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Nuovo Atletico, vecchio Atletico
28 gen 2021
28 gen 2021
Cosa ha cambiato Simeone per tornare in cima alla classifica.
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LiveMedia/DPPI/Oscar Barroso
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Forse il ciclo dell’Atletico Madrid di Diego Simeone non è mai andato così vicino a esaurirsi come nella scorsa stagione. Non che Simeone sia mai sembrato sul punto di lasciare, nemmeno dopo la sconfitta contro la Cultural Leonesa a gennaio di un anno fa in Copa del Rey, una delle più brutte del suo ciclo. L’Atletico era passato in vantaggio con un gol di Correa dopo aver sprecato diverse occasioni, poi aveva provato a difendere il risultato a modo suo, cedendo il possesso e proteggendo l’area, anche se di fronte aveva una squadra di terza divisione. Quella volta però non aveva funzionato. La Cultural aveva pareggiato a pochi minuti dal novantesimo, e poi nei tempi supplementari aveva anche trovato in contropiede il gol della vittoria. https://youtu.be/jxDCpxbuvZU Dopo la partita Simeone aveva usato come termine di paragone le due più grandi delusioni del suo ciclo, cioè le sconfitte nelle due finali di Champions League contro il Real Madrid, ma per rivendicare la capacità di rialzarsi e andare avanti anche dopo cadute così dolorose. «I rigori e i tempi supplementari in Champions League non mi hanno cambiato», aveva detto il tecnico argentino, «E non cambierò adesso. Credo nei miei giocatori, abbiamo una squadra importante e presto otterremo risultati». Partite come quella contro la Cultural Leonesa indicavano però una via diversa rispetto a quella tracciata da Simeone, e cioè che l’Atletico aveva bisogno di cambiare. Il tecnico argentino ci aveva provato a inizio stagione, dopo una finestra di mercato che aveva rinnovato in profondità la rosa. Persi Griezmann, Rodri, Lucas Hernandez, Godín, Juanfran e Filipe Luís, l’Atletico aveva investito in ogni reparto: in difesa erano arrivati Felipe, Hermoso, Trippier e Renan Lodi, a centrocampo erano stati aggiunti Héctor Herrera e Marcos Llorente, e soprattutto per 126 milioni di euro i “Colchoneros” si erano assicurati uno dei più grandi talenti a livello mondiale, João Félix, chiamato a riempire il vuoto lasciato da Griezmann. L’Atletico si era sforzato di giocare in modo più coraggioso, tenendo alti e aperti i terzini e occupando con più uomini il centro del campo per migliorare il palleggio, ma quando la posta in palio si è alzata Simeone è sempre tornato alle origini. E cioè 4-4-2 con le linee corte e strette, protezione maniacale del centro e pressing portato soprattutto sulle fasce, e una manovra che riduce al minimo i rischi, verticale e orientata ad arrivare velocemente nell’area avversaria. Simeone è tornato alle origini nelle due sfide agli ottavi di Champions League contro il Liverpool, due partite che hanno illuso che l’Atletico fosse lo stesso di sempre, capace di tenere in equilibrio i confronti anche con squadre di maggiore talento grazie all’organizzazione difensiva, senza perdere la capacità di creare pericoli in ripartenza. La vittoria in rimonta ai supplementari ad Anfield è forse l’ultima grande impresa del “vecchio” Atletico. Poi però è arrivata l’eliminazione nel turno successivo contro il RB Lipsia, una squadra moderna e dinamica, che cambia sistema a seconda delle fasi, capace sia di ragionare con la palla sia di attaccare con pochi passaggi, una squadra cioè fluida, mutevole, dai tratti opposti a quelli granitici e immutabili che riconosciamo alla squadra di Simeone. La sconfitta ha quindi messo fine alla stagione forse più deludente del ciclo dell'allenatore argentino, e non c’entrano solo le brutte eliminazioni subite nelle coppe. In campionato i “Colchoneros” sono quasi sempre rimasti lontano dalle posizioni di vertice, e solo un ottimo finale di stagione li ha portati a qualificarsi in Champions League. Mai come l’anno scorso la coperta è sembrata troppo corta. L’Atletico non aveva perso la solidità difensiva che l’ha sempre contraddistinto - anche se non ha avuto la miglior difesa del campionato spagnolo, avendo subito due gol in più del Real Madrid - ma ha fatto più fatica del solito a livello offensivo, e ha chiuso col peggior attacco tra le prime sette squadre della Liga, anche