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Foto di Laurence Griffiths / Getty Images
Champions League Dario Saltari 12 marzo 2020 7'

Fondamentali: Liverpool-Atletico Madrid 2-3

Un grande giocatore di cui non ci eravamo accorti.

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Dopo una partita che aveva visto la sua squadra uscita sconfitta dopo aver tirato verso la porta 34 volte e aver creato 3.8 Expected Goals, Jürgen Klopp non è riuscito a nascondere la sua frustrazione. «Se dicessi quello che penso dell’Atletico Madrid sembrerei la persona che sa prendere peggio le sconfitte al mondo», ha dichiarato l’allenatore tedesco «Non capisco perché Simeone opti per un gioco del genere con i giocatori che ha a disposizione. Con la qualità che hanno potrebbero fare un buon calcio. Non questo 4-4-2 dove nemmeno si fa il contropiede». 

 

È davvero così? Con un gioco più offensivo, più associativo l’Atletico avrebbe potuto vincere in maniera meno sofferta?

 

Le idee di Klopp per abbattere il muro di Simeone

Lo sconcerto nelle parole di Klopp per un gioco così sfacciatamente anti-moderno era il riflesso dell’enigma che la squadra spagnola poneva al Liverpool prima della partita. È possibile per una squadra che fa del recupero palla, cioè, in sostanza, dell’errore avversario, la sua principale fonte di gioco creare pericoli con continuità a una squadra che si rifiuta esplicitamente di prendersi rischi con il pallone, il cui obiettivo è proprio quello di minimizzare qualsiasi tipo di errore in fase difensiva?

 

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Nonostante il risultato sembra suggerire il contrario, la mappa degli Expected Goals (che forse Simeone si appenderà incorniciata nel suo ufficio) ci dà subito un’indicazione. Il Liverpool non era arrivato impreparato: sapeva che avrebbe affrontato un 4-4-2 basso a difesa del centro e sapeva che avrebbe dovuto fare una partita diversa dal solito, in cui le occasioni nate da transizioni rapide nate da un recupero alto del pallone sarebbero state poche. La squadra di Klopp era consapevole di cosa la attendeva, insomma, e aveva le idee piuttosto chiare.

 

Le armi preparate per l’assedio era sostanzialmente due. La prima era quella dei cross dalla trequarti, qualcosa a cui a Anfield sono perfettamente abituati. Quella di colpire l’avversario con una pioggia di cross diagonali dalla trequarti o nello spazio alle spalle della linea difensiva o in quello lasciato libero davanti nel momento in cui rincula verso la porta, è un pattern abituale per il Liverpool che parte spesso dai piedi e dal cervello di Trent-Alexander Arnold, che ieri ne ha tentati ben 25. Era una scelta che aveva molto senso contro una difesa molto bassa e che era costretta a continui movimenti ad elastico per assorbire i tagli in profondità da una parte e non collassare sulla linea di porta dall’altra. Ma che alla fine non è riuscita a creare pericoli rilevanti fino all’inizio del primo tempo supplementare quando Wijnaldum, in equilibrio sulla linea del fallo laterale, è riuscito a superare Lodi e a mettere un pallone in mezzo dalla trequarti, in una delle pochissime occasioni in cui la difesa dell’Atletico Madrid si è fatta trovare in parità numerica con gli avversari in area.

 

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Quella di ieri è stata infatti forse la partita più da Atletico dell’Atletico almeno dai tempi della semifinale con il Bayern Monaco di Guardiola, nella primavera del 2016, e in questo senso più che di difesa della propria metà campo, o della propria area, dovremmo parlare di difesa dell’area piccola. Questo ci porta alla seconda arma preparata da Klopp per squarciare quella che Barney Ronay, sul Guardian, ha definito una “membrana invisibile” a difesa della porta di Oblak. E cioè i movimenti coordinati delle ali, delle mezzali e di Firmino per aprire la compattezza centrale avversaria ed entrare in area. E in particolare il quadrato che in un 4-4-2 così basso e compatto viene a formarsi tra i due centrali di difesa (Felipe e Savic) e i due mediani (Thomas e Saul).

