il centrocampista sardo, nonostante la buona visione di gioco e la sensibilità tecnica sopraffina, continua a essere poco influente sia da un punto di vista creativo che realizzativo. La scorsa stagione Barella in tutte le competizioni ha fatto segnare 4 gol e 8 assist - numeri relativamente in crescita rispetto alla sua storia recente (se si esclude la stagione 17/18, durante la quale segnò 6 gol solo in Serie A), ma che potrebbero e forse dovrebbero crescere ancora se il numero 24 vuole definitivamente diventare una delle figure di riferimento all’interno dell’Inter. Se si esclude il solo Lukaku, forse nessun altro giocatore della rosa nerazzurra ha le ambizioni personali così intrecciate con quelle della propria squadra. La possibilità dell’Inter di vincere lo scudetto passano inesorabilmente per la definitiva affermazione di Barella come leader tecnico della squadra nerazzurra e come giocatore cardine della movimento calcistico italiano.


Domenico Berardi

di Emanuele Atturo

Non sono pochi i motivi per ritenere Berardi uno dei migliori giocatori della scorsa stagione. Ha servito 10 assist e realizzato 14 gol, andando in doppia cifra per la prima volta dal 2015, da quando cioè Berardi era considerato il più grande giovane talento del calcio italiano. Negli anni in mezzo ha fatto di tutto per diventare antipatico a tutti, con problemi disciplinari e un’involuzione tattica a tratti inspiegabile. Berardi era diventato l’esempio classico dell’ala a piede invertito dal gioco meccanico e individualista, che vive per i tiri a giro e per i dribbling a rientrare. Lo scorso anno il suo gioco è fiorito: nel sistema di De Zerbi Berardi è diventato un creatore di gioco complesso e sfaccettato, capace di dare la pausa e di leggere meglio di cosa ha bisogno la squadra. I suoi dribbling difensivi e i modi che trovava per far risalire il pallone non finiscono in maniera chiara nelle statistiche ma hanno migliorato la fluidità e la pericolosità del Sassuolo. Negli ultimi metri è diventato più efficace, pur continuando a tirare molto e a essere un giocatore incline a fare tanto fumo.

La sensazione però è che Berardi stia trovando la chiave del proprio talento - che è un talento forgiato sulla sensibilità tecnica e la visione del gioco - ma l’opinione pubblica non si fidi completamente di lui, scottata dalle prime delusioni. Nonostante la sua grande stagione, e forse a causa della pausa breve, nessuna squadra si è interessata al suo acquisto e alle prime convocazioni Roberto Mancini lo ha tenuto fuori, pure in una lista lunga. Berardi ha un talento poco comune nel calcio italiano e in questa stagione dovrà confermare di aver raggiunto la consistenza giusta per potersi fidare di lui.


Gaetano Castrovilli

di Dario Saltari

Dopo l’incredibile stagione appena trascorsa, Gaetano Castrovilli ha preso la numero 10 e tutti sappiamo cosa significa. È una dichiarazione d’intenti sorprendente, come sorprendente è stato il suo rendimento al primo anno in Serie A dopo ben tre stagioni di Serie B positive ma in cui nessuno si aspettava che sarebbe potuto diventare quello che Castrovilli è oggi. È anche un’assunzione di responsabilità di cui forse nemmeno lui conosce del tutto le conseguenze, visto quanto è esigente quella tifoseria viola per cui adesso è naturale associarlo a Giancarlo Antognoni. D’altra parte, è stato lo stesso Antognoni durante il lockdown a ribadirlo. «Ti ho visto crescere, io ho passato tutta la mia carriera in viola e in azzurro e ti auguro di poter ripercorrere quello che ho fatto io con il numero 10 sulle spalle», aveva dichiarato non troppo tempo fa l’attuale club manager della Fiorentina. La 10 sulle spalle, insomma, significa che Castrovilli dopo appena un anno di apprendistato non sarà più semplicemente una buona notizia da aggiungere alle giornate positive o da usare come consolazione in quelle negative, ma soprattutto un punto di riferimento per tifosi e compagni - da cui ci aspetta qualcosa nei momenti difficili o importanti.