perché tutti i suoi attaccanti hanno reso al di sotto delle attese. Cioè, hanno segnato meno rispetto agli xG creati. Non stupisce allora che l’unico acquisto di rilievo di questa stagione, oltre alla conferma di Carrasco, tornato a Madrid in prestito già un anno fa a gennaio, sia stato Luis Suarez. Oggi che l’uruguaiano viaggia alla media di un gol ogni 90 minuti sembra lesa maestà, ma in estate era lecito avere dei dubbi sulla bontà dell’operazione. Un centravanti fenomenale, tra i migliori finalizzatori del decennio, ma in declino a livello fisico, in una delle squadre più stressanti che ci siano per un attaccante, non solo per le richieste difensive ma anche per i compiti offensivi, complessi e alla portata di pochi. Suarez era ancora in grado di dominare i corpo a corpo con i difensori, di essere un appoggio continuo per la risalita del campo, rimanendo allo stesso tempo lucido in area di rigore? Negli ultimi anni diversi attaccanti hanno faticato con i “Colchoneros”, e anche Diego Costa, il trascinatore in senso letterale del miglior Atletico, quello che ha vinto la Liga nella stagione 2013/14, quando non ha più dato garanzie a livello fisico è stato messo ai margini, e alla fine ha lasciato la squadra. Simeone allora ha ribaltato le premesse. Suarez non interviene quasi mai nell’azione, si limita ogni tanto a qualche appoggio spalle alla porta e si occupa solo di fissare i centrali difensivi, agevolando le ricezioni sulla trequarti dei compagni, e di allungare la squadra con tagli in profondità. Dopo il portiere (Oblak) è il giocatore che in media tocca meno palloni nell’Atletico. È una sorta di rivoluzione copernicana per la squadra di Simeone. La manovra non avanza più appoggiandosi alle capacità del centravanti di proteggere la palla e di trascinare in avanti le linee, ma arriva sulla trequarti con ordine e pazienza, e alla punta chiede solo di finalizzare e creare spazi sulla trequarti bloccando la linea difensiva. È cambiata la struttura posizionale, la risalita del campo è più manovrata, ma non significa che Simeone sia cambiato. Di certo ha rinnovato il modo in cui la sua squadra attacca, e di conseguenza anche il modo in cui difende, ma a indirizzare quei cambiamenti è stata una necessità pratica, quella di inserire un attaccante evidentemente non ritenuto in grado di dare un certo tipo di contributo. Gioco e meccanismi sono chiaramente diversi ma in un certo senso Simeone è comunque rimasto fedele a sé stesso, al suo pragmatismo e all’idea di squadra che secondo lui definisce l’Atleti. «La gente dell’Atletico ha sempre voluto una squadra competitiva», aveva detto qualche anno fa, «Una squadra che fosse forte in difesa, che giocasse in contropiede e desse fastidio alle superpotenze». Alzare il numero di passaggi, la quantità di possesso, non ha trasformato infatti l’Atletico in una squadra che vuole il dominio del pallone, e soprattutto non ha fatto perdere ai “Colchoneros” il loro principale punto di forza, cioè la solidità difensiva. Con appena 8 gol subiti in 18 partite, ha la miglior difesa nei principali campionati europei. Insomma, la tradizione è rispettata anche se gli uomini di Simeone non difendono più con il 4-4-2 e le linee corte e strette a proteggere il centro del campo. La linea difensiva adesso è a cinque, ma va detto che a chiuderla a sinistra è un esterno offensivo come Carrasco. Questo permette in teoria alla squadra di schierarsi in modo fluido, di scivolare facilmente nel 4-4-2 alzando la posizione di Carrasco e allargando in copertura alle sue spalle un difensore centrale. In realtà però il belga resta quasi sempre basso a marcare l’esterno avversario, facendo quindi cadere uno dei presupposti della vecchia organizzazione difensiva dell’Atletico Madrid, e cioè l’occupazione omogenea del campo garantita dal 4-4-2, con due giocatori per ogni zona. Ora invece, con la difesa a cinque e tre centrocampisti più avanti, la squadra di Simeone è vulnerabile nelle zone di fianco alle mezzali, che coprono non solo lo spazio di loro competenza, ma anche le zone laterali uscendo in pressione, coperte alle spalle dallo scivolamento del mediano (di solito Koke). Lo schieramento può sbilanciarsi verso destra e lasciare sulla fascia sinistra, proprio quella di Carrasco, uno spazio invitante in cui gli avversari possono manovrare.