 

 

Quello che vedete qui sopra è un esempio di quali erano le idee di Klopp a riguardo. L’Atletico sta difendendo basso e stretto il centro, scivolando in orizzontale a seconda di dove il Liverpool muove la palla. Firmino è praticamente al centro del quadrato centrale avversario e per la squadra inglese non sembra esserci un modo per creare pericoli agli avversari. Le cose cambiano nel momento in cui la palla viene scaricata a destra verso Arnold, mentre Firmino si stacca dalla linea di difesa e chiama la ricezione sulla trequarti, proprio nello spazio tra Thomas e Saul. Arrivandogli alle spalle, il centrocampista ghanese non si accorge del movimento dell’attaccante del Liverpool e prova l’intercetto in ritardo quando ormai ha già scaricato la palla sull’esterno, verso Salah. Quest’ultimo è praticamente sulla linea del fallo laterale, completamente libero, perché Lodi è ancorato ai due centrali. Nel momento in cui riceve, però, il terzino brasiliano è costretto a staccarsi ed esattamente in quell’istante Chamberlain si inserisce alle sue spalle. Salah lo serve in area, dove il centrocampista del Liverpool prova a metterla in mezzo di prima, con la linea difensiva dell’Atletico che si è abbassata fino alla difesa dell’area piccola. Per fortuna della squadra di Simeone, Felipe legge bene l’azione e riesce a intercettare il passaggio, su cui stava per intervenire Firmino, che si era buttato di nuovo in area dopo aver innescato tutta la manovra dalla trequarti. 

 

Se questo tipo di movimenti avesse funzionato con continuità, nemmeno un portiere fenomenale come Oblak nella difesa dei pali e nel controllo dell’area piccola avrebbe potuto evitare la vittoria del Liverpool. Perché per quanto un portiere possa ridurre lo spazio metaforico che c’è tra una parata e un vero miracolo, nessuno può essere davvero in grado di difendere una porta larga più di 7 metri e alta più di 2 da un tiro scoccato da meno di 6 metri. Se la stoica difesa dell’Atletico Madrid ha retto, e il quadrato centrale di difesa è riuscito ad evitare che il Liverpool tirasse in maniera pulita dall’area piccola, Simeone deve ringraziare soprattutto uno dei suoi giocatori, e cioè Thomas Partey. 

 

L’importanza di Thomas

Thomas Partey è un centrocampista di quasi 27 anni che si è infilato nel calcio europeo d’élite senza che quasi ce ne accorgessimo. Arrivato all’Atletico Madrid nel 2012, dopo essere partito dal Ghana senza nemmeno avvertire i propri genitori, Thomas è passato per un lento ma costante periodo di crescita, che è passato prima per due stagioni in prestito, prima al Mallorca e poi all’Almerìa, e poi per altre due da riserva, di nuovo a Madrid. La storia della carriera sembra riflettere quello che è il suo gioco in campo – un’ascesa lenta e invisibile, fino al punto in cui diventa impossibile non notarla, come una marea. 

 

Ieri Thomas non è solo stato il giocatore che ha vinto più contrasti (5 su 7 tentati, come Robertson) e quello che ha effettuato più intercetti dopo Saul (4 contro 6) – soprattutto è stato il cardine su cui si poggiava l’intera strategia difensiva dell’Atletico Madrid di Simeone. 

 

In fase di non possesso la squadra spagnola ha adottato un sistema misto di marcature a uomo e a zona, che cercava di mantenere la compattezza della squadra e allo stesso tempo togliere spazio e tempo ai giocatori migliori di Klopp. Una strategia che richiede ai giocatori una concentrazione estrema nell’essere sempre pronti a prendere le giuste decisioni a seconda delle situazioni e un’applicazione militare dei principi del suo allenatore. Ieri l’Atletico Madrid ha ridefinito i limiti dei concetti di “reattivo” e “proattivo” per quanto riguardo riguarda la fase difensiva, difendendosi senza mai essere passivo e sollevando un’aura nera intorno alla mistica delle notti europee di Anfield a cui i tifosi del Liverpool non erano abituati. 