Castrovilli è chiamato quindi a una stagione da protagonista e questo significa innanzitutto che dovrà essere più continuo e incisivo. Lo scorso anno il numero 10 viola ha stupito tutti con il suo raffinato gioco di tocchi d’esterno e progressioni eleganti, trasformandosi ben presto nel riferimento creativo della squadra di Iachini sulla trequarti, ma alla fine in fase realizzativa ha totalizzato appena 3 gol e 2 assist. Sono numeri che non basteranno per avere una stagione positiva quest’anno, in cui avrà anche la possibilità di essere sgravato da compiti difensivi dall’inserimento di Amrabat e Duncan in squadra. Lui stesso sembra averlo capito da subito, con un gol che è valso tre punti alla prima giornata dopo 78 minuti brutti e bloccati contro il Torino. Un tap-in facile dopo un bell’inserimento in area alle spalle della difesa granata che tra un po’ di tempo potremmo ricordare come un gradino ulteriore della sua ascesa al pantheon della Serie A.


Aaron Ramsey

di Federico Aquè

È vero, non bisogna dare troppo peso alle sensazioni di una partita, specie se è la prima di campionato di una squadra finora indecifrabile come la Juventus, ma era da troppo tempo che non vedevamo Aaron Ramsey così vivace, coinvolto, pieno di energia. Contro la Sampdoria il gallese ha creato 6 occasioni, un record personale che in carriera aveva toccato solo altre due volte, contro il Leicester nel 2014 e contro il Wolverhampton nel 2011.

Ramsey non è stato però solo un riferimento dal punto di vista creativo, ha chiuso triangoli con precisione geometrica, ha chiesto la palla tra le linee, ha pressato, rincorso gli avversari, recuperato il pallone nella trequarti avversaria e con i suoi inserimenti ha riempito lo spazio centrale liberato da Kulusevski e Cristiano Ronaldo. È lui ad esempio il bianconero più avanzato che ha appoggiato la palla di testa all’indietro a Ronaldo poco prima del gol di Kulusevski. Ed è sempre lui che a due minuti dal novantesimo si è girato dietro il centrocampo blucerchiato e ha dato l’assist a Ronaldo per il 3-0. Lo sappiamo, la grande incognita è la sua tenuta fisica. Nello scorso campionato Ramsey ha giocato appena undici partite da titolare e solo una volta è rimasto in campo per tutti i novanta minuti, contro l’Inter nella sfida di ritorno. Se però riuscirà a mantenere la forma mostrata all’esordio contro la Sampdoria, e se la Juve di Pirlo continuerà sulla strada tracciata nella prima giornata, allora è probabile che Ramsey sarà uno dei giocatori più decisivi per far funzionare il sistema, e che avrà la possibilità di ribaltare i giudizi negativi che hanno accompagnato la sua prima stagione in Italia.


Lorenzo Pellegrini

di Marco D'Ottavi

Quando la cessione di Dzeko sembrava certa, Lorenzo Pellegrini aveva ereditato la fascia di capitano della Roma, da romano e romanista. Una posizione che nella Capitale assume un valore più che simbolico. Ora, probabilmente, la fascia tornerà sul braccio dell’attaccante bosniaco, ma questo non toglie che quest’anno Pellegrini è chiamato a rispondere dei destini della sua squadra.

L’anno scorso, dopo un ottimo girone d’andata, dove era per distacco il migliore del campionato nel fornire assist ai compagni, Pellegrini è calato molto, giocando una seconda parte di stagione svogliata e incolore. Nel nuovo modulo adottato da Fonseca, Pellegrini può giocare nei due dietro la punta o - visto che in quel ruolo la Roma ha anche Pedro e Mkhitaryan - nei due centrali di centrocampo. Il gioco più verticale e veloce può aiutarlo a esprimersi meglio, dopotutto il filtrante è una delle sue migliori qualità. Da quando si è preso il posto dopo un derby deciso con un gol di tacco, a Roma Pellegrini è considerato il miglior talento della squadra (almeno fino all’arrivo improvviso di Zaniolo). Dopo un paio di stagioni tra alti e bassi, quest’anno deve dimostrare che può essere un giocatore decisivo per la squadra della sua città.

Ovviamente la sua qualità migliore, il passaggio negli ultimi venti metri di campo, dipenderà anche dalla capacità della Roma di avere una proposta offensiva convincente (al momento non è neanche certa di chi sarà il suo centravanti), ma per aiutare la squadra Pellegrini dovrà essere più concreto, sia a livello di regolarità nelle prestazioni che sotto porta. L’anno scorso ha segnato appena un gol in campionato da 4 xG, mettendo in mostra una mancanza di freddezza preoccupante. A 24 anni sembra arrivato il momento di fare un passo avanti, a livello di gioco e responsabilità: se dovesse riuscirci, per la Roma e i suoi tifosi si prospetta una stagione meno nera di quello che sembra.


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