Un’immagine dalla partita contro il Valencia. I tre difensori centrali sono in superiorità numerica contro gli attaccanti avversari, Carrasco è sulla loro linea e davanti a lui il Valencia avrebbe molto spazio per manovrare.

Ovviamente si tratta di un rischio calcolato. Anche con il nuovo schieramento l’Atletico Madrid resta formidabile nell’accorciare lateralmente e nel creare superiorità nella zona della palla, e oltretutto, con un giocatore in più in difesa, protegge ancora meglio l’area, anche quando non può contare sull’esterno che si stacca per andare a marcare il suo avversario. Lo spazio lasciato davanti a Carrasco è poi importante per i compiti che ha il belga una volta recuperata la palla. In transizione e negli attacchi più ragionati Carrasco avanza e resta largo, ed è quindi un riferimento facile da trovare con appoggi laterali e cambi di gioco. Quando ha spazio davanti il belga può portare da solo la palla negli ultimi metri, nelle azioni manovrate è invece essenziale per fissare il terzino avversario e allargare la linea difensiva, e per creare pericoli in isolamento, una soluzione che invece all’Atleti manca sulla fascia opposta. Da quella parte infatti Simeone ha due terzini più puri: Trippier, titolare ma squalificato fino al 28 febbraio per aver violato le regole che impediscono ai calciatori di scommettere, o di incoraggiare qualcuno a farlo, sui propri trasferimenti, e in alternativa Vrsaljko. Insomma, con il cambio di sistema Carrasco ha un ruolo decisivo, consacrato dalla vittoria forse più importante per questo nuovo ciclo, quella contro il Barcellona a fine novembre. Simeone aveva appena sperimentato il nuovo sistema, nella partita precedente vinta 4-0 contro il Cadice, e ha trovato proprio nella sfida con i catalani le conferme per continuare a seguire quella strada. A segnare il gol decisivo è stato infatti Carrasco, in un momento in cui era il giocatore più avanzato dopo che, dalla posizione di esterno difensivo, aveva affrontato Dembélé e lo aveva indotto a un tocco maldestro, facilitando il recupero della palla di João Félix. Carrasco si era spinto subito in avanti si è così trovato solo nella trequarti sinistra del Barcellona sul lancio di Correa. Ha approfittato dell’uscita rischiosa di ter Stegen e lo ha saltato, prima di appoggiare il pallone nella porta vuota. A dare ancora più importanza alla vittoria, va detto che Simeone non aveva ancora mai battuto il Barcellona in campionato. https://youtu.be/i33yNhs31os?t=107 Carrasco non è il solo a far funzionare il nuovo sistema. Per la prima circolazione, che è più paziente e si appoggia ovviamente ai tre difensori, è diventato ancora più importante il raffinato piede sinistro di Hermoso. Da centrale sinistro della difesa a tre, Hermoso può smarcarsi più facilmente e avere più libertà per iniziare l’azione, specie tagliando il campo da sinistra a destra. Più avanti il passaggio a una manovra più ragionata, più orientata agli scambi corti, è reso possibile dal quadrilatero che si forma in mezzo al campo. Koke è il vertice basso che si posiziona davanti ai difensori. Dinamico, costante nel dare un appoggio semplice a chi ha la palla, preciso negli scambi e rapido a liberarsi della palla, Koke non ha magari una visione di gioco eccezionale ma fa scorrere con pulizia l’azione, oltre ovviamente a dare un contributo fondamentale a livello difensivo. Dinamismo e intensità gli permettono di coprire una zona molto ampia di campo, di accompagnare il pressing nelle zone laterali e poi di proteggere il centro, ma Koke è anche molto abile nel recupero dei palloni vaganti, una qualità fondamentale per dare equilibrio al sistema. Davanti a lui c’è invece un trio di giocatori che si posizionano dietro il centrocampo avversario, le due mezzali e il trequartista. Le mezzali sono di solito Lemar a sinistra e Llorente a destra, nel ruolo di trequartista si alternano invece João Félix e Correa. Le mezzali appoggiano poco la manovra in uscita dalla difesa e vengono coinvolte solo negli sviluppi successivi. Possono indirizzare la manovra in zona centrale con scambi stretti, allargarsi e associarsi agli esterni per far risalire la palla sulle fasce, o ancora possono anche non intervenire sul possesso e inserirsi negli spazi aperti nella linea