 

Nello specifico, Thomas era l’uomo che permetteva alla squadra di Simeone di non rimanere quasi mai in parità o in inferiorità numerica in area, nonostante gli inserimenti a pioggia delle mezzali e delle ali avversarie. Persino l’azione del primo gol del Liverpool dimostra la sua importanza nello sgravare la difesa dell’Atletico dall’enorme pressione avversaria e permettergli di creare quella membrana invisibile contro cui i giocatori di Klopp hanno continuato furiosamente ad abbattersi.  

 

 

Mentre il Liverpool sta cercando di creare superiorità a destra con Salah, Felipe chiama esplicitamente a Thomas il movimento a uscire di Firmino, in modo da poter rimanere vicino a Savic e mantenere la superiorità numerica con Wijnaldum e Mané. A dimostrazione che nell’Atletico di Simeone tutto è legato, però, la copertura di Thomas, che segue Firmino praticamente da terzo centrale, non evita da sola il gol del Liverpool, perché il resto della difesa collassa troppo velocemente verso la porta di Oblak, lasciando Wijnaldum completamente libero di colpire di testa al centro dell’area. 

 

La partita di Thomas, però, non si può riassumere solo con il compito di assorbire gli inserimenti in area degli attaccanti e delle mezzali, che pure ha eseguito con un tempismo unico, permettendo al quadrato centrale di reggere, perché per quanto marziale possa essere il piano gara, Simeone lascia poi ai suoi interpreti una sorprendente dose di libertà nell’interpretare i momenti della partita e di agire di conseguenza. In questo senso, quello che stupisce di più Thomas è il contrasto tra la tranquillità con cui esegue la quantità di compiti che gli vengono assegnati e l’estrema qualità con cui ci riesce. Per esempio quando dopo aver seguito un inserimento avversario fino alla linea di difesa, torna nel momento migliore in posizione di difendere la zona di competenza, sdoppiandosi in un ruolo che azzera i benefici della fluidità avversaria.

 

 

Thomas sembra leggere il gioco avversario come se fosse quello della propria squadra, spiegato dal proprio allenatore nei giorni precedenti sulla lavagna tattica, con una completezza tecnica a disposizione che gli permette di fare quasi qualsiasi cosa con grande naturalezza. Senza nessuna qualità atletica apparente, il centrocampista ghanese sembra essere sempre nella posizione migliore per intervenire sulla palla, che sia assorbendo un taglio nella propria area o intercettando un pallone con un intervento in avanti. 

 

Il suo dinamismo, lento ma costante, la sua reattività nel cambiare registro nel momento giusto, non solo hanno permesso all’Atletico Madrid di mantenere la compattezza posizionale nei momenti più duri della partita, ma anche di far risalire il campo nelle rare volte in cui la squadra di Simeone è riuscita ad allentare la pressione con il pallone. Contro la squadra più organizzata in fase di pressing del calcio contemporaneo, Thomas ha messo in mostra una gestione del pallone incredibilmente razionale e pulita, esibendosi nel secondo tempo anche in una conduzione verticale raffinatissima, in cui sembrava letteralmente poter passare attraverso ai giocatori avversari. 

 

Non sappiamo a quali giocatori nello specifico si riferisse Klopp quando ha dichiarato che l’Atletico potrebbe fare un gioco più offensivo con la qualità che ha a disposizione. Ma, anche solo ipotizzandolo, non sarebbe così assurdo dire che stesse pensando a Thomas, che ieri ha dimostrato di avere il talento rarissimo di riuscire a splendere anche nelle situazioni più difficili.

Tags : atletico madridchampions leaguejurgen kloppliverpoolthomas partey

Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.

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