difensiva avversaria. Lemar ha più qualità in spazi stretti e può incidere di più tra le linee, Llorente è invece più abile negli inserimenti. Tutti e due, comunque, avendo giocato in passato da esterni, sono a loro agio anche quando si allargano e giocano la palla in zone laterali. Insomma, entrambi ricoprono in modo perfetto un ruolo che li porta a muoversi per tutta la metà campo offensiva, ad appoggiare l’azione tra le linee, ad aprirsi sulle fasce o a inserirsi in area. Lemar ha finalmente trovato continuità in questa nuova posizione, Llorente, arrivato all’Atleti come centrocampista difensivo, ha compiuto invece una trasformazione radicale. Dopo Suarez, è il miglior marcatore della squadra in campionato con 6 gol, gli stessi segnati da João Félix. Quest’ultimo nelle ultime settimane ha perso un po’ di centralità e si alterna a Correa come riferimento creativo tra le linee. I due hanno caratteristiche diverse e tendono anche a muoversi in zone diverse. João Félix preferisce aprirsi a sinistra e portare palla verso il centro, la tocca più spesso e la tiene di più, ha più inventiva e sa dare accelerate improvvise all’azione, o partendo in conduzione o cercando il filtrante da sinistra per il taglio di Suarez, un passaggio che nessun altro sa eseguire con la sua stessa precisione. Correa è più essenziale, si appoggia di più ai compagni, ha un primo tocco eccezionale ed è più rapido a liberarsi del pallone. Oltretutto viene schierato soprattutto a destra, un lato dove può rinforzare il palleggio e dare maggiore copertura in fase difensiva, abbassandosi sulla linea dei centrocampisti. La difesa a tre, che garantisce una prima circolazione più sicura, e l’occupazione più costante, e di maggiore qualità, degli spazi tra le linee ha completato una trasformazione comunque già in atto. La posizione stretta degli esterni, spesso in realtà centrocampisti, caratterizzava l’Atletico Madrid già con il 4-4-2, e anche l’avanzata dei terzini permetteva di avere sempre due soluzioni in ampiezza su cui allargare il gioco.

Lo schieramento a partire dal 4-4-2. Correa si è accentrato da destra, Carrasco è più largo sull’altra fascia, l’ampiezza è occupata in contemporanea da Lodi e Trippier. Con il nuovo sistema l’Atletico è ancora più flessibile, continua ad avere due opzioni sempre disponibili sulle fasce, ma ha aumentato la presenza tra le linee e aggiunto un difensore in più a inizio azione. In questo modo riesce ad avere più linee di passaggio nella zona della palla e ha più alternative per risalire il campo. Non punta a dominare il possesso, non ha rinunciato alla sua anima verticale, ma può ragionare di più in mezzo al campo, spostare facilmente il palleggio sulle fasce e occupare bene l’area.

Il nuovo schieramento in fase di possesso, dalla partita contro il Valencia. Tre difensori, Koke che fa da collegamento con i giocatori tra le linee e i due esterni aperti sulle fasce.

Arrivati a metà stagione, l’Atletico Madrid è per rendimento la miglior squadra nei principali campionati europei, la sola che, insieme al Bayern Monaco, guida la classifica con un certo margine di distacco sulle inseguitrici. La squadra di Simeone ha 7 punti di vantaggio sulla seconda in classifica, il Real Madrid ma, avendo giocato una partita in meno rispetto ai “Merengues” e al Barcellona, che segue al terzo posto, il vantaggio una volta riequilibrato il numero di partite potrebbe essere ancora più consistente. Il suo dominio è anche più accentuato rispetto a quello del Bayern in Germania, nonostante il livello delle rivali sia più alto. L’Atletico Madrid ha una media punti più alta del Bayern e può anche battere il primato stabilito l’ultima volta che ha vinto il campionato, nel 2014: quella volta fece 90 punti, quest’anno continuando a questo ritmo può farne 100. È vero che in Copa del Rey è arrivata un’altra sconfitta contro una squadra di terza divisione, ma è rimasta una parentesi negativa all’interno di una stagione fin qui entusiasmante. Un anno fa il ciclo di Simeone sembrava sul punto di esaurirsi, oggi invece il tecnico argentino, intervenendo in modo deciso su uno stile di gioco che sembrava immutabile, ha invece ricreato le condizioni per un’altra annata memorabile